Giro, Tour e Belgio: per Dainese un’estate di straordinari

18.01.2023
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Alberto Dainese è un classe 1998 e lo scorso anno quando aveva 24 anni si è sciroppato Giro d’Italia e Tour de France. Ora si appresta ad iniziare la sua quarta stagione da pro’. Giovane quindi, ma già “esperto”.

Un grosso impegno, ma il corridore della Dsm i due Giri non solo li ha fatti, ma li ha conclusi bene e nelle 42 tappe complessive è anche riuscito ad alzare le braccia al cielo.

La vittoria al Giro di Dainese. Il veneto tra inizio Giro e fine Tour ha inanellato 47 giorni di gara su 85
La vittoria al Giro di Dainese. Il veneto tra inizio Giro e fine Tour ha inanellato 47 giorni di gara su 85
Alberto, il cittì Daniele Bennati ha detto che alla tua età fare due grandi Giri nella stessa stagione è un po’ troppo, tanto più ravvicinati come Giro e Tour, e alla fine sei arrivato stanco all’europeo. Cosa ne pensi?

L’ha detto prima o dopo del Tour?! In effetti è stato parecchio nel suo insieme, soprattutto perché tra Giro e Tour ho fatto anche il Giro del Belgio. E si è fatto sentire, ma è stata un’esperienza anche quella. Più dura di così non si poteva fare!

E come ti sei sentito?

E’ andata bene al Giro e un po’ meno al Tour, perché ero un po’ stanco e affaticato. Anche se devo dire che nell’ultima settimana le cose sono andate meglio. Ho colto un terzo posto. E tirando le somme posso dire che è stato giusto farle entrambe.

Andare bene alla “sesta” settimana, significa molto. Piuttosto, perché nel mezzo hai fatto anche il Belgio? Il Tour forse non era nei programmi?

Diciamo di no. Non me lo hanno comunicato proprio all’ultimo momento, ma inizialmente non dovevo fare il Tour. La decisione è arrivata nel mezzo. E quando me lo hanno detto sono rimasto un po’ così… L’ho presa come allenamento!

Alberto Dainese (a sinistra) con Milesi durante l’intervista via web
Alberto Dainese (a sinistra) con Milesi durante l’intervista via web
Si dice che i grandi Giri, specie ai giovani, facciano aumentare la cilindrata, a te questa immensa mole di lavoro ha lasciato qualcosa in più?

Ho fatto esperienza in tutti e tre i grandi Giri e ormai so più o meno cosa mi aspetta in quello successivo. Ora non so ancora i programmi di quest’anno, se ne farò uno, nessuno o tutti e tre, di certo è stato un bell’aiuto fisico e non solo. Ho acquisito un bel bagaglio di esperienza.

E rispetto al Dainese dell’anno scorso, in questi primi allenamenti ti senti più forte?

Un po’ sì, sento di stare meglio. Poi mi alleno con “l’individuo” qui a fianco (il riferimento è a Milesi, ndr) e in salita mi tira il collo. Sento più consapevolezza nei miei mezzi e poi è una maturazione naturale immagino, con l’età che va avanti. Ma credo conti anche l’esperienza in generale: il preparasi meglio, il saper mangiare… e in questo i grandi Giro ti aiutano un sacco. Anche perché devi organizzarti e capisci che non puoi sgarrare. 

Dopo la tua bella stagione ti hanno affidato un uomo di riferimento? Hai anche tu il Guarnieri della situazione?

In Dsm stanno investendo più sul creare un gruppo per la volata che su un uomo singolo, in questo modo quando si va alle corse e qualcuno non c’è, tutti sanno cosa devono fare… Però è arrivato Alex Edmondson dalla BikeExchange–Jayco e penso sia stato un buon acquisto perché lui tirava le volate a Gronewegen e sa bene come muoversi negli ultimi chilometri. Ha esperienza e questa serve soprattutto con noi che siamo giovani. Pensate che io sono il dodicesimo corridore più vecchio in squadra e non ho ancora 25 anni. 

In ritiro Dainese e compagni hanno provato diverse volate (immagine da Instagram)
In ritiro Dainese e compagni hanno provato diverse volate (immagine da Instagram)
State provando anche i treni?

Sì, abbiamo fatto delle prove, ma non solo per le posizioni, anche per tornare a stimolare le alte intensità, le alte velocità. Magari dopo l’inverno ti manca qualcosa… ma questa è anche la parte più divertente dei ritiri! C’è una valle in Spagna dove facciamo questi sprint… Certo, in gara è totalmente diverso, visto che ci sono 180 corridori che cercano di fare lo stesso, ma serve.

E sui materiali?

Già prima del Tour mi avevano dato la Scott Foil, che è la bici che adesso abbiamo tutti, e già quello era stato un netto miglioramento, soprattutto per le volate. Poi quest’inverno, come tutti, ho cambiato sella e manubrio grazie all’arrivo di Syncros. Sono riuscito ad allungarmi un bel po’, due centimetri, mentre ho mantenuto la piega da 42 centimetri: ho le spalle larghe.

Il 2022 secondo Eros Capecchi… il vivaista

06.12.2022
7 min
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Per la prima volta dopo 17 anni Eros Capecchi si è goduto il ciclismo come uno spettatore normale, ammesso che normale sia un aggettivo calzante per chi è stato al vertice di questo sport per tanto tempo. Capecchi è stato tra i primissimi, se non il primo, a passare giovanissimo. Aveva 19 anni.

Dal Giro dell’Emilia 2005, fatto come stagista con la Liquigas, dove avrebbe iniziato la sua avventura ufficialmente l’anno successivo, alla Bretagne Classic 2021: nel mezzo tante gioie al fianco di altrettanti campioni e tre vittorie, su tutte quella di San Pellegrino al Giro d’Italia 2011.

Eros e la sua compagna Giada Borgato (ex professionista e oggi commentatrice Rai)
Eros e la sua compagna Giada Borgato (ex professionista e oggi commentatrice Rai)
Emozioni, senso critico, passione: Eros, come ha vissuto questi primi 12 mesi da ex corridore?

Partiamo dal presupposto che ho smesso di correre con la massima serenità. Ho detto basta quando voglia e stimoli non erano più gli stessi. E’ stato qualcosa di mio, come mio era il vivaio che mi attendeva. E forse questo mi ha aiutato a smettere… bene. Che poi è il problema di molti. Si chiedono: «E adesso cosa faccio?». Quindi, questa stagione da fuori me la sono goduta.

Hai seguito le corse insomma…

Sì e poi con Giada (Borgato, ndr) che commentava alla tv, tante volte mi divertivo più a sentire lei che a vedere la corsa. In più mi hanno coinvolto per una tappa del Giro-E e ho i ragazzi dell’Umbria. Insomma sono rimasto nell’ambiente. Tutti gli anni quando si ripartiva mi mettevano in camera con i giovani, gli stavo vicino, gli davo consigli. E quindi il ruolo di commissario tecnico del Comitato regionale dell’Umbria mi è venuto naturale.

Eros, se dovessi scegliere tre momenti di questa stagione vissuta “dal vivaio” quali diresti?

I primi che mi vengono in mente sono i duelli e le azioni dei due fuoriclasse: Van der Poel e Van Aert. Belli da vedere, imprevedibili… Li ho anche vissuti in prima persona e quando sei in corsa con loro sai che ti diverti, che può succedere qualcosa da un momento all’altro. 

