Rebellin, Casartelli e i ricordi di Gualdi: l’ultimo dei tre

03.12.2022
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Il camionista. Le telecamere. I testimoni. La giustizia. La Germania. I cicloturisti che portano fiori, le telecamere, ma il vuoto resta. Da mercoledì, ogni chiamata o messaggio inizia da Rebellin che non c’è più. Per questo con Gualdi vogliamo provare a sentirlo più vicino. Il suo messaggio di quel giorno continua a risuonare nella testa come un grido di aiuto: «Sono distrutto. I miei 2 amici di Barcellona in cielo…».

Mirko è l’ultimo dei tre: Casartelli, Gualdi e Rebellin. Le maglie celesti chiare per combattere il caldo spagnolo, i vent’anni. E di colpo ti rendi conto che il bergamasco è il custode di quei ricordi e hai quasi paura di dirglielo, temendo come potrebbe reagire.

«Guarda quando penso a questo – le lacrime arrivano e la voce si strozza – quando penso a questo, dico che mi sarebbe piaciuto davvero sedermi ancora una volta con loro due e anche con Fusi e Zenoni. Rifare quella cena con la paella che avevamo mangiato la sera della vittoria alle Olimpiadi, tutti insieme a Barcellona. Ti dici che un giorno lo faremo, invece alla fine non se ne fa mai niente. E quando succedono questi disastri, poi ti chiedi perché non l’hai fatto…».

Mirko compirà 54 anni il prossimo 7 luglio: lo stesso giorno di Zabel, scherza, ma al Tour facevano gli auguri soltanto al tedesco. Fabio ne avrebbe avuti 52, Davide ne aveva compiuti 51 ad agosto (in apertura sul traguardo dei mondiali di Stoccarda 1991, chiusi con l’argento).

Gualdi Caruso 1990
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Gualdi Caruso 1990
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Cosa hai pensato quando hai saputo che Davide era morto?

La prima reazione è stata chiedersi perché. Poi monta la rabbia. Quindi cerchi di metabolizzare e cominci a ragionare. Finché a un certo punto ti dici di essere stato fortunato, perché tutto sommato dopo tanti anni in bici, t’è andata bene. Io ho smesso perché un’auto di fronte ha girato nella strada laterale e mi ha preso in pieno. Io però posso raccontarlo e ringrazio il cielo.

Come l’hai saputo?

Avevo appena finito l’influenza ed ero a casa in smart working. A un certo punto mia moglie arriva e mi dice: «Hai visto? E’ morto Rebellin!». Cosa dici? Ho aperto subito internet e ho visto tutto, saranno state le tre del pomeriggio. E da quel momento, non ho fatto più nulla fino alle sei di sera. Ero in una sorta di trance. La cosa assurda è che ero sullo stesso divano di quando morì Fabio. Ero arrivato dall’allenamento. Mia moglie era davanti alla tele in lacrime. «Si è fatto male Fabio – mi dice – è caduto al Tour». Mi ricordo che deve essere tornata la sera alle 20 per dirmi che bisognava cenare e di andare prima a farmi la doccia, perché ero ancora vestito da bici. Penso che dopo tante cose e tante fatiche, nessuno dei due ha potuto godersi la propria storia. Nessuno di loro ha avuto la fortuna di godersi la paternità… 

Da quanto non parlavi con Davide?

Ci scambiavamo messaggi su Instagram. La settimana scorsa mi chiama Mauro Consonni e mi dice: «Mirko, guarda, qua a Como nessuno ha ricordato i trent’anni dalle Olimpiadi. Voglio organizzare una serata al Panathlon, una cena con te, Rebellin e Giosuè Zenoni, per parlare di quel mese». Gli ho risposto subito: «Guarda, è bellissimo. Giosuè vado a prenderlo io, così non guida di notte. E Davide, se vuoi cerco il numero da qualche parte, lo contattiamo». Ero felicissimo di poterlo vedere.

Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Cosa ricordi della preparazione alle Olimpiadi?

Ho in testa l’immagine di loro due sul letto e io in fondo, perché dormivo in un’altra stanza. Eravamo in altura al Maloja, c’erano i letti matrimoniali alla tedesca coi sacchi sopra. Io ero in singola, quindi andavo da loro a rompere le balle. Fabio era simpaticissimo, una macchietta. Si rideva, si scherzava e si sparavano le solite cavolate da ventenni. Davide rideva sempre e stava al gioco. Eravamo dei ragazzi che in quel momento condividevano lo stesso sogno. Ognuno sapeva di avere le proprie carte. E sapevamo anche che unendo le forze, uno dei tre avrebbe potuto riuscirci.

Ci riuscì Casartelli…

Fu festa grande, per tutti e anche per me, anche se non vinsi. Anzi, vi dirò di più. Dopo la premiazione, accompagnai Fabio e Annalisa alle televisioni e feci un po’ da tutore. Gli dicevo che cosa gli avrebbero chiesto, cosa avrebbe dovuto fare, perché avendo vinto il mondiale due anni prima, ricordavo le cose. Li mettevo anche un po’ in guardia. 

Davide forse era il più controllato…

Inizialmente c’era un grande divario. Invece col passare dei giorni, lui forse aveva più fondo, ma per un percorso come quello di Barcellona, la condizione di Fabio e la mia iniziarono a diventare più affidabili. Pensavamo che il caldo avrebbe fatto più differenza, invece no. Quando attaccavo sulla salita e arrivava il momento di dare la botta decisiva, la salita era già finita. Perciò, quando nella fuga in cui ero io rientrò Fabio e poi attaccò, feci di tutto per stoppare gli inseguitori. Erano in fuga in tre, pedalavano verso una medaglia. Nessuno si voltò. La foto dei tre a braccia alzate sull’arrivo è l’essenza delle Olimpiadi.

Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Quanto eravate professionisti nel vostro essere dilettanti?

Ai tempi, c’era un dilettantismo bello. Però a suo modo era già un professionismo, nel senso che comunque eravamo tutti in ritiro con le nostre squadre, facevamo tutti uno o due allenamenti settimanali con i compagni. C’era chi, come Fabio, era costretto da Locatelli. Chi come me che era costretto a stare in ritiro dalla distanza. E poi Davide che tutto sommato aveva un gruppo di corridori vicino a casa, che si aggregavano a lui quando dovevano fare chilometri.

Era forte?

Era nato per essere un atleta e poi un ciclista. Io penso che la sua colazione da atleta l’avrebbe fatta sempre e comunque in ogni momento della sua vita. La colazione, la ginnastica per la schiena, lo stretching… Non era un sacrificio per lui e io per questo lo ammiravo tantissimo. Era veramente forte e lