Fluidità, strategia, setup: “Piraz” promuove Nibali biker

29.10.2022
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Non si è ancora placata l’eco dell’esperienza di Vincenzo Nibali alla Capoliveri Legend Cup. Lo Squalo ha preso il via in una delle marathon più belle, suggestive e soprattutto tecniche del mondo. E’ stato un vero debutto di fuoco. Un debutto che Mirko Pirazzoli, grande ex biker agonista e oggi tecnico, ha seguito da dentro.

“Il Piraz”, che certo non ha problemi di manico, commentava in diretta la gara in sella ad una e-Bike. E non era la prima volta che lo faceva. Così gli abbiamo chiesto un giudizio sul Nibali biker e lui ha individuato tre “punti cardine”: fluidità nella guida, una grande lucidità tattica e una buona preparazione tecnica.

Fludità

«Prima di tutto – dice Pirazzoli – trovo bellissimo vedere un campione come lui mettersi in gioco e farlo con tanto entusiasmo. Vincenzo ha grandi margini e se davvero lo vorrà, gli basteranno pochi mesi per lasciare il segno anche in mtb.

«La cosa che mi ha colpito nel vederlo in azione, non è stata tanto la guida in discesa, ma la sua fluidità nel complesso. Fluidità nella guida e nello stare nel gruppo di testa alla prima esperienza internazionale. Nonostante il gruppo di alto livello, Vincenzo si è sentito a proprio agio.

«La vera differenza, ed è forse questo l’aspetto tecnico che più mi ha rapito, è stata la sua pedalata. Un pedalata rotonda che nessun biker ha. E per pedalata rotonda intendo efficiente. Un’andatura redditizia e sicura.

«Nelle discese larghe e veloci staccava il piede interno. Per un biker è quasi un veto: guai a staccare un piede dal pedale. E invece aiuta molto a bilanciarsi e a trovare il punto di corda. Pensate che nelle discese su ghiaia, Vincenzo ha anche provato ad attaccare! E’ successo a metà del primo giro. Mostrando una padronanza da veterano.

«Al tempo stesso però si percepiva un senso di “ansia” nel non aver esperienza. Io sono stato con lui all’interno della corsa e ho notato questo aspetto. Il fuoristrada a questo livello non è ancora nelle sue corde. Deve solo farne tanto e acquisirà quegli automatismi».

La strategia

Pirazzoli parla di una grande voglia di mettersi in gioco come fosse fosse un principiante, con grande umiltà. Ma al tempo stesso con lucidità e presa di coscienza del “problema”.

«A metà percorso – va avanti Pirazzoli – era lui che chiedeva a me dove fosse il rifornimento. Aveva capito che ne avrebbe avuto bisogno, che poteva andare in crisi. E quando senti che hai bisogno di bere e mangiare è troppo tardi, ma lui se ne è accorto con largo anticipo. Ha cercato di porre subito rimedio. Credo che poi si sia staccato per questo motivo». E questo lo aveva ammesso Vincenzo stesso a noi. 

Ma Nibali avrà pur fatto qualche errore. Pirazzoli fa fatica a trovarne.

«Non parlerei proprio di errori… nel suo caso. Alla vigilia mi ha confessato che aveva un po’ paura della prima discesa perché affrontarla in gruppo con la polvere significava non vedere bene dove mettere le ruote. E questo nel suo caso incide molto di più ed è realmente pericoloso. Pertanto non posso definirlo uno sbaglio.

«Per questo il fatto di aver staccato tutti all’inizio è stato giusto. In questo modo ha potuto affrontare la discesa davanti. Io gli avevo suggerito di mettersi su un lato e di lasciarsi sfilare. 

«Ma questa azione violenta all’inizio è stata la concausa che a metà corsa gli ha fatto pagare dazio. Un fuorigiri resta nelle gambe. E quando ha mollato, lo ha fatto su una salita con pendenze che da stradista non affronta. Senza contare che non aveva una biomeccanica ottimale per tali pendenze. Parliamo di oltre il 30%».

Un mtb full, con telescopico, gomme grandi, “salsicciotti”… Pirazzoli ha esaltato il setup scelto dal siciliano
Un mtb full, con telescopico, gomme grandi, “salsicciotti”… Pirazzoli ha esaltato il setup scelto dal siciliano

La tecnica

«Vincenzo – dice Pirazzoli – ha preparato la bici al meglio delle sue possibilità, delle informazioni raccolte e dei suggerimenti che gli sono arrivati dai più esperti del settore. Aveva dunque una bici pronta e al passo coi tempi per essere competitivo. E questo mi fa sorridere: ci sono dei biker pro’ che si ostinano a non sviluppare la bici secondo i componenti che oggi sono più performanti. Nibali invece aveva il telescopico, le gomme giuste e tanti altri dettagli moderni.

«Anche le scelte biomeccaniche erano relativamente azzeccate. Ha lavorato sulla posizione, anche se non ne ha ancora una di un biker di livello. Chiaramente ha usato degli angoli, con degli sviluppi biomeccanici ben prestabiliti. Non ha avuto il tempo per adattarsi. Ha fatto il meglio che poteva. Senza snaturare di punto in bianco la sua posizione su strada.

«Nibali ha “registrato” tutto, ne sono certo. Ha altri obiettivi come la Cape Epic. Se imparerà a gestire bene l’equilibrio in velocità a mio avviso potrà essere un atleta competitivo a livelli internazionali anche nella Mtb.

«Magari in questa prima partecipazione alla Cape, lui e il suo compagno, potranno posizionarsi tra la decima e ventesima coppia. Ma se Vincenzo ci si dedicherà veramente, in un paio d’anni potrà puntare alla classifica generale».

Uno Squalo in mtb. L’avventura di Vincenzo alla Capoliveri

23.10.2022
6 min
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Il giovedì sera di una settimana fa iniziava a girare la voce che Vincenzo Nibali fosse all’Elba. Due giorni dopo si sarebbe corsa la Capoliveri Legend Cup, una delle più belle, dure e tecniche marathon di mtb al mondo. 

Era prevedibile ritrovarsi lo Squalo, che aveva dato l’addio alle corse su strada al Giro di Lombardia, in una gara di mtb. Un po’ lo aveva detto e un po’ era nota la sua passione per la “ruote grasse”, ma non immaginavamo così presto.

La curiosità di saperne di più di questa avventura era troppa. Lo abbiamo intervistato e Nibali ha risposto con vero trasporto alle nostre (tante) domande.

Nibali con l’organizzatore Maurizio Melis alla vigilia della gara
Nibali con l’organizzatore Maurizio Melis alla vigilia della gara
Vincenzo, come è andata? Come è nata l’idea di partecipare alla Capoliveri Legend Cup?

Era da tanti anni che pensavo di fare una cosa così e finalmente si è presentata l’occasione. L’idea della Capoliveri è nata una sera, qualche mese fa, quando mi sono ritrovato in camera con Simone Velasco (per la cronaca Simone è elbano ed ex biker, ndr). Parlando, mi ha detto che gli sarebbe piaciuto farla.

