Se lo dice Sylwester Szmyd che su Sagan ci sono cose da aggiungere, il minimo è lasciarglielo fare. Dopo aver parlato di Aleotti e Fabbro, approfittiamo allora del fatto di avere per noi il preparatore dello slovacco alla Bora-Hangrohe e cerchiamo di fare un punto sulla sua condizione. Sulla sua voglia di fare fatica. Sulla sua capacità di vincere. E su quel senso di stanchezza che a volte traspare nei suoi occhi: figlia magari degli oltre 10 anni sugli scudi e dell’impossibilità di essere sempre Hulk, Forrest Gump, John Travolta e ogni personaggio che col tempo si è inventato. D’altra parte i chilometri e la vita lasciano il segno e non si può pensare di passarci attraverso senza averne qualcuno addosso.
«Questa stagione – dice Szmyd – va presa diversamente e dopo il lockdown sapevamo che diversa sarebbe stata in ogni caso, perché avremmo puntato soltanto su Tour e Giro, senza le classiche. Nonostante questo, Peter è arrivato 4° alla Sanremo, a 2” dal vincitore. Odio parlare per ipotesi, ma se si fosse chiuso sui due al comando, magari poteva anche vincere. Perché lo sprint per la vittoria si fa con più cattiveria di quello per il terzo posto. Detto questo, capisco che una tappa al Giro sia da ritenersi un bilancio magro per uno come lui. Ma non è così come sembra».
Non va più forte come un tempo?
Ho guardato i suoi numeri e fa le volate con gli stessi watt di quando vinceva. Al Tour, è arrivato per 6 volte nei primi cinque. Dal Giro si è portato a casa 4 secondi posti. Va bene che i “se” lasciano il tempo che trovano, ma per vincere a volte serve anche un po’ di fortuna. Non credo si possa dire che è un atleta spremuto, insomma.
La tappa al Giro…
Nessun numero può spiegare quello che ha fatto, perché non credo che quel giorno, su quel percorso e con quel meteo, si potesse andare più forte. Ha ripreso e staccato gli scalatori. Con quella prestazione avrebbe potuto vincere il mondiale.
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Può risentire della pressione?
Al Tour non ne aveva addosso di particolare, ma forse è il primo a caricarsene. Ho corso il primo Tour con lui, nel 2012. Sono passati dieci anni e lui è sempre lì. Ma voi davvero vi aspettate che fra cinque anni Van Aert vada ancora così? Ci sono stati Tour in cui Peter non vinceva tappe, ma portava a casa la maglia verde. Quest’anno nella classifica a punti è arrivato secondo, con traguardi intermedi che sembravano fatti più per gente veloce come Bennett che per lui.
Del resto, Sagan non è mai stato un velocista.
Questo è importante dirlo. Peter vinceva le volate sfruttando l’errore di quelli più veloci, oppure i rettilinei in leggera salita, oppure gli strappi nel finale che selezionavano il gruppo.
Ha 30 anni, può aver pagato la ripresa dopo il lockdown?
Forse mentalmente ci sta che restare chiuso per 7 settimane sia stato un handicap e abbia fatto fatica a trovare la brillantezza. Quando sei giovane, l’inizio stagione è più facile. Ricordo quando vinse la sua prima tappa alla Parigi-Nizza del 2010, lasciandosi dietro Rodriguez e anche Contador. Mandai un messaggio a Rodriguez, dicendogli che non poteva aspettarselo. E lui mi rispose chiedendomi chi diavolo fosse quel ragazzino.
Il segreto dei giovani del 2020?
Una parte, di sicuro. Da giovane recuperi meglio e se hai una stagione di 2 mesi e non hai tempo per riprenderti fra una gara e l’altra… Le hanno vinte tutti corridori con meno di 30 anni. Non credo che con un’annata normale, riusciranno a essere così dominanti.
Tu e Peter siete vicini di casa?
Quasi. Quando ho smesso, mi sono spostato da Monaco a poco di qua dal confine. Sono in Francia, siamo vicinissimi, ma cambia molto l’affitto…