Non solo Stuyven, non solo Vdp e Van Aert, la Sanremo ha regalato emozioni e spunti tecnici interessanti anche per chi non se l’è giocata fino in via Roma. Se Sonny Colbrelli è stato il primo italiano, Filippo Fiorelli in prospettiva ha lanciato dei segnali davvero interessanti.
Il corridore della Bardiani Csf Faizanè, alla seconda partecipazione in pochi mesi, ha concluso la Classicissima a ridosso del drappello dei migliori. Il siciliano può mettere nel sacco più cose positive che negative. Queste ultime semmai fanno rima con esperienza.
Con lui cerchiamo di capire come si è avvicinato alla Sanremo, cosa ha imparato, cosa ha sbagliato e tante altre curiosità.
Filippo cosa ti resta di questa Sanremo a 72 ore dalla sua fine?
Dopo questa edizione posso dire che il prossimo anno lavorerò per fare bene davvero. Fino a tre giorni fa credevo fosse troppo lunga per un poco più che neopro’ come me, adesso invece so che è un qualcosa di fattibile. Alla fine mi sono staccato negli ultimi 500 metri del Poggio.
Quando hai iniziato a prepararla? Consideriamo, per i lettori, che voi della Bardiani aspettavate l’invito di Rcs, arrivato a meno di un mese dal via…
Diciamo che ho iniziato a prepararla tre settimane prima. Visto che non abbiamo partecipato alla Tirreno, per trovare il ritmo gara siamo andati a fare una piccola gara a tappe in Croazia, dove tra l’altro ho colto la mia prima vittoria da pro’. Non è stato come fare la Tirreno, ma la condizione che ne emersa è stata buona. C’erano tappe da 170-200 chilometri e qualche volta ho allungato a fine gara. Il giorno che ho vinto, dopo il podio, sono tornato in hotel in bici e sono arrivato così a 230 chilometri. I chilometri della Sanremo non li fai, ma le ore sì.
E prima della Croazia?
Abbiamo fatto un ritiro in Toscana nel quale abbiamo percorso 900 chilometri in una settimana. E’ stato un bel blocco di lavoro, così come avevamo fatto in precedenza in Spagna. Calcolate che io manco da casa da metà gennaio. E devo dire che la Bardiani ci sta mettendo in una condizione favolosa, lavoriamo come una WorldTour e i risultati stanno arrivando.
Nella settimana della Sanremo come ti sei gestito?
Allora, il lunedì ho fatto due ore e mezza regolari, ero rientrato dalla Croazia la sera prima. Il martedì scarico: sono uscito a prendere il caffè in bici, quindi un’oretta e basta. Il mercoledì con Visconti abbiamo fatto quasi 8 ore e 250 chilometri. Abbiamo finito alle sei di pomeriggio! Siamo andati a provare parte del percorso della Per Sempre Alfredo di ieri. Ho fatto qualche lavoretto in salita e nell’ultima ora abbiamo fatto dietro macchina.
Con chi?
Con Marcello Massini, il mio diesse da dilettante. A lui devo molto. E’ lui che mi ha cambiato la mentalità e fatto diventare un corridore. E’ importante fare forte l’ultima ora di queste distanze, magari con una salita a tutta, o con del dietro motore per simulare il finale della Sanremo. Quel giorno con Giovanni abbiamo fatto dietro macchina gli ultimi 50 chilometri.
E poi?
Il giovedì due ore e mezza tranquille. Il venerdì sono partito per la Sanremo. Avevamo l’hotel a Bergamo e appena dopo pranzo ho fatto giusto un’oretta e un quarto. Faceva freddo e c’era vento. Non volevo prendere pioggia prima della corsa. E poi sabato, appunto, la Sanremo.
E dal punto di vista alimentare, come è stato il tuo approccio alla Classicissima?
Normale fino a due giorni dalla gara. Da quel momento ho aumentato la quantità di pasta. O meglio, ho mangiato la pasta.
Perché di solito non la mangi?
Diciamo che preferisco il riso. Alla vigilia della gara ho mangiato poi del riso, una fetta di carne rossa (una tagliata) e una fetta di crostata. Il dolce prima della Sanremo te lo puoi concedere!
E a colazione?
Mi sono svegliato alle 6,15 e mangiato alle 6,30. Non ho fatto una colazione “megagalattica”, non volevo appesantirmi. Ho mangiato 100 grammi di riso, un’omelette fatta con tre bianchi e due rossi d’uovo e alla fine ho preso un cappuccino.
E in gara cosa hai mangiato?
