«Non ho avuto l’occasione di avere vicino un capitano che mi facesse crescere. Come Aru con Nibali per intenderci. Solo Uran, per poco, è stato il mio maestro». Queste parole di Davide Formolo ci hanno fatto riflettere su quanto davvero conti avere questo tipo di appoggio.
Per approfondire il discorso serviva un “occhio terzo”, possibilmente quello di un direttore sportivo. E chi meglio di Giuseppe Martinelli? “Martino” ha iniziato con Chiappucci e Pantani alla Carrera, poi ha avuto Pantani e Garzelli alla Mercatone Uno, Simoni e Cunego alla Saeco, Aru e Nibali all’Astana e adesso, seppur con un rapporto meno stretto, Vlasov e Fuglsang sempre all’Astana.
Giuseppe quanto conta il discorso che fa Formolo?
Conta dal momento in cui l’allievo, il giovane, vuol superare il maestro, il “vecchio”. Se tu fai il gregario da ultimo uomo che vuole imparare devi avere la voglia, la grinta e la consapevolezza che un giorno anche tu farai quello che sta facendo il tuo capitano.
E in tutto ciò qual è il ruolo del diesse?
Il direttore sportivo deve tenere a bada il giovane e mantenere lo stato del capitano. Vi faccio subito l’esempio di Aru. Si vedeva che Fabio avrebbe sfondato. L’ho preso e voluto io. L’ho cresciuto e messo al fianco di Nibali anche per imparare e perché sfruttasse le sue doti. E infatti in alcuni casi a lui ho dato carta bianca. Quel che dice Formolo è vero. Con un capitano vicino avrebbe capito prima che sarebbe stato meglio puntare alle corse di un giorno, o al contrario che sarebbe stato adatto anche ai grandi Giri. Invece così ha provato a fare bene al Giro… rimettendoci una Liegi.
Cioè?
Un conto è andare forte alla Liegi perché punti su quella e un conto perché hai già una buona condizione in vista del Giro. Avrebbe avuto più brillantezza, più spunto. Magari non si sarebbe staccato su quello strappo…
Ma in soldoni cosa fa il capitano esperto con il giovane: gli dice come stare in gruppo? Come interagire coi giornalisti? Come gestire la pressione? Cosa mangiare?
Diciamo che nel ciclismo di oggi si cerca di fare in modo che tutte queste cose siano superate in partenza. Oggi tutti sappiamo tutto o quasi. Siamo tutti più preparati, ma i fondamentali li devi avere. Noi puoi andare alle medie se non hai fatto la quinta elementare. Adesso i ragazzi saltano le tappe. I giovani rampanti passano e vincono, ma magari hanno un buco, delle lacune che se superano bene, altrimenti si perdono.
Una volta era diverso…
Sì. Al primo anno facevi un po’ di esperienza, al secondo facevi un po’ di più, poi ti portavano al Giro… adesso vanno subito nelle grandi corse ma potrebbe mancargli qualcosa. Io sono stato tra i primi a lanciare i giovani. Fui criticato molto quando al primo anno da pro’ portai Cunego al Giro. Al secondo lo vinse e poi gli feci fare anche la Vuelta in quella stagione, ma in ottica mondiale. Mi diedero del pazzo. Adesso è la normalità. Avere il campione esperto vicino te lo ritrovi più avanti quando hai un momento di difficoltà e se ti ha insegnato qualcosa tu dici: ah cavoli, quella volta lui fece così…
Però i due devono legare. Cunego e Simoni…
Cunego e Simoni – parte in tromba Martinelli – è stato l’apice del giovane che voleva imparare dal capitano. Quel Giro lo ha vinto il ragazzino perché il capitano non era al 100% e lui lo ha superato. Non è stata una furbata, ma una carenza del leader. Se Simoni fosse stato forte tanto quanto Cunego, non di più, quel Giro lo avrebbe vinto lui: era il capitano, era il più esperto e la squadra era per lui. Si è arrabbiato tanto Gilberto di questa cosa e gliel’ho detta anche di persona. A distanza di anni ancora la penso così.
Mentre Aru e Nibali?
Loro due per un paio d’anni sono davvero stati in sintonia. Poi le differenze di carattere sono emerse con il tempo. Aru era giovane e Nibali già un campione affermato. Fabio era più spigoloso, più irruento, Vincenzo era più pacato perché era più sicuro.
Prima hai parlato di “buchi”, di carenze del corridore. Cosa può fare il diesse invece in questo caso?
Adesso nelle squadre ci sono molte persone ed ognuna ha il suo ruolo e spesso coordinarsi non è facile. Invece servono lavoro di gruppo e comunicazione interna. Corridore, preparatore, diesse e dico anche il procuratore devono capire le difficoltà e parlarne in squadra. Spesso il procuratore lo senti a inizio stagione perché magari quel corridore ha un problema legato allo sponsor della scarpa e poi lo rivedi a fine settembre per il rinnovo del contratto. Serve un dialogo costante nello stretto gruppo di lavoro.