Gli hanno consegnato le due scatole con il vestiario appena è arrivato in hotel e a quel punto Filippo Baroncini si è reso conto di essere entrato in un mondo più grande di quello che aveva immaginato. Poi la cena. Il tentativo di mandare a mente tutti i nomi. Le foto. Le bici. Solo quel piccolo dolore al ginocchio di tanto in tanto lo richiamava alla realtà.
«Sembra tutto molto grande – dice – impossibile conoscere già tutti. Sto capendo i meccanismi, i ruoli di ognuno. E proprio il problema al ginocchio mi ha fatto capire quanto siano competenti. L’osteopata mi ha trattato la schiena ricorrendo anche all’agopuntura e ha detto di avermi trovato un po’ bloccato. Dovrebbe passare. Ho fatto una risonanza, mi hanno suggerito di stare per tre giorni senza uscire».
Con Aru e con Mosca
Ultimi giorni ad Altea per la Trek-Segafredo. La squadra e lo staff marketing ad essa collegato hanno monopolizzato l’hotel. Da capire che al campione del mondo degli under 23 sia sembrato tutto immenso e per certi versi anche un po’ confuso. Dei primi passi nel professionismo aveva parlato con Fabio Aru in quella pedalata sui Monti Sibillini, portando la maglia iridata fra le terre del terremoto 2016. Questa volta invece si è ritrovato in stanza con Jacopo Mosca, che nei dieci giorni spagnoli non ha fatto che fornirgli riferimenti e coordinate.
Hai mai avuto dubbi sulla scelta della squadra?
Nemmeno uno. Vedevo come lavorano con i giovani e mi è subito piaciuta la proposta. Mi hanno seguito, sia pure a distanza, anche negli ultimi mesi della stagione. AI mondiali, prima della crono, mi hanno aiutato a tenere la motivazione. Un giorno prima della prova su strada, scherzando sono venuti a dirmi di vincere il mondiale. Sono cose che mi piacciono.
Che cosa pensi di poter ottenere da questo primo anno da pro’?
Esperienza. Mi piacerebbe andare subito a provare le corse del Belgio, che si corrono su percorsi simili a quelli del mondiale di Leuven. Se devo guardare in casa nostra, un bel riferimento potrebbe essere Stuyven. Altrimenti vado matto per Van Aert, mi vedo nel suo modo di correre.
Se avessi trovato da passare prima, lo avresti fatto?
Nel 2020 ho vinto due corse, Vicenza-Bionde e Memorial Polese, e sono venute a cercarmi due professional. Ma io volevo una WorldTour e non volevo bruciare le tappe. Ci avrei pensato anche se fosse venuto subito uno squadrone e penso che non avrei accettato, perché non mi sentivo sicuro.
Quando invece ti sei sentito davvero forte?
Di sicuro al mondiale, ma anche prima, quando ho vinto all’Etoile d’Or e ho trovato la sicurezza per fare bene a Leuven.
Traduci sicurezza…
Ho scoperto la calma nel gestire appuntamenti e tensione. E’ come se non la senta più. Diciamo quantomeno che non sento la tensione che possono mettermi gli altri, semmai sento di più la mia. Prima mi davano ansia anche i campionati italiani, adesso è il contrario. Se l’appuntamento è grande, sento meno pressione.
Che inverno è stato finora?
Per certi versi abbastanza stressante, avendo dovuto fare parecchie volte avanti e indietro fra casa, Bergamo e Milano. E poi, quando finalmente ho ripreso gli allenamenti, mi sono dovuto fermare sul più bello.
Come va in camera con Mosca?
Jacopo lo avevo già conosciuto al Gran Piemonte. E’ una persona solare ed esperta, mi sta dando tanti consigli giusti.
Consigli per fare cosa?
La mia ambizione è sempre stata ed è ancora quella di vincere. E’ quello che mi serve per andare avanti. Chi mi conosce però sa che non mi sono mai tirato indietro se c’è da aiutare un compagno. Perciò ora sistemiamo questo ginocchio e poi ripartiamo. Intanto dovrò trovare il modo per portare a casa tanto materiale. Ho visto che ci sono in giro i ragazzi di #InEmiliaRomagna, chiederò a loro se mi aiutano a portare via qualcosa…