Nella discesa dal Col de Spandelles, la scivolata di Pogacar. Poco dopo Vingegaard lo aspetterà (immagine Tv)
Nella discesa dal Col de Spandelles, la scivolata di Pogacar. Poco dopo Vingegaard lo aspetterà (immagine Tv
E poi?

Direi Poagacar, una super conferma, e Vingegaard: in particolare la caduta in discesa al Tour. Il danese mi ha colpito non tanto perché è andato forte, quello si sapeva, ma per i suoi valori morali e il suo comportamento quando è caduto Pogacar. Quel giorno ero con Giada a vedere la tappa e le dissi: «Ora lo aspetta». Giada la pensava diversamente.

E tu?

Io me lo sentivo. Pogacar non lo avrebbe aspettato, ma non perché è cattivo o scorretto, ma perché era lui che lo stava attaccando in discesa. E quando fai certi attacchi metti in conto anche che il tuo rivale possa avere problemi simili. Vingegaard invece ha mostrato un’altra mentalità. Ha dimostrato che le corse si vincono con onestà e con le gambe. Tra l’altro il discorso dell’onestà e dell’educazione lo ripeto spesso anche ai miei ragazzi. Se sento mezza parola fuori posto, una lamentela su un organizzatore o un albergatore, quel corridore va a casa. Anche se ha vinto 10 corse.

Manca il terzo momento o personaggio…

Remco. Sono stato contentissimo per lui. Sono stato in squadra con Evenepoel alla Quick Step. Ho ancora i messaggi scambiati con lui. Dopo il primo anno mi scrisse: “Ti vorrei nel mio gruppo”. Io gli risposi che avevo il contratto in Bahrain…  Remco è un bravo ragazzo, anche se qualche volta può risultare antipatico. Ma parliamo di un atleta che a 18 anni si è ritrovato a quel livello. Per di più in Belgio dove sono scattati subito i paragoni con Merckx, le pressioni sono tante. Mi ricordo del mio ultimo anno in Quick. Ero uscito bene dal Giro. Così mi portarono al Giro del Belgio. C’era anche Sabatini. Facemmo un grande lavoro per Remco. Tirammo per tutta la settimana e lo portammo alla vittoria. A fine corsa c’erano lui, sua mamma e suo papà ad abbracciarmi e a ringraziarmi per averlo aiutato. 

Dopo la Vuelta, Evenepoel conquista anche il mondiale di Wollongong. Capecchi è legato al belga ed è stato contento dei suoi successi
Dopo la Vuelta, Evenepoel conquista anche il mondiale di Wollongong. Capecchi è legato al belga ed è stato contento dei suoi successi
Ha chiuso i battenti, un campione con cui hai condiviso parecchio, Vincenzo Nibali… 

E anche “Don Alejandro”! Valverde… Due grandi. Valverde è stato più competitivo di Vincenzo fino alla fine. I tifosi vorrebbero sempre che certi corridori fossero al top. E mi spiace che certe volte si sia criticato Nibali. Ma che carriera ha fatto? Quattro grandi Giri, Sanremo, due Lombardia, Tirreno, Plouay… Serviranno 100 anni per ritrovarne uno così.

Vi siete scambiati dei messaggi con lui e con Valverde?

Non sono un tipo da messaggi. Se capita, preferisco gli incontri dal vivo. Quest’anno sono venuto da spettatore alla Strade Bianche. Ero nel viale tra foglio firma e bus e in quei frangenti certi corridori non si fermano, altrimenti vengono assaliti dalla gente. Invece Valverde mi ha visto e si è fermato. La stessa cosa Alaphilippe al Giro dell’Emilia. Stavamo scendendo dal San Luca con Giada. Lo vedo passare e lo chiamo: «Loulou!». Si volta, mi vede, frena e mi dice: «Eros! Passa al bus che ci prendiamo una birra». Quando sono arrivato mi ha bussato dal vetro, c’era tanta gente, tanti francesi, magari non voleva scendere. Invece lo ha fatto lo stesso. Sono queste cose che mi fanno piacere… più dei messaggi.

Prima hai detto che Pogacar è stata una conferma. Ma perché c’è il rischio che non torni ai suoi livelli super?

Con i tanti corridori giovani che arrivano “da sotto”, sicuramente oggi confermarsi per tanto tempo è più difficile. Prima passavi e ti servivano due anni per trovare il preparatore, tre per per prendere le misure con l’ambiente e per capire quali corse erano più adatte a te. Adesso invece sono pronti. Hanno forza ed entusiasmo. E prendono gente come Pogacar a riferimento. Ma Pogacar chi vede? Per lui è impossibile trovare un riferimento. Allenarsi, migliorare è difficile per Tadej. E una volta al suo livello basta che sbaglia mezza corsa, si apre una piccola crepa e subito diventa uno squarcio.

Capecchi e Nibali: dopo gli anni della Liquigas si ritrovarono insieme nel 2016, anno del secondo Giro dello Squalo
Capecchi e Nibali: dopo gli anni della Liquigas si ritrovarono insieme nel 2016, anno del secondo Giro dello Squalo
E’ la condanna del super campione…

Io all’ultimo anno da pro’ andavo più forte che al primo. Ma 17 anni fa se eri all’80% arrivavi tra i primi, adesso se sei al 107% ti staccano in 50. Tutto è al limite, ma anche in altri sport. Se pensiamo che Marcel Jacobs fa dietro motore a piedi! E comunque non è che Pogacar debba dimostrare di tornare o che ci siano dubbi. Dopo il Tour ha vinto in Canada, ha vinto il Lombardia.

Tra le squadre invece chi ti ha colpito?

A me piace molto la Jumbo-Visma. E tra l’altro Vingegaard lo ha battuto grazie anche alla squadra. La Jumbo, dicevo, mi piace tantissimo. Conosco bene il loro nutrizionista, che era con noi ai tempi della Quick Step e so che credono molto nell’alimentazione. In più hanno una forza economica importante, comprano i corridori buoni, ma hanno il merito di saperli fare andare d’accordo. Roglic, Kuss, Vingegaard… e poi Van Aert, incontenibile, Laporte. Ecco il francese, ma che acquisto è stato? Lo hanno messo nelle condizioni di vincere e lui ci è riuscito. 

Metodi di lavoro, rapporti tra gli atleti, cura dell’alimentazione, campioni: la Jumbo-Visma è la squadra che più piace ad Eros Capecchi
Metodi di lavoro, rapporti tra gli atleti, cura dell’alimentazione, campioni: la Jumbo-Visma è la squadra che più piace ad Eros Capecchi
Vero, il loro preparatore ci parlava proprio di questo…

E sono meriti. La Ineos-Grenadiers ha ancora più soldi, ma in questo momento non rende allo stesso modo. Vuoi perché molti corridori ce li hanno da tanti anni, sono più vecchi… Stanno però lavorando bene con i giovani. Ma, immagino, gli ci vorrà un po’. Poi magari il prossimo anno gli vengono fuori i due Hayter e saranno loro a mettere in crisi Pogacar. Perché poi in questo ciclismo è un attimo. Evoluzione fisica, materiali, alimentazione… vanno forte subito. Anche per questo mi sento di dire che il doping nel ciclismo non c’è più. Ci sono stato dentro al ciclismo e so quanto contino certe cose e il lavoro nel suo insieme. Le preparazioni sono quelle, ciò che è cambiato tanto davvero è l’alimentazione: di differenza ne fa tanta.