Tu hai un certo feeling con la mtb…

D’inverno ci vado, ma nel corso della stagione capita poche volte. In Ticino esco spesso con Filippo Colombo (biker professionista svizzero, ndr) e Juri Zanotti: in discesa sono una roba allucinante. Loro fanno cross country e nelle marathon non sapevo bene che livello avrei trovato. Avrei voluto farla con Velasco, ma poi lui è stato convocato per la Veneto Classic.

E tu invece sei andato a Capoliveri…

Sono arrivato il venerdì con la famiglia, tra l’altro devo dire che Maurizio Melis e il suo staff mi hanno accolto alla grande. Ma non ero super preparato, pensate che ho corso con le scarpe nuove! Le avevo provate giusto una volta due giorni prima.

La Capoliveri Legend Cup è una marathon durissima e tecnica: 80 chilometri, 3.000 metri di dislivello e scenari pazzeschi
La Capoliveri Legend Cup è una marathon durissima e tecnica: 80 chilometri, 3.000 metri di dislivello e scenari pazzeschi
La Legend Cup poi è una delle più tecniche…

Come detto in Ticino un po’ ci sono abituato a certi percorsi. Lì ci sono dei single track dove ha girato anche Nino Schurter e più o meno sapevo a cosa sarei andato incontro. Alla vigilia poi ho incontrato Failli e Chiarini, due ex compagni di squadra e amici, che corrono da anni in mtb e anche loro mi ha dato qualche dritta.

E come è andata?

Il giorno prima ho provato un po’ il percorso e sinceramente con tutti quei bivi, quei cambi di direzione, quegli strappi… ero un po’ spaesato. Sembrava come la prima volta che si va a fare l’Amstel Gold Race!

Ci racconti la tua gara?

Sono partito forte, perché non volevo perdere il treno dei migliori e magari portarmi un po’ avanti per prendere in testa le prime discese. Ero curioso di vedere il livello dei migliori. In più non volevo prendere la polvere… un po’ perché sono inesperto e un po’ perché volevo vedere bene. Mi sono messo in terza, quarta posizione. E comunque c’erano tanti campioni di questa specialità: da Rabensteiner (tricolore in carica, ndr) a Paez. Fino a che non ci sono stati tratti tecnici ci stavo bene, poi chiaramente in alcuni settori ho sofferto un po’. Ma non tanto per questioni di guida, quanto per l’esperienza che non avevo e poi perché loro rispetto a me erano più forti nella parte alta del corpo. Il problema qual è stato: che in salita facevo fatica, ma anche in discesa facevo la stessa fatica! 

Una “bella” novità!

Per 90′ ho fatto 170 battiti medi! E infatti negli ultimi 20 chilometri sono andato in “bambola”. Avevo un paio di gel in tasca, che ho preso. Ho sfruttato un po’ di assistenza da parte della Cicli Taddei, tra l’altro ho rivisto “Nando” Casagrande e mi ha fatto piacere. Fatto sta che uno è abituato a fare 200-250 chilometri di gara e pensa: che vuoi che siano 80 chilometri. Invece sono state 4 ore sempre a “gas spalancato”. Tra l’altro l’avevo presa un po’ così. Non avevo fatto una colazione importante. Avevo preso un po’ di fette biscottate con la marmellata, invece ci serviva un bel piatto di pasta. L’ho presa con la “tigna” giusta, ma altrettanta leggerezza.

Lo Squalo a ruota di Jury Ragnoli in uno dei passaggi simbolo: il “Muro dei campioni” con punte al 35%
Lo Squalo a ruota di Jury Ragnoli in uno dei passaggi simbolo: il “Muro dei campioni” con punte al 35%
Come l’hai “preparata” Vincenzo?

Tra il Lombardia e la Capoliveri Legend sono uscito giusto un paio di volte per un paio d’ore, più che altro per mettere a punto la bici (una Wilier Urta Slr, ndr). Una volta addirittura avevo in tasca la pompa per la forcella.

Sapevamo che sei un meccanico e un tecnico eccellente su strada, anche con la mtb?

Sì, sì ho fatto tutti i setup da me. Ho sostituito anche un cuscinetto della forcella. Ho montato poi i “salsicciotti”: uno più grande dietro e uno più piccolo davanti, perché comunque era importante che la gomma anteriore lavorasse bene, in quanto bisognava guidare. Volevo un certo feeling, altrimenti sarebbe stata troppo rigida. In più per settare il potenziometro sulla mtb ho fatto dei test e gli ho tolto un 10% di potenza per avere un dato attendibile. L’ho tarato con i pedali Garmin.

Chi ti ha dato qualche dritta tecnica?

Come detto ho fatto parecchio da solo, con Colombo però ho parlato delle gomme. Alla fine ho utilizzato delle Pirelli Scorpion Xc. Mentre le ruote le ho scelte io: le Syncros Silverton Sl, me le sono comprate per conto mio. Non me le hanno passate come immaginava qualcuno. Leonardi invece mi ha fornito la sua guarnitura Racing, in questo modo ho anche provato le pedivelle da 172,5 millimetri. 

Caspita, sei sul pezzo…

Alla fine io sono nato sulla mtb con le ruote da 26” e sono rimasto spiazzato dalle 29”, ma la mtb c’è sempre stata nei miei inverni. Durante il lockdown ci sono andato davvero tanto, in pratica ho usato solo quella. Poi quando è ripresa la stagione ovviamente ho inforcato la bici da strada.

Al netto della colazione cosa cambieresti?

Mi sono accorto che il supporto esterno di un team è fondamentale. In fondo alla discesa di Punta Pareti, per esempio, Paez ha forato e ha perso un sacco di tempo. Samparisi ha rotto il disco posteriore. Ne ho parlato con gli altri dopo l’arrivo e ognuno raccontava dei suoi guasti. A me non è successo nulla e sono stato bravo a stare attento, a guidare pulito. Io avevo dato una coppia di ruote in più a chi mi seguiva per l’assistenza, ma anche per il rifornimento bisognava organizzarsi meglio. All’ultimo ristoro – ride – mi sono fermato a prendere qualcosa .

Anche sul tecnico Nibali se l’è cavata alla grande. Da notare le due borracce, una tra l’altro da 750 ml (foto Instagram)
Anche sul tecnico Nibali se l’è cavata alla grande. Da notare le due borracce, una tra l’altro da 750 ml (foto Instagram)
Come mai ridi, Vincenzo?

Mi chiedevano: «Perché parti con due borracce?». E perché… «Perché non ho assistenza, sono da solo».

In ottica futura cambierai qualcosa? Per esempio farai più palestra per la parte alta?

Se con Ivan Santaromita andremo alla Cape Epic, come sembra, servirà di sicuro. A Capoliveri nel finale sono andato in crisi anche per questo motivo. Dovevi essere sempre attento: radici, buche, salti… ribaltarsi era un attimo. Per non farlo ho calato molto il ritmo. Sono arrivato sfinito. Su strada ogni tanto rifiati, in mtb devi essere sempre concentrato. Quattro ore complete a tutta.

