«Dicono che il movimento ciclistico italiano – inizia subito con verve la nostra chiacchierata con Alessandro Monaco – corra a rilento, ma non è così».
Si è chiusa la sua parentesi in Bardiani-CSF dopo solamente due stagioni (2020 e 2021, ndr), ora riparte con la Giotti Victoria di Giuliani. «Si è persa la pazienza di far maturare i giovani corridori, non parlo solamente di me. I ragazzi ci sono, basta pensare a quelli che hanno corso con me il mondiale di Innsbruck nel 2018 (foto di apertura): Bagioli, Covi, Battistella e Fedeli, più Affini e Sobrero che hanno fatto parte del gruppo squadra fino all’ultimo».
Monaco e Lonardi durante un ritiro con la Bardiani nel febbraio del 2021 Monaco e Lonardi durante un ritiro con la Bardiani nel febbraio del 2021
Un percorso ad ostacoli
«La mia avventura tra i professionisti – spiega – è iniziata nel 2020 e con la pandemia ho corso solamente due mesi. Nel 2021, invece, mi sono preso il Covid, penso nel viaggio di ritorno dalla Vuelta al Tachira. E’ stata una brutta esperienza che mi ha condizionato molto. Mi sono fermato completamente per 10 giorni, ma per un paio di mesi sono stato perennemente stanco ed affaticato.
«Mi sarebbe piaciuto fare un terzo anno da professionista, questa volta intero, senza impedimenti, ma purtroppo non è stato così. Ognuno fa le sue scelte, io con i diesse e lo staff della Bardianisono comunque rimasto in buoni rapporti».
Da under 23 hai corso 3 stagioni sempre ad alto livello…
Sì, al primo anno ho fatto subito bene al Giro d’Italia under 23 e quello della Valle d’Aosta, finendo sesto e settimo nella classifica dei giovani. Al Valle d’Aosta sono arrivato anche terzo in una tappa.
Nelle due stagioni successive hai corso molto anche con la nazionale, arrivando a disputare il mondiale nel 2018, come ci hai detto prima.
Mi sono sempre mantenuto costante nei risultati entrando spesso nei dieci e questo mi ha permesso di indossare anche la maglia azzurra. Con Amadori ho corso molto tra il 2018 e il 2019: Tour of the Alps, Corsa della Pace, il Tour de l’Avenir e anche qualche altra gara in preparazione ai mondiali.
Monaco ha corso due stagioni in maglia Bardiani, qui alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali Monaco ha corso due stagioni in maglia Bardiani
Li hai nominati prima i tuoi compagni al mondiale di Innsbruck (Bagioli, Covi, Battistella…) loro ora sono in squadre WorldTour, cosa ti è mancato per raggiungere il loro livello?
Io sono molto autocritico con me stesso, se loro ora sono a quel livello ed io no un motivo c’è. Alla fine di tutto mi è mancata la vittoria, sono un corridore che ha vinto poco anche da under, infatti io sono andato alla Bardiani e loro in squadre WorldTour. Quel che però voglio dire è che io sono sempre stato costante ed i numeri li ho fatti vedere…
Alessandro Monaco si è piazzato undicesimo in classifica generale al Giro d’Italia under 23 del 2019 (foto Scanferla) Monaco è stato 11°al Giro d’Italia under 23 del 2019 (foto Scanferla)
Adesso c’è tanta fretta nel cercare i giovani campioni e come dici anche tu manca pazienza.
Quello che devono capire è che non siamo dei robot o delle macchine, ma esseri umani e che soprattutto non siamo tutti uguali. Anche Bagioli e Covi sono stati messi in dubbio qualche volta… Guardate che Bagioli è davvero forte, quello tra due anni vince il Giro d’Italia. Io non mi voglio paragonare a loro, ci mancherebbe, altrimenti non sarei dove sono ora. Allo stesso tempo non mi sento neanche di definirmi un “bocciato”, come si può bocciare un corridore che non ha avuto occasioni?
I corridori nati tra il ‘97 ed il ‘98 sono quelli che hanno subito più danni dal Covid.
Per un anno non si è corso, ma le squadre di questo non si sono curate. I contratti sono stati trattati come se la stagione 2020 fosse stata normale. Basti guardare a chi come me è tornato nei dilettanti (Francesco Romano, Nicolas Dalla Valle, Nicola Venchiarutti, ndr). E pensate che ci sono tanti altri che l’occasione di passare non l’hanno nemmeno avuta…
Dal lettino dei massaggi Giulio Pellizzari riavvolge il nastro della stagione e guarda avanti. L'altalena fra pro' e U23 sembra al capolinea. Ora si diventa grandi
Rossato ci parla dei suoi ragazzi ad un anno di distanza dalla nascita del progetto giovani della Bardiani. La certezza Martinelli e tante belle promesse
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Il gruppo dei giovani della Bardiani CSF Faizanè è una delle novità più attese della stagione che sta per iniziare. Questa iniziativa dei Reverberi desta molta curiosità. E ci fa porre anche delle domande, a partire da quelle relative al calendario che seguiranno i ragazzi seguiti da Mirko Rossato(nella foto di apertura).
Il regolamento della categoria under 23 infatti parla chiaro: chi appartiene ad un team professionistico può partecipare solo alle gare U23 internazionali e queste in Italia non sono molte. Come siamo messi quindi nel “reparto giovani” della Bardiani?
«Ci stiamo preparando al nuovo ritiro in Spagna – dice Rossato – che durerà fino al 23 gennaio. Poi divideremo i vari gruppi del nostro team fra le gare majorchine, quelle in Turchia e l’Etoile de Besseges».
Martin Marcellusi in allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)Martin Marcellusi in allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)
Programma definito
«Il programma: noi ne abbiamo uno e anche ben dettagliato direi – chiarisce il diesse – Martinelli e Tolio, che sono più maturi, faranno anche delle gare con i professionisti. Mentre è logico che i primi anni, penso ad esempio a Marcellusi e Nieri che hanno meno esperienza, faranno gare che sono più alla loro portata».
«Il calendario internazionale italiano? Io dico che non è così piccolo ed è anche bellissimo. Un calendario che in molti ci invidiano all’estero. Al via ci sono spesso molte continental. In più noi oltre a queste gare in Italia abbiamo fatto richiesta per moltissime corse in Europa.
«Parlo di gare 1.2 e 2.2, che sono eventi professionistici, il cui livello è al pari di un nostro Trofeo De Gasperi, ma che non vedono al via delle WorldTour. Abbiamo fatto richiesta per la Liegi under 23 e per delle corse in Polonia…».