Non avevo le tasche particolarmente piene perché sapevo che ci sarebbero stati due rifornimenti. Sono partito con tre “risetti” (le tortine di riso, ndr), tre barrette e tre gel per il finale. Quelli, per sicurezza, li ho messi subito in tasca tante volte non fossi riuscito a prendere il sacchetto. La mia strategia era di mangiare ogni 30′ fino all’ultima ora. Poi ho mandato giù tre gel, l’ultimo dei quali alla caffeina.
Riesci a dare una stima delle calorie ingerite?
Allora vediamo – Fiorelli fa i conti – tra barrette e risetti ne ho mandati giù dieci, tre gel, qualche carboidrato disciolto nella borraccia… Credo che in corsa abbia buttato giù circa 2.000 calorie.
Passiamo a discorsi più tecnici e tattici. Vale ancora la vecchia strategia dell’andare agili sui lunghi piattoni (come nella foto d’apertura) della pianura iniziale?
Sì, sì vale. Il mio preparatore Alberati, non ha fatto altro che dirmi di andare agile. E con lui anche Fondriest: due bei professori. Mi hanno fatto l’esempio della cambiale che gli faceva Alfredo Martini: se sprechi prima, quello che non risparmi lo paghi alla fine. Un conto è una corsa di quattro ore e un conto una di sette, la differenza dello spreco di energie è elevata e si accusa tutta nel finale. La mia Sanremo, almeno fino ai Capi è stata: bere, mangiare e andare agile.
Ricordi la tua cadenza media?
Sì, 90 rpm. La velocità è sempre stata alta. Nell’ultima ora ho messo il 52×11 e via! Ho tenuto giusto un dente, il 10, per la volata. Il 52 l’ho messo a Milano e l’ho tolto a Sanremo!
Caspita 90 rpm con quei rapporti! E il finale non era piatto… Ricordi sulla Cipressa e sul Poggio che denti spingevi?
Con precisione no, in quei momenti non guardi i rapporti. Viste le velocità anche in salita, superiori ai 30 all’ora, di certo non avevo il 28. Immagino rapporti che oscillavano dal 52×15 al 52×19 a seconda dei punti. Sul Poggio per esempio c’era il tornante e il rilancio. Ci siamo entrati talmente forte che per poco mi scontro con Colbrelli. In certi momenti neanche sembrava salita, andavamo su a 37 all’ora!
E dal punto di vista più emotivo? Dai Capi in poi è aumentata la tensione?
In corsa un po’ si sentiva. Io ho superato la Cipressa nelle prime dieci posizioni e forse ho esagerato. Ero troppo davanti, anche i diesse mi avevano detto di prenderla davanti ma di sfilarmi un po’, magari fino alla trentesima posizione. Ma stavo bene e sono rimasto lì. Però così facendo è anche vero che in fondo alla discesa quando il gruppo si è spezzato sono rimasto nel drappello dei 22. E se dietro non avessero chiuso sarebbe stata un’altra corsa. Mirko (Rossato, ndr) mi aveva detto che in fondo c’era uno “sciacquone”, un tratto dell’Aurelia che tirava un po’, e lì chi perde due metri apre il buco. Le gambe cominciano a mancare.
Beh, un conto è fare il Poggio in 22 e un conto è farlo in 50. Cambia il “traffico”, il tenere le posizioni, le frustate nei rilanci…
Esatto. A quel punto quando sono rientrati da dietro e io ho preso il Poggio in quarantesima posizione e chi si staccava o smetteva di lavorare creava un po’ di buco. E a forza di chiudere mi sono mancati gli ultimi 500 metri, che sono quelli che ti fanno vincere o perdere la Sanremo. La gente mi dice: bravo, sei andato forte. Ma io non mi sottovaluto. Conosco il mio potenziale e so che posso fare meglio.
Cosa hai imparato da questa Sanremo? L’esperienza conta, vero?
Conta tantissimo. Devi conoscerla bene, sapere quali sono i punti dove portarti avanti. Io dai Capi dovevo stare davanti e ci sono riuscito. Adesso so che devo imboccare la Cipressa nei primi dieci e sfilarmi un po’, risparmiando piccole energie per il Poggio.
Però scusa, è vero che sfilarsi sulla Cipressa fa risparmiare qualcosa, però è anche vero che in fondo all’Aurelia si rischia di restare staccati. Se tu non avessi scollinato tra i primi dieci quest’anno non saresti rimasto con i 22 davanti. E’ un bel rischio…
A volte è anche questione di fortuna. Se dietro resta qualche big con un uomo o due che tirano per rientrare va bene, altrimenti sei fuori. Sagan ed Ewan per esempio erano rimasti dietro.