E poi c’è Giulio Ciccone.Oggi l’abruzzese ci ha messo di tutto e di più, ci ha messo anche quello che non aveva. Sotto l’arrivo per poco non cade. Il suo addetto stampa, Paolo Barbieri, riesce a stento a tenerlo. Giulio lancia un grido e poi finalmente riesce a sganciare il pedale. Beve e poi tossisce. Ed è più l’acqua che cade in terra di quella che manda giù. Sfinito. Però lo sguardo è di quelli presenti, non è stralunato. Il che ci dice che la base è buona.
Ciccone sorretto dal suo addetto stampa dopo l’arrivo di Campo FeliceCiccone sorretto dal suo addetto stampa dopo l’arrivo di Campo Felice
Aria di casa
La sua gente lo ha spinto a più non posso. Ieri aveva assaporato l’aria di casa nel passaggio a Chieti. Oggi ha fatto di più. Come un falco, già prima di Rocca di Cambio, ha battezzato la ruota di Bernal, neanche fosse un velocista che si mette dietro allo sprinter che reputa favorito. Sul momento dello scatto del colombiano, ha reagito immediatamente. Poi si è dovuto arrendere alla super potenza dello stesso colombiano.
«E’ stato molto bello correre nelle mie zone. C’era tanta gente. E anche per questo c’era voglia di fare qualcosa. Un secondo posto è difficile da accettare, soprattutto sulle strade di casa. Però la tappa era impegnativa e questo piazzamento conferma che la mia condizione è buona».
In Abruzzo si aspetta Ciccone (e non solo lui) con gli arrosticini di pecoraIn Abruzzo si aspetta Ciccone (e non solo lui) con gli arrosticini
Cambio di tattica
E questo suo stare bene lo ha portato a cambiare atteggiamento in gara. Forse, anzi senza forse, neanche Giulio immaginava di stare così. E le sue stesse parole dopo San Giacomo dicono molto: «Non mi aspettavo di essere tanto brillante nell’ultima salita. Col senno del poi seguire Bettiol è stato un errore».
E quindi adesso ha iniziato a correre come un uomo di classifica, quale effettivamente è. In fin dei conti era settimo prima di partire da Castel di Sangro questa mattina ed è quarto questa sera.
«Per ora si corre alla giornata – dice il corridore della Trek-Segafredo – cercando di dare il massimo, poi si vedrà. Anche con Vincenzo (Nibali, ndr) abbiamo fatto un ottimo lavoro. Il Giro è lungo. E continueremo a lottare».
Tratto sterrato: Bernal pronto a partire, Ciccone è concentrato sulla sua ruotaTratto sterrato: Bernal pronto a partire, Ciccone è concentrato sulla sua ruota
Un finale tremendo
Tanta salita, ancora pioggia, ma in fin dei conti si è deciso tutto all’ultimo, almeno guardando la corsa da fuori. Perché poi da dentro le cose non sono andate proprio così.
«Oggi siamo partiti veramente forte – dice Ciccone – Per i primi 70 chilometri la fuga era sempre lì. Ho anche sofferto molto, non lo nego. E per questo credo che questa tappa resterà nelle gambe. Io sono contento della mia condizione, ho chiuso la corsa con i ragazzi che lottano per la classifica generale.
«Oggi non abbiamo perso tempo ed era una tappa dura. La condizione sta migliorando. Ho provato a seguire Bernal ma era davvero troppo forte. Quando ho visto che ha messo il 53 – fa una pausa e ride – ho provato solo a salire con il mio passo e a dare il massimo».
Ciccone esce così dal suo Abruzzo, e più in generale da questa prima parte di Appennini, decisamente più motivato e fiducioso di come ci era arrivato. L’attacco di Sestola, annullato in quattro pedalate da Landa, il tentativo verso Ascoli, il secondo posto di oggi. Adesso ne abbiamo la certezza. E’ lui il capitano della Trek-Segafredo e punterà alla generale.
«In classifica ho fatto un piccolo passo in avanti – dice Ciccone – e si sono anche un po’ scoperte le carte. Sappiamo che Bernal è quello che va più forte. Adesso la Ineos ha la maglia e ci sarà una gestione della corsa diversa. Noi dobbiamo sfruttare al massimo questa situazione. Vedremo giorno per giorno, senza programmare nulla».
«En este momento solo siento felicidad».Egan Bernal si confida dopo l’arrivo. I suoi occhi ridono sotto la visiera del cappellino della Ineos-Grenadiers e dentro la sua prima maglia rosa.
Dall’inizio del Giro d’Italia il colombiano sta correndo da vero leader e con grande convinzione. La squadra gli sta vicino, lui è sempre davanti… sembra un corridore esperto. A volte hanno persino sprecato, Egan e i suoi compagni. Ma non oggi.
Egan Bernal nelle interviste dopo la tappa era davvero feliceEgan Bernal nelle interviste dopo la tappa era davvero felice
Come una crono
«Abbiamo corso come avevamo pianificato stamattina. Abbiamo fatto una crono nel finale – dice Moscon dopo l’arrivo – io dovevo fare il mio lavoro proprio così. Intanto mettiamo nel sacco una vittoria di tappa. E’ un bel segnale, ma le vere montagne devono ancora arrivare. La maglia rosa che ci interessa è quella di Milano. Oggi era importante guadagnare il più possibile e ce l’abbiamo fatta».
Proprio Moscon è stato autore di un vero capolavoro. Nel tratto sterrato di Campo Felice, su quella che d’inverno è una pista da sci, il trentino ha fatto qualcosa di eccezionale. Ha rintuzzato i fuggitivi e soprattutto ha letteralmente frantumato il gruppo. Erano in cinque quando è partito Bernal.
Questa scena l’avremmo dovuta vedere due anni fa probabilmente, quando il colombiano doveva far rotta sul Giro. Invece eccolo adesso. Sulla sua tenuta non tutti scommettono. Su Egan pende il “quid” della schiena.Quello spessore sotto la scarpa lo fa pedalare bene, ma ci dice anche che di sicuro qualcosa c’è. E lui stesso solo 48 ore fa ha ammesso di sentire dolore alla schiena, aggiungendo: «E le grandi salite non sono ancora iniziate».
Intanto “Eganito”, come è già stato ribattezzato sul palco, non ha perso un colpo. Si è mostrato il più forte ogni volta che la strada saliva e se vogliamo è sembrato anche in crescendo. Il finale di oggi non era durissimo, ma sono andati davvero forte. E forse per chi è scalatore puro come lui questo è un segnale ancora più incoraggiante.
Gianni Moscon ha lanciato Bernal in modo magistrale, eccolo sull’arrivo di Campo FeliceGianni Moscon ha lanciato Bernal in modo magistrale, eccolo a Campo Felice
In maglia rosa
«Mi dicono: “Hai vinto il Tour e tutto deve essere facile o scontato” – racconta Bernal – ma non è così dopo il brutto Tour dell’anno scorso. Ci sono tanti corridori a lottare. Per ora sto bene, la squadra lavora compatta. Anche oggi i ragazzi hanno fatto un lavoro eccezionale.
«Volevo fare il Giro da sempre, da quando sono passato professionista nel 2016. Sapete che sono molto legato all’Italia, l’ho detto anche dopo la vittoria del Tour. Indossare la maglia rosa è un onore, anche se fosse per un solo giorno. Ma non voglio guardare troppo avanti».
E su quest’ultimo punto il campione di Zipaquira glissa un po’. Dice di volersi godere la giornata e il primato, ma in realtà alla classifica ci pensa chiaramente. Non può non essere così. Sia per le sue caratteristiche, sia per le sue qualità, sia per la squadra in cui corre. Che però sia davvero felice è vero. Dopo l’arrivo era commosso: «La maglia rosa è un sogno».
Il colombiano (24 anni) veste la sua prima maglia rosa. E’ sua anche quella biancaIl colombiano (24 anni) veste la sua prima maglia rosa. E’ sua anche quella bianca
Razzo Bernal
E poi basta vedere quanto e come ha spinto nel finale. Ad un certo punto, dopo che era già scattato, ha messo il 53 sprigionando una grande potenza. E lo si è capito quando Ciccone, che aveva provato a tenerlo, ha dovuto sedersi. In una frazione di secondo ha perso cinque metri, segno evidente di due velocità molto differenti. E poi ha spinto fino all’ultimo metro, tipico di chi pensa alla classifica.
«Non ho esultato – conclude Bernal – perché ero troppo concentrato a spingere e perché non sapevo se davanti ci fosse ancora qualcuno».
E che venisse su forte, ce lo conferma anche Bouwman, che era davanti con Bouchard. «Quando ai 300 metri Bernal mi ha passato sembrava un razzo!».
Gianni Moscon, in Polonia dopo le Olimpiadi e San Sebastian, si lecca le ferite di una caduta e punta a una tappa. E aspetta la nazionale e una squadra
«Umberto Marengo è uno di quei corridori che si gli dici di buttarsi nel fuoco ci si butta». Questa frase ce l’aveva detta il diesse della Bardiani Csf Faizanè,Roberto Reverberi. E aveva colpito lo stesso Umberto.
«Quando l’ho letta – dice il piemontese – mi ha fatto molto piacere. Vuol dire che Roberto ha fiducia in me. Mi ha dato la carica. Cosa significa? Che faccio quello che mi viene detto di fare». E infatti anche ieri nella tappa verso Termoli è andato all’attacco, pur sapendo che era molto difficile che l’attacco andasse a buon fine.
Lo sentiamo prima del via da Foggia. Oggi non sarà facile per lui. Ha speso molto e la tappa è bella “duretta”: i metri di dislivello sono ben 3.400.
Il piemontese (29 anni a luglio) con Cipollini (foto Instagram)Il piemontese (29 anni a luglio) con Cipollini (foto Instagram)
Un “vecchietto”
Nell’era del “potere ai giovani”, in cui si passa pro’ sempre più presto, Marengo è l’eccezione che conferma la regola. Lui è pro’ dal 2019, quando vestì la maglia della Vini Zabù. Aveva 27 anni all’epoca.
«Sono consapevole di questa situazione. Ognuno ha i suoi tempi per maturare. Io ci messo un po’ di più rispetto ad altri ma sono sempre stato costante. Vedere gli juniores che passano e volano subito non è stato facile. Qualche dubbio negli ultimi due anni l’ho avuto eccome. Ero pieno di domande. Ho pensato: ma cosa sto facendo? Però era quello che mi piaceva fare. Ci ho creduto, ho insistito e alla fine ho avuto ragione».
Umberto Marengo in azione nella crono inaugurale di TorinoUmberto Marengo in azione nella crono inaugurale di Torino
Il primo Giro
E così la sua tenacia e il suo carattere battagliero l’hanno portato ad essere inserito nella lista del Giro d’Italia, il primo a 28 anni e con partenza neanche lontano da casa.
«Quasi 29 anni direi – aggiunge Marengo – non me lo aspettavo, ma ci speravo tanto. Io ho cercato di dare il massimo per esserci e quando me l’hanno comunicato potete immaginare la mia felicità. In quel momento ero in macchina. Stavo tornando dalla Belgrade Banjaluka ed è stata una vera gioia. La prima persona a cui l’ho detto è stata la mia ragazza, Ornella. L’ho chiamata immediatamente. Lei è anche la mia confidente. Sa delle mie mille turbe, dei miei complessi, dei momenti difficili».
Marengo in fuga verso Termoli con Christian (Eolo) e Pellaud (Androni)Marengo in fuga verso Termoli con Christian (Eolo)
Fuoco e fughe
E adesso il miglior modo di ripagare questa fiducia è appunto “buttarsi nel fuoco”. Come ha fatto ieri. Una fuga segnata ma affrontata con grande grinta e un po’ di speranza.
«Quella non manca mai quando si va in fuga. All’arrivo ci pensi sempre un po’, altrimenti neanche avrebbe senso provarci. Io spero sempre che nel finale il gruppo possa sbagliare i calcoli, che possa succedere qualcosa. In più c’erano i traguardi volanti. In classifica non ero messo male, visto che qualcosa avevo raccolto anche nelle tappe prima.
«Come capisco chi vuol andare in fuga? Beh, si vede al mattino chi è più agguerrito, chi si mette davanti. Sai che quel corridore è un candidato alla fuga».
Marengo consegnò la spesa durante il lockdown della scorsa primavera (era ancora alla Vini Zabù)Marengo consegnò la spesa durante il lockdown della scorsa primavera (era ancora alla Vini Zabù)
La spesa ai compaesani
Marengo, dicevamo, viene dal Piemonte. Per la precisione da Giaveno, poco più di 30 chilometri ad Ovest di Torino. Ma vive a Collegno, periferia del capoluogo piemontese. E lì durante il primo lockdown Umberto, come Davide Martinelli, si è messo a disposizione della comunità per portare assistenza a chi non poteva uscire.
«Avevo sentito che serviva gente per portare la spesa dai supermercati alle case, per evitare gli assembramenti. Così sono andato. Mi facevano trovare i sacchetti già pronti e li portavo a destinazione. E visto che si trattava di distanze sempre molto brevi, 2-3 chilometri, perché non andarci in bici? Mi ha fatto piacere e per me era anche l’occasione per prendere una boccata d’aria».
Partendo dalla Jumbo, da Cattaneo e da Malori, un incontro con Rossato per parlare della cronometro, terreno troppo trascurato. E i risultati poi si vedono
Alle 12:45 di stamattina quando si è chiuso il foglio firma mancava solo il nome di Domenico Pozzovivo, unico non partente dei 178 corridori rimasti in corsa sino a quel momento. Un’altra tegola per il lucano.
Non ce ne voglia Caleb Ewan, ma la news di oggi non è tanto la sua seconda vittoria quanto il ritiro dal Giro d’Italia dello scalatore della Qhubeka-Assos. Questa mattina mestamente, ma con la dignità che lo contraddistingue, il “Pozzo” ha lasciato la carovana. Prima di congedarsi però ha spiegato il suo abbandono.
Domenico Pozzovivo, stamattina in hotel prima di lasciare il GiroDomenico Pozzovivo, stamattina in hotel prima di lasciare il Giro
Avvicinamento difficile
Domenico ha raccolto le sue cose dal bus, ha salutato i compagni e prima del via della tappa sono venuti a prenderlo per riportarlo a casa. E dire che anche quest’anno aveva fatto di tutto e di più per esserci. Al termine della passata stagione si era nuovamente operato al gomito e un altro intervento lo aveva fatto dopo la Tirreno.
«Sono triste. Mi dispiace dover lasciare il Giro. La mia forma era molto buona, la squadra stava facendo una bella corsa. È difficile arrendersi ma il mio gomito sinistro è davvero in cattive condizioni. Servono degli accertamenti per capire l’origine del dolore. Così è impossibile pedalare, non posso stare in bici».
Sesta tappa del Giro 2021: il gruppo sale verso Forca di Gualdo, “Pozzo” era già cadutoSesta tappa del Giro 2021: il gruppo sale verso Forca di Gualdo, “Pozzo” era già caduto
Il calvario dei Sibillini
La fasciatura bianca domina la scena, se non fosse che i suoi occhi parlano altrettanto. Forse era la sua ultima occasione e finirla così, con la corsa più amata, dispiace. Ma certo non è a Pozzovivo che si può imputare un “ritiro facile”. Anche ieri ha lottato come un leone.
Domenico era caduto nelle fasi iniziali della tappa (intorno al chilometro 10), quando c’era nervosismo in gruppo. La corsa poi, oltre ad essere dura di suo con tutta quella salita, è stata anche flagellata dal maltempo.
I Sibillini non gli sono stati amici. Vento, freddo e lui dietro al gruppo a lottare. Nella Piana di Castelluccio, sotto il forcing della Ineos-Grenadiers è iniziato il suo vero calvario, è rimasto nel gruppo con De Marchi e alla fine ha perso oltre 20′.
«Ieri penso di essere andato oltre i limiti per finire la tappa. Come ripeto ero in grande difficoltà a restare in bici. Speravo in un miracolo nella notte, ma non è accaduto. Sarà molto difficile nei prossimi giorni guardare gli altri corridori impegnati nelle tappe di montagna».
Pozzovivo (38 anni) era 15° Giro. E’ stato l’unico a non presentarsi al foglio firma di NotarescoPozzovivo (38 anni) era 15° Giro. E’ stato l’unico a non presentarsi al foglio firma di Notaresco
Non si molla
Ma Pozzo non molla. Magari già pensa al Tour de France, se la sua squadra deciderà di portarlo.
«Sarò comunque impegnato a recuperare molto velocemente – ha detto Domenico – voglio tornare con maggiori motivazioni di prima».
«Il nostro team medico – ha aggiunto il diesse Missaglia – ha lavorato tutta la notte per dargli la possibilità di ripartire questa mattina, ma alla fine è stato impossibile. Auguriamo a Domenico una pronta guarigione. Sappiamo tutti che è un combattente e incarna lo spirito di questa squadra. Noi non possiamo che augurarglielo con tutto il cuore».
E noi invece non ci stupiremmo se dovessimo vederlo in sella già al Giro di Svizzera e chiudere in qualche modo la sua prima parte di stagione rispettando così, più o meno, gli impegni che presumibilmente lo avrebbero visto prendere il via al Giro, appunto, e alla Vuelta. Ma queste sono solo congetture. Per ora… forza Pozzo.
Pozzovivo rischia di chiudere la sua carriera in sordina. La Qhubeka è in forte bilico e potrebbe restare a piedi, nonostante la voglia sia ancora intatta
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Mikel Landa,Pello Bilbao, Damiano Caruso… basterebbero questi tre nomi per rendere importante il parterre di una corsa e invece sono tre degli otto uomini che la Bahrain Victorious ha deciso di schierare al Giro d’Italia. Il loro direttore sportivo, Alberto Volpi sta per partire proprio alla volta di Torino. Ultime cose da sistemare in valigia e poi il tecnico lombardo raggiungerà il capoluogo piemontese. E’ il momento giusto per ragionare su quanto si è fatto.
Alberto Volpi (59 anni) è il diesse della Bahrain VictoriousAlberto Volpi (59 anni) è il diesse della Bahrain Victorious
Alberto, avete uno squadrone…
Abbiamo una buona squadra. Se siamo stati anche uno squadrone ve lo dirò al via della crono di Senago l’ultimo giorno. Però sì: abbiamo la consapevolezza di avere gli uomini giusti per qualsiasi terreno e per qualsiasi tipologia di corsa venga fuori. Poi si sa: è la strada a dare i giudizi.
Mikel Landa è il vostro capitano. Questo Giro per lui sa molto di “adesso o mai più”. Probabilmente se si guarda agli ultimi 5 anni è lo scalatore più forte. Nel senso che gli avversari cambiano e lui c’è sempre…
Sì, lui è lo scalatore più continuo. Sul discorso dell’adesso o mai più posso dire che si ha la sensazione di una sua grande serenità, cosa che in passato non aveva. E lo dicono anche i suoi passaggi di avvicinamento al Giro. Ha fatto un ottimo Laigueglia ed era la sua prima corsa. A Larciano, anche se è una gara più piccola, è andato bene su un terreno che non è suo. Alla Tirreno-Adriatico ha fatto terzo. Sta attraversando un buon momento, ha un buon equilibrio psico-fisico. Per questo si parte fiduciosi.
In tanti parlano di Almeida, Evenepoel, Yates mentre Landa è poco nominato…
E questo è un vantaggio per me. E’ un buon assist per noi, ci toglie pressione. I giornali, e lo sapete, cercano personaggi che siano d’interesse, per l’età, per il seguito e non solo per un punto di vista tecnico.
In effetti Landa è un po’ l’antipersonaggio, sempre silenzioso, pacato…
Da un certo punto di vista siamo più tranquilli e, come ripeto, sarà poi la strada il “giudice di cassazione”! Noi abbiamo le nostre idee, le nostre certezze e le nostre paure e chi non ha paura è perché non conosce cosa significhi fare un Giro – sospira Volpi – Guardiamo quello che è successo l’anno scorso. Una borraccia, pensiamoci bene, una borraccia ha segnato la fine di un corridore, Thomas, e la fortuna di un altro, Geoghegan Hart. Un episodio può cambiare tutto.
Damiano Caruso sulle strade del Romandia, per il siciliano sarà il 5° GiroDamiano Caruso sulle strade del Romandia, per il siciliano sarà il 5° Giro
Hai detto una cosa interessante prima: i media non seguono il corridore solo da un punto di vista tecnico. E allora ti chiediamo: tecnicamente questo Giro si adatta Landa?
Per me sì. Quest’anno ci saranno in tutto circa 56.000 metri di dislivello, l’anno scorso ce n’erano 54.500, quindi più o meno si equivalgono, ma non è tanto il “quanto”, ma è il “come” questo dislivello è distribuito. Abbiamo molti arrivi in salita durissimi: Zoncolan, Sega di Ala, Alpe di Mera, Alpe Motta e penso che con un percorso così lo scalatore si possa esaltare. Il tappone da 6-7 ore fa meno differenza, è più una guerra di resistenza sul momento e sul passare dei giorni. Quindi alla luce di come è disegnato, questo Giro va bene per gli scalatori come Landa.