Giulio Pellizzari (novembre 2003), è il più giovane corridore della Bardiani. Alla sua ruota c’è Pinarello (luglio 2003)Giulio Pellizzari (novembre 2003), è il più giovane corridore della Bardiani. Alla sua ruota c’è Pinarello (luglio 2003)
Scuola e gare
Rossato tiene molto a questo discorso. Lui è già stato direttore sportivo di squadre under 23 (e non è un caso che gli sia stata affidata anche questa) pertanto sa bene che non si può ridurre tutto solo ad un numero di gare da fare.
«Non si tratta solo di andare in bici o gareggiare – riprende Mirko – c’è anche una questione di stress derivante dal viaggiare, dal correre in altre Nazioni, ripartire, prendere un aereo, adattarsi a nuove situazioni, a venire dietro a prendere l’acqua in ammiraglia… E queste non sono difficoltà da poco nella vita del corridore.
«Qui pensiamo alla quantità di gare da fare, ma Pinarello e Pellizzari vanno ancora a scuola e questa per noi è una priorità. Bruno (Reverberi, ndr) stesso in fase di contratto lo ha detto chiaro e tondo:prima la scuola. Per loro è prevista un’attività mirata, adatta alla loro età. Magari all’inizio faranno solo una gara a settimana».
Lo scorso anno la Bardiani prese parte al Tour of Rhodes (gara 2.2), quest’anno ci tornerà coi più giovani?Lo scorso anno la Bardiani prese parte al Tour of Rhodes (gara 2.2)
Un buon budget
«Noi abbiamo la fortuna di avere degli inviti all’estero. In Europa di corse ce ne sono tante, mica solo in Italia… E abbiamo, ripeto, la fortuna di non avere problemi economici per poter affrontare queste trasferte e creare un grande calendario under 23. Oltre alla Liegi e alle gare in Polonia, per esempio, abbiamo fatto richiesta per il GP Francoforte sempre under 23, per delle corse in Grecia e in Bulgaria. Io credo che un anno fatto in questo modo ne valga cinque che correndo solo in Italia.
«L’unica corsa per la quale non abbiamo richiesto l’invito sapete qual è? La Roubaix. E non per una questione di costi, ma semplicemente perché non abbiamo gli uomini adatti.
«In ognuna di queste gare si trovano situazioni diverse, per percorso, per Nazione, per modo di correre… E sono tutte esperienze necessarie per essere pronti in futuro.
«Qui ci si preoccupa tanto dei ragazzi, di tutelarli… Io credo che noi abbiamo l’esperienza per fare bene e farli crescere in modo corretto. Nessuno vuole rovinare questi ragazzi. Alla fine non faremo niente di diverso da quello che fanno Zalf, Biesse Arvedi o General Store, ma con più attività all’estero».
Alex Tolio, lo scorso anno nelle fila della Zalf e oggi uno dei giovani della Bardiani, ha preso parte alla Coppi e Bartali con la nazionaleTolio nel 2021 ha preso parte alla Coppi e Bartali con la nazionale
Obiettivo qualità
Con Rossato si passa poi a parlare anche degli impegni possibili con le rispettive nazionali. E’ un vantaggio o uno svantaggio per un team come la Bardiani dare i corridori alla nazionale? O al contrario ritrovarsi la nazionale nelle liste di partenza è un ostacolo?
«Per me – conclude Rossato – le gare con la nazionale fanno sempre bene. Non tutti hanno la fortuna di avere un team come il nostro che farà molta attività all’estero. La nazionale in questo caso diventa un buon mezzo per poter fare certe esperienze.
«Certo, la nazionale italiana nelle corse italiane la condivido un po’ meno, ma mi rendo conto che per un organizzatore che non può avere le WorldTour al via, magari ha la possibilità di ritrovarsi un Nibali in corsa e alla fine ci sta».
«Crediamo molto nel nostro progetto giovani. Abbiamo l’esperienza giusta per fare bene. Abbiamo di fronte a noi un calendario ben strutturato. Un calendario che terrà conto della maturità che dovranno affrontare i ragazzi con la scuola. Io dico che quando avranno fatto 40 giorni di corsa è già molto. Meglio fare poche ma belle corse e di qualità che farne tante. Perché è quando corri con i migliori… che migliori».
Daniel Savini è passato giovanissimo alla Bardiani e sta maturando gradualmente. Non ha fatto la Sanremo per una caduta. Ma ora vuole cominciare a vincere
Incredibile la somiglianza di Nicolas Vinokourov con suo papà. Il ciclismo è una passione innata e ancora di più lo è l'amore per la maglia dell'Astana
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A quanto pare l’articolo sui comitati regionali in soccorso dei ragazzi senza squadra ha smosso le acque. Ci ha infatti contattato Clemente Cavaliere, dirigente societario. Cavaliere è il team manager di due squadre, una under 23, la Petroli Firenze Hopplà (Toscana), e una juniores, il CPS Professional Team(Campania).
Secondo lui le cose non sono esattamente come recita il regolamento federale. O almeno la realtà è un po’ diversa.
Al Sud l’attività non manca, ma certo gli eventi sono meno concentrati nel tempo e nello spazioAl Sud l’attività non manca, ma certo gli eventi sono meno concentrati nel tempo e nello spazio
Benvenuti al Sud
Sentiamo la sua voce e incamminiamoci in questo dibattito.
«Ho letto quell’articolo, Comitati regionali in soccorso dei ragazzi: illusione e realtà? Beh, per me si tratta di illusione – dice Cavaliere – Sono a capo di due squadre giovanili, quindi mi sento chiamato in causa, specie con il team della categoria più giovane.
«Non mi trovo troppo d’accordo con le parole di Cazzaniga perché, almeno qui al Sud, abbiamo problematiche diverse. Io la squadra la vorrei fare, la faccio, ma non mi è possibile o almeno non così facilmente».
«La mia società, CPS, è campana. Mi hanno contattato due atleti dal Lazio e due dalla Puglia, ma non posso tesserarli per vincoli regionali, cioè i loro comitati non li fanno uscire. Io posso anche essere d’accordo su questa norma in una regione del Nord in cui ci sono 35-40 ragazzi per comitato, ma al Sud?
«Ho fatto un conto, ci sono circa 15 corridori della categoria juniores in cinque regioni della nostra area: Lazio, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Come possiamo fare un team o aiutare i ragazzi se poi non vengono concessi i “nullaosta”dalle regioni?».
Alessandro Verre da juniores ha vestito i colori del CPS Professional TeamAlessandro Verre da juniores ha vestito i colori del CPS Professional Team
L’esempio di Verre
Cavaliere poi riporta l’esempio di Alessandro Verre. Il ragazzo lucano, oggi in forza all’Arkea Samsic e la scorsa estate uno dei punti fissi della nazionale di Marino Amadori, è passato per le fila del CPS di Cavaliere appunto, ma la sua carriera ha rischiato di finire sul nascere.
