Sacha torna a casa e ne è contento. La Bardiani Csf Faizanè gli ha spalancato le porte con uno dei colpi di mercato più efficaci in ambito professional. Eppure qualcosa del modo in cui si è chiuso il rapporto con la Alpecin-Fenix provoca tristezza nel trevigiano che quest’anno finalmente è tornato a vedere la luce.
«Speravo di rimanere – dice Modolo – specialmente dopo aver vinto. Invece loro hanno sposato un progetto di ringiovanimento, di cui peraltro mi avevano parlato. Alla Vuelta ho lavorato bene per Philipsen e mi proponevo per fare ancora questo. Non posso dire niente su come si sono comportati. Durante il periodo dell’infortunio mi sono stati vicini e mi hanno sempre pagato. Non mi hanno lasciato a piedi e questo lo apprezzo».
Il Modolo che approda alla Bardiani (in apertura al Giro di Danimarca del 2011) ha vinto una tappa al Giro del Lussemburgo a metà settembre, battendo Cosnefroy, Grosu, Boasson Hagen e Vendrame, in una delle rare occasioni in cui la squadra gli ha permesso di fare la sua volata.
Tornando alla Bardiani non sarai quello che tira le volate, ma quello che le fa…
Mi ritrovo sulle spalle il ruolo di faro della squadra e non mi fa paura. Spero di essere bravo a trasmettere qualcosa a questi giovani. La politica di puntare solo sui giovani funziona, ma crescere senza riferimenti non è sempre facile. Quando ero con loro, c’erano in squadra Pozzovivo, Gavazzi e Belletti da cui comunque si poteva imparare tanto.
Che sensazioni ti dà tornare alla squadra in cui sei passato professionista?
E’ bello tornare – fa una pausa Sacha – Stavo per smettere, non avevo alternative e non dipendeva da me. E se non avessi vinto a fine stagione, avrei avuto anche meno possibilità. Parlavo con mia moglie. Le dicevo che non ne sarei venuto fuori. Poi ho vinto, dopo due mesi che non correvo. E adesso vedo la luce.
Secondo tanti, la vera differenza la fa la testa…
Soprattutto nel mio caso, posso confermarlo. Vengo da tre anni di problemi e di testa non c’ero più. Poi una sera a cena sentimmo Vendrame che parlava dell’importanza del mental coach e ho iniziato a pensarci anche io. Mia moglie già da un po’ mi diceva che non mi riconosceva più, così grazie a un consiglio di Soraya Paladin, mi sono rivolto a Moreno Biscaro di Ponte di Piave e mi ha un po’ ripreso…
Perché non farlo prima?
Perché io ero di quelli secondo cui non serviva. Mi automotivavo da solo. Invece c’è voluto lui per salvarmi, perché ero davvero a terra.
Rivedremo il Modolo cannibale dei dilettanti?
Eh, quello mi sa che è rimasto a quel periodo. Mi piaceva vincere, ma era un ciclismo più romantico, con più tempo per fare le cose. Sono contento di avere la mia età, non vorrei essere un neoprofessionista oggi.
Arrivi al 2022 con grandi motivazioni?
Grandissime. Appena ho firmato, ho chiamato tutti quelli che conosco nella Bardiani, da Amoriello a Rossato. Mirko lo conosco da quando ero dilettante alla Zalf e lui guidava la Parolin, era ed è ancora un bel cagnaccio veneto. Quello che serve a me.
Come è nato il ritorno?
Feci una chiacchierata con Bruno (Reverberi, ndr). Lui me lo propose e io cominciai a pensare a come poteva essere. Ho accettato, ma non ho obiettivi precisi, se non tornare quello che ero. Non il velocista puro, ma quello veloce che tiene sugli strappi. Ho qualche rivincita da prendermi con la sorte.
Ad esempio?
Nel 2017 con la UAE feci settimo al Fiandre, cercando proprio di uscire dai panni del velocista. Firmai con la EF Procycling per continuare e per lavorare con Vanmarcke e corridori di esperienza al Nord. Invece proprio lì sono iniziati i problemi. Ora sarà dura fare le classiche, è diventata difficile anche la Sanremo…
Perché?
Per colpa di Nibali, glielo rinfaccio spesso. Con quel suo attacco nel 2018 ha messo in testa agli scalatori che possono provarci. E così adesso il Poggio si fa a una velocità pazzesca e i velocisti là in cima passano troppo staccati. Oddio, in realtà, io non sarei più un velocista…
Sorride, saluta, che sia un bell’inverno. La rincorsa è appena cominciata.