Visto come si corre adesso, fa più selezione un arrivo secco che una cavalcata infinita…
Anche l’arrivo di Sestola non è mica facile. L’ho rivisto pochi giorni fa. Giri a destra e negli ultimi 7 chilometri nei hai 4,5 che vanno su tra il 12-16%. Se il gruppo non dovesse lasciare andare via la fuga perché la classifica è corta ci sarà battaglia e non sei al top fai presto a perdere 20”. Non è come Serramazzoni (una salita pedalabile da quelle parti, ndr) che se non sei in giornata vai su di rapporto, stai a ruota di un compagno e ti salvi. Sul colpo secco puoi andare in difficoltà.
Vedendo le sue caratteristiche e come è uscito dal Tour of the Alps, quella di Sestola sembra la tappa perfetta per Simon Yates. Tra l’altro lui va molto forte all’inizio dei grandi Giri. L’opposto di Landa.
Ah sì, sì! Se non va via la fuga lui è il favorito per quella tappa. Sugli arrivi è un killer. Nei 2 chilometri finali sa fare delle accelerazioni fortissime e sa calibrare bene il suo attacco. Anche a Prati di Tivo per pochissimo non ha ripreso Pogacar. E se uno così con tutti gli arrivi in salita che ci sono inizia a prendere secondi e abbuoni e arriva a Senago con 1’30” di vantaggio poi nella crono finale non lo perde.
Pello Bilbao e Damiano Caruso: che ruolo avranno?
Sono gli ultimi due uomini per le tappe di montagna. Però la nostra tattica è una cosa, poi ci sono altre 22 squadre. Verranno dei giorni in cui ci saranno degli attacchi e averne uno davanti può consentire a noi di risparmiare degli uomini, di stare coperti. E magari quello stesso uomo te lo ritrovi davanti se devi attaccare. Quindi okay le tattiche, ma devi avere i corridori giuste per farle. Noi così possiamo fare anche una corsa aggressiva.
Pello Bilbao scorta Landa al Tour de France dello scorso annoPello Bilbao scorta Landa al Tour de France dello scorso anno
E pensare di metterne due in classifica? Negli ultimi anni si è visto che spesso ha giovato questa tattica.
Per rispetto di Landa dico no. E’ lui il capitano. Poi se Bilbao o Damiano saranno in classifica sarà una conseguenza di quel che dovranno fare. Se Pello a Sestola deve stare vicino a Landa automaticamente si presuppone che resti davanti. L’importante è che negli arrivi clou del Giro ci siano tutti e tre. Ma non solo in salita. Si parla troppo poco della tappa di Montalcino. Quella va valutata al pari di una frazione di montagna. Lo sterrato non è un qualcosa di comune e ci potrebbero essere sorprese.
Bilbao e Caruso sono corridori importanti, come accettano di fare da gregari a Landa?
Damiano è il nostro capitano in corsa, Landa il leader. In certi momenti non si riesce a parlare con tutti i ragazzi e serve qualcuno che possa prendere le decisioni in gruppo. E’ un ruolo che Damiano ha accettato di buon grado e che sa svolgere bene. Lui è un corridore di lusso, di qualità e tenacia. Per quel che riguarda Pello, invece, lui stesso ha dichiarato di voler aiutare Landa e lo ha ripetuto anche dopo il Tour of The Alps, nessuno gli ha messo in bocca quelle parole. E’un ragazzo, oltre che molto forte, anche onesto ed intelligente. Lavorare con lui è un piacere.
Al Tour avranno ruoli invertiti?
Difficile dirlo adesso – s’interrompe per un istante Volpi – Intanto facciamo il Giro, poi vediamo.
Avete fatto dei sopralluoghi?
Sì. Nei giorni della Strade Bianche siamo andati a vedere il finale della tappa di Montalcino con i ragazzi. E poi in diverse riprese io, Stangelj e Pellizotti siamo andati a visionare altri arrivi. Con i tablet su cui ci sono tracce e altimetrie si ripercorrono le strade e si annotano i punti che sulle mappe non si vedono: strettoie, condizioni dell’asfalto, un passaggio in un paese da prendere davanti…
Giovanni Aleotti sarà al Giro d’Italia. Il neoprofessionista della Bora–Hansgrohe è un altro figlio di quel vivaio che è il Cycling Team Friuli di Roberto Bressan. Della sua presenza alla corsa rosa l’emiliano ha saputo strada facendo. Una bella “sorpresa” quindi e per questo Aleotti, che già era super preciso da dilettante, ha cercato di fare le cose ancora meglio.
Come molti suoi colleghi ha preparato la corsa in altura, sulle strade di Sierra Nevada, nel Sud della Spagna.
L’hotel di Aleotti e Buchmann era situato a quota 2.350 metriL’hotel di Aleotti e Buchmann era situato a quota 2.350 metri
Grandi stimoli
Tante ore di sella, questo è stato il leitmotiv di Aleotti lassù. Vita monastica tra sella e recupero.
«Abbiamo fatto spesso sei ore – dice Aleotti – La mattina ci spostavamo in macchina, scendevamo ai piedi della salita e ogni volta per tornare in albergo c’erano da fare 25 chilometri di ascesa. Spostandoci in macchina, tra il caricare e scaricare le bici, cambiarci… non si partiva mai molto presto, non alle 9 come a casa insomma, e di conseguenza si finiva anche tardi. Alla fine si stava fuori tutto il giorno e si rientrava all’ora di cena o quasi».
Aleotti era a Sierra Nevada con Emanuel Buchmann, il leader designato della Bora al Giro. I due hanno fatto vita parallela lassù, anche se il tedesco si è trattenuto qualche giorno in più.
«Sono molto soddisfatto del lavoro svolto – riprende Giovanni – Non mi sarei mai aspettato di essere già al Giro. Se me lo avessero detto solo qualche settimana fa li avrei presi per pazzi. Invece la squadra mi dà questa opportunità, da neopro’… significa che hanno fiducia in me. Buchmann sarà il nostro capitano. Lui ha già fatto quarto ad un Tour e ha ottenuto vittorie importanti. L’umore è buono, io sono tranquillo, ma credo che al ridosso del via sarò un po’ emozionato. Il percorso di avvicinamento è stato fatto bene con Szmyd, il mio preparatore: Tirreno, Paesi Baschi e poi di nuovo a Sierra Nevada dove ero venuto già a febbraio. E per questo sono anche sereno».
Ogni giorno per tornare in albergo doveva fare 25 chilometri di salitaOgni giorno per tornare in albergo doveva fare 25 chilometri di salita
Quantità, ma anche qualità
Ma come si lavora in ritiro, specie se si è giovani? Si deve essere più accorti? O al contrario si può spingere di più?
«Io credo – spiega Aleotti – che non ci siano grandi differenze in base all’età. Le cose da fare sono quelle più o meno per tutti. Abbiamo fatto molte uscite lunghe. I primi giorni sono stati un po’ più facili, bisognava adattarsi, poi si facevano blocchi di tre giorni, due di lavoro e uno di scarico. Il primo giorno di lavoro era più intenso, particolarmente intenso direi… E il secondo era di endurance, quindi un lungo più lento senza specifici. Considerate che, anche in virtù del rientro in salita, la media oraria era bassa, al di sotto dei 30 all’ora. I nostri lunghi quindi non superavano i 180 chilometri».