«Nel 2018 – racconta Cavaliere – avevo 12 ragazzi tra cui Verre. Lui era al primo anno juniores. Volevo tesserarlo con noi, ma il comitato regionale della Basilicata non me lo dava. O meglio, me lo avrebbe dato pagando i punteggi federali (all’epoca 16 euro a punto, ndr) accumulati dal ragazzo tra strada e fuoristrada. La cosa è andata avanti per un po’ e alla fine piuttosto che pagare queste spese ci è convenuto fare un’affiliazione ex novo in Basilicata e tesserare appunto Verre nella sua regione. Tanto è vero che Alessandro in quell’anno saltò le prime due gare, perché la situazione burocratica non si era risolta.
«Se non ci fossi stato io a credere nel ragazzo dove sarebbe oggi Verre? Avrebbe trovato una squadra? E come lui quanti altri ragazzi si perdono o potrebbero perdersi?».
Clemente Cavaliere con i suoi ragazzi
Il CPS Professional Team è una squadra ben organizzata. Agli atleti viene fornito tutto il materiale dalla A alla Z
Clemente Cavaliere con i suoi ragazzi
Il CPS Professional Team è una squadra ben organizzata. Agli atleti viene fornito tutto il materiale dalla A alla Z
Nel post Covid
Cavaliere dunque espone una situazione di qualche tempo fa, quando i vincoli del passaggio tra regione e regione erano un po’ più stretti. Le cose sono sicuramente migliorate, la Federazione nel post Covid si è mossa, ma la realtà spesso non coincide ancora con la “teoria”.
Anche quest’anno, infatti, il CPS aveva preso contatti con un ragazzo laziale. Il comitato regionale del Lazio però non dava il nullaosta al ragazzo. Si è pensato così di fargli cambiare residenza per tesserarlo in Campania, ma a quel punto il giovane corridore ha detto di no.
«La situazione non è molto chiara. Varia da comitato a comitato. Per esempio nelle Marche il passaggio è libero, nel Lazio no», precisa Cavaliere.
Abbiamo riportato la voce di chi opera sul territorio. Siamo pronti ad ascoltare questi pareri e continuiamo ad essere aperti ad un’eventuale risposta alla situazione sollevata dal dirigente campano. Perché una cosa è certa: la prima cosa è la tutela dei ragazzi e di chi vuole fare ciclismo… Come diceva Ruggero Cazzaniga.
Matej Mohoric è ripartito con la serietà che lo caratterizza, specialmente adesso che è a capo di una Fondazione. Da quel che abbiamo visto dallo schermo del computer, nella conferenza stampa indetta dalla Bahrain Victorious, lo sloveno sembra già essere magro. Ai nostri occhi potrebbe già attaccare il numero sulla schiena domani.
E tutto sommato non ci siamo sbagliati di troppo visto che l’iridato U23 di Firenze 2013 inizierà a gareggiare presto, alla Valenciana, e porrà come primi obiettivi le classiche di primavera: dal Fiandre alla Liegi, passando per la Roubaix. Niente Giro, ma il Tour.
Matej Mohorjc (27 anni) alla firma della nascita della sua FondazioneMatej Mohorjc (27 anni) alla firma della nascita della sua Fondazione
Mohoric e la Fondazione
Però c’è un altro aspetto che ci interessa molto riguardo a Mohoric e cioè la Fondazione Matej Mohoric che lo stesso corridore ha presentato giusto qualche giorno fa. Matej è sempre stato un ragazzo serio e riflessivo, ma dopo questa iniziativa abbiamo scoperto che è anche molto profondo.
«Lo scopo principale di questa Fondazione – dice Mohoric – è di aiutare a sviluppare il ciclismo tra i giovani in Slovenia. Lavorerà a strettocontatto con la Federazione ciclistica slovena, che a sua volta sostiene il progetto.
«Io vorrei aiutare i ragazzi con la mia conoscenza e la mia esperienza, stargli vicino nei ritiri organizzati dalla nazionale slovena, dando supporto finanziario. Vorrei che questi ragazzi avessero le stesse opportunità che si hanno nelle altre nazionali europee».
Per Mohoric quest’anno quattro vittorie, tra cui il titolo nazionale e due tappe al Tour (qui la seconda a Libourne)Per Mohoric quest’anno quattro vittorie, tra cui il titolo nazionale e due tappe al Tour (qui la seconda a Libourne)
Promozione e prestazioni
La categoria più interessata è quella degli juniores, la prima internazionale, ma si vuol passare anche attraverso le piccole squadre locali, magari creandone di nuove.
«Con la federazione slovena e alcuni club – spiega Matej – cercheremo i ragazzi e le ragazze che vogliono fare ciclismo, ma che poi nella realtà non possono farlo o permetterselo. Forniremo l’attrezzatura, promuoveremo la bicicletta come uno stile di vita sano e ricreativo. Cercheremo di avvicinare questo sport alle comunità locali e di informare bambini e ragazzi che il ciclismo può essere uno stile di vita salutare».
Gli obiettivi principali della Fondazione Mohoric sono due: fare promozione, specialmente nei confronti dei più piccoli, e aiutare coloro che sono invece già in odore di nazionale a crescere correttamente.
«Un obiettivo è quello di organizzare più gare. Magari anche eventi piccoli per i bambini in collaborazione con i club locali. Questo è importante soprattutto per i più giovani, per le categorie fino all’età di 17 anni. E per i più grandi aiutarli a crescere correttamente. Negli ultimi due anni, c’è stata una tendenza a essere sempre meno “easy”, noi vorremmo invertire questa tendenza. Riportare i vecchi valori del ciclismo».
A Leuven il piccolo Paese europeo, in virtù del suo ranking Uci, ha schierato otto atleti come le migliori nazionaliA Leuven il piccolo Paese europeo, in virtù del suo ranking Uci, ha schierato otto atleti come le migliori nazionali
Evoluzione slovena
Un progetto corale dunque, a lungo termine. Qualche aiuto già era stato dato alla squadra di Ljubljana e lo stesso Mohoric sosteneva la piccola società nella quale era sbocciato. Ed evidentemente i lavori procedevano bene, visto che da un bacino così ristretto sono emersi corridori del calibro dello stesso Matej, ma anche di Pogacar, Roglic, senza dimenticare Tratnik o Polanc… Insomma, non male per uno Stato nato nel 1991 e che conta 2,1 milioni diabitanti (la Lombardia, la Regione più popolosa d’Italia, da sola ne conta quasi 10, per dare un’idea….).
Ma quanta differenza c’è fra il ciclismo giovanile sloveno di adesso e quello di Mohoric? «Penso – conclude Mohoric – che sia decisamente cambiato, ma più in generale è cambiata società. I club hanno più soldi ora, ma certo non sono ancora “benestanti”.
