Mohoric ha vinto la Milano-Sanremo. Caruso che lo abbraccia. Tratnik che non sta nella pelle. Attorno al pullman del Team Bahrain Victorious si respira la sbornia per il secondo Monumento consecutivo, dopo la Roubaix di Colbrelli.
Al settimo cielo
Matej arriva a parlare con la stampa un’ora e mezzo dopo l’arrivo, ma il suo sorriso non è per questo meno raggiante e in certi momenti incredulo. Ha vinto la Milano-Sanremo con un attacco nella discesa del Poggio e grazie a una di quelle intuizioni che fanno di lui un corridore speciale.
«Non dico che gli altri non siano lucidi – spiega Pellizotti al settimo cielo – ma lui sin da ragazzino ha sempre messo in ballo una grande capacità di analizzare le cose».
Accanto a lui c’è Volpi, alla sesta Sanremo vinta. Il diesse lombardo aspetta Mohoric impegnato nella conferenza stampa e ne custodisce gelosamente la bici.
«Ha fatto lui tutte le prove di questo reggisella – dice indicando il tubo telescopico – e io mi sento come Claudio Villa (ride, ndr) che vinceva sempre il Festival di Sanremo. L’ho vinta in ammiraglia con Petacchi, Nibali e Mohoric. Da corridore insieme a Bugno, Furlan e Colombo».
Il reggisella telescopico
Il reggisella telescopico sulla Merida, il segreto dell’attacco in discesa. E’ venuto di proposito su queste strade per provarne i settaggi e non si è fermato finché non ha avuto la certezza di aver trovato la giusta misura. Ha usato la Scultura, perché compatibile con il componente attualmente in commercio e dopo aver ottenuto l’autorizzazione dell’UCI.
Mohoric ha usato una scultura per poter montare il reggisella telescopico Il comando grip shift sul manubrio, per alzare ed abbassare la sella Un telescopico da mountain bike comprato sul web e approvato dall’UCI Guarnitura più grande da 55 dovendo fare la differenza in discesa
«Era da tutto l’inverno che pensavamo a questo piano – spiega il vincitore – e i nostri partner Merida e Vision hanno lavorato perché fosse possibile. Un reggisella telescopico da mountain bike, niente di strano. Le prime prove le abbiamo fatte con escursione da 20, ma era troppo e siamo scesi a 16, anche se in tutto può abbassarsi di 6-7 centimetri. C’è un comando grip shift sul manubrio, con un colpo lo abbassi, con un altro lo alzi. L’ho abbassato in cima al Poggio e qualche volta l’ho rialzato, nei tratti in cui dovevo pedalare. Per un fatto di sicurezza, credo che potrà essere il futuro di tante corse.
«Lo abbiamo comprato su internet e lo abbiamo montato sulla Scultura perché ha il reggisella tondo. Nessuno lo aveva mai montato in gara, perché pensava che non servisse. E io che abito a Monaco, quest’inverno sono venuto qua decine di volte con la macchina e facevo anche 4 ore salendo e scendendo dal Poggio. L’avrò provata tremila volte ed è andata bene. Stamattina, scherzando, andavo accanto ai favoriti e cantavo la sigla di James Bond, dicendogli che avevo l’arma segreta e di non seguirmi in discesa. Mi hanno guardato come fossi matto…».
Un sabato importante
Non era sicuro che potesse correre ed essere brillante. La caduta alla Strade Bianche appresso ad Alaphilippe gli ha provocato una brutta infiammazione al ginocchio, che gli ha fatto saltare la Tirreno-Adriatico.
«Sono tornato a casa – dice – e sono rimasto per 3-4 giorni senza pedalare, ma andando tutte le mattine a fare terapia. Tanto che un giorno il fisio mi ha chiesto perché diavolo ci tenessi tanto e io sorridendo gli ho risposto che avrei avuto una corsa importante questo sabato. Ho potuto allenarmi bene per quattro giorni e alla fine è andata meglio a me di tanti ragazzi che hanno corso e si sono ammalati».
Una sola chance
Quando ha capito di avere le gambe per resistere alle bordate di Pogacar, Van Aert e Van der Poel sul Poggio, nella sua testa è scattato il piano.
«Sapevo di avere una chance di prendere vantaggio – dice – e ho voluto fare la mia parte. Ho sprintato per la vita in ogni curva. Ero super concentrato. Scattavo a 450 watt e speravo che dietro si guardassero e non ci mettessero la stessa determinazione. In questa discesa ho messo a frutto tutte le acrobazie che facevamo da ragazzi in Slovenia quando costruivamo delle piste nei boschi e ci buttavamo giù. Questo, unitamente agli allenamenti sulla bici da strada, mi ha insegnato a spingermi oltre i miei limiti, imparando dai miei stessi errori.
«Ed è il motivo per cui dopo la brutta caduta del Giro scorso, non ho cambiato la mia mentalità. Non mi fermo per la paura, perché io so il motivo di quell’incidente. Il pedale che toccò e fece da perno. Non sono diventato più prudente, ma certo cerco sempre di essere nel mio limite. Anche se oggi in una curva a destra mi sono scivolate entrambe le ruote ed è stato difficile convincersi di essere in controllo (ride, ndr)».
Capolavoro Bahrain
La squadra ha fatto un capolavoro, senza Colbrelli con cui comunque non avrebbe corso diversamente.
«Avevamo una squadra forte – dice Pellizotti – ma di non avere un leader come la UAE. Sapevamo di giocarci le nostre carte in discesa e che in salita Matej non poteva staccare Pogacar e Van Aert. E’ già stato bravo se si pensa che non ha fatto la Tirreno a non staccarsi, perché oggi siamo andati fortissimo. Siamo venuti con la consapevolezza di non esser la squadra faro e di non doverci prendere la responsabilità della corsa come se ci fosse stato Sonny al cento per 100 e Matej stesso, che era un punto di domanda. Abbiamo aspettato dopo i Capi per sapere come stava. E comunque, anche con Sonny, avremmo corso così, perché Matej avrebbe giocato questa carta».
Simona Mazzoleni, l’addetta stampa sempre con il sorriso e l’Osmo che registra ogni cosa è al settimo cielo. Se tutto continuerà a girare a questo mondo, anche il 2022 promette di essere una stagione interessante.