Un’ultima domanda Eros, Rebellin. Ti senti di dargli un saluto?

Ero in macchina quando mi è arrivato un messaggio: “Morto Rebellin”. Pensavo fosse una fake news. Così chiamo Giada e le dico di verificare. Lei mi risponde che è tutto vero. Che dire: in 17 anni non l’ho mai visto avere una discussione in gruppo. Una volta eravamo a Montecarlo e ci fermammo a parlare non ricordo con chi. Intervenne Davide e disse: «Questo è un bravo ragazzo, nei Giri può fare bene». Io rimasi colpito. “Ma come, io? E allora tu?”, pensavo tra me e me. Rebellin era l’emblema della serietà, dell’abnegazione e della gentilezza. Mi spiace che non si sia potuto godere la vita oltre la bici.

Bilbao: la costanza, la volata su Alaphilippe e il 2023

22.11.2022
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«È stata senza dubbio la mia migliore stagione», parole di Pello Bilbao. Il basco ha vinto tre corse, ma soprattutto ha mostrato una costanza di rendimento strabiliante. Questa è da sempre stata il suo cavallo di battaglia, ma quest’anno in effetti è cresciuta ancora.

Il corridore della Bahrain-Victorious in otto corse a tappe disputate solo una volta non è entrato nella top dieci, la prima, alla Comunitat Valenciana quando era in fase di rodaggio. E nelle altre sette volte, in tre occasioni è salito sul podio.

Lo sprint regale di Bilbao davanti ad Alaphilippe al Giro dei Paesi Baschi
Lo sprint regale di Bilbao davanti ad Alaphilippe al Giro dei Paesi Baschi

Costanza incredibile

Qualche giorno fa Bilbao ha parlato ad una tv (Deia) della sua regione e ha fatto discorsi interessanti sia sulla stagione passata che su quelle che verrà.

«Credo – ha detto Bilbao – di continuare a migliorare e di non aver ancora raggiunto il mio pieno potenziale. A 32 anni chiudere un anno con questi risultati è un buon segno per me. Sono sempre stato regolare, costante. Ho raccolto tre vittorie e in una ho anche battuto Julian Alaphilippe in uno sprint serrato. Per me questa è la foto dell’anno ed è una foto da conservare nei miei ricordi più belli, una vittoria che segna una carriera».

E forse è da conservare anche perché l’ha ottenuta nella sua terra, al Giro dei Paesi Baschi. 

«Sono contento di quanto fatto in stagione perché oggi nessuna gara è scontata. Si corre sempre al massimo livello, qualunque sia la categoria. Il ritmo attuale impone sempre che tu sia al top. Siamo passati da un ciclismo che ti chiedeva di avere dei picchi di forma ad un ciclismo in cui devi essere in buona forma tutto l’anno. E’ un po’ come il calcio».

David Evangelista intervista Bilbao dopo la sua vittoria a Lana al TOTA
David Evangelista intervista Bilbao dopo la sua vittoria a Lana al TOTA

Motivazioni a tutta

Essere sempre al 100% però non è facile. E non lo è né di gambe, né di testa. E Pello lo sa bene, tanto che non è mancato un suo commento anche sotto questo punto di vista.

«Chiaramente – ha proseguito Bilbao – non puoi ignorare la pressione che la squadra e magari la stampa ti mettono addosso. Sono cose che a volte possono farti perdere la motivazione. Pertanto come in tutte le cose della vita, devi stabilire dei limiti e sapere come stabilirli. Passiamo metà della nostra vita a lavorare e se non ci piace quello che facciamo, è dura aspettare le ferie». Come dire: “Devi cercare di essere felice e amare ciò che fai”: il senso è questo.

A Lienz Bilbao (in seconda ruota) ha sofferto il freddo e forse anche un po’ la pressione. Alla fine ha chiuso il TOTA 4° nella generale
A Lienz Bilbao (in seconda ruota) ha sofferto il freddo e forse anche un po’ la pressione. Alla fine ha chiuso il TOTA 4° nella generale

Pressione sì o no?

Si è parlato di pressione, forse questo aspetto è l’anello non diciamo debole, ma meno resistente del basco. Pello è un generoso, un buono, un corridore coriaceo, ma quando arriva il momento clou magari preferisce defilarsi, meglio aiutare un leader. Chiaro, sono sensazioni che si hanno da fuori. Ma ci viene in mente per esempio la tappa finale del Tour of the Alps di quest’anno.

Bilbao aveva dominato la corsa sin lì. Eppure quella mattina sotto la pioggia battente di Lienz c’era nell’aria che qualcosa potesse accadere. Non era scontato che “portasse la nave in porto”. Poi magari quella notte non era stato bene, chissà… però il dubbio resta.

Questo non vuol essere un limite che vogliamo affibbiare ad un grande atleta. Alla fine sono cose che valgono per tutti. E anche sfingi apparentemente dai nervi d’acciaio come Pogacar o Evenepoel hanno fatto i conti con questo aspetto. O lo stesso Vingegaard questa estate dopo la vittoria del Tour.

L’immagine (sfocata in quanto uno screenshot a video) del ringraziamento di Caruso a Bilbao: due uomini di grande spessore morale
L’immagine (sfocata in quanto uno screenshot a video) del ringraziamento di Caruso a Bilbao: due uomini di grande spessore morale

Gas spalancato

Ma torniamo a Bilbao e alla stagione che verrà. In Italia è molto amato. Sia per quel gesto memorabile quando aiutò Caruso verso l’Alpe Motta, sia perché è un fedelissimo del Giro. Per Pello sei partecipazioni nella corsa rosa: è il grande Giro a cui ha più partecipato in dodici anni di carriera. Ma quest’anno con ogni probabilità non lo vedremo al via dall’Abruzzo.

«L’idea – spiega Bilbao – è di partire forte ed essere competitivi sin da subito. Inizierò a correre in Australia. Poi farò la Strade Bianche, il Giro dei Paesi Baschi e le classiche delle Ardenne. L’obiettivo principale della stagione sarà il Tour de France. Le prime tappe, nei Paesi Baschi, sono di casa e so già che vivremo forti emozioni. Cercherò di vivere l’esperienza nel miglior modo possibile».

Con le Grand Deepart da casa è comprensibile che Bilbao sia al via del Tour e tutto sommato questo apre uno spiraglio in più per vedere Caruso di nuovo al Giro. E’ lecito ipotizzare che la Bahrain-Victorious possa smistare i suoi capitani.

Pello Bilbao in azione, quest’anno il basco in corsa ha macinato 10.747 Km in 67 giorni di gara
Bilbao in azione, quest’anno il basco in corsa ha macinato 10.747 Km in 67 giorni di gara

Contratto d’acciaio

Lo stimolo sarà doppio per Pello: il Tour da casa e un calendario diverso. Se l’obiettivo è crescere,  magari trasformando diversi secondi posti in vittorie, è anche quello di continuare ad essere costanti. 