«Il movimento è più strutturato. Oggi devi lavorare in modo più specifico e più duro rispetto ai miei tempi. Io non lo farei, non molti di noi l’hanno fatto. Oggi invece è abbastanza normale, ci sono tanti pro’ che hanno 19 o 21 anni, per questo è importante aiutarli a crescere e riportare le nostre esperienze. La conoscenza degli allenamenti è più accessibile, tutti si allenano bene».
Sfatiamo con Moschetti, nutrizionista di Padun al Team Bahrain, i falsi miti sui carboidrati. Eliminarli non fa dimagrire: toglie le forze. Ma vanno gestiti
Il mondo dei professionisti corre veloce, in tutti i sensi. I corridori sono sempre più preparati e le squadre sono alla continua ricerca dei giovani talenti. Non sempre però i ragazzi sono pronti per il grande salto dal mondo under 23 a quello dei pro’. Ormai è diventato normale vedere ragazzi diventare professionisti alla fine del secondo anno da under.
Non è però semplice emergere e per uno che ci riesce sono molti i ragazzi che a causa del loro passaggio prematuro rischiano di perdersi. Potrebbe essere il caso di Daniel Savini, fino al 2021 della Bardiani-CSF-Faizanè. Con la squadra di Reverberi è passato professionista molto giovane, nel 2018, a 20 anni. Dopo quattro stagioni, il suo percorso con la Bardiani si è concluso, abbiamo voluto parlare con Leonardo Scarselli, suo diesse alla Maltinti, che non era favorevole al suo passaggio nei professionisti così presto.
Leonardo Scarselli, diesse della Maltinti è passato pro’ a 25 anni, per gli standard moderni sarebbe stato considerato “vecchio” Leonardo Scarselli, diesse della Maltinti è passato pro’ a 25 anni
Come mai non ritenevi che Daniel fosse pronto per il mondo dei pro’?
Io avevo espresso la mia opinione basata su quel che vedevo. Daniel a livello di numeri espressi era uno dei migliori corridori in gruppo, era nell’orbita della nazionale e gli veniva tutto semplice. Ha avuto una carriera a livello giovanile agevole, grazie alle sue grandi doti è sempre riuscito a fare bene.
Quindi quali erano i tuoi dubbi?
Non lo ritenevo pronto a livello mentale. Nonostante i risultati non era concentrato sulla bici e su quel che è la vita da atleta. Commetteva dei piccoli errori che a livello dilettantistico non paghi, ma quando passi professionista certe cose sono date per scontate e non puoi sbagliarle.
Errori di gioventù, ma come avrebbe potuto evitarli?
Non li eviti, sono parte della maturazione atletica, mentale e psicologica del corridore. Quando correva con me ebbi un colloquio con Zanatta, diesse della Bardiani. Gli dissi che Daniel andava seguito da vicino per farlo rendere al massimo, ma nei professionisti non funziona così. In quella categoria sei un numero. Se vai forte bene, altrimenti ne prendono un altro…
Fondamenta poco solide
Accantoniamo la situazione di Daniel e parliamo del movimento dei giovani con Leonardo Scarselli. Il suo ruolo gli ha permesso di vedere tanti ragazzi e di capire come, negli ultimi anni, il movimento ciclistico si sia mosso per tutelarli, o meno.
Anche nella categoria juniores si guarda al risultato esasperando così la crescita dei corridoriNegli juniores si guarda al risultato esasperando così la crescita dei corridori
«Come ho detto prima: non è una questione atletica – dice Leonardo Scarselli – i ragazzi possono esprimere anche ottimi valori, ma senza la maturazione corretta non possono ritagliarsi il loro spazio nei professionisti. Il problema è che una volta emersa un’eccellenza, come Evenepoel, si va tutti alla loro ricerca ma se si usa questa parola ci sarà un motivo».
Cosa bisognerebbe fare per tutelare i corridori?
Intanto smetterla di cercare il prodigio, ma il problema è ben più radicato…
Ci spieghi.
Le squadre non tutelano più i ragazzi, già dalla categoria juniores si guarda al risultato. Negli altri Paesi, da dove escono i corridori giovani e pronti sia fisicamente che mentalmente non fanno così. Si fa una scuola di ciclismo, insegnano a guidare il mezzo, magari facendo la doppia disciplina. Impari a stare in gruppo, ad alimentarti, a leggere la corsa… e poi ti fanno sbagliare.
Ormai si pensa che a 22-23 anni un ragazzo sia “vecchio”.
Questa cosa mi fa ridere, un corridore a 23 anni non può essere considerato vecchio. Nelle corse c’è sempre stata la classifica per i giovani (ragazzi fino ai 25 anni, ndr), ci sarà un motivo. La categoria under 23 prevede 4 anni di militanza perché si è sempre pensato che sia il periodo giusto per crescere ed i motivi sono tanti.
Quali?
Come prima cosa puoi sbagliare, se accorci i tempi gli errori concessi diminuiscono. L’under 23 è la categoria dove si impara di più sulle dinamiche di corsa e allenamento. Come detto prima, da juniores se uno va forte ed è un… mascalzone la può fare franca, ma da under 23 i primi nodi vengono al pettine. Però se invece avere 4 anni per imparare ne hai 2, il discorso va in frantumi.
Daniel Savini ha corso una sola stagione alla Maltinti nel suo secondo anno da under 23, prima del passaggio in Bardiani Daniel Savini ha corso una sola stagione alla Maltinti
E le squadre cosa devono fare?
I casi sono due: se si continua ad abbassare l’età media dei neoprofessionisti, allora bisogna che le squadre si facciano carico della loro crescita. Li devi seguire da vicino, stare con il fiato sul collo e così li aiuti. Non si inventa nulla di nuovo, è quello che abbiamo sempre fatto noi diesse negli under 23.
Il secondo caso?
Si smette questa rincorsa folle al giovane prodigio e si lasciano in pace i ragazzi. Anche se il mondo cambia e le continental sono sempre di più. Anche loro non aiutano molto…
In che senso?
Non sono contrario alle continental, ma sono state create con le motivazioni sbagliate. Vogliono accaparrarsi i migliori corridori under 23 con la promessa di correre gare con i pro’. Ma le corse a cui vengono invitate sono limitate e poi va a finire che ce le ritroviamo a correre nelle gare regionali o nazionali con noi. In questo modo vincono sempre loro e le squadre under 23 spariranno.
Se vincono sempre loro…
Esatto, cosa spinge uno sponsor a fare una squadra di under 23 se poi alla fine vincono sempre le stesse?
Allora che bisogna fare?