Ci si chiede sempre chi siano più forti: i biker o gli stradisti? Tu cosa hai notato? Come vanno?

Eh, i watt ci sono, li hanno eccome. Come vi ho accennato ho fatto 90′ oltre 170 battiti, poi snocciolando i dati ho fatto 330 watt medi di potenza normalizzata e 280 reali. Direi che è un bell’andare. Tanto che Mazzoleni, dopo aver letto il file della corsa mi ha detto: «Caspita che numeri Vince!». Ho fatto 21 di media oraria, 3.000 metri di dislivello e bruciato oltre 4.000 calorie. E’ stata una bella avventura!

Per la cronaca, Vincenzo Nibali ha chiuso la Capoliveri Legend Cup in nona posizione a circa una dozzina di minuti da Fabian Rabensteiner. In uno dei tratti iniziali è stato anche in testa… facendo sognare gli elbani, i 1.500 biker presenti e tutti i suoi tifosi.

La gara, la paura, l’addio. Casagrande pensa al futuro

15.10.2022
5 min
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Questo è il weekend della Capoliveri Legend Cup, una delle più grandi classiche della mountain bike. La sfida dell’Isola d’Elba, che ogni anno coinvolge centinaia di partecipanti anche dall’estero, doveva essere anche la festa d’addio di Francesco Casagrande all’agonismo. Il campione toscano sarà sì all’Elba, ma non come voleva esserci, perché la bici ha dovuto già appenderla al chiodo, per cause forzate.

Dobbiamo tornare indietro di qualche giorno, alla Rampiconero del 2 ottobre, sfida sui sentieri marchigiani, una delle tante gran fondo nel calendario di Casagrande. Il biker della Cicli Taddei s’impegna allo spasimo, arriva al traguardo in una comunque probante terza piazza, ma subito dopo aver tagliato il traguardo qualcosa non va. Lascia la bici e si accascia. I soccorsi sono immediati, ma si capisce subito che la situazione è grave.

Una delle tante gran fondo vinte da Casagrande, qui alla Costa degli Etruschi Epic (foto Aldo Zanardi)
Una delle tante gran fondo vinte da Casagrande, qui alla Costa degli Etruschi Epic (foto Aldo Zanardi)

Diagnosi pesante: ischemia

Francesco viene soccorso d’urgenza e portato in ospedale. Il responso è pesante: una leggera ischemia, si procede attraverso una sonda a rimuovere un’occlusione sanguigna. Già alla sera Francesco si è ripreso e provvede, chi direttamente e chi attraverso i social, a rassicurare tutti, ma i medici sono chiari: con l’agonismo si chiude…

Cinque giorni d’ospedale, poi il ritorno a casa e la lenta ripresa che va avanti giorno per giorno: «Tra una decina di giorni spero di tornare piano piano a pedalare, la passione non è certo venuta meno, ma lo farò con calma. Ho sempre sofferto di ipercolesterolemia congenita, col passare degli anni le vene sono andate un po’ restringendosi e poteva avvenire un evento del genere, l’importante è che sia passato».

Il fiorentino ha corso su strada dal 1992 al 2005, nel 2009 ha iniziato nella mtb (foto Luca Guarneri)
Il fiorentino ha corso su strada dal 1992 al 2005, nel 2009 ha iniziato nella mtb (foto Luca Guarneri)
Quanto tempo sei stato nella mtb?

Tredici anni, alla fin fine è stato un periodo lungo quasi quanto quello su strada. Non ho neanche tenuto il conto delle vittorie, ma almeno 5-6 l’anno le ho portate a casa e ogni anno vedevo che andavo forte e tiravo avanti. Così mi sono trovato a doppiare lo scoglio dei 50 anni senza quasi neanche rendermene conto. Mi divertivo, mi piaceva continuare ad assaporare il gusto della lotta per la vittoria. Ma io ero entrato in punta di piedi, per questo gareggiavo tra gli amatori.

A un certo punto però sei passato di nuovo fra gli elite e sei tornato a vestire la maglia azzurra…

E’ stato Mirko Celestino a chiedermelo. C’erano i mondiali, contava su di me e la mia esperienza per fare squadra. Lo spirito però non è cambiato, era più per divertimento che un lavoro com’era prima ai tempi della strada. Alla fine però mi ritrovavo sempre con almeno 20 mila chilometri percorsi ogni anno. Alla fine della stagione ragionavo se lasciare, ma gli amici e l’ambiente mi spingevano a continuare così andavo avanti. Ischemia o no, avrei comunque mollato quest’anno, è tempo di lasciare spazio agli altri.

Su strada Casagrande ha colto 46 vittorie. Qui il trionfo alla Freccia Vallone 2000, che lo portò al n.1 del ranking Uci
Su strada Casagrande ha colto 46 vittorie. Qui il trionfo alla Freccia Vallone 2000, che lo portò al n.1 del ranking Uci
Mettendo insieme le due discipline hai attraversato trent’anni e passa di agonismo scavallando anche il secolo. Quanto è cambiato il ciclismo nel frattempo?

Enormemente, non c’è che dire. Quando correvo io la strada era un ambiente molto chiuso, ora invece la multidisciplina è diventata quasi la normalità. A me piace perché è un fenomeno in evoluzione. Vi siete accorti ad esempio di quanti corridori fanno anche attività podistica? Ai miei tempi era vista come il diavolo…

Quando correvi tu l’Italia era il centro del mondo ciclistico con tante squadre di vertice. Oggi i giovani sono invece costretti a emigrare. Nella stessa situazione saresti andato anche tu all’estero?

Sì, per forza, ma non nascondo che questa situazione mi mette molta tristezza. Allora l’Italia era davvero il centro. Faccio un esempio: a Donoratico nacque una gara perché molte squadre professionistiche facevano il loro ritiro prestagionale da quelle parti e volevano un’occasione per confrontarsi.

Casagrande con Bettini in nazionale: per lui 8 mondiali, con il 4° posto a Verona 1999
Casagrande con Bettini in nazionale: per lui 8 mondiali, con il 4° posto a Verona 1999
Pensi che la situazione cambierà in futuro?

Non in tempi brevi, perché prima dovrebbe cambiare il Paese. La nostra economia non permette di fare voli pindarici, gli sponsor che c’erano allora non ci sono più e quindi non ci sono soldi da investire. Questo non fa che penalizzare il nostro mondo, molti genitori preferiscono far fare ai propri figli altri sport, più semplici, remunerativi e sicuri. Me ne accorgo in Toscana, dove a livello junior c’è stata una moria di squadre che fa spavento. E’ normale che i ragazzi che si sacrificano per questo sport e mostrano talento, vadano poi all’estero, purtroppo poi lì imparano molto, ma chi gestisce ha e avrà sempre un occhio di riguardo per chi è del suo Paese.

Tu resterai nell’ambiente?