Lo scalatore basco grazie alla sua costanza è stato il 16° nel ranking UCI di quest’anno, il primo della sua squadra. Da solo ha portato circa il 13% dei punti per il famoso triennio 2020-2021. Probabilmente anche per questo in estate gli è stato proposto un prolungamento di contratto fino a tutto il 2024. Prolungamento che lui ha accettato.

Canins, due Tour e un Giro: «Bene la tecnica, meglio la fantasia»

06.11.2022
6 min
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Uno sguardo al ciclismo femminile con Maria Canins, due Tour vinti (foto di apertura), un Giro e un mondiale cronosquadre. E per farlo partiamo proprio da una frase che la campionessa ci disse qualche tempo fa. In un’intervista alla vigilia delle Olimpiadi, Gabriele Gentili le chiese se seguisse ancora il ciclismo femminile.

La Canins rispose così: «Un po’ sì… Forse andrò contro corrente, ma ho sempre pensato che il grande errore del ciclismo femminile sia stato quello di andare troppo dietro a quanto fanno i pro’, quando invece bisognerebbe scegliere una propria via, più semplice, più divertente. Il paragone con l’altro sesso sarà sempre perdente, è come paragonare la gara dei 100 metri maschile in atletica a quella femminile, sarà sempre la prima ad attira.

«Non capisco come facciano a correre con quegli auricolari sempre nelle orecchie, io non li avrei sopportati. A me piaceva correre e inventare, un giorno andava bene e l’altro magari no, ma così era più divertente».

Sei sempre del parere che cercare di paragonare il ciclismo femminile a quello maschile sia sbagliato dopo un anno così intenso per il ciclismo in rosa?

Per me ve bene tutto, il paragone ci sta, ma non deve essere troppo. Va a finire che con troppe gare ci si stanchi e si stanchino le atlete, perché rispetto agli uomini hanno lo stesso calendario, ma sono di meno. Quella a cui abbiamo assistito è stata una stagione davvero ricca di gare.

Troppe gare finiscono per annoiare dunque?

Se non ti fermi mai, arriva il momento in cui poi ti stanchi, che smetti di divertirti, perché almeno per me parte tutto da lì: dal divertimento. E magari va a finire che molli. Devi avere il tempo per te stessa. Ricordiamoci che parliamo di ragazze giovani.

Con la Vuelta che aumenterà man mano le sue tappe, presto avremmo tre grandi Giri anche tra le donne. Hai seguito la presentazione del prossimo Tour Femmes?

Non troppo, ma so che non c’è tanta salita. Almeno così mi hanno detto. Che c’è solo una tappa di montagna.

Mondiali 2022, la Canins ha esaltato il gesto tecnico-atletico della Van Vleuten nel finale
Mondiali 2022, la Canins ha esaltato il gesto tecnico-atletico della Van Vleuten nel finale
Che ci sia un solo tappone è vero, tra l’altro si scalano Aspin e Tourmalet, ma per noi è un tracciato molto duro. La salita non manca e si fa fatica a trovare una frazione per velociste pure…

In effetti in Francia di piatto piatto c’è ben poco. La pianura francese è sempre un po’ vallonata. Però mi fa piacere che ci siano queste tappe di alta montagna così prestigiose. In generale mi piace questo ciclismo moderno, è tornato più d’attacco come in passato

Però rispetto al passato è stato fatto un bel balzo in avanti…

Sicuro, in confronto a noi non c’è paragone. La Cappellotto mi tiene informata e mi dice che da qualche anno girano anche bei “soldini” per le ragazze, è tutto un altro mondo. Noi eravamo le appassionate che correvano. Oggi oltre a buoni stipendi vedo i bus, i massaggiatori, staff importanti… Bello.

E a Maria Canins sarebbe piaciuto correre in questo ciclismo?

No – risponde secca l’altoatesina – e il primo motivo per cui dico no è che non sarei stata in grado di accettare chi mi guidava dalla macchina: «Vai, aspetta, attacca». Per me il ciclismo era come giocare a carte. E ne ho perse di corse… A volte sbagliavo, ma seguivo le mie gambe. Anche io avevo il mio direttore sportivo che mi diceva di aspettare, e io magari non lo ascoltavo, ma non c’erano gli stessi vincoli di oggi. E poi non mi piacciono le radioline.

Sulle radioline (si vede il filo sul petto della Paladin) la Canins mette il veto: incidono troppo sul suo modo di concepire il ciclismo
Sulle radioline (si vede il filo sul petto della Paladin) la Canins mette il veto
Concetto che avevi espresso anche la volta scorsa…

Avete visto che bello il mondiale? Con la Van Vleuten che, mezza morta, è riuscita a restare attaccata alle altre e rientrando da dietro le ha passate tutte senza che queste potessero più fare niente. Secondo voi sarebbe successo se avessero avuto le radioline e avessero detto a quelle davanti dei distacchi o ciò che succedeva dietro? O l’austriaca che ha vinto le Olimpiadi. Oggi le atlete senza radioline sono come api che vagabondano in cerca del fiore giusto.

Pensiero chiaro, ci sembra di aver capito: un ciclismo professionistico e d’avanguardia, ma senza radio?

Via le cuffie dalle orecchie e sarebbe un ciclismo di nuovo più semplice, altrimenti diventa un po’ come fare sport ai videogiochi. Se tu vuoi vincere invece devi stare attenta, devi osare. Io per esempio correvo davanti per due motivi: uno, perché in gruppo ero imbranata. E due, perché stando lì controllavo sempre chi scattava, chi c’era, chi non c’era, chi stava bene. 

Massaggiatori, preparatori, diesse… ti sarebbe piaciuto avere queste figure professionali al tuo fianco?

Io venivo dallo sci di fondo e lì i massaggi a quell’epoca non si sapeva neanche cosa fossero. Quando arrivai nel ciclismo mi chiesero: «Maria vuoi un massaggio?». E io risposi: «Un massaggio? E perché?». Ricordo che ad un Giro del Veneto vedevo che li faceva una ragazzina di 19 anni e io a 30 anni non li avevo mai fatti. E idem con i nutrizionisti. A me è sempre piaciuto mangiare di tutto, ma con moderazione… Come faccio ancora oggi del resto.

Bus, nutrizionisti, massaggiatori, materiali evoluti, team più strutturati… Maria è favorevole a tutto ciò
Bus, nutrizionisti, massaggiatori, materiali evoluti, team più strutturati… Maria è favorevole a tutto ciò
E sul fronte della preparazione?

Facevo da sola. Io venivo da altri sport, come detto. Prima ancora del fondo c’era la corsa. La corsa è la base. Sostanzialmente ripresi le teorie della corsa e le applicai al ciclismo: allunghi, ripetute, distanze… Facevo da me. Ricordo che per le pulsazioni si appoggiavano le dita all’altezza della gola. Poi venne il cardiofrequenzimetro e fu un bel passo in avanti.

Quindi hai usato certi strumentazioni?

Sì, sì. Attenzione, io non sono contro l’evoluzione. Anzi, specie quella tecnica, mi piace. Se le ragazze per andare forte sentono di aver bisogno del preparatore, del nutrizionista o altro è giusto che vi ricorrano.

Evoluzione tecnica…

Mi è sempre piaciuta e mi affascina ancora. Sono per le innovazioni. Sono stata la prima ad usare i pedali a sgancio rapido e ad avere il computerino sul manubrio. In questo modo potevo regolarmi su quanto mancasse al traguardo volante, all’arrivo… La stessa cosa per l’abbigliamento. Oggi i capi sono super tecnici. Ed è giusto che non vadano in giro ancora con il pulmino e i completini aperti ad asciugare sui sedili per il giorno dopo. No, no… mi piace questa evoluzione e questa organizzazione.