Per quel che riguarda i lavori specifici, Aleotti parla di un percorso iniziato già a gennaio. Con l’avvicinarsi del Giro è aumentata la qualità. Giovanni ha lavorato più sull’intensità, sul ritmo gara e su qualche lavoro lattacido.
«Molti lavori li abbiamo fatti in salita. Sono quegli specifici che rifiniscono la condizione in vista dell’obiettivo clou. Che lavori? Forza, anche ad alta intensità, 30” fuori soglia, interval training…».
Aleotti nella crono della Tirreno. Prima del Giro e dopo il ritiro ha usato questa bici a casaAleotti nella crono della Tirreno. Prima del Giro e dopo il ritiro ha usato questa bici a casa
Poca crono, tanta salita
«La bici da crono? No, io non l’ho portata in ritiro, ma l’ho usata quando sono tornato a casa. Di solito ci esco nel giorno di scarico, anche per utilizzare altri muscoli, variare un po’. Ma chiaramente ci faccio anche degli specifici se devo appunto lavorare a crono».
Aleotti è giovane, ma già parla da esperto. Quando gli chiediamo dei lavori svolti lui ci rammenta anche che bisogna andarci piano quando si è in quota. L’altura infatti già di suo pone il fisico sotto stress, fa consumare di più, specie alle quote a cui soggiornavano lui e Buchmann.
«A 2.350 metri devi andarci piano con certi carichi di lavoro. Il rischio di finirsi, come si dice in gergo, è elevato. Non ci vuole molto ad andare in over training. Io credo di aver trovato il giusto bilanciamento e infatti negli ultimi due o tre giorni di ritiro ho avvertito un cambio in positivo, mi sono sentito molto bene».
Il riso, uno dei pasti a base di carboidrati più usato dagli atletiIl riso, uno dei pasti a base di carboidrati più usato dagli atleti
Il peso, i dettagli
Due settimane abbondanti in quota possono portarti alle stelle, specie se ci si arriva con una condizione già buona e se la testa è propensa a fare certi sforzi e a “sopportare”, ammesso che questo termine sia giusto, un determinato regime di vita. Sveglia presto, colazione, allenamento, doccia, massaggio, cena, letto.
«A me piace stare in ritiro – dice Aleotti – c’è un bell’ambiente, è stimolante. Non speravo finisse presto, né avevo la fretta di tornare a casa. Alla fine sono giovane, non ho famiglia e figli che mi aspettano. Mi piace stare in giro, conoscere posti nuovi.
«L’alimentazione? Le solite cose: riso, pasta, tonno, pollo, verdure… a cena. A pranzo ci si fermava per un panino in basso, “a valle”. Si tornava su e si cercava di recuperare, anche grazie all’aiuto del massaggiatore. Qualche volta abbiamo fatto degli esercizi di stretching per agevolare il recupero. Per quel che riguarda il peso, un po’ è l’altura stessa che ti asciuga, ma non siamo venuti qui per perdere peso, quello è un percorso che parte da più lontano e poi si presuppone che in un ritiro a ridosso del Giro il peso sia già okay».
Alex Vlasov ha vinto il Romandia con una crono finale da incorniciare. E mentre recupera prima di preparare il Tour, ha un pensiero per la sua ex squadra
Tra le squadre più attese del Giro d’Italia c’è la Bardiani Csf – Faizanè, il team italiano che più è stato rivoluzionato durante l’inverno. La squadra di Bruno e Roberto Reverberi si presenta alla corsa rosa con la valigia carica di entusiasmo. C’è esperienza, gioventù, classe… Può fare un bel Giro. E noi ne parliamo con il diesse emiliano.
Roberto Reverberi, classe 1956, è diesse e dirigente della Bardiani Roberto Reverberi, classe 1956, è diesse e dirigente della Bardiani
Roby, pochi giorni e si parte, che Bardiani vedremo?
Il livello che c’è è buono. Avevamo, forse, due o tre corridori che andavano un pelo più forte e che sono rimasti a casa, ma volevamo affidabilità. La squadra è stata costruita con un certo criterio e cioè gente di esperienza, che tiene in salita e che sia anche discretamente veloce. Come potete facilmente capire il nostro obiettivo è quello di vincere una tappa, il che presumibilmente può avvenire con una fuga. Fiorelli e Battaglin possono fare bene in volata e Carboni in salita. Magari penso a lui che nella tappa di Sestola può stare davanti, la fuga può arrivare e come due anni fa a San Giovanni Rotondo potrebbe prendere la maglia bianca. Non essendo pericoloso per la generale potrebbero lasciarlo andare.
Roberto, hai detto che ci sono un paio di corridori che forse andavano più forte ma non sono stati convocati, perché?
Penso a Mirco Maestri, che sta anche bene, ma non avendo necessità di andare in fuga in pianura, che è molto difficile possa arrivare, abbiamo preferito portare gente che tiene in salita, che non si stacca nella fuga, che se insomma arrivano in 15 ci sta. Bisogna pensare anche alla qualità del risultato, cioè come questo arriva. Magari nelle tappe di pianura cerchiamo di aiutare un Battaglin, un Fiorelli, ma senza sprecare energie per fughe che sono segnate. Poi magari dopo due settimane si tira una riga: se non si è raccolto nulla, si inizia ad andare all’attacco anche in quelle pianeggianti. E lì ci può andare anche lo scalatore, mentre il contrario non è possibile per il passista.
Beh, è una teoria che tiene, visto il livello e visti i percorsi…
Abbiamo costruito un team affidabile, ripeto. Lo stesso Visco quando ha visto la squadra mi ha detto che pensava ci fossero dentro anche Daniel Savini e Filippo Zana, due buoni scalatori. Ma Zana per esempio il Giro lo aveva fatto l’anno scorso da neopro’. Lo avevamo messo dentro per fare esperienza, ma aveva anche “tribolato” tanto.
E come mai visto che si parla di salita e di esperienza è rimasto fuori un corridore come Andrea Garosio?
Perché non si è fatto vedere. E lo stesso vale per Luca Covili. Sapevano di essere tra i papabili del Giro, ma alla Coppi e Bartali e in altre corse non hanno fatto molto. Covili al Tour of the Alps si staccava da 30-40 corridori e sappiamo che lì non ci sono tutti e quelli che ci sono non stanno al 100%. Ma lo stesso discorso si può fare per Giovanni Lonardi, non basta fare un sesto posto in volata al Turchia. E poi c’è un’altra cosa da valutare.
La Bardiani al Tour of the Alps: dopo questa gara si è decisa la formazione per il GiroLa Bardiani al Tour of the Alps: dopo questa gara si è decisa la formazione per il Giro
Cosa?
Che spesso i ragazzi convocati hanno corso insieme. Visconti, Gabburo, Tonelli… e questo conta, sono più affiatati. Penso a Tonelli che ormai ha una certa esperienza, a Marengo per Fiorelli. Marengo è uno che si gli dici di buttarsi nel fuoco ci si butta. E questo vale per le volate, non ha paura come altri e può dare una mano a Fiorelli.