Le continental fanno il loro lavoro, ma allora si crei un calendario adatto alle possibilità che hanno, con gare internazionali. Così si tutela il movimento ciclistico in tutte le fasce.
Un team o una famiglia? Una domanda che magari al termine di questo articolo si può porre anche il lettore. La Michele Bartoli Academyci apre le porte, a partire da quelle del suo furgone, per una trasferta con loro. Dal sabato alla domenica, con il team toscano siamo andati alla tappa del Giro d’Italia Ciclocross in Puglia.
Un bel viaggio da Pisa a Mattinata (Foggia). Un viaggio in cui la parola annoiarsi non è esistita. E allora come in un diario proviamo a raccontarvi questa due giorni.
Si parte e il più grande, Filippo Cecchi, studia. E alle prese con Ingegneria Aerospaziale
E dallo smartphone si cerca di sapere cosa succede a Vittorio Veneto, altro campo di gara
Arrivati a Mattinata Roberto, Mauro, Manuela (in foto) e Walter montano lo stand
Con un giornalista al seguito anche i ragazzi si fanno le interviste! Ecco le impressioni dopo la ricognizione
Si parte e il più grande, Filippo Cecchi, studia. E alle prese con Ingegneria Aerospaziale
E dallo smartphone si cerca di sapere cosa succede a Vittorio Veneto, altro campo di gara
Arrivati a Mattinata Roberto, Mauro, Manuela (in foto) e Walter montano lo stand
Con un giornalista al seguito anche i ragazzi si fanno le interviste! Ecco le impressioni dopo la ricognizione
Tra smartphone e libri
Sette ragazzi in tutto. Cinque allievi, un under 23 e una ragazza junior, questa l’armata toscana. Il viaggio d’andata scorre tra ricordi, aneddoti, ma anche libri.
Filippo Cecchi, infatti, l’U23, è iscritto ad ingegneria e come il cross non può prenderla sottogamba. Uno degli aneddoti più divertenti riguarda il suo inizio.
Prime girate con la bici da cross a ruota di Mauro Bartoli. Mauro gli insegna i trucchi del mestiere. Gli dice quando e come frenare, anche per staccare gli avversari. Filippo esegue alla lettera e quando Mauro lo fa passare per vedere cosa appreso, ecco che gli rende pan per focaccia. Una frenata improvvisa e l’allievo butta in terra il maestro!
E poi c’è l’immancabile smartphone. Ormai protuberanza del nostro braccio. E così si cerca di capire com’è il percorso di Mattinata e quel che succede a Vittorio Veneto, altra gara del weekend.
Ora di cena: a tavola cellulari sul tavolo, gran bella decisioneOra di cena: a tavola cellulari sul tavolo, gran bella decisione
Telefoni sul tavolo
Arrivati a Mattinata si prende “possesso del territorio”. Un paio di giri per trovare la giusta confidenza col circuito e dopo aver montato lo stand si fila in hotel.
A cena ecco una bella regola messa in atto: tutti i telefoni a centro tavola dalla parte in cui sono seduti gli accompagnatori. Si parla, come una volta…
A tenerli sotto controllo c’è Roberto Cecchi, colonna di questo team, assieme a WalterBaesso e ManuelaLandi, che conoscono i ragazzi da sempre. Erano i loro diesse in altri team quando erano davvero dei bimbi.
Proprio Roberto, papà di Filippo, aveva rimproverato i suoi per l’acquisto di una bevanda zuccherata all’autogrill, però a cena non lesina piatti di pasta e patate. Soprattutto a GiulioPaviDeglinnocenti, ragazzi famelico!
«La scorsa settimana si è mangiato persino l’osso della mia bistecca», racconta Cecchi. E intanto Giulio spazzola i piatti dei suoi compagni.
Seconda giornata, iniziano le gare. Prime a partire le donne e Letizia Barra si scalda sui rulli
Anche gli allievi raggiungono il campo gara…
Ultimi controlli alla pressione delle gomme: per i pesi leggeri 1,2 bar era sufficiente
Filippo Cecchi (classe 2002) in azione…
Seconda giornata, iniziano le gare. Prime a partire le donne e Letizia Barra si scalda sui rulli
Anche gli allievi raggiungono il campo gara…
Ultimi controlli alla pressione delle gomme: per i pesi leggeri 1,2 bar era sufficiente
Filippo Cecchi (classe 2002) in azione…
Due ritardatari
La mattina del via si lascia l’hotel a scaglioni, a seconda delle partenze. La prima è Letizia Barra. Un po’ di tensione, qualche minuto sui rulli e l’elbana fa la sua gara.
Poi è la volta di Filippo. Cecchi è sfortunatissimo. Prima fora e poi rompe una scarpa. Ma non molla. Fa parte del gioco. E alla fine sorride lo stesso.
Due del gruppo allievi fanno tardi. Sono rimasti a giocare con il telefono in stanza. Mauro e Roberto non la prendono bene e li rimproverano. Essere coach dei ragazzi significa anche questo. Si è dei maestri. E certe trasferte, certe esperienze, servono anche a questo: a crescere. E’ una scuola. Segno che essere corridore, qualora un giorno lo diventassero, non è solo salire in bici. E certe carenze logistiche a volte le notiamo anche in corridori ben più grandi ed affermati.
I due “colpevoli” (di cui non facciamo il nome!) almeno sembrano avere la coda tra le gambe… Forse questa lezione l’hanno imparata.
Partono gli allievi…
E “parte” anche Mauro, che incita i suoi ragazzi a più non posso
Alex Fratti, “lo straniero” del gruppo. Lui è modenese, mentre gli altri sono tutti toscani
Per gli allievi ottima prova di squadra. Il più veloce? Danilo Bartoli 4°
Partono gli allievi…
E “parte” anche Mauro, che incita i suoi ragazzi a più non posso
Alex Fratti “lo straniero” del gruppo. Lui è modenese, mentre gli altri sono tutti toscani
Per gli allievi ottima prova di squadra. Il più veloce? Danilo Bartoli 4°
Mauro show
La Michele Bartoli Academy è una squadra di giovani come detto. Una scuola, un’accademia come dice la parola stessa. I ragazzi sono presi in prestito da altri team proprio per la stagione del cross, che è la disciplina più amata da molti di loro. E da Mauro forse ancora di più.
Quando scattano i suoi “bimbi” scatta anche lui. Si sentono le sue urla dalla parte opposta del tracciato. Urla d’incitamento. Di chi la vive con passione. Un qualcosa ci dice che faceva così anche papàGraziano.
I ragazzi lo ascoltano. E’ grinta. Sono consigli. Mauro salta da una fettuccia all’altra come un siepista kenyano! E alla fine c’è una pacca sulla spalla per tutti.