Verre, prima stagione tra alti e bassi. E intanto pensa al debutto rosa

26.10.2022
5 min
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Alessandro Verre è uno di quei giovani italiani su cui porre le speranze. Ottimo scalatore, quest’anno il corridore lucano ha concluso la sua prima stagione da professionista nelle fila dell’Arkea-Samsic.

Una stagione che, soprattutto nella prima metà, era stata positiva. Verre aveva ottenuto anche una top ten nella prima corsa a tappe disputata, un ottavo posto nella quinta frazione dell’Etoile de Besseges e un quinto posto a primavera inoltrata al Giro dell’Appennino.

Verre si è ben integrato con la squadra francese, ha un contratto fino al 2024 (foto Instagram – @gettyimages)
Verre si è ben integrato con la squadra francese, ha un contratto fino al 2024 (foto Instagram – @gettyimages)
Alessandro, che stagione è stata dunque questa tua prima da pro’?

Una stagione di alti e bassi e non so ancora bene il motivo. Immagino perché in alcuni momenti precisi ci sono stati dei piccoli intoppi che non mi hanno consentito di fare un altro salto di qualità. E li abbiamo sottovalutati.

Per esempio…

Per esempio, eravamo in altura con la squadra e praticamente tutti ci siamo ammalati. Da lì sono andato a fare una corsa a tappe in Belgio (il Wallonie, ndr) e tra il carico dell’altura, la malattia e la fatica della corsa non ho più recuperato. E ormai era fine luglio.

Però, dicevamo, l’inizio è stato buono. Come te lo spieghi?

In effetti è stato meglio del previsto. Come me lo spiego? Boh! Forse perché nell’inverno precedente mi ero allenato molto bene. Non dico di più, anzi, le ore di lavoro nel complesso erano state anche meno, ma in Spagna in ritiro, per dire, non ci ero mai stato.

Spesso si è detto che Verre era uno di quei ragazzi che avrebbe dovuto attendere una stagione in più prima di passare. Col senno del poi era meglio attendere?

Sono convinto della scelta che ho fatto. E in Italia ancora di più: ogni anno che fai da under 23 sembra si abbiano meno possibilità di passare. Ormai diventano pro’ gli juniores…

Alessandro in stagione ha preso parte solo a due crono. Ci dovrà lavorare parecchio (foto Instagram – @gettyimages)
Alessandro in stagione ha preso parte solo a due crono. Ci dovrà lavorare parecchio (foto Instagram – @gettyimages)
C’è stato un momento particolarmente bello di questa stagione?

Ce ne sono stati tanti. Per esempio correre con Nairo Quintana è stato un privilegio, una bella esperienza. E ho potuto imparare molto su come ci si gestisce in corsa, sulla posizione in gruppo… E poi mi sono piaciuti alcuni piazzamenti che ho fatto, perché sia io che la squadra abbiamo capito che quando sono in giornata posso fare bene. Anche se nella seconda metà della stagione non è andata come volevo, almeno so che posso imparare dagli errori fatti.

A proposito di Quintana: si è sentita la “botta” della sua positività al Tour?

Sinceramente io in quel momento ero in ritiro, con un altro gruppo. Poi è stato lui che ha deciso di allontanarsi dal team. Non ne so molto di questa storia.

Con chi hai legato di più?

Con i colombiani – ride Verre – e rido perché vanno via tutti e mi tocca ricominciare! Loro sono molto simili a noi italiani: più calienti, abitudini quasi uguali e anche con la lingua era più facile.

Il lucano (classe 2001) ha concluso la sua prima stagione da pro’ con 45 giorni di corsa (foto Instagram – @gettyimages)
Il lucano (classe 2001) ha concluso la sua prima stagione da pro’ con 45 giorni di corsa (foto Instagram – @gettyimages)
Guardiamo avanti. Il 2023 si avvicina…

Io ho già ripreso ad allenarmi. Avendo finito prima (metà settembre, ndr) ho ricominciato prima. Ancora poca cosa e solo da qualche giorno. Non è ufficiale, ma dovrei iniziare a correre già a gennaio al Tour Down Under.

E ti ritrovi in una WorldTour…

Aspettiamo a dirlo! Per i punteggi okay, ma poi per l’ufficialità della licenza vediamo come va…

Okay, ma di base potresti essere al Giro d’Italia. Alzerai il braccio per esserci?

Di sicuro ci provo a chiederglielo se dovessimo farlo! Ci sono diverse tappe vicino casa. Però è anche vero che dovrò dimostrare di essere all’altezza nelle corse precedenti, più che altro per capire se ho davvero la possibilità di correrlo bene o no.

Alessandro, quale sarà lo step successivo? L’obiettivo del 2023?

Fare qualche gara WorldTour, cosa che quest’anno non ho fatto. E poi riuscire a fare qualche allenamento con i freni più tirati.

Verre in salita ha mostrato un buon rendimento. E non è poi così lontano dai migliori
Verre in salita ha mostrato un buon rendimento. E non è poi così lontano dai migliori
Cioè?

Eh, lo scorso anno essendo stato anche abbastanza libero dal punto di vista della preparazione spesso in allenamento ho esagerato. Tra viaggi e sedute di allenamento mi sono finito! Quest’anno dovremmo essere seguiti di più. Con il fatto del WorldTour i preparatori passeranno da tre a quattro.

In relazione alle lunghe trasferte stai pensando di prendere casa altrove?

Sì, in Toscana per avvicinarmi un po’. Ma è tutto in divenire.

Cosa ti manca per essere con i migliori? Soprattutto in salita, il tuo terreno…

Come detto, quando sono in giornata posso fare bene, però anche quando capitano quei momenti buoni manca un po’ di esperienza. Ma in generale dico che manca un po’ di regolarità, di costanza di rendimento anche nelle corse a tappe. Io nella prima frazione faccio sempre un po’ troppa fatica e poi mi sblocco man mano, nonostante alla vigilia faccia allenamenti abbastanza intensi. Questa cosa la studieremo con la squadra. Magari bisognerà riposare di più. E tutto ciò rientrerà nel discorso più generale di tirare un po’ i freni in allenamento.

Lopez già guarda avanti. Pronto a prendersi l’Astana

18.10.2022
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Una vittoria al Tour of the Alps e un podio sfiorato alla Vuelta, ma anche una grossa tegola al Giro d’Italia. La stagione di Miguel Angel Lopez si archivia con qualche acuto e qualche “vuoto”, più che qualche basso.

Il colombiano dell’Astana Qazaqstan ha chiuso il suo 2022 agonistico sulle strade della Veneto Classic. A Bassano del Grappa tutto si respirava fuorché l’atmosfera da ultimo giorno di scuola, almeno fino al momento di tagliare la linea del traguardo.

Bassano del Grappa. Federico Borselli, factotum dell’Astana, controlla le ferite di Lopez
Bassano del Grappa. Federico Borselli, factotum dell’Astana, controlla le ferite di Lopez

Finale in crescendo

Linea che Lopez ha superato con tagli ed escoriazioni sulla mano e ad un braccio. E’ caduto in salita in un momento chiave della corsa ad una ventina di chilometri, forse meno, dal termine.

