Mentre Giovanni Carboni sul podio riceve fiori e applausi, il padre Ivan e la mamma Lucia ai piedi del palco trattengono a stento l’emozione. Brisighella è riarsa da un sole duro il cui riverbero sulle pietre rende il centro una fornace. La mamma è commossa. Dice Giovanni che negli ultimi tempi hanno anche litigato, perché lei chiedeva ogni giorno se ci fossero novità e la situazione dei corridori Gazprom sembra congelata nel nulla. Stesse domande, stesse risposte: zero. In certi frangenti si vive con i nervi a fior di pelle.
«E’ stata un’emozione grande – dice il padre – lo seguo da quando era esordiente e ci credevamo che oggi potesse fare qualcosa di buono. Anche se con la testa era difficile restare concentrati, si è sempre allenato e ha sempre dato il massimo».


Strade amiche
La corsa, in breve. La terza tappa della Adriatica Ionica Race è partita da Ferrara ed è arrivata in questo paesone medievale sulle colline romagnole. Su strade simili e in un caldo altrettanto torrido, Giovanni aveva preso il sesto posto ai tricolori vinti da Colbrelli a Imola. Buono a sapersi.
Racconta Gabriele Bonetti, che è di qui e ha scritto il pezzo di lancio della tappa di domani parlando con Carboni, che in realtà Giovanni gli fosse parso molto interessato alle salite di oggi. Ora si capisce il perché. Ripresa la fuga di Monaco e Fancellu, infatti, Carboni si è messo a fare il diavolo a quattro. Ha attaccato e lo hanno ripreso. Ha attaccato e attaccato ancora e alla fine ha vinto.
«Il Monte Grappa di ieri – dice – era troppo lungo per uno che non ha corso il Giro d’Italia. Sarebbe stato irrealistico pensare di arrivare davanti. E poi a un certo punto si è pure rotto il cambio e ho pensato che la sfortuna non volesse abbandonarmi. Per questo oggi ho deciso di anticipare l’ultima salita, perché non avrei potuto reggere i migliori. Ho una bici da 8 chili. Dovevano arrivare le ruote leggere, ma dal primo marzo non è arrivato più niente. Anzi, è già buono che non si siano ripresi tutto».
Al centro della strada, Carboni ha trovato il padre Ivan che lo segue da quando era esordiente Il padre Ivan e la madre Lucia sotto al podio, visibilmente commossi
Al centro della strada, Carboni ha trovato il padre Ivan che lo segue da quando era esordiente Il padre Ivan e la madre Lucia sotto al podio, visibilmente commossi
Arrabbiato e deluso
Carboni è il terzo corridore della ex Gazprom a vincere in questa fase di purgatorio che minaccia di piegare verso l’inferno. Malucelli in Sicilia e Scaroni l’altro giorno a Monfalcone (in apertura i tre sono insieme dopo il traguardo di oggi a Brisighella). Prima di loro, Fedeli era andato fortissimo in Sicilia e come lui Conci e Canola. Questa situazione balorda, per la quale bisogna ringraziare il presidente dell’UCI Lappartient, li ha dotati di una cattiveria senza precedenti. Carboni, che è un mite, ha lo sguardo indurito, parla a fatica e solo perché deve farlo, ma si vede che dentro ha il terremoto.
«Questa situazione – conferma – mi sta tirando fuori la cattiveria. Prima ero più calmo e meno istintivo. Ora sono un fascio di nervi e non è per niente facile. Dovrei essere felice, invece sono arrabbiato e deluso».


Una squadra per la Vuelta
La ragazza mora con la macchina fotografica alla transenna era sulle spine. Non conoscendola e avendo riconosciuto dall’altro lato i genitori di Carboni, abbiamo pensato che fosse la sua ragazza. Poi la maglia azzurra del vincitore è piombata nella scena e il padre è corso in mezzo alla strada per abbracciarlo. Sono stati attimi lunghi come la lunga attesa. Quindi Giovanni è andato dalla mamma e solo alla fine si è diretto verso la moretta, che gli ha detto qualcosa sul fatto che abbia voluto farla morire di crepacuore.
«E’ la mia prima vittoria – dice Carboni (anche Scaroni due giorni fa ha centrato in azzurro il primo successo) – ed è venuta con la maglia azzurra. E’ tutto così strano… Questa maglia è la cosa più bella che ci sia. Quella ragazza? E’ la compagna di Malucelli. Io e “Malu” abbiamo vissuto gli ultimi tre mesi praticamente insieme come dei fratelli. Non ho dubbi che anche lei sia stata contenta. Ma adesso datemi una squadra per correre la Vuelta. Ne ho bisogno. Ho 27 anni, sono maturo per farlo…».


Protesta sbagliata
Sono le stesse parole che ha detto dopo l’arrivo, appena tagliato il traguardo. Solo che quelle le ha ruggite, mentre ora, seduto davanti all’antidoping, ha trovato il tempo per prendere fiato e mandare giù qualche sorsata d’acqua.
«In gruppo di queste cose se ne parla – dice – ma lo sapete com’è, il minimo necessario e non con tutti. Anche quel braccialetto… A me non l’hanno neanche dato».
Bisognava prendere in mano la situazione senza aspettare. A Laigueglia, nel primo giorno di questo colossale casino, bisognava andare alla partenza vestiti di bianco e fare in modo che la protesta fosse subito vibrante. Invece il silenzio ha lasciato credere di aver colpito persone inermi e incapaci di reagire, alle quali non è neppure necessario dare spiegazioni. Probabilmente è vero che Lappartient non dirà nulla sul tema, essendo ancora in piedi il ricorso di Renat Khamidulin al Tas, ma i corridori ne sono esenti.
Ai corridori andava offerta una via d’uscita. Il fatto che si sia pensato di poterne fare a meno basta per chiedere le dimissioni di una dirigenza impegnata a far girare manifestazioni e milioni di euro, ma incapace di prendersi cura dei suoi figli. Ma chi le chiederà?


Tutti grandi
Domani si parte da Fano, la sua città, e la ricorrenza avrà un sapore particolare. Chissà se nel frattempo la grande stampa deciderà finalmente di sporcarsi le mani con questa vicenda o continuerà ad ignorarla.
«Sono stati giorni duri – chiude suo padre – bisognava tenerlo tranquillo e gestire la situazione. Speriamo di venirne fuori presto. Questa vittoria è un premio inaspettato per tutti i ragazzi del gruppo Gazprom. Sono tutti dei grandi».
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