«E delle cose che non sono andate bene – dice Roberto Cecchi – se ne parla al momento giusto. Non subito. Uno dei nostri è tornato al box in lacrime. Gli ho detto di cambiarsi, di stare tranquillo e che ne avremmo parlato… poi».
Giustamente certi discorsi vanno fatti nel momento giusto. Far vedere gli errori, riavvolgere il nastro, analizzare senza creare confusione.
Per esempio, i ragazzi dovevano cambiare bici, troppo infangata, ma non lo hanno fatto.
«A quell’età – dice Filippo, quasi un coach aggiunto – anche io non la cambiavo. Fermarsi significava solo perdere posizioni. Ma serve tempo per capire certe cose ed è giusto che facciano certi sbagli».
Circa 40′ e il furgone è carico. Si può ripartire
I fratelli Christian e Letizia Barra sono elbani. Si sono spostati con il camper assieme ai genitori
Nella sosta anche uno sguardo alla Coppa del mondo (vinta da Iserbyt)
All’autogrill impossibile resistere a qualche “zozzeria”!
Infine una foto di gruppo. Un’altra bella avventura è messa nel sacco
Circa 40′ e il furgone è carico. Si può ripartire
I fratelli Christian e Letizia Barra sono elbani. Si sono spostati con il camper assieme ai genitori
Nella sosta anche uno sguardo alla Coppa del mondo (vinta da Iserbyt)
All’autogrill impossibile resistere a qualche “zozzeria”!
Infine una foto di gruppo. Un’altra bella avventura è messa nel sacco
Si torna a casa
E’ domenica pomeriggio. Le gare sono ormai “andate” e bisogna “rimpacchettare” tutto. Il viaggio che attende la Michele Bartoli Academy è lungo.
Ma come un esercito ben organizzato che sa togliere le tende, in poco più di mezz’ora tutto è sui furgoni.
Il viaggio di ritorno porta con sé i bilanci e i resoconti della gara. «Avrei potuto fare di più se…». «Quel passaggio era così». «Hai visto quello come andava».
Ma c’è anche il tempo di guardare la Coppa del mondo di ciclocross e magari di pensare già alla prossima gara… Si controllano le classifiche di questa e quella corsa. Si pensa alle tabelle da fare in settimana. Insomma: si è già in “modalità lunedì”.
Se si va a guardare la tabella dei risultati di Mona Mitterwallner si fa fatica a trovare nella casella della posizione un numero diverso da 1. La giovane austriaca della Trek-Vaude, ha vinto praticamente tutte le gare a cui ha partecipato, tranne cinque. Ma solo una volta non è salita sul podio. E’ avvenuto in una gara, tra l’altro abbastanza piccola e di casa, in cui ha concluso al quarto posto (peggior risultato dell’anno).
L’austriaca ha vinto: coppa del mondo, campionato europeo, campionato del mondo e campionato del mondo Marathon. Per trovare un qualcosa di simile bisogna andare a scomodare vere regine della Mtb, Pauline Ferrand-Prevot e Jolanda Neff. Solo che loro hanno fatto tutto ciò ad un’età ben più matura. Non a 19 anni!
Mona Mitterwallner nei recenti mondiali in Val di Sole, da lei vinti chiaramente…Mona Mitterwallner nei recenti mondiali in Val di Sole, da lei vinti chiaramente…
Sorpresa agli europei
Alla luce di questi eccellenti risultati la federciclo austriaca ha deciso di schierare agli europei di Trentino 2021 due biker, Laura Stigger e appunto lei. Entrambe due biker e entrambe nella gara U23, vinta dalla nostra Silvia Zanardi. Mona, al primo anno nella categoria e alla prima vera esperienza internazionale su strada ha colto un 11° posto. Al che sono scattate le sirene “dell’asfalto”.
Su questo vero talento tirolese sono arrivate delle proposte. A muoversi per prima, sembra, sia stata proprio Trek, che ha il team WorldTour femminile con la Trek-Segafredo appunto. E da lì si sono mossi anche i procuratori Carera. Al momento però non c’è nulla di fatto, almeno così sembra. Anche perché a bloccare il tutto pare sia stata la Mitterwallner stessa.
Mona infatti è una “biker inside” e per il momento alla strada non ci pensa. Anche se qualcosa deve essere successo immediatamente a quella gara. E qualche proposta che l’ha fatta vacillare le è arrivata per davvero.
«Ho concluso all’11° posto la mia seconda gara su strada – aveva scritto sulla sua pagina Instagram qualche giorno dopo l’europeo – ma non devo essere arrabbiata. Ho dei conti in sospeso nella testa. Penso che prendere decisioni sia un aspetto della vita che può davvero preoccuparti e ho la sensazione di doverne prendere di grandi al momento. Per me la priorità numero uno sarà sempre il ciclismo, ma questo non svanisce i miei pensieri sulle scelte che devo fare». Insomma un indizio non da poco.
Mona agli Europei di Trento su stradaMona agli Europei di Trento su strada
Nel guscio…
Voci provenienti dal circus della Mtb dicono che la 19enne di Silz, paesino a 40 chilometri ad Ovest di Innsbruck, lungo il fiume Inn, abbia rifiutato persino il passaggio alla Trek-Factory di Mtb, vale a dire il team controllato dalla casa madre. E sì perché il Trek-Vaude, come il nostro Team Trek-Pirelli per capirci, fa riferimento al distributore nazionale, in questo caso a Trek Germania. Trek è “solo” lo sponsor tecnico.
La squadra è gestita da Bernd Reutemann, team manager tedesco 51 enne. Un cuoco di formazione ma un imprenditore a tutto tondo di fatto. Un tipo istrionico come il suo “collega” della Bora-Hansgrohe, Ralph Denk.
«Ho messo su il team nel 2019 e l’ho ricreato in questo inverno – ha detto Reutemann in tempi non sospetti – Sembrava un momento folle visti i tempi, ma ho scelto gente giusta e motivata. Quello che ha fatto quest’anno Mona è un qualcosa d’incredibile».
Chi conosce Reutemann ci dice di una persona davvero buona con chi gli sta attorno, un “filantropo” ed è forse per questo che la Mitterlwallner non vuole uscire ancora dal guscio e restare in questo ambiente che la fa sentire protetta e che comunque le fornisce ogni tipologia di supporto. Per esempio il team non doveva andare in America per la chiusura della Coppa del mondo, ma un po’ per la pressione di Trek, e un po’ per farle fare l’en-plein hanno preso l’aereo per la gara Oltreoceano.