Di Fiorelli ne abbiamo parlato spesso: lo vedremo nelle volate e chissà se anche in qualche fuga. E Battaglin?
Se vediamo gli arrivi dello scorso anno al Giro, Enrico era spesso piazzato negli sprint, tra l’altro sempre vicino a Fiorelli. Potrebbero darsi una mano a vicenda o, a seconda delle situazioni, fare lo sprint entrambi. Filippo qualche errore lo ha fatto quest’anno e poteva vincere di più, però è un ragazzo che ha fame, è in crescita e poi lotta. Anche a parole. Giusto qualche giorno fa mi ha detto: sai Roby che già quest’anno non mi dicono quasi più niente quando si fa lo sprint. E io gli ho risposto: vedi, cosa significa essere sempre lì davanti?
Ti sentiamo motivato. Hai quasi “problemi di abbondanza”…
Quest’anno ho dovuto scartare diversi corridori, l’anno scorso avevo il problema contrario: non sapevo chi portare al Giro. Ce lo hanno salvato Fiorelli e Tonelli tra volate e fughe.
E Visconti? Giovanni non ci arriva benissimo, ha avuto diversi intoppi.
Vero non ha avuto un avvicinamento facile, ma se andiamo a vedere lui non è mai stato brillante ad inizio stagione. Inizia ad andare forte quando arriva il caldo. Proprio ieri mi ha mandato il file di un allenamento fatto a casa da solo con un bel dislivello. Ha dei bei valori. Uno come Giovanni ha classe e anche se non è al 100% può vincere. Lui e Battaglia sono quei corridori che se beccano la giornata possono portare a casa il risultato.
Esperienza e affidabilità, ma c’è anche Zoccarato, che è neo pro’.
Samuele ha un motore della… grosso così! Me lo diceva sempre Antonio Bevilacqua: guarda che questo va forte. E io me ne sono accorto ad un Giro dell’Emilia. A due giri dal termine davanti restano in nove e dentro vedo una maglia della Colpack. E chi è questo? Era lui. Ha vinto poco perché spesso ha lavorato per i compagni. Però al Giro under 23 l’anno scorso ha fatto terzo nella tappa del Mortirolo. Lo devi tenere a freno. Avete presente i cani da slitta quando gli metti le briglie che iniziano a tirare? Beh, lui è così: quando gli attacchi il numero sulla schiena non capisce più niente!
Giovanni Carboni (26 anni) è lo scalatore della Bardiani. Per lui sarà il terzo GiroGiovanni Carboni (26 anni) è lo scalatore della Bardiani. Per lui sarà il terzo Giro
Il percorso della corsa rosa ti piace? Si adatta alla tua Bardiani o i tanti arrivi in salita favoriscono le squadre dei big?
Più è nervoso e meglio è. Certo non devono essere tappe troppo dure. Quella di Sestola potrebbe essere ideale per noi come caratteristiche, ci sono parecchi su e giù. Tappe in cui vai in fuga e magari vai a caccia dei punti per la classifica dei traguardi volanti.
Pensiamo ad un corridore come Carboni, il più scalatore dei tuoi: per lui ha senso provare a dare un occhio alla classifica?
Anche in passato abbiamo avuto qualcuno bravo che poteva tenere, penso a Perez Cuapio, per esempio. Provare a fare classifica significa fare le crono a tutta, restare davanti nei finali in volata per evitare buchi, correre nelle prime posizioni. Chi vuol tenere in questo caso aspetta il primo arrivo in salita. Se perde sui 30” okay, lo tieni lì e continui a fargli fare classifica, ma se perde 10′, ciao… E lo stesso se ne dovesse perdere due. A quel punto meglio incassarne 7-8 ed essere libero per le fughe.
Okay, ma se un giorno il Carboni della situazione, tanto per restare sullo scalatore, non dovesse prendere la fuga e magari sullo Zoncolan si vuole misurare con gli uomini di classifica lo può fare o è meglio che molli per risparmiare energie?
A volte si fa, sono i ragazzi stessi che decidono di provare. Ma giusto un giorno o due. Noi comunque siamo d’accordo: è importante portare a casa certi confronti, vedere davvero che valori si hanno. Però bisogna anche pensare che dopo una tappa come quella dello Zoncolan, magari il giorno dopo i big si rilassano e lasciano andare via la fuga.
Con Giuseppe Martinelli si potrebbe scrivere un’enciclopedia del ciclismo. Il tecnico dell’Astana PremierTech, per tutti “Martino”, vive, mangia e respira ciclismo da sempre: come corridore, come diesse, come appassionato.
Ad una manciata di giorni dal Giro d’Italia lo sentiamo per capire cosa ci possiamo aspettare davvero da Alexandr Vlasov, ragazzo russo di cui si dice un gran bene ma che per un motivo o per un altro ancora non è riuscito ad esprimere il suo grande potenziale.
Alexandr Vlasov, sulle strade della Vuelta 2020. Il russo sarà leader dell’Astana al GiroAlexandr Vlasov: il russo sarà leader dell’Astana al Giro
“Martino” buongiorno. Parliamo di Vlasov: ormai è qualche anno che è con te, che idea ti sei fatto?
E’ un ragazzo abbastanza da scoprire ancora, non è uno già “arrivato”. Avremmo una sua consacrazione al Giro. L’anno scorso venne in Italia per aiutare Fuglsang, poi andò alla Vuelta, ma non ci arrivò in forma, la finì bene, ma perse molto all’inizio. Partirà con i gradi di capitano e sapete bene che farlo in Astana, che ha particolare voglia e predisposizione per i grandi Giri, è molto importante. Questo Giro ci dirà davvero quanto vale e cosa potrà fare Vlasov nel panorama del ciclismo mondiale.
L’anno scorso eri arrabbiato perché Alexandr si fermò (mal di stomaco) all’inizio della seconda tappa. E’ tutto chiarito? Gli è servito da lezione?
Io mi arrabbio spesso, ma altrettanto spesso volto pagina. E’ un ragazzo giovane e deve imparare a soffrire un po’ di più. E poi vorrei aggiungere una cosa. La pandemia ha influito molto su quel ritiro. Voi forse non vi rendete conto come si vive questa situazione nelle squadre. E’ un qualcosa che può scombussolare i piani di un intero team da un momento all’altro, c’è paura, incertezza… Guardiamo quello che è successo alla Uae alla Freccia Vallone. Ma vi rendete conto: non partire in una gara così importante con un leader come Pogacar? Si teme davvero di buttare via molto.
Su Vlasov hai detto: «Si vedrà cosa potrà dare nel panorama del ciclismo», ma potrà darlo ancora all’Astana? O andrà alla Ineos Grenadiers come si dice?
Ho sentito tanti rumors attorno a lui. E che ci crediate o no, io non ho mai parlato con Alexandr di questa cosa. Lo farò solo quando sarà sicuro di quel che farà. Io so che quest’anno sarà con me e cercherò di farlo vincere il più possibile. Lui comunque ha detto che con noi si trova bene.