Quando arriva al suo bus nonostante tutto ci dedica del tempo. E questo va apprezzato. Quando si cade si ha voglia solo di scappare via.

«La gamba era buona in questo finale di stagione – spiega Miguel sulla scalinata del bus – oggi pensavo di fare una buona corsa, la squadra puntava su di me. Purtroppo c’è stata questa caduta in un momento importante della corsa e ho perso una buona opportunità. Ringrazio comunque i ragazzi». 

Lopez nell’ultimo periodo è andato in crescendo. Non aveva più gareggiato dalla Vuelta. Ma dall’Emilia in poi si era rimesso in carreggiata… e anche fuori. Lui infatti, nonostante non sia certo un passista, si è voluto buttare nella mischia delle due gare gravel: il mondiale e la Serenissima.

“Superman” infatti è un eccellente biker, quando è in Colombia esce in allenamento con il pluriridato marathon Leonardo Paez. E tutto sommato visto il suo peso ridotto se l’è cavata super bene tra i passistoni alla Oss e alla Van der Poel.

Stagione altalenante

Ma se il finale è stato buono, a partire dal quarto posto della Vuelta, il resto della stagione ha lasciato diversi dubbi. E lui stesso ne è consapevole.

«La stagione – sbuffa un po’ Lopez – è andata… così. Poteva andare meglio, sia per me che per la squadra. Si poteva forse ottenere qualcosa di più. C’è stato qualche momento di vuoto. Ma possiamo solo che andare avanti».

Un primo vero vuoto Lopez lo ebbe sul Carpegna. Quella contro-prestazione portò anche ad un bella strigliata da parte di Giuseppe Martinelli che non gradì l’atteggiamento arrendevole del colombiano. Dopo aver perso, come del resto tutti quanti, qualche metro da Pogacar, lui mollò del tutto.

Al Tour of the Alps invece mostrò una buona condizione e soprattutto dava l’idea di essere sul pezzo. Ma poi ecco di nuovo un momento no: lo stop al Giro d’Italia. Miguel alzò bandiera bianca quasi subito, per un enorme contrattura. Si fermò nella prima tappa italiana, quella dell’Etna. In quel caso la squadra gli fu vicina: non poteva continuare. C’è stata dunque anche una dose di sfortuna.

Con i migliori… Miguel a ruota di Mas alla Vuelta. In salita, quando sta bene, Lopez è uno dei migliori
Con i migliori… Miguel a ruota di Mas alla Vuelta. In salita, quando sta bene, Lopez è uno dei migliori

Leader unico?

Ma come dice Lopez stesso non si può che andare avanti. E questa è anche la parola d’ordine? A fine Giro, Giuseppe Martinelli ci disse che Lopez avrebbe dovuto dire una volta per tutte se fosse stato carne o pesce. E a 28 anni è anche ora. Adesso c’è un altro cambio importante che lo pone verso un’identità definita: l’addio di Nibali.

Al netto che del mercato che farà l’Astana Qazaqstan, Lopez è il leader unico. Nessun comprimario con cui condividere il peso della squadra, le gestione dei gregari in corsa… No, sarà tutto sulle spalle e questo argomento lo accende.

«Sento la fiducia – dice Lopez – so come fare ormai per preparare i grandi Giri e anche per fare altre cose. Qui sono felice di poter continuare e per fortuna non penso che questa caduta mi crei grandi problemi per l’inverno».

«Cosa mi manca per essere più costante? Bah, non saprei. Credo di essere stato abbastanza costante durante la stagione… quando ho potuto. Alla Vuelta, per esempio, ho fatto una buona corsa dall’inizio alla fine. Sono stato sempre lì con i migliori.

«Il problema – ride – è che altri vanno più forte di me. Dobbiamo lavorare».

La stagione complicata della Bahrain. Il punto con Pellizotti

02.08.2022
5 min
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Bahrain Victorious: lo scorso anno vincevano sempre, quest’anno meno, molto meno. Come mai? La questione va analizzata a 360°, per dare un’interpretazione convincente e non limitarsi a considerazioni superficiali.

Proviamo a fare un’analisi tecnica, basata sui fatti, quelli sì reali, della stagione della Bahrain Victorious e lo facciamo con uno dei suoi direttori sportivi, Franco Pellizotti. Una disamina che parte dall’inizio della primavera… e guarda avanti.

Phil Bauhaus al colpo di reni precede Nizzolo e Groves nella volata finale della Tirreno
Phil Bauhaus al colpo di reni precede Nizzolo e Groves nella volata finale della Tirreno
Franco, cosa è successo alla Bahrain Victorious? Siete partiti forte con la vittoria della Sanremo, una tappa alla Tirreno. E poi vi siete fermati…

Secondo me, non ci siamo fermati. Se andiamo a guardare bene ciò che è mancato è stato il Tour. Come avete detto voi, l’inizio è stato buono. Alla Tirreno abbiamo vinto una tappa e siamo saliti sul podio con Mikel Landa. Al Giro la stessa cosa. Al Romandia abbiamo fatto secondi con Gino Mader. Al Giro di Svizzera abbiamo vinto la prima frazione, poi siamo dovuti andare a casa per il Covid, come altri team. Il Tour sì, quello in effetti è stato sottotono.

E come mai, secondo te?

Un po’ perché se paragonato all’anno scorso la differenza si nota ancora di più. E poi perché di base abbiamo visto due squadre, Jumbo-Visma e UAE Emirates, che hanno fatto man bassa. Io dico che nel complesso non siamo andati male. Siamo sempre lì. Sono mancate le vittorie. Faccio un esempio: nelle prime tre tappe del Polonia abbiamo fatto secondi, terzi, secondi. Se due di questi tre podi fossero state vittorie già sarebbe stato diverso. E’ mancata qualche vittoria.

Mohoric, uno degli uomini simbolo della Bahrain Victorious, al Tour non si è espresso sui suoi livelli
Mohoric, uno degli uomini simbolo della Bahrain Victorious, al Tour non si è espresso sui suoi livelli
L’assenza di un corridore importante come Colbrelli si sente…

Esatto. Sonny non lo abbiamo mai avuto e lui è un vincente. Jack Haig per un motivo o per un altro, tra salute e cadute, non è mai stato al 100%. Non è facile, ma se guardo a come andiamo non è male. E’ che lo scorso anno nella seconda metà della stagione vincevamo anche se giocavamo a freccette! E questo fa risaltare ancora di più la situazione attuale. Purtroppo o per fortuna, ci sono anche questi momenti e tutto sommato è il bello e il brutto del ciclismo. 

Uno dei corridori che più è mancato e proprio al Tour (oltre a Damiano Caruso ritiratosi per Covid) è stato Matej Mohoric: cosa è successo allo sloveno?

Vero, è mancato. E infatti anche con i medici stiamo cercando di capire. Quello del Tour non era il suo livello. Probabilmente ha contratto un virus. Al Giro di Slovenia andava forte, molto forte. Si giocava le tappe. In salita non era con quei due (Majka e Pogacar, ndr) che erano fuori categoria, ma stava bene. Aveva ottimi valori, era su quelli del 2021. Poi al Tour non andava. Abbiamo iniziato ad analizzare la cosa e siamo venuti a sapere che aveva avuto dei positivi a casa. Lui non è mai risultato positivo, ma magari aveva contratto il virus anche Matej.