Mitterwallner nel mondiale Mx di Capoliveri. Alla sua ruota, l’esperta Wloszczowska, membro Cio come Federica Pellegrini (foto Egosport)Mitterwallner nel mondiale Mx di Capoliveri. Alla sua ruota, l’esperta Wloszczowska, membro Cio come Federica Pellegrini (foto Egosport)
Pensando a Parigi
In realtà la motivazione principale che spinge la Mitterwallner a non compiere il grande salto si chiama Olimpiadi. L’austriaca ha dichiarato che tra i suoi sogni c’è quello di partecipare, ma probabilmente adesso anche di vincere, l’oro più prestigioso.
Lei vorrebbe restare in Mtb fino a Parigi e poi eventualmente cambiare. In quel caso avrebbe appena 23 anni e tutto il tempo di fare molto anche su strada. Magari pensando a qualche apparizione in più nel corso di queste tre stagioni (ormai due di fatto) che ci separano dai prossimi Giochi.
Il fatto che squadre, sponsor e procuratori si siano attivati immediatamente per portare la ragazza su strada ci dice quanto sia importante nel ciclismo di oggi la corsa ai giovani. Bisogna arrivarci e arrivarci prima degli altri. Il talento non va sprecato. Questo non significa necessariamente che vada sfruttato o che sia visto come una “macchina da soldi” (forse un’espressione sin troppo forte), ma è un dato di fatto che la corsa ai baby fenomeni sia in pieno atto.
L’austriaca è fortissima in salita, ma è brava anche tecnicamenteL’austriaca è fortissima in salita, ma è brava anche tecnicamente
L’occhio dell’esperto
Tuttavia quando si parla di ragazzi così giovani, specie se donne, il rischio è molto elevato.
«Anche Jenny Risveds – ci dice Andrea Sabbadin giornalista di Pianeta Mountain Bike che segue da vicino gli atleti – aveva vinto tutte le gare di Coppa del Mondo U23 e aveva primeggiato in altre discipline. Idem la sua connazionale Laura Stigger (di due anni più grande, ndr), ma poi o si sono perse, come la svedese che dopo l’oro di Rio si è anche ritirata per un periodo. Oppure non hanno continuato a rendere nello stesso modo».
«Inoltre va considerata una cosa – continua Sabbadin – Oltre ad essere una “bambina” di età, la Mitterwallner è anche molto esile fisicamente. E’ magrissima, in questo caso ricorda moltissimo un’altra biker, Yana Belomoina. Anche lei ha vinto moltissimo in una stagione e poi si è arenata. Per dire che comunque serve anche un fisico che tenga alla lunga. Non è facile fare investimenti su atlete che sono sì fortissime, ma anche molto acerbe. Con le donne è più rischioso. In tante hanno vinto marathon e cross country e hanno fatto bene anche su strada, ma è un qualcosa che è avvenuto nel tempo, come per la Prevot.
«Da quel che so io, Mona resta almeno un altro anno nel team attuale. Poi non so se passerà a quello Factory e da lì avrà rapporti anche con quello su strada».
Luke Plapp (australiano classe 2000), Magnus Sheffield (statunitense classe 2002) e Ben Tulett (inglese classe 2002), la Ineos-Grenadiers va verso la sua svolta verde. Questi tre giovani vanno ad aggiungersi agli altri due gioiellini Pidcocke Rodriguez, senza contare il “vecchietto” Bernal!
Qualche tempo fa Dario David Cioni, preparatore e diesse ormai storico del team inglese, ci aveva detto che avevano iniziato a fare certi “esperimenti” con Carlos Rodriguez. Adesso si fa un passo avanti.
Luke Plapp in allenamento già con la maglia Ineos (foto Instagram)Luke Plapp in allenamento già con la maglia Ineos (foto Instagram)
Dario, una bella svolta verde…
Diciamo di sì. Si va avanti a cicli e probabilmente noi eravamo arrivati un po’ alla fine con Thomas e Froome. Il cambiamento a mio avviso è iniziato già un paio d’anni fa quando è andato via Chris. Bisognava rinnovare la squadra. Contestualmente abbiamo visto che le altre squadre iniziavano a raccogliere bei risultati anche con i giovani. Cosa che comunque abbiamo fatto anche noi. GuardateEthan Hayter o lo stesso Filippo (Ganna, ndr).
Avete preso tre corridori di madrelingua inglese: scelta voluta o casuale?
Casuale, ma non del tutto. I legami con la parte inglese ci sono e vanno anche mantenuti. Ma per quel che riguarda Platt, per esempio, il suo ingaggio è stato una casualità. Insomma quest’anno non abbiamo preso spagnoli o sudamericani.
Chi gestirà questi ragazzi?
Lo stiamo decidendo in questo periodo. L’altro giorno sono andato al mondiale proprio per parlare della struttura 2022. Più o meno ci sarà un gruppo di persone che cureranno i ragazzi più giovani e dovrei farne parte anche io. In ogni caso non ci sarà un’esclusività da parte di questo o di quel tecnico.
Sarà quindi un’impegno della Ineos in generale…
Esatto. Anche perché alla fine abbiamo deciso di non fare una continental, ma di strutturare in modo diverso il nostro settore giovani. Ma questo non vuol dire che i due settori (quello dei “grandi”, ndr) saranno separati.
Magnus Sheffield (19 anni) è anche un ottimo pistardMagnus Sheffield (19 anni) è anche un ottimo pistard
C’era questa idea quindi?
Sì, ma come detto l’abbiamo scartata. Daremo uno sguardo alle altre continental e magari i giovani che ci interessano li seguiremo a distanza, un qualcosa che potremmo fare con delle squadre prestabilite.
Un gruppo giovani, dicevi, ma chiaramente i ragazzi non potranno fare delle gare U23 essendo una WorldTour…
Chiaro che no, ad eccezione di Avenir e mondiale, però si può portare avanti un lavoro insieme alle loro squadre. Per esempio avevamo già adocchiato Sheffield l’anno scorso, quando poi siamo sicuri gli proponiamo un contratto.
E quali saranno queste squadre?
Anche questo lo stiamo definendo. In passato abbiamo una bella collaborazione con il Cycling Team Friuli.Gianni Moscon lo abbiamo preso dalla Zalf, ma già lo supportavamo, stessa cosa con Pidcock alla Trinity o Hayter per quel che riguarda le corse su strada.
Ma la Ineos ha il suo talent scout, “il Maxtin” della situazione?
No, siamo una serie di persone. In passato seguivamo questi aspetti io e Hellingworth, l’anno prossimo vedremo.
Ben Tulett è un talento inglese, che non poteva non far parte della corazzata di BrailsfordBen Tulett è un talento inglese, che non poteva non far parte della corazzata di Brailsford
Parliamo un po’ di questi tre ragazzi della svolta verde. Partiamo da Plapp, secondo al mondiale a crono U23…
Ragazzo che già conoscevamo, soprattutto per le sue qualità mostrate in pista, tanto che ha fatto parte del quartetto olimpico con la sua Australia a Tokyo. Farà lo stagista con noi nelle prossime corse in Italia anche se non sarà al top, in quanto viene da una frattura. Nella crono iridata è andato bene perché su quella distanza con i rulli si è salvato bene.