Penso proprio di sì, alla Cicli Taddei sono rimasto molti anni e mi sono trovato bene, vedremo in che forma continuare la mia esperienza. L’ho detto, la passione non svanisce dall’oggi al domani… Intanto mi piacerebbe chiudere come si deve, se non posso farlo gareggiando magari con una giornata speciale. Vedremo come…

Canola si consola con la mtb e non vuole mollare…

24.09.2022
5 min
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Scena: Recoaro Terme. Si corre la prima edizione della Granfondo delle Piccole Dolomiti, a chiudere l’Mtb Ahead Tour che è uno dei principali circuiti dedicati alle ruote grasse. In centinaia al via, fra loro spunta anche un corridore con il body della nazionale. Molti sono sconcertati, perché non è una tenuta qualsiasi, si vede che è quello ufficiale. Guardi il numero di gara e scopri che quello è Marco Canola.

Che ci fa il 33enne corridore vicentino in mezzo ai biker? Non è certamente uno che vanta un passato nella specialità. Su strada l’ultima sua uscita risaliva al 26 giugno, il giorno dei campionati italiani. Nell’ambiente, non vedendolo, si rincorrevano le voci di un suo prossimo annuncio del ritiro, dopo la triste vicenda della Gazprom, ma quello che ritroviamo dopo la Granfondo (peraltro chiusa in una probante sesta piazza) è un Canola rivitalizzato.

Canola in gara a Recoaro Terme. Prima esperienza in assoluto in mtb (foto organizzazione)
Canola in gara a Recoaro Terme. Prima esperienza in assoluto in mtb (foto organizzazione)

«L’anno ormai era andato e mi ero un po’ rassegnato, ma conoscevo personalmente gli organizzatori della corsa, mi avevano parlato della bellezza del tracciato, così ho deciso di provarci. Senza alcun suggerimento, è stata una cosa mia, che sentivo dentro, anche solo per riassaporare certe sensazioni».

Avevi esperienza di gare in mtb?

No, nessuna, solo qualche giro in compagnia di amici. Ho una bici mia e con quella ho gareggiato, ma non avevo niente altro. Devo anzi dire grazie alla Fulcrum che mi ha fornito le ruote Red Zone, per avere una resa maggiore e la differenza è stata notevole. Per il resto mi sono un po’ arrangiato, chi gareggia sul serio non fa certo così…

Il vicentino dietro Pettinà, poi vincitore. Canola ha chiuso 6° a 4’23” (foto organizzazione)
Il vicentino dietro Pettinà, poi vincitore. Canola ha chiuso 6° a 4’23” (foto organizzazione)
Come ti sei trovato?

E’ stata una giornata molto divertente, su questo non c’è dubbio. Come anche sul fatto che la differenza con chi è specialista davvero è tanta. La tecnica fa la differenza, ne parlavo con Nicholas Pettinà, l’ex azzurro che ha vinto, rispetto a lui sono davvero un pivello. Visti da vicino, si capisce davvero che grandi abilità abbiano coloro che fanno questo sport.

Come sei arrivato a questa esperienza da quel fatidico 26 giugno?

Io ho continuato sempre ad allenarmi, speravo sempre in una chiamata da parte di un nuovo team. I fratelli Carera stanno lavorando, ma anch’io mi sto muovendo per aprirmi una porta nel caso non arrivi quella chiamata. Inoltre è tempo che guardi più lontano, anche se non voglio mollare questo mondo.

L’ultima uscita del veneto con la maglia Gazprom RusVelo, al Tour of Oman
L’ultima uscita del veneto con la maglia Gazprom RusVelo, al Tour of Oman
Hai messo quindi da parte i propositi di ritiro…

Non voglio andarmene così, vorrei che almeno mi si desse la possibilità di chiudere come si deve, facendo almeno una stagione piena e non vissuta con tanti patemi e amarezze. Voglio un addio pacifico e tranquillo, privo di rimorsi. Voglio chiudere io e non per decisioni di altri. Intanto farò i tre livelli per il corso da direttore sportivo, sto aspettando il bando per il primo, poi sto affrontando una serie di colloqui con aziende del settore per trovare una collocazione.

Una cosa che ha molto incuriosito è che in classifica tu risulti sesto con, come società, la Gazprom RusVelo…

Quella credo sia stata una svista del sistema di cronometraggio, d’altronde io ho la tessera d’inizio anno quando ero segnato ancora per loro. Anche in questo caso l’Uci non ha fatto molta chiarezza… Io comunque ho ancora tutte le credenziali per correre, ho il passaporto biologico Adams a posto. Se non corro non è per mia scelta.

A Salò, durante la conferenza stampa del CPA al Giro, insieme a Scaroni oggi all’Astana
A Salò, durante la conferenza stampa del CPA al Giro, insieme a Scaroni oggi all’Astana
E ora che farai? Visto com’è andata a Recoaro Terme senza alcuna preparazione specifica, pensi di riprovarci?

Ci sto pensando. Sto studiando il calendario per fare magari un’altra sortita, ad esempio alla Lignano Bike Marathon che come percorso è molto meno impegnativo altimetricamente e quindi alla mia portata. Voglio andarci con un’ambizione diversa: ora so a che cosa vado incontro e voglio riprovarci per divertirmi allo stesso modo e anche di più. Sono molto curioso su quel che potrei fare. Intanto però devo ringraziare gli organizzatori della Vi Bike Outdoor che mi hanno offerto questa possibilità, è stato uno squarcio di luce nel buio…

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Celestino, due appunti sugli azzurri e due su Pidcock

27.08.2022
6 min
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Domani è un grande giorno per la mtb agonistica: a Les Gets, in Francia si assegnano infatti le maglie iridate della specialità principale, il cross country, quella olimpica. L’evento arriva un mesetto prima di quello su strada, che invece si disputerà a Wollongong, in Australia. Mirko Celestino, oggi commissario tecnico della nazionale mountain, ci introduce in questo viaggio iridato.

E il tecnico ligure lo fa con gli occhi e l’esperienza del grande ex di entrambe le specialità e non solo come cittì, appunto. Cosa potranno fare i nostri? E cosa Tom Pidcock, che abbiamo visto stravincere i recenti europei di Monaco?

Mirko, ecco i mondiali. Si sono già disputate alcune prove, su tutte il team relay: come ci arriviamo?

Direi bene. Sin qui abbiamo ottenuto buoni risultati in tutte le categorie in questa stagione. Tutti i ragazzi e tutte le ragazze sono motivate, a partire da Luca Braidot e Martina Berta, parlando degli elite. Ma anche i giovani sono belli carichi. Finalmente con loro stiamo lavorando bene. Marco Betteo e Valentina Corvi hanno dimostrato buone cose…

E infatti siamo partiti con un buon argento nella prova a squadre…

Sì, il team relay è una prova alla quale tengo particolarmente. E’ la prova di squadra per eccellenza. Avevamo una squadra forte e anche gli altri lo sapevano. Mi aspettavo prestazioni competitive.

All’Europeo di Monaco, dove si assegnava solo il titolo elite, hai portato un giovane come Jury Zanotti e non Luca Braidot, vincitore di due gare di Coppa e addirittura in lizza per la conquista della generale. Perché?