I turchesi al fianco di Vlasov, un mix di esperienza e gioventùTra gli uomini per Vlasov anche Luis Leon Sanchez e Fabio Felline (a destra)
Torniamo al Giro. Con Vlasov avete già fatto dei sopralluoghi?
Lui e Zanini andranno a ridosso del via da Torino a vedere la tappa di Montalcino, l’arrivo di Sestola e la salita di Sega di Ala. La tappa delle Strade Bianche bisogna conoscerla per capire quando e come arrivano gli sterrati e come prenderli. L’arrivo di Sestola perché è la prima salita ed è importante vederla. E la scalata nel veronese l’ho consigliato io di dargli uno sguardo perché la conosco e so che è dura. La facemmo al Trentino nel 2013 con Vincenzo (Nibali, ndr) e non era distante dalle zone degli allenamenti di Cunego. Però negli ultimi anni è sempre più problematico fare le ricognizioni.
Perché?
Perché i ragazzi corrono tanto e non c’è tempo per farle. Adesso Vlasov è in altura, ma può interrompere il suo ritiro per fare i sopralluoghi? Bisognerebbe che il Giro fosse presentato a novembre e fare i sopralluoghi a dicembre! Ma tanto poi è brutto tempo e non si può andare…
Un messaggio per Vegni! Però in quel periodo il corridore ha qualche chilo in più è fuori condizione e si rischia di avere impressioni diverse da quello che poi sarà in gara…
Ah vero. E’ già successa questa cosa. Anche a me, non lo nego. Ho fatto riunioni prima del via, con mappe, carte, spiegando ai ragazzi le varie salite e poi a fine tappa mi hanno detto: Martino ma non era così dura questa salita. O anche il contrario. Poi bisogna valutare anche come arrivi a quella salita, cosa prevedeva la tappa fino a quel momento o com’era quella del giorno prima. Insomma ci sono tante variabili. E per dirla tutta, con i mezzi di oggi potremmo quasi non farle. Tra dati, software… è come farle dal vivo certe ricognizioni.
Hai parlato della prima salita: ma è davvero così tosta Sestola? A noi sembra molto pedalabile. E’ ben più dura quella di Ascoli…
Vero, quella di Ascoli la conosco anche perché si faceva spesso nella Tirreno-Adriatico ai tempi in cui ero corridore. La prima salita però può fare “danni”. E’ sempre stata una mia idea. Perché magari c’è chi non è ancora al 100% e chi invece è al 110%. Penso allo Yates visto al Tour of the Alps. E’ una differenza importante, mentre da metà Giro in poi le forze in campo si appiattiscono e c’è chi cala e chi migliora.
Pronsky, scalatore kazako. Altro volto da scoprire sulle strade rosaPronsky, scalatore kazako. Altro volto da scoprire sulle strade rosa
Qual è un punto di forza e uno di debolezza per Vlasov?
Un punto di forza è che va forte in salita. E’ uno scalatore puro, anche se il suo fisico non farebbe pensare così. Non solo, ma preferisce le pendenze dure, le scalate a strappi a quelle più regolari. Una sua debolezza se vogliamo è la cronometro. Il problema è che fino a che non è arrivato da noi non ne ha mai fatte al 100%. Ci ha lavorato molto con i nostri preparatori, Mazzoleni e Velasco (tecnico dei materiali, ndr), ed è migliorato. Come ripeto, il Giro ci dirà chi sarà e su cosa si potrà focalizzare. E questo dipende anche dalle crono.
Dove si può vincere questo Giro? Non solo una tappa, ma una serie di frazioni, su quale terreno…
Ho visto il percorso e non trovo una tappa in cui ci si può inventare davvero qualcosa. Rispetto ad altri anni ci sono più arrivi in quota. Di sicuro si deciderà in salita. Lo Zoncolan può essere uno di quei momenti in cui il Giro lo puoi vincere o perdere, però non vedo il tappone con 5.000 metri di dislivello e quattro passi che sentenzia la corsa. Ci sono tanti finali in cui può arrivare un gruppetto anche di dieci persone ma in cui ne manca una o due ogni volta. E’ importante perciò guadagnare giorno dopo giorno.
Che squadra avrà il russo al suo fianco? A prima vista c’è un bel mix di esperienza e gioventù…
Dopo qualche anno ritorna al Giro Luis Leon Sanchez e lo farà in funzione proprio di Vlasov. E lo stesso Gorka Izagirre… lui ha una voglia di fare il gregario, di ricoprire questo ruolo che non potrei cercare di meglio. E poi c’è una squadra garibaldina, a partire dai tre italiani: Samuele Battistella,Matteo SobreroeFabio Felline. Loro non correranno solo per aiutare, ma anche per provare a fare qualcosa di personale. Poi è chiaro, la prima cosa è la classifica generale con Vlasov.
Beh, in effetti non dando il russo delle garanzie è anche giusto lasciarsi altre opportunità…
Attenzione, io sono convinto di avere l’uomo per poter vincere il Giro, ma ho anche dei corridori per le tappe intermedie che possono fare bene.
Squadra garibaldina e Luis Leon Sanchez: verrebbe da pensare che lo spagnolo possa avere carta bianca, invece ci hai detto che sarà in appoggio a Vlasov: come mai?
Non dimentichiamo che Alexandr è giovane, ha compiuto 25 anni al Tour of the Alps e bisogna mettergli un uomo di esperienza al suo fianco. Vero, Luis Leon è uno degli uomini più vincenti che ho, ma lui in gruppo per me è importantissimo. Se la mattina in riunione gli dico di stare vicino a Vlasov, io so che ogni dieci minuti lo va a cercare, lo porta davanti, gli fa notare come si muovono gli altri. Sanchez è uno che ha il senso della corsa, non si perde, è concentrato. E con lui ho un buonissimo rapporto. C’è molta fiducia. E uno così mi serve.
Matteo Sobrero sarà utile a Vlasov per le crono, ma avrà anche i suoi spaziMatteo Sobrero sarà utile a Vlasov per le crono, ma avrà anche i suoi spazi
Invece Vadim Pronsky e Harold Tejada?
Pronsky è uno scalatore e anche lui è un giovane (22 anni, ndr). Ha vinto il Val d’Aosta nel 2018 e cercherò di adoperarlo dove potrà fare bene. E’ un kazako e per noi è importante anche in chiave futura. E’ un ottimo corridore, così come Tejada, anche lui giovane (24 anni, ndr).
E poi ci sono i tre italiani…
Con loro spero di poter agguantare una vittoria di tappa. Mi danno una certa sicurezza. Felline ha esperienza e ha anche dimostrato di saper vincere, pur essendo un uomo squadra. Battistella può imparare e provare.
E Sobrero immaginiamo che partendo prima di Vlasov ti possa essere molto utile anche per i feedback nelle tappe contro il tempo…
Fai le domande e dai anche le risposte?
Okay, scusa Martino!
Scherzi a parte, sì lui sarà utile per le crono. E’ stato uno di quei corridori che avevo “perso” da dilettante. Ero andato a vederlo al Palio del Recioto che vinse davanti ad un parterre mostruoso, c’era anche Pogacar, e sai quando torni dopo aver visto un ragazzo vincere c’è l’entusiasmo. Ma lui era già impegnato e pensavo di averlo perso. Invece poi sono riuscito a prendere sia lui che Battistella. Se li porto al Giro non è solo perché migliorino, ma perché vorrei facessero qualcosa, provassero a vincere. Credo in loro, vanno impiegati bene. D’italiani giovani e forti ce ne sono pochi e vanno tutelati.
