Questo è il weekend della Capoliveri Legend Cup, una delle più grandi classiche della mountain bike. La sfida dell’Isola d’Elba, che ogni anno coinvolge centinaia di partecipanti anche dall’estero, doveva essere anche la festa d’addio di Francesco Casagrande all’agonismo. Il campione toscano sarà sì all’Elba, ma non come voleva esserci, perché la bici ha dovuto già appenderla al chiodo, per cause forzate.
Dobbiamo tornare indietro di qualche giorno, alla Rampiconero del 2 ottobre, sfida sui sentieri marchigiani, una delle tante gran fondo nel calendario di Casagrande. Il biker della Cicli Taddei s’impegna allo spasimo, arriva al traguardo in una comunque probante terza piazza, ma subito dopo aver tagliato il traguardo qualcosa non va. Lascia la bici e si accascia. I soccorsi sono immediati, ma si capisce subito che la situazione è grave.
Diagnosi pesante: ischemia
Francesco viene soccorso d’urgenza e portato in ospedale. Il responso è pesante: una leggera ischemia, si procede attraverso una sonda a rimuovere un’occlusione sanguigna. Già alla sera Francesco si è ripreso e provvede, chi direttamente e chi attraverso i social, a rassicurare tutti, ma i medici sono chiari: con l’agonismo si chiude…
Cinque giorni d’ospedale, poi il ritorno a casa e la lenta ripresa che va avanti giorno per giorno: «Tra una decina di giorni spero di tornare piano piano a pedalare, la passione non è certo venuta meno, ma lo farò con calma. Ho sempre sofferto di ipercolesterolemia congenita, col passare degli anni le vene sono andate un po’ restringendosi e poteva avvenire un evento del genere, l’importante è che sia passato».
Quanto tempo sei stato nella mtb?
Tredici anni, alla fin fine è stato un periodo lungo quasi quanto quello su strada. Non ho neanche tenuto il conto delle vittorie, ma almeno 5-6 l’anno le ho portate a casa e ogni anno vedevo che andavo forte e tiravo avanti. Così mi sono trovato a doppiare lo scoglio dei 50 anni senza quasi neanche rendermene conto. Mi divertivo, mi piaceva continuare ad assaporare il gusto della lotta per la vittoria. Ma io ero entrato in punta di piedi, per questo gareggiavo tra gli amatori.
A un certo punto però sei passato di nuovo fra gli elite e sei tornato a vestire la maglia azzurra…
E’ stato Mirko Celestino a chiedermelo. C’erano i mondiali, contava su di me e la mia esperienza per fare squadra. Lo spirito però non è cambiato, era più per divertimento che un lavoro com’era prima ai tempi della strada. Alla fine però mi ritrovavo sempre con almeno 20 mila chilometri percorsi ogni anno. Alla fine della stagione ragionavo se lasciare, ma gli amici e l’ambiente mi spingevano a continuare così andavo avanti. Ischemia o no, avrei comunque mollato quest’anno, è tempo di lasciare spazio agli altri.
Mettendo insieme le due discipline hai attraversato trent’anni e passa di agonismo scavallando anche il secolo. Quanto è cambiato il ciclismo nel frattempo?
Enormemente, non c’è che dire. Quando correvo io la strada era un ambiente molto chiuso, ora invece la multidisciplina è diventata quasi la normalità. A me piace perché è un fenomeno in evoluzione. Vi siete accorti ad esempio di quanti corridori fanno anche attività podistica? Ai miei tempi era vista come il diavolo…
Quando correvi tu l’Italia era il centro del mondo ciclistico con tante squadre di vertice. Oggi i giovani sono invece costretti a emigrare. Nella stessa situazione saresti andato anche tu all’estero?
Sì, per forza, ma non nascondo che questa situazione mi mette molta tristezza. Allora l’Italia era davvero il centro. Faccio un esempio: a Donoratico nacque una gara perché molte squadre professionistiche facevano il loro ritiro prestagionale da quelle parti e volevano un’occasione per confrontarsi.
Pensi che la situazione cambierà in futuro?
Non in tempi brevi, perché prima dovrebbe cambiare il Paese. La nostra economia non permette di fare voli pindarici, gli sponsor che c’erano allora non ci sono più e quindi non ci sono soldi da investire. Questo non fa che penalizzare il nostro mondo, molti genitori preferiscono far fare ai propri figli altri sport, più semplici, remunerativi e sicuri. Me ne accorgo in Toscana, dove a livello junior c’è stata una moria di squadre che fa spavento. E’ normale che i ragazzi che si sacrificano per questo sport e mostrano talento, vadano poi all’estero, purtroppo poi lì imparano molto, ma chi gestisce ha e avrà sempre un occhio di riguardo per chi è del suo Paese.
Tu resterai nell’ambiente?
Penso proprio di sì, alla Cicli Taddei sono rimasto molti anni e mi sono trovato bene, vedremo in che forma continuare la mia esperienza. L’ho detto, la passione non svanisce dall’oggi al domani… Intanto mi piacerebbe chiudere come si deve, se non posso farlo gareggiando magari con una giornata speciale. Vedremo come…