Vero, ho portato Zanotti che è un primo anno elite perché se lo meritava. E poi anche perché, visto il percorso non super tecnico, ho preferito far riposare Luca proprio in vista del mondiale.

Ecco Mirko, hai parlato di percorso poco tecnico, mentre a Les Gets le cose sono diverse…

Mah, alla fine i nostri si sono divertiti a Monaco e, tra virgolette, si è anche sottovalutato quel tracciato. I ragazzi mi hanno detto che era super impegnativo: non c’era un metro di recupero, mai un momento in cui poter tirare il fiato. Tante volte i percorsi facili diventano i più complicati da gestire. Certo, visto quanto siamo abituati ad affrontare in Coppa ci saremmo aspettati qualcosa di più, ma alla fine conta la location e quel che si ha disposizione. E sotto questo punto di vista devo dire che a Monaco si è corso in un parco stupendo e pieno di gente.

Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
E un percorso così, dove c’era da spingere e con salite lunghe… ha avvantaggiato Pidcock?

Tom riesce a spingere rapporti lunghi e di certo con salite lunghe e regolari diventa perfetto per lui. Può mettere tutti in crisi, però abbiamo visto che riesce a farlo su tutti i terreni! Ha un cambio di marcia pazzesco…

Tu, più da ex di entrambe le discipline che da cittì, come lo hai visto?

Molto bene direi! Ho visto che in qualche modo riesce sempre ad accelerare. Quando è a tutta ho notato che ha ancora quella mezza cartuccia in più, come nei finali di salita o di gara. E questo credo sia demotivante per gli altri. Io ci sono passato e mi ricorda parecchio Paolo Bettini. Quando eri lì, lì per essere al gancio, lui si alzava sui pedali e ti faceva un gran male. E accusavi il colpo.

Aveva margine? 

Ho notato che in alcuni punti del percorso guardava il computerino. Oppure nei tornantini si voltava per controllare cosa succedesse sotto di lui. Aveva addosso quella consapevolezza come a dire: «Se vi avvicinate io ne ho ancora». Sembrava si stesse allenando.

E questo perché è un fenomeno lui o perché la strada gli dà tanto motore?

Sicuramente è la strada. Ha un altro colpo di pedale e ne è consapevole. Ne è consapevole sia da un punto di vista tecnico che di approccio. Quando è nella Mtb arriva in un mondo diverso e in qualche modo si sente superiore. La testa fa anche questo. Ricordiamoci i numeri che ha fatto anche lo scorso anno e non solo ai Giochi. Ad Albstadt, dove non aveva punti, è partito ultimo o quasi ed è arrivato quinto. Chi sa di Mtb sa che questo è un numero pazzesco. Un numero anche a livello mentale. E poi lavora bene. Io non riesco a capacitarmi tante volte. Come ho detto, ci sono passato ed è vero che ho fatto il cambio ad una certa età, ma a me per passare da una bici all’altra serviva sempre un bel po’ di tempo. Pidcock invece, ma anche Van Aert nel cross, riesce ad adattarsi subito. Per loro guidare questa o quella bici non fa differenza. Sono fenomeni.

Hai detto che la strada dà molto. E allora perché non far correre anche i nostri di più su strada?

L’idea della strada c’è e mi piacerebbe portarla avanti. Ma poi bisogna fare i conti con il calendario e trovare i momenti giusti. Non è semplice. E poi con che squadra? Non bastano 2-3 atleti per correre (ipotizzando di farlo con i rispettivi team, ndr). Certo, aiuterebbe soprattutto i più giovani a crescere.

Torniamo a Tom, ma stavolta dal punto di vista contrario: dal biker prestato alla strada. La sua discesa dal Galibier è stata memorabile. Si è notata una grande differenza di guida tra lui e gli altri. Quanto c’era del Pidcock biker nell’impresa dell’Alpe?

Tanto. Con le debite proporzioni mi sono rivisto io in discesa su strada. Quando stavo bene staccavo il cervello. Avevo determinazione, cattiveria, voglia vincere. Da fuori ti dicono: «Questo è pazzo. Ora si ammazza». Ma in quel momento tu non fai calcoli. Sei concentrato e determinato. Io feci così nel Giro di Lombardia che vinsi: rischiai tantissimo nella discesa dalla Val Taleggio e questo mi consentì di prendere il margine necessario.

E un campione così i nostri ragazzi lo temono ancora di più?

Non mi piace molto fare certi paragoni o alimentare altre tensioni, ma ai ragazzi dico sempre che anche quando si è super favoriti ci può essere la giornata storta. Che non bisogna mai partire battuti. Luca Braidot, per esempio, sta bene. Dopo le vittorie in Coppa ha preso consapevolezza dei suoi mezzi. Ha capito che anche lui è in grado di fare certe cose. E poi occhio a Martina Berta, sta crescendo bene. E’ migliorata molto. Ed è ancora giovane.

Scelte drastiche per VDP: il futuro secondo il padre Adrie

10.06.2022
4 min
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Quando parla Adrie Van Der Poel, non sono mai affermazioni comuni, ma destinate a suscitare clamore. Mentre Mathieu inizia a pensare al Tour, dopo le montagne russe del Giro d’Italia dove comunque ha raggiunto i suoi obiettivi come una vittoria di tappa e vestire la maglia rosa, Adrie pensa già più in là, molto più in là, all’appuntamento con Parigi 2024 per riprendersi quel che ha perso a Tokyo con quella caduta tanto famosa quanto rovinosa.

Adrie Van Der Poel 2022
Adrie Van Der Poel, ex iridato di ciclocross e vincitore di classiche (foto Raymond Kerckhoffs)
Adrie Van Der Poel 2022
Adrie Van Der Poel, ex iridato di ciclocross e vincitore di classiche (foto Raymond Kerckhoffs)

Quest’anno solamente strada

L’idea di Adrie, riportata nel numero speciale di Helden dedicato al prossimo Tour de France, è che Mathieu debba fare, a ruoli inversi, quel che ha fatto quest’anno. Il campione olandese, reduce dal grave infortunio alla schiena conseguenza di Tokyo che gli ha impedito di fatto di affrontare tutta la stagione di ciclocross, quest’anno è totalmente concentrato alla strada e non ha intenzione di affrontare alcuna prova di mtb, a differenza ad esempio di quanto sta facendo Tom Pidcock che punta apertamente al titolo mondiale di specialità.

Nei propositi di papà Van Der Poel, nel 2023 Mathieu dovrebbe tornare a una programmazione su doppio binario. Poi dovrebbe concentrarsi solo sulla mtb nel 2024 fino all’appuntamento olimpico. Obiettivo chiudere quel cerchio apertosi nello scorso agosto.

«Sappiamo ormai – dice – che la combinazione è abbastanza difficile. Se nella mtb sei lontano dalle gare, perdi posizioni nel ranking e sei costretto a partire dal fondo. Per questo nel 2023 dovrà fare di necessità virtù, ma poi nel 2024 dovrebbe lasciare da parte la strada».