Quindi Giuseppe siamo pronti. Un’altra sfida per te…
Credetemi se vi dico che in Astana c’è passione. Tante volte girando per il mondo, nonostante ci siano ormai tanti altri squadroni, ci riconoscono, sanno chi siamo e ancora sento dire: oh l’Astana di Nibali!
Finito il Giro, abbiamo riletto gli episodi chiave con Martinelli, vincitore di Giri e di Tour e perplesso su qualche tattica della UAE fra Siena e Finestre
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Dopo il Giro d’Italia dell’anno scorso, o meglio, di sei mei fa Joao Almeida non è più un corridore qualunque, ammesso lo sia mai stato. Fa parte dei big, dei nuovi big. Il portoghese, 15 giorni in maglia rosa, sarà uno dei favoriti al via da Torino.
Ma stavolta ci arriva in tutt’altro modo. Stavolta ci sono aspettative, un po’ di pressioni e attenzioni mediatiche. Insomma per Joao si tratta del primo vero, grande, banco di prova.
Almeida (22 anni) ha vinto la maglia di miglior giovane al CatalognaAlmeida (22 anni) ha vinto la maglia di miglior giovane al Catalogna
Verso le corse a tappe
Il portoghese lo abbiamo incontrato nelle classiche delle Ardenne, corse in appoggio ad Alaphilippe. Ed è lui stesso a ricordare il successo del 2018 proprio alla Liegi U23.
«Quella mattina al via stavo male. Pensavo addirittura di non poter finire la gara. Poi le cose sono andate sempre meglio. A quel punto volevo almeno aiutare i miei compagni. Sono andato in fuga, mi sono ritrovato in testa sulla Redoute, ho attaccato e sono arrivato da solo a Liegi.
«Mi piacciono le gare di un giorno – continua Almeida – ma adesso il mio interesse è rivolto più verso le corse a tappe».
E con quest’ultima frase Joao sposta di fatto il discorso sul Giro d’Italia. E l’approccio a quella Liegi, se ci si pensa, è un po’ il film della sua corsa rosa 2020, anche se non lo ha vinto. Tuttavia il discorso sulle aspettative non fa una piega.
A Sierra Nevada non è mancato il lavoro con la bici da crono (foto Instagram)A Sierra Nevada non è mancato il lavoro con la bici da crono (foto Instagram)
Tutto secondo programma
Terzo all’Uae Tour, sesto alla Tirreno-Adriatico, Joao è poi un po’ “sparito” dai radar per allenarsi. Ha corso il giusto e se ne è andato in altura con l’altra punta di diamante della Deceuninck-Quick Step al Giro, Remco Evenepoel.
Il blocco di lavoro svolto a Sierra Nevada è stato davvero fruttuoso. Ha lavorato con Masnada, con Evenepoel e per qualche giorno anche con Alaphilippe. E non sono mancati i tanti chilometri a cronometro.
«Ho avuto belle sensazioni già al Giro di Catalogna. Dove ho colto la terza top ten in altrettante gare a tappe fatte quest’anno. Ho anche vinto la maglia di miglior giovane. E’ stata una corsa solida, che mi ha dato fiducia. Mi sono espresso bene in salita e a crono. E questo fa ben sperare per il futuro. E poi in altura abbiamo fatto un bel blocco di lavoro con Remco». Merito anche – aggiungiamo noi – del buon meteo incontrato: tre settimane di sole che hanno consentito ai Deceuninck di fare molto volume e di farlo bene».
Ottimo cronoman, Almeida quest’anno è migliorato ancora tenendo testa agli specialistiOttimo cronoman, Almeida quest’anno è migliorato ancora tenendo testa agli specialisti
Obiettivo, maglia rosa
Ma può ripetere il grande exploit dello scorso anno? Quando glielo chiediamo espressamente Almeida risponde così.
«Sto lavorando per quello – dice molto timidamente dietro al suo cappellino, il suo tono è sempre molto pacato – le sensazioni sin qui sono state buone. Io cercherò di fare il mio meglio. Il Giro è il mio grande obiettivo, se sarà come quello scorso non lo so, ma partiamo per puntare alla maglia rosa. Avremo una squadra molto forte, Honorè, Masnada, Knox… tutti corridori molto forti per la salita e ci sarà anche Remco pensando alla classifica generale, quindi è tutto da vedere».
La Deceuninck-Quick Step, archiviate le classiche con un segno più che positivo, adesso potrà concentrarsi sul Giro. Già tra Fiandre e Ardenne si è assistito ad un graduale “cambio della guardia”, come era normale che fosse. Si è dato più spazio agli scalatori e agli uomini che vedremo in azione sulle nostre strade a partire dall’8 maggio. E la tattica è già chiara: avere uomini di fondo per aiutare Almeida (e Remco) sulle grandi montagne. Alla fine solo lo Stelvio respinse il portoghese l’anno scorso.
Almeida perse la maglia rosa sullo Stelvio. Ma in Portogallo è diventato un idoloAlmeida perse la maglia rosa sullo Stelvio. Ma in Portogallo è diventato un idolo
Almeida, un simbolo
Quei giorni in rosa lo hanno lanciato in un’altra dimensione. Almeida ha riscosso un grande successo in Portogallo.
«Sono contento di essere un aiuto, un simbolo per i giovani ciclisti del mio Paese. Quei giorni in rosa dell’anno passato hanno inciso molto e per me è motivo di orgoglio. La mia vita è cambiata, ma io sono lo stesso. E’ un onore e una responsabilità avere questo ruolo per il mio Paese».
E tutto ciò si lega perfettamente a quanto detto in apertura sul discorso delle aspettative. Di certo se Almeida risponderà presente, magari anche riuscendo a salire sul podio, potremmo dire di aver trovato definitamente un altro grande. E che il Giro 2020 non è stato un passaggio fortunoso.
Per Bramati, suo diesse, i dubbi non ci sono. Ci disse grandi cose su Almeida già nelle prime tappe in Sicilia, figuriamoci adesso. In Sierra Nevada ha lavorato molto sulla distanza e le lunghe scalate, quello che gli è mancato lo scorso anno sullo Stelvio. Ma ripetiamo, non era certo in programma di arrivare in quelle condizioni, cioè in rosa, sin lassù e a poche tappe dal termine del Giro.
Il lavoro è stato abbondante anche a crono. Quest’anno tra gli uomini di classifica solo Pogacar lo ha preceduto, e di pochissimi secondi, all’Uae Tour e alla Tirreno.
E Joao? Beh, lui come i suoi giovani connazionali continua a sognare e su Instagram mette storie del tipo: “Memorie di vita” e sullo sfondo lui in maglia rosa.
Si apre la stagione fiamminga con l'Het Nieuwsblad e arriva la vittoria di Davide Ballerini, che vince in volata dopo gli attacchi di Alaphilippe e di Moscon
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