Scheffield? Lui viene dalla Rally, una professional americana che in Europa vediamo col contagocce…
Lui lo avevamo adocchiato già per l’inizio del 2020, ma soprattutto a causa del Covid ha perso di fatto un anno molto importante, il secondo da juniores, restando “bloccato” negli Usa. Ha stabilito il record del mondo in pista sui 3 chilometri. Volevamo fargli un contratto, ma poi ha preferito la Rally. Non si è trovato bene, ha rescisso l’accordo e a quel punto ci siamo fatti avanti noi. Ci è sembrata la scelta più facile.
E poi c’è questo Tulett, lui seppur giovanissimo viene da una squadra importante, la Alpecin-Fenix e ha fatto nono al Giro di Polonia…
Sì, lui già ha mostrato qualcosa. Ha molto da imparare e grandissime potenzialità. Starà a noi fargliele esprimere al meglio.
Alessandro Fancellu, giovane corridore ventenne, del team Eolo Kometa sta attraversando un periodo non facile per la sua carriera. L’ultima volta che lo abbiamo visto in azione è stato ad aprile al Tour of the Alps, corsa a tappe che si corre principalmente in preparazione al Giro d’Italia. Appuntamento rosa che Alessandro era pronto a conquistarsi sulla strada, a colpi di pedale, poi però il momento buio e le poche certezze sulle sue condizioni fisiche, non gli hanno permesso di correrlo.
«Non so nemmeno io cosa mi sia successo – disse Alessandro – arrivavamo da un ritiro in Sierra Nevada di una ventina di giorni. Stavamo preparando il Tour of the Alps e gli appuntamenti successivi, quando negli ultimi giorni di allenamento ho iniziato ad accusare stanchezza e malessere generale».
Al Tour of the Alps la sua ultima corsa, poi il black out. Eccolo tra Bais e FetterAl Tour of the Alps la sua ultima corsa, poi il black out. Eccolo davanti a Fetter
Ne parliamo così con Stefano Zanatta, da quest’anno nello staff tecnico del team Eolo Kometa. Il diesse ha vissuto, insieme ad Ivan Basso, il momento no di Alessandro. E così lo abbiamo intervistato per capire quali possano essere state le cause che hanno portato il ragazzo comasco fino a questo punto di non ritorno.
La squadra come ha reagito alla situazione di Alessandro?
È stato prontamente seguito da tutta l’equipe medica. Ha a disposizione ben quattro persone dello staff che tutti i giorni lo sentono e lo monitorano. In più Ivan (Basso ndr) lo sente quotidianamente, chiama anche i genitori, non è scontato avere tutta questa disponibilità tecnica in un team così giovane. È un bel segnale, la squadra crede in lui, questo non si può negare, ai miei tempi non sarebbe stato così.
Tutti questi mesi senza risposta, come se il suo fosse un male invisibile…
Ha subito il passaggio nel professionismo, lui vorrebbe andare in bici e non far fatica. Il fatto è che gli è cambiato il mondo che lo circonda, ha corso solamente due anni da under 23 e questo dal mio punto di vista lo ha condizionato.
Alla Settimana Coppi e Bartali ha colto alcuni piazzamenti interessantiAlla Settimana Coppi e Bartali ha colto alcuni piazzamenti interessanti
Ma ora si passa professionisti molto presto, bisogna mettere in conto anche queste cose…
Vero, passare prima nei pro’ non ti dà un buono sconto per le esperienze non fatte tra gli under. Ora va così e ci si deve anche adattare ai cambiamenti. Correre tra i pro’ cambia tutto, ora affronti gente con anni di esperienza in questo mondo, devi aver voglia di fare più fatica ancora.
In che senso dici “gli è cambiato il mondo che lo circonda”?
Quando è passato professionista aveva i titoli dei giornali dedicati, articoli e proclami da ogni parte. Però poi la gente e soprattutto i giornali, vogliono i risultati e se non arrivano ti surclassano, lui è giovane, non è facile destreggiarsi tra queste cose.
Come mai così ha corso così poco tra gli under?
Era nel team Kometa, la formazione under 23, e dopo i suoi risultati è stato subito contattato da molte squadre. Allora la Eolo ha deciso di portarlo nella formazione pro’, per non perdere la risorsa, questo non ha giovato però alla sua maturazione, fisicamente non è ancora maturo per questo mondo. Deve mettersi in testa di ripartire dalle basi, gli è stato anche consigliato di staccare, fare una vacanza ma non ne ha voluto sapere.
«Continuo ad allenarmi –dice infatti Fancellu – ho fatto una decina di giorni senza bici tra aprile e maggio, ma il mio problema si presenta principalmente in corsa, quando mi alleno generalmente ho delle sensazioni migliori».
Fancellu, classe 2000, è uno scalatore. Da U23 faceva già parte del gruppo EoloFancellu, classe 2000, è uno scalatore. Da U23 faceva già parte del gruppo Eolo
Dalle sue statistiche vediamo che si è ritirato spesso, tende a gettare la spugna?
È un dato da valutare, oltre al Tour of the Alps si è ritirato anche dalla Vuelta a Burgos la scorsa stagione e dal Campionato Italiano. Deve tornare a correre per il gusto di farlo e senza pensare al risultato, mettersi il numero sulla schiena e finire una gara, anche quello è un allenamento.
Sono quattro mesi che non corre, quasi cinque. Ne parlate di un possibile ritorno in gara?
Sì, gli abbiamo tranquillamente detto che quando si sente pronto noi lo possiamo mandare a gareggiare. Non è un problema il correre meno, abbiamo qualche corridore giovane che ha disputato poche gare, ma fa parte della crescita.
È possibile che si sia nascosto dietro a queste sensazioni e si sia disabituato alla fatica?
Questo è un rischio che corriamo, però fa capire quanto si creda in lui. Dice che ha mal di gambe, un corridore ha mal di gambe da gennaio a ottobre, per questo dico che deve riabituarsi a correre ed andare in bici, senza strafare.
E dal punto di vista medico?
Abbiamo ancora un ultimo esame a cui sottoporlo. E non è neanche facile da fare, perché non tutti gli ospedali lo eseguono, a testimonianza della fiducia della pazienza nei suoi confronti. Alla fine di tutto verrà stilato un rapporto, se non risulteranno anomalie mediche la squadra lo aspetterà nel ritiro invernale, dopo una bella vacanza e da lì inizierà la nuova stagione.