VDP Mtb 2019
In mtb VDP ha vinto 13 gare di Coppa del Mondo e l’europeo 2019 (foto Cerveny)
VDP Mtb 2019
In mtb VDP ha vinto 13 gare di Coppa del Mondo e l’europeo 2019 (foto Cerveny)

Un progetto ancora da discutere

Un’affermazione forte, che successivamente Adrie tiene a specificare figlia solamente di sue congetture, delle quali non ha ancora parlato in maniera compiuta con suo figlio. C’è però un altro aspetto che l’ex campione del mondo di ciclocross tiene a sottolineare.

«La combinazione di tre discipline – spiega – ha dato vita a un programma molto intenso. Se tecnicamente il passaggio da ciclocross alla strada è semplice, come lo era ai miei tempi, con la mtb il discorso è diverso. Cambia la posizione in sella, cambia lo strumento stesso, servono adeguamenti particolari, per questo penso che un’Olimpiade non si possa inventare, ma si debba fare tutto quel che serve».

Adrie non ha voluto commentare la prestazione di suo figlio all’ultimo Giro, vissuto alla sua maniera, sempre per dare spettacolo. Chiacchierando però sono venuti fuori interessanti piccoli “fuori programma” del corridore dell’Alpecin Fenix, che ad esempio si è fermato durante una salita per formare un autografo, oppure si è messo a pedalare su una ruota e si è anche messo a scherzare in mezzo al gruppo con Pascal Eenkhoorn smentendo di fatto tutti coloro che lo giudicano schivo e poco socievole. E’ il suo modo di divertirsi, soprattutto con la bici da strada che, per sua stessa ammissione, spesso non gli dà le stesse sensazioni e gli stessi brividi della mtb. Infatti dopo il Giro ha dedicato una lunga giornata a un allenamento di oltre 90 chilometri sulle sponde del Lago di Como.

Ancora tanto da fare…

Su un aspetto però il padre del vincitore del Fiandre ha tenuto a mettere l’accento e riguarda le scelte di squadra fatte da Mathieu. Molti infatti si sono chiesti come mai non sia passato attraverso la Rabobank che in Olanda era una sorta di passaggio obbligato.

«E’ stata una scelta sia di Mathieu che prima ancora di David – ha sottolineato Adrie – è pur vero che non hanno poi insistito tanto per averlo, forse perché scottati dal rifiuto del fratello maggiore.

«A conti fatti però questo ha portato vantaggi – ha proseguito l’illustre genitore – innanzitutto perché sin dalla più giovane età Mathieu ha potuto correre libero da schemi, sviluppando quella sua propensione ad attaccare. Poi perché si è sviluppato un forte legame con Christoph Roodhooft, che è andato avanti negli anni. Ma io sono convinto che i due non abbiamo ancora dato tutto e quindi Mathieu possa ancora crescere».

Pidcock iride 2022

Pidcock guarda al Tour e pensa alla… tripla corona

22.05.2022
5 min
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«Tom, noi andiamo». Il ristretto staff che segue Tom Pidcock sta per lasciare l’albergo di Albstadt, dove il giorno prima il giovane britannico è tornato al successo in Coppa del Mondo di Mtb. Da un momento all’altro dovrebbe scendere e salire sul pullman che lo porterà a Nove Mesto. Quando compare nella hall, tutti però rimangono di stucco, perché Tom è preparato di tutto punto per andare in bici. «Partite pure, ci vediamo lì». Lì significa che Pidcock si sorbirà 190 chilometri e più di 2.000 metri di dislivello, a un’andatura tranquilla ma neanche troppo, per una media di 32 chilometri all’ora. Si è fermato a circa 200 chilometri dalla meta, raggiunto dal suo entourage.

Pidcock strava 2022
Il file Strava postato dallo stesso Pidcock a testimoniare la sua “avventura” del lunedì
Pidcock strava 2022
Il file Strava postato dallo stesso Pidcock a testimoniare la sua “avventura” del lunedì

Un bis quasi annunciato

Non è la prima volta che Pidders, il suo nomignolo, fa una cosa del genere, anzi la sua scelta è stata anche un po’ scaramantica, perché aveva fatto lo stesso lo scorso anno e la tappa ceka si concluse con il suo clamoroso successo ai danni di Mathieu Van Der Poel. A conti fatti, la sua scelta è stata indovinata, perché la domenica successiva a Nove Mesto ha fatto il bis. Ha battuto in una bellissima volata un altro giovane rampante della mtb come il rumeno Vlad Dascalu. Ha anche contenuto il furioso ritorno dell’iridato svizzero Nino Schurter, capace di rimontare nell’ultimo giro dalla 17esima alla terza posizione dopo una caduta.

Pidcock Nove Mesto 2022
La volata vincente del britannico su Dascalu a Nove Mesto, seconda vittoria in 7 giorni (foto Getty Images)
Pidcock Nove Mesto 2022
La volata vincente del britannico su Dascalu a Nove Mesto, seconda vittoria in 7 giorni (foto Getty Images)

L’esempio della Ferrand Prevot

Due vittorie di seguito. Non male la campagna primaverile di Pidcock sulle ruote grasse e molti si chiedono ancora perché non sia al Giro, come spalla ma magari anche alternativa a Carapaz ricordando quanto fu capace di fare al Giro U23 del 2020. Non è stato un ripiego, ma una precisa scelta quella del britannico. Che d’altronde quest’anno ha un’idea in testa, maturata nelle ore immediatamente successive alla conquista della maglia iridata di ciclocross nella lontana Fayetteville.

«Nessuno ha mai vinto tre maglie iridate in tre specialità nello stesso anno, ma Pauline Ferrand Prevot lo ha fatto fra le donne, nel senso che si è trovata a essere campionessa del mondo nello stesso momento. Io no, voglio proprio vincere il titolo nello stesso anno solare nel ciclocross, nella mtb e su strada, essere il primo a ottenere questa triplice corona nel ciclismo».

Pidcock Kwiatkowski 2022
Pidcock e Kwiatkowski alla Liegi: il giorno dopo escursione sul pavé del prossimo Tour
Pidcock Kwiatkowski 2022
Pidcock e Kwiatkowski alla Liegi: il giorno dopo escursione sul pavé del prossimo Tour

Un assaggio di pavé

Il suo calendario è stato quindi costruito di conseguenza e per questo Pidcock sarà al Tour de France. Con quali finalità e prospettive è tutto da verificare, ma che ci tenga è chiaro. Il giorno dopo la Liegi-Bastogne-Liegi, ha effettuato una lunga escursione con Kwiatkowski sul percorso della quinta frazione, quella del pavè. Per sua stessa ammissione, il britannico non si sente ancora a suo agio nelle gare a tappe. Meglio quelle d’un giorno dove ha già fatto vedere il suo valore: «Il discorso però è un po’ più complesso – ha avuto modo di affermare all’indomani dei problemi gastrici che di fatto hanno invalidato la sua campagna del Nord – la bici da corsa secondo me è più competitiva, ma per fisico e corporatura io sono più portato per la mtb».