Non solo non ha vinto, ma neanche in fuga è andato, non si è visto…

Sì, e non è da lui. Mohoric anche se non è al 100% la fuga la prende, lotta, poi magari si stacca ma c’è. In corsa lo vedi. Non solo, ha finito il Tour molto stanco e non è da lui.

Però la stagione non è finita e la Bahrain Victorious può guardare avanti. C’è la Vuelta in vista. Come ci arrivate?

I ragazzi si sono preparati bene e vediamo come va. Landa riprende oggi alla Vuelta Burgos, non è super però ha svolto un buon avvicinamento. E’ okay con il peso che è un po’ il suo tallone d’Achille e può crescere. Mader anche ha ripreso. Ecco, lui sta bene è molto motivato ed è euforico e di solito Gino non è così. E’ un ragazzo che si espone poco. Abbiamo Buitrago: lui ha fatto un ottimo Giro, ha vinto una tappa. Gli abbiamo lasciato parecchio tempo per recuperare. Sappiamo che non possiamo chiedergli molto, anche perché è un giovane ed è al suo secondo grande Giro stagionale.

Dopo 2 mesi e 3 giorni, Mikel Landa torna oggi a correre a Burgos. Non gareggiava dal Giro dove fu terzo
Dopo 2 mesi e 3 giorni, Mikel Landa torna oggi a correre a Burgos. Non gareggiava dal Giro dove fu terzo
Con che obiettivi concreti partite per la Spagna?

Con Mikel alle corse si va per vincere. Non mi piace nascondermi e dire che puntiamo ad una top cinque o a un podio. Si punta molto in alto. Abbiamo strutturato un team forte intorno a lui e Mader. Poi il podio del Giro gli ha ridato fiducia.

Davvero? Credevamo che il non aver vinto la corsa rosa fosse stata più una “botta” per lui…

No, botta no! Vero, era partito per vincere però analizzandola a mente fredda erano diversi anni che non saliva sul podio di un grande Giro e il livello alla fine è stato alto. E poi la Vuelta è particolare rispetto al Giro e al Tour.

Definiamo particolare…

E’ il terzo Giro di stagione e bisogna vedere come ci si arriva. Ci sono i corridori del Tour che cercano riscatto, ma magari sono stanchi. E’ una corsa che può riservare sorprese. E può riservarle anche in virtù dei suoi percorsi. Il Giro e il Tour sono più regolari. Alla Vuelta ci sono tante salite, magari ripide ma molto meno lunghe. E’ una corsa per attaccanti.

Rispunta Mader. Poche chiacchiere e tanta sostanza

31.07.2022
4 min
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Esattamente come Remco Evenepoel, Gino Mader non correva dallo scorso 26 giugno. Anche lui aveva disputato il campionato nazionale e anche lui poi si era fermato.

Solo che il belga, aveva vinto in primavera, tanto da mettere nel sacco la Liegi, Gino invece si era visto poco. Attenzione, è chiaro che non stiamo qui a paragonarli. Remco appartiene a quella elite di 4-5 fenomeni che stanno caratterizzando questa epoca, mentre Mader è un gran bel corridore.

Ma proprio perché è un ottimo atleta, vogliamo sapere come mai si è visto poco sin qui.

Mader (classe 1997) è rientrato ieri a San Sebastian, chiudendo in 29ª posizione
Mader (classe 1997) è rientrato ieri a San Sebastian, chiudendo in 29ª posizione

Rientro basco

Ne parliamo con lo stesso corridore della Bahrain Victorious. Lo scorso anno fu una delle rivelazioni. Vinse al Giro, vestì la maglia di miglior giovane alla Vuelta. Se la giocò in salita con Roglic.

«Mi sono allenato bene dopo la pausa per Covid – dice Mader – Era la prima volta che facevo la Clasica di San Sebastian pertanto non avevo informazioni e l’ho presa un po’ come è venuta. E’ stata una corsa di alto livello. C’erano alcuni che venivano dal Tour e mi aspettavo volassero. Io ho cercato di tenere duro, di essere lì proprio in quel momento.

«E’ vero, lo scorso anno è stato incredibile come le cose siano andate per me. Ho avuto un gran successo, sono molto felice della stagione passata».

Lo scorso anno al Giro d’Italia vinse la tappa con arrivo in salita a San Giacomo
Lo scorso anno al Giro d’Italia vinse la tappa con arrivo in salita a San Giacomo

Alti e bassi

Invece questa stagione non è nata sotto un’ottima stella. Non che sia da buttare, si cresce anche così, però già nelle prime gare qualcosa non girava al meglio.

«All’UAE Tour – riprende Mader – non avevo raggiunto ancora il mio livello. Alla Parigi-Nizza invece mi sono ammalato e non l’ho potuta finire. Mi sono fermato, mi sono rimesso giù e al Giro dei Paesi Baschi piano piano ho ripreso il mio ritmo. Mi sono sentito meglio sopratutto negli ultimi giorni».

Però da lì la condizione è andata ad aumentare e al Romandia, corsa di “casa” Mader è andato benone. E’ stato secondo nella generale alle spalle di Vlasov. Nessun acuto di tappa, ma una corsa di costanza e sostanza.

«Al Romandia sono stato forte. Ma subito dopo mi sono fermato ancora per andare in altura. Per preparare il Tour, ma…».

Per lo svizzero un ottimo Romandia. La regolarità è un punto di forza di Mader
Per lo svizzero un ottimo Romandia. La regolarità è un punto di forza di Mader

Covid sì, Tour no

Ma il Covid ci ha messo lo zampino. Mader era in netta crescita. Un ragazzo in piena: la forma che cresce, la convinzione e l’autostima che vanno di pari passo dopo il Romandia e dopo il 2021.

«Non avendo partecipato al Giro – riprende Mader – quest’anno mi stavo focalizzando sul Tour ma non ci sono potuto andare per il Coronavirus, che ho preso al Giro di Svizzera. Sin lì ero sui mie valori, stavo bene».

In questi casi si rischia davvero molto. Non per il Covid, ma perché ormai abbiamo imparato che se ci sono degli intoppi a metà stagione, e peggio ancora la prima parte non è stata stellare, è facile che le cose non si sistemino.

Nel ciclismo di oggi è complicato andare alle corse dovendo rincorrere la condizione. Non è più come una volta. Gino invece sembra aver superato brillantemente questo ostacolo. La gamba buona, l’entusiasmo anche.

Al Romandia, Mader è stato secondo a 50″ da Vlasov (a sinistra)
Al Romandia, Mader è stato secondo a 50″ da Vlasov (a sinistra)

Crono e.. testa

E quindi può guardare avanti. Il suo calendario appare abbastanza fitto. Dopo San Sebastian ancora molta Spagna per lo svizzero.

«Andrò a Burgos e dopo Burgos dovrei essere pronto per la Vuelta. E poi ancora vedremo…».

Dello svizzero lo scorso anno ci colpì la sua caparbietà (e anche la sua vena ecologista a dire il vero). Gino Mader è un lavoratore serio e metodico. E per questa aveva cercato di lavorare su quelle che erano le sue lacune: vedi la crono.

