La solitudine del numero uno. Altra impresa di Pogacar

05.03.2022
6 min
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Cinquantuno chilometri all’arrivo. Tadej Pogacar è di nuovo solo, in fuga verso Siena stavolta. Alla Strade Bianche stupisce tutti, tranne se stesso. Persino Mauro Gianetti, il team manager della sua UAE Team Emirates si chiede: «Ma dove va? Manca tanto e in gruppo non sono 7-8. Sono tanti e certe squadre hanno anche tre, quattro atleti. Si possono organizzare».

Ma lui è Tadej Pogacar. Quando scatta neanche sembra faccia fatica. Cancellara, che qui ha vinto tre volte, quando attaccava si contorceva, faceva smorfie. Lui invece niente. Accelera quasi banalmente, eppure apre il vuoto

«E’ così scatta e sembra non fare fatica – dice Matxin tecnico della UAE che lo ha seguito in ammiraglia al fianco di Andrej Hauptman – Tadej è Tadej, non somiglia a nessuno».

Cavalcata solitaria

Ripercorriamo questi 50 chilometri in solitaria. Settore di Monte Sante Marie, uno dei più importanti. Pogacar forza e se ne va. Inizia la sua cavalcata. Ben presto prende vantaggio.

«L’attacco – riprende Matxin – non era stato programmato. Almeno non così… Sapevamo che quello era un punto decisivo e volevamo forzare. Ne avevamo parlato con Tadej, ma molto dipendeva dalla situazione della corsa. Poi si è ritrovato da solo. Tanto che ad un certo punto ci ha chiesto cosa doveva fare.

«Gli abbiamo detto: provaci, fidati di te. La corsa dipende da te, non da quello che fanno dietro. Se hai un minuto è perché dietro non sono brillanti. Ed è andato».

La fuga solitaria tutto sommato, da come racconta Matxin, è passata in fretta. «Andrej (Hauptman, ndr) lo ha gestito alla stragrande. Si parlavano in sloveno. Tutto è più facile così. Curva a destra, curva a sinistra, sterrato fra 300 metri, tratto al 3 per cento… gli fai compagnia, lo aiuti a far passare il tempo».

«Come si gestisce di testa una fuga del genere? Mi ricorda molto quella che fece nella sua prima Vuelta, quando partì a 46 chilometri dall’arrivo. Aveva già vinto due tappe, non aveva il podio, né la maglia bianca: gli dissi di “pensare solo avanti”, a sé stesso. Allora come adesso quindi non aveva nulla da perdere, doveva solo guardare avanti».

Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo
Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo

Pressione zero

Dalla Tv tutto sembra facile per Tadej. Ma tutti si chiedono se senta o meno la pressione. Se ha avuto almeno un dubbio quando Kasper Asgreen ha forzato e si è creato un drappello che aveva quasi dimezzato il suo vantaggio.

«Pressione? La pressione – dice Maxtin – ce l’ha chi sta in Ucraina. Chi deve arrivare a fine mese con 1.000 euro. Quella è pressione. Questo è un privilegio. Essere un ciclista professionista ed entrare in Piazza del Campo da solo e tutti che urlano il tuo nome: che pressione è? Questo deve essere orgoglio, prestigio».

A queste parole fa eco lo stesso Pogacar. «Avevo pressione zero stamattina – spiega lo sloveno – Se non me la mette il team, e in squadra nessuno me la mette, di quello che succede fuori, di quello che si aspettano gli altri non mi interesso».

Semmai un pizzico di nervosismo, Pogacar ce lo aveva prima di arrivare in Europa, visto che era rimasto tre giorni in più negli Emirati Arabi Uniti per determinati impegni. Non si era allenato come voleva (anche se ci dicono si sia “scornato” per bene con Joao Almeida nel deserto) e aveva ancora il fuso orario addosso. Ma come sempre lui guarda il bicchiere mezzo pieno.

«Alla fine – dice Tadej – mi sono riposato un po’ dopo il UAE Tour e non è stata una cattiva idea visto che la corsa è stata dispendiosa».

Anche Tadej soffre

La sua cavalcata continua. Passa uno sterrato, poi un’altro ancora. Pogacar alterna pedalate potenti in pianura ad altre più “agili” in salita (nel senso che gira velocemente rapporti duri per altri). Nel finale però mostra che è umano. Appena c’è una discesa, si stira la schiena, sgranchisce le gambe. Ha qualche dolore.

«Guardate – racconta lo sloveno – che ho sofferto molto anche io. E’ stata una volata di 50 chilometri. Già poco dopo che sono partito ero affaticato. Non ho potuto certo godermi i panorami. Però a quel punto ero fuori. Passavano i chilometri e io restavo concentrato su di me. Ero concentrato sul traguardo».

Matxin ci dice che Pogacar era sempre informato sui distacchi, che ha gestito questo sforzo da solo. La solitudine tipica del campione ciclista, dell’uomo solo al comando. «Ha la testa vincente», aggiunge Matxin.

L’ingresso in Piazza del Campo è un tripudio. Ci sono i suoi tifosi con le sue bandiere e c’è la folla comune. Ormai Pogacar inizia ad essere un nome anche oltre il mondo ciclistico. Tutti gli addetti ai lavori battono le mani. Lui si siede alle transenne. Ha faticato davvero.

E dire che era anche caduto. «Tadej – dice Covi – neanche lo devi aiutare. Fa tutto da solo!».

In realtà la squadra lo ha coperto e bene. Ed è stata anche rispettosa nel non infierire dopo la caduta di Alaphilippe. «Massimo rispetto – dice Matxin – oggi tocca a loro, domani a noi. Non è in questo caso che bisogna attaccare. Noi abbiamo solo coperto Tadej».

E gli altri?

Chissà cosa deve essere passato nella testa di Alejandro Valverde, secondo, che potrebbe quasi essere il papà di Tadej. Secondo come la sua compagna di squadra Van Vleuten. Al mattino il patron del Movistar Team, Eusebio Unzue, ce lo aveva detto: «Vedrete Annemieck e Alejandro come andranno. Sono sempre agguerriti. Alejandro non come Annemiek, perché lei è sempre “cattivissima”, ma andrà forte».

E non si sbagliava. Il murciano ha gestito lo sforzo alla perfezione. Probabilmente è stato colui che ha speso meno energie di tutti in gruppo. Come un gatto si è lanciato alla ruota di Asgreen nel contrattacco. E quello è stato l’unico momento in cui, per un istante, la corsa è sembrata riaprirsi. Contro Pogacar ci si deve accontentare di questo.