Il campione della Ineos sa anche e molto bene che il suo futuro deve essere su strada. Tenere il piede in varie staffe non può durare a lungo. Gli stessi Van Aert e Van Der Poel se ne sono accorti sulla loro pelle e stanno progressivamente diminuendo le loro apparizioni extra-strada. Pidcock è più giovane e si è preso ancora del tempo anche perché vuole cogliere i suoi obiettivi: «Non aumenterò le mie presenze sulla mtb – ha sottolineato dopo il trionfo di Nove Mesto – quindi non seguirò il cammino di Coppa del Mondo. Sarò sicuramente ai mondiali e il Tour de France mi servirà per prepararli, acquisendo la base di fondo necessaria. Poi tornerò alla strada e andrò al Giro di Gran Bretagna per essere a punto per i mondiali su strada di Wollongong».

Pidcock programmi 2022
Ora il talento della Ineos torna alla strada, con obiettivo la Grande Boucle
Pidcock programmi 2022
Ora il talento della Ineos torna alla strada, con obiettivo la Grande Boucle

Dopo il 2024 si cambia

Il tracciato australiano è sì adatto ai velocisti, ma a ben guardare un corridore con le sue caratteristiche dovrebbe essere perfettamente a suo agio su quel percorso, pensando magari a una fuga decisiva con pochi corridori nella quale far valere il suo spunto. Per questo il ferro va battuto adesso, questo treno passa ora, poi prenderà le sue decisioni, tenendo però sempre presente che a Parigi 2024 vuole assolutamente difendere il suo titolo olimpico nella mtb. Probabilmente poi si dedicherà a tempo pieno alla strada e zi vedranno finalmente quali possono essere i suoi limiti. Alla Ineos sono comunque disposti a dargli tempo, intanto il suo contratto è stato allungato fino al 2027…

Pidcock mtb 2022

Intanto Pidcock in mtb non ha perso il suo vizio: vincere…

09.05.2022
5 min
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Raramente si è visto Tom Pidcock sorridere come dopo la sua vittoria ad Albstadt, nella prima prova europea della Coppa del Mondo di mtb. Il perché non è dato tanto dalla portata pur significativa dell’evento, quanto da quando questa vittoria è arrivata, ossia dopo un periodo di classiche del Nord che per il britannico non è davvero andato come sperava. Per questo, per capire che cosa davvero Tom ha fatto in terra tedesca, non si può non partire da un paio di settimane prima.

Pidcock Albstadt 2022
Abstadt è un posto magico per la mtb, in migliaia ad assistere alle gare (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock Albstadt 2022
Abstadt è un posto magico per la mtb, in migliaia ad assistere alle gare (foto Alessandro Di Donato)

La caduta della Doyenne

Liegi-Bastogne-Liegi. Pidcock cerca il riscatto, dopo una stagione di corse in linea dalla quale si aspettava molto di più. Ha portato a casa il terzo posto alla Dwars door Vlaanderen e il 5° alla Freccia del Brabante, poco rispetto a quanto si attendeva. La sua Doyenne si chiude però a una sessantina di chilometri dal traguardo, in quella maxi caduta costata buona parte della stagione al campione del mondo Alaphilippe e infortuni diffusi a buona parte del gruppo. Anche Pidcock non ne è esente: «Volete sapere una cosa? Ho sacrificato una delle mie nove vite…

«Un corridore della Total Energies (identificato poi in Jeremy Cabot, ndr) ha fatto una mossa da irresponsabile cercando di passare dove non si poteva e questo è il risultato. Io ho riportato forse un dito rotto e posso dirmi fortunato».

Pidcock discesa
Il britannico è rimasto sulle sue per due terzi di gara, ma quando ha forzato, ha chiuso i conti (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock discesa
Il britannico è rimasto sulle sue per due terzi di gara, ma quando ha forzato, ha chiuso i conti (foto Alessandro Di Donato)

Una gara dominata

Alla fine poi quel dito non era fratturato, ma Tom è uscito dal periodo con un diavolo per capello. Tornare alla mtb è stato come riappropriarsi delle sue radici, resettare tutto dopo un periodo che gli ha dato più dolori che gioie. E’ vero, in mtb non si era allenato molto dall’inizio della stagione, non c’era neanche la possibilità, ma sapendo di avere qualche giorno a disposizione per Albstadt si è messo al lavoro con un piglio nuovo, con una rabbia interiore che gli ha dato quel qualcosa in più.

In terra tedesca Pidcock è tornato alle corse fuoristrada dopo la splendida stagione di ciclocross, culminata con il trionfo ai mondiali di Fayetteville, ma in fin dei conti non prendeva in mano una mtb dalla vittoria olimpica di Tokyo. Appena si è rimesso a girare però è come se tutto fosse tornato come in quel magico giorno giapponese. Aveva dominato allora, lo ha fatto anche in Germania.

Pidcock tecnica
Nuova forcella? Un’evoluzione elettronica della Suntour usata a Tokyo? (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock tecnica
Nuova forcella? Un’evoluzione elettronica della Suntour usata a Tokyo? (foto Alessandro Di Donato)

Poco allenamento in mtb

In Germania, in quel che è considerato ormai un tempio della mtb, Pidcock inizialmente ha lasciato fare agli specialisti, con un folto gruppo in testa guidato dal vincitore della passata edizione, quel Victor Koretzky, francese, che ha scelto la stessa via del britannico dedicandosi quest’anno più alla strada correndo nella B&B. Più volte era Nino Schurter, il pluricampione del mondo svizzero a provare a fare selezione, senza però riuscirci.

«Quando ho visto che le acque non si smuovevano ho provato io a fare qualcosa – ha raccontato Pidcock alla fine della gara – e ho visto che si era creato un divario, anche più facilmente di quanto immaginassi. Vi posso assicurare che è stata più dura di quel che si è visto, proprio perché in mtb mi sono allenato poco, ma d’altronde il principio di base è sempre vero: quando impari ad andare in bici, poi non lo dimentichi più…».

Pidcock arrivo
Impennata per salutare il pubblico, dopo un ultimo giro senza spingere (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock arrivo
Impennata per salutare il pubblico, dopo un ultimo giro senza spingere (foto Alessandro Di Donato)

In Coppa sempre più stradisti

Effettivamente il britannico della Ineos Grenadiers ha scavato un solco fra lui e gli altri ben più grande di quel che i risultati finali dicono, perché l’ultimo giro si è trasformato in una passerella per lui, che salutava il pubblico e dava spettacolo sulla sua bici, mentre gli avversari si dannavano per le posizioni di rincalzo, ha ricordato molto quel che si era visto a Fayetteville, con quel volo d’angelo sul traguardo del quale tanto si è discusso.

Guardando la classifica di Albstadt, si nota come la commistione fra strada e mtb stia diventando sempre più abituale nell’offroad. Detto di Koretzky, andato in verità spegnendosi nel corso della gara, c’è stato l’ottavo posto di Filippo Colombo, lo svizzero sempre più coinvolto dalle gare su strada e del quale vi abbiamo già raccontato. 20° è stato Ondrej Cink, 31enne tornato alla Mtb dopo un’esperienza poco rimarchevole alla Bahrain. Solo 41° invece Samuel Gaze, neozelandese dell’Alpecin Fenix che due giorni prima però aveva fatto saltare il banco nello short track, la gara breve che da quest’anno ha una vita propria nella mtb, con un proprio circuito di coppa del mondo (anche se continua ad assegnare i posti principali in griglia di partenza alla domenica) e avrà anche la sua prova ai mondiali.

Gaze Albstadt
Nel giorno del trionfo rosa di VDP, Gaze esalta l’Alpecin Fenix anche ad Albstadt (foto Alessandro Di Donato)
Gaze Albstadt
Nel giorno del trionfo rosa di VDP, Gaze esalta l’Alpecin Fenix anche ad Albstadt (foto Alessandro Di Donato)

Un kiwi alla corte di VDP

Gaze era considerato un grande talento fin dalle categorie giovanili con due titoli mondiali U23 al suo attivo, ma su di lui ha poggiato gli occhi la sfortuna, che lo ha martoriato. Basti pensare che quest’anno, dopo che si era messo in luce al Tour of Antalya con una Top 10, si è dovuto fermare per un’operazione a entrambe le ginocchia. Nel 2019 aveva deciso di provare la strada, era entrato a far parte della Deceuninck Quick Step, ma dopo un anno la sua parabola sembrava già conclusa.

Conoscendolo da vicino, Mathieu Van Der Poel ha invece deciso di prenderlo sotto la sua ala, convincendo i dirigenti dell’Alpecin Fenix a dargli una possibilità, per condividere gli sforzi sia su strada che nella mtb. In fin dei conti ha ancora 26 anni e può dare molto, soprattutto è pronto a fare di tutto per il suo capitano olandese, che nel suo sogno di vincere tre titoli mondiali in tre discipline diverse, avrà bisogno di un sostegno anche al di fuori della nazionale orange.

Filippo Colombo, un biker doc, che va forte anche su strada

07.05.2022
5 min
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C’è un corridore che al Giro di Romandia vestiva la maglia della nazionale svizzera. Agli appassionati della strada il suo nome magari non dirà molto, ma per i biker è un vero campione. Stiamo parlando di Filippo Colombo (in apertura, foto Maxime Schmid).

Il ticinese ha chiare origini italiane. Vive a Lugano e, come dicevamo, nella Mtb è uno dei ragazzi più forti. Se la gioca con Nino Schurter, Van der Poel, Avancini… e per disputare le Olimpiadi (quelle di Tokyo) nella nazionale svizzera devi andare davvero forte, vista la quantità e la qualità degli atleti che ci sono.

Ma Filippo è anche un super appassionato della strada. La prima volta che lo incrociammo era in Costa Azzurra, durante un ritiro invernale. Non aveva neanche 18 anni. Alex Moos, ex stradista e all’epoca direttore di quella squadra, la Bmc, se lo portò dietro. C’era Le Roi, Julien Absalon, in quel gruppo.

Filippo, partiamo da questo Romandia: come è andato?

Direi che è andato bene. Non avevo mai corso prima in una gara WorldTour e non sapevo cosa mi aspettasse. Prima, su strada, avevo fatto gare minori, molte delle quali erano delle under 23. Quindi non sapevo che ritmi avrei trovato. Per questo l’obiettivo primario era riuscire a finire la corsa. Alla fine sono riuscito a fare anche qualche chilometro davanti. E’ stata una nuova esperienza, speriamo sia appagante per il futuro e per le prossime gare.

Futuro: dov’è quello di Filippo Colombo?

In mtb. Adesso c’è la Coppa del mondo (domenica prossima in Germania c’è la seconda tappa, ndr) e da questo momento in poi integrare l’attività su strada con quella offroad non sarà facile. Però vediamo un po’ cosa si potrà fare.

Tu avevi già corso su strada. Lo scorso anno addirittura sfiorasti la vittoria in Turchia. Come mai hai questa passione?

La strada è un qualcosa che mi piace, ma la mia passione resta la mtb e non ho dubbi a riguardo. Certo però che mi piacerebbe integrarla sempre di più con la strada. Fare queste corse è per me un ottimo allenamento. Senza contare che gli ultimi 20-30 chilometri sono adrenalinici. Tutto cambia, è un rischio diverso rispetto alla mtb, si va forte, c’è tensione.

Lo scorso anno Colombo (sullo sfondo) fu secondo Grand Prix Alanya alle spalle di Gabburo
Lo scorso anno Colombo (sullo sfondo) fu secondo Grand Prix Alanya alle spalle di Gabburo
Però vedere i Pidcock e i Van der Poel che fanno certi numeri anche in Mtb è un incentivo in qualche modo? Non pensi che puoi riuscirci anche tu?

Certo che può servire. Sono esempi da seguire o comunque bisogna cercare di emulare, con tutte le proporzioni del caso. Sono i migliori al mondo. Ma certo è difficile andare come loro.

E’ difficile, però proprio Diego Ulissi, con cui esci spesso, ci ha detto che hai davvero un gran motore…

A Lugano ci sono pochi biker, ma molti stradisti e sì, quando loro sono a casa sfruttiamo spesso queste occasioni per uscire tutti insieme. C’è Diego, ci sono Bettiol, Nibali, Pozzovivo, Honoré… Ecco, Michael forse è la persona con cui esco di più. E poi è arrivato anche Bagioli, anche se ancora non lo conosco.

Uscire con i professionisti su strada, tenere il loro ritmo: ti aiuta ad andare forte poi nella mtb?

Sì, sicuramente è un buon metodo di lavoro. Lo scorso anno con le tante gare che ci sono state non ci siamo allenati tanto assieme. Ma andare con loro mi ha fatto capire quanto vadano forte. Provare a stare con loro è di grande aiuto. Poi ognuno ha il suo piano di allenamento e suoi lavori da fare. Ma in linea di massima si cerca di partire insieme.

Sei ancora abbastanza giovane (Colombo è un classe 1997): se dovesse arrivare una chiamata dalla strada rinunceresti?

Se si tratta di correre solo su strada sì. Se invece mi dessero la possibilità di combinare le due discipline, come appunto fanno Van der Poel e Pidcock, ci penserei. Ci penserei moltissimo.

E che tipo di corridore potresti essere? Con le tue caratteristiche e la tua potenza potresti essere un ottimo finisseur?

Dopo l’esperienza fatta al Romandia posso dire ancora di più che potrei giocarmi qualche tappa un po’ mossa, perché devo ammettere che sulle salite lunghe rispetto a me gli stradisti fanno un altro sport. La tipologia di corsa ideale per me quindi potrebbe essere una classica. Ma come profilo altimetrico, intendo. Perché chiaramente mi manca la distanza. Alla fine sono discretamente veloce e tengo bene su salite di 10′-15’.

Un Van der Poel insomma…

Eh – ride – diciamo qualcosa del genere!