Pidcock come Harry Potter. Magie in discesa, vittoria sull’Alpe

14.07.2022
5 min
Salva

Questa mattina al via Thomas Pidcock era molto serio. Molto più del solito. Era uno dei pochi che stava facendo i rulli sulla sottile striscia di ombra del suo bus. Torso semi-nudo e pantaloncini, mulinava gambe e pensieri nella testa.

Alla luce di tutto questo, poteva starci che stesse tramando qualcosa. La riunione in casa Ineos-Grenadiers l’avevano già fatta.

E noi? Il tempo di montare in auto per fare il trasferimento da Briançon all’Alpe d’Huez e appena arrivati in sala stampa ce lo siamo ritrovati a fare pieghe da MotoGp con Froome a ruota.

Al via di Briancon, l’inglese era concentrato sui rulli, uno dei pochi a farli
Al via di Briancon, l’inglese era concentrato sui rulli, uno dei pochi a farli

Biker inside

Pidcock ha sempre dichiarato di essere un biker, prima ancora di uno stradista. La scorsa domenica si è disputata una super classica di Coppa del mondo: il cross country di Lenzerheide, tra l’altro vinta dal nostro Luca Braidot. Una bolgia con i suoi 50.000 e passa spettatori. Lenzerheide, in Svizzera, corrisponde ad un Fiandre per il Belgio o a una Roubaix per la Francia.

«Mi sarebbe molto piaciuto esserci», aveva detto il campione olimpico in carica. Chissà se adesso dopo questa vittoria prestigiosa sull’Alpe d’Huez, tappa regina del Tour de France, la pensa ancora così?

«Sono davvero felice – ha raccontato l’inglese – ho vinto su una salita iconica. Tutta quella gente lungo la scalata. E’ stata una delle esperienze più belle e folli della mia vita. E’ incredibile».

Dopo l’arrivo, al termine comunque di una scalata gestita con coraggio, Tom crolla. Non proprio sulla linea, come Vingegaard alla Planche, ma appena lo portano nella zona transennata del podio. Lì, si siede. Abbraccia il massaggiatore che lo ha sostenuto e per qualche istante sembra scoppiare in lacrime. Poi mette la testa tra le mani e respira profondamente.

Una discesa storica

Nella discesa che conduceva dal Galibier alla valle della Maurienne, Pidcock ha regalato emozioni. Si è vista tutta la sua classe nel guidare la bici. Non si è campioni olimpici di mtb per caso! Curve rotonde, fatte ad un velocità di entrata pazzesca e una d’uscita altrettanto elevata. Sfruttava tutta la strada.

«Per me è naturale. Credo di essere sceso sempre in sicurezza – dice Pidcock – ho sempre avuto un buon feeling con la bici, con le gomme. Sì – aggiunge scherzando – ogni tanto mi ritrovavo Froome in frenata!».

Sir Bradley Wiggins che lo seguiva era in estasi. Non credeva ai suoi occhi. Un vero show. Specie dopo che ha toccato e superato i 100 chilometri orari in più di un’occasione. Volava. Ha tirato delle curve che sono state delle vere magie. Magie degne del suo connazionale Harry Potter!

Voglia di vincere

Questa tappa però la voleva. La voleva lui e la voleva la sua squadra. A conti fatti era l’unico che poteva fare qualcosa. Thomas era troppo marcato e gli altri non avevano gamba a sufficienza su un percorso simile.

«In realtà la volevo già da un po’ – dice Pidcock – Avrei voluto fare bene anche nella quinta tappa (quella del pavè, ndr). Ma non era facile azzeccarla e azzeccare la fuga in quelle successive. Anche oggi all’inizio la Jumbo-Visma ha controllato molto, non ha lasciato spazio. E infatti in cima al Galibier il distacco dai fuggitivi non era tanto e così ci ho provato».

Giustamente Pidcock ha pensato che Vingegaard e i suoi non si sarebbero presi troppi rischi per rintuzzarlo. Alla fine lui aveva pur sempre 11’12” di ritardo dalla maglia gialla. E ha pensato bene.

Ma anche la sua scalata è stata ottima al pari (quasi) delle sue discese.

«Una scalata folle. Con tutta quella gente non riuscivo a sentire la radiolina, non capivo nulla. Però è stata un’emozione, una spinta pazzesca».

Non capiva nulla ma l’ha gestita alla grande. Non ha esagerato nelle prime rampe e dopo la sua accelerazione è stato più di 4 chilometri con Meintjes a 5″-10″, il che non è una bella sensazione per chi cerca di scappare. Ti senti sempre il fiato sul collo e non hai la certezza di essere il più forte. Poi pian piano il baratro si è aperto e il campione di Leeds ha potuto spiccare il volo anche in salita.

«Fino ai 2 chilometri dall’arrivo – ha concluso Pidcock – non sapevo cosa stesse succedendo. Se davvero potevo vincere. Non sapevo se andare duro, se andare agile e quanto spingere».