«Sicuramente – dice Mader – la cronometro è uno dei punti su cui mi concentro sempre, ma lavori di forza, salita, sprint… sono tutti punti fondamentali e non ce n’è uno in particolare da rimarcare.

«Di sicuro mi sono allenato di più su come penso e su come mi comporto in gara. Ho cercato di migliorare la mia capacità mentale. Il lavoro fuori dalla bici, è tanto importante quanto l’allenamento in sella».

Bettiol fa la foto al suo Tour. Ne esce con gamba e speranza

30.07.2022
5 min
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Quando lo raggiungiamo, Alberto Bettiol è su un taxi. Sta andando all’aeroporto che lo condurrà a San Sebastian, dove oggi correrà la classica basca.

Il toscano della EF Education-EasyPost è reduce dal Tour de France. Un Tour che non gli ha regalato la gioia della vittoria ma che lascia speranze, almeno secondo noi. E tutto sommato anche secondo il diretto interessato.

A Megeve per Alberto Bettiol la consolazione del numero rosso
A Megeve per Alberto Bettiol la consolazione del numero rosso

Il bilancio francese

«In effetti questo Tour – spiega Bettiol – mi lascia belle sensazioni e belle prestazioni. Il fatto di essere riuscito ad arrivare davanti non era così scontato.

«Di certo riparto con più fiducia in me stesso. E con più fiducia nel lavorare e nel lavoro fatto. Quando passi un anno ad allenarti e non hai risultati, credetemi, che non è facile. Posso prendere la preparazione con tutt’altro approccio».

Sin qui Alberto aveva dato piccoli segnali solo al Giro di Svizzera. La sua primavera era stata costellata nuovamente da problemi di salute, questa volta legati al Covid. Non solo è andato bene Bettiol, ma è andato bene in una grande corsa a tappe e in qualche modo lui stesso ne è sorpreso.

«Certo, perché di fatto io lo scorso anno ho smesso di correre a luglio. Agosto, settembre e ottobre non mi sono allenato e non era detto che sarei potuto essere competitivo in un grande Giro. Ti serve continuità, specie per la seconda e terza settimana. E invece ne sono uscito bene».

A Losanna il quinto posto, per Bettiol è stato il momento che ha segnato la svolta
A Losanna il quinto posto, per Bettiol è stato il momento che ha segnato la svolta

La svolta di Losanna 

Un corridore per sentirsi al meglio deve superare dei passaggi obbligati: fare una buona preparazione, sapere di stare bene fisicamente, di essere in linea col peso… però perché tutto funzioni serve una scintilla. Quella scintilla Bettiol l’ha avuta nel giorno di Losanna, quando fu quinto.

«Credo che quello – racconta Alberto – sia stato un momento importante. Sin lì avevamo avuto Cort in maglia a pois, prima ancora non avevamo preso al maglia gialla solo perché Pogacar aveva vinto a Longwy, in più dovevo stare vicino a Uran e Powless.

«Quel giorno invece la squadra mi ha dato fiducia, i compagni avrebbero lavorato per me. Io ho risposto presente. Ho detto loro che stavo bene. Magari mi ero visto poco da fuori, ma ero andato bene. Nella tappa del pavé per esempio avevo lavorato per Uran. Poi chiaro che su quell’arrivo con Pogacar e Van Aert in quelle condizioni vincere sarebbe stato quasi impossibile».

Il momento in cui a Mende aveva per un attimo staccato anche Matthews (che si nota alle sue spalle)
Il momento in cui a Mende aveva per un attimo staccato anche Matthews (che si nota alle sue spalle)

Errori o emozioni

Due fughe, e di quelle buone, Bettiol le aveva azzeccate. Tatticamente secondo Garzelli nelle sue pagelle non era stato impeccabile. Soprattutto in occasione della vittoria di Cort, mentre lo stesso Garzelli dava più colpe al team nel giorno in cui Alberto fu secondo alle spalle di Matthews.

«Durante un grande Giro – ribatte Bettiol – è difficile essere sempre lucidi al massimo. Bisogna ritrovarcisi in corsa. Certi momenti sono fatti anche di emozioni, di voglia di vincere. In ammiraglia ci credevano più di me.

«Nel giorno di Matthews, mentalmente mi rivedevo la tappa di Stradella quando saltato Cavagna andavo a vincere. E così avevo fatto con lui. Invece ho trovato un corridore più forte di me, che ha resistito di più. Quel giorno ha vinto il più bravo, non il più forte. Ha stretto i denti, ci ha creduto. Spero di batterlo in Australia a casa sua… (il riferimento è ai mondiali di Wollongong, ndr).

«Riguardo alla tattica, non è vero che Powless non mi ha aiutato. Anzi, si era staccato, è rientrato ed è andato a tirare poco prima dell’ultimo strappo. Per quanto riguarda Uran, non è mai stato troppo bene in questo Tour e anche io certe volte, ho lavorato per lui convinto di non essere al top. Poi mi giravo ed eravamo rimasti in tre. E lo stesso Rigo mi ha detto: “Oh, ma guarda che vai forte”. E’ difficile da dentro».

Nel complesso per Bettiol si tratta di un buon Tour de France. Il toscano molto attivo anche a Parigi
Nel complesso per Bettiol si tratta di un buon Tour de France. Il toscano molto attivo anche a Parigi

Verso San Sebastian…

E la prima occasione per tornare ad esultare, Bettiol ce l’avrà questo sabato nella gara basca. Il toscano l’ha già affrontata una volta. Era il 2017 e ottenne un buon sesto posto. Anche in quella occasione veniva dal Tour.

«Un po’ l’hanno indurita – riprende Bettiol – non c’è più solo la Jaizkibel. Normalmente è più una classica per scalatori e simili, che per cacciatori di classiche vere e proprie. Però ci arrivo bene: non sono stanco, non ho malanni vari, mi sento in salute e consapevole di aver fatto un buon Tour quindi si può fare bene».

Un paio di giorni fa per esempio, Alberto è uscito con Simon Clarke, con Cataldo e Chirico. Ha fatto quattro ore e mezza e stavo benone. Poi certo, l’allenamento è una cosa, la corsa un’altra. Bisogna stare bene nel giorno della gara e azzeccare il momento giusto.

Bettiol e Trentin (alla sua ruota), ma anche Nizzolo, Pasqualon e Ballerini sono i “pesi massimi” della nazionale di Bennati
Bettiol e Trentin (alla sua ruota), ma anche Nizzolo, Pasqualon e Ballerini sono i “pesi massimi” della nazionale di Bennati

E verso il mondiale

Prima Bettiol ha detto una frase che ci ha riempito di grinta. Ci riferiamo al grido di battaglia lanciato non tanto a Matthews ma sul mondiale.

«Il mondiale un obiettivo? Certo che lo è. C’è sempre stato dentro di me e da quando Bennati è tornato dal sopralluogo ci sentiamo un giorno sì e uno no.

«A vederlo da qua sembra non perfetto per me, forse è un po’ troppo facile. Sembra un mondiale stile Bergen… però è un mondiale. Qualche strappo c’è, la corsa è lunga ed una vera classica. Ho un sacco di voglia di farlo, visto che sono due anni che manco. E poi abbiamo un bel gruppo e ci conosciamo da anni. Trentin che sta riprendendo ed è andato in fuga. Nizzolo e Ballerini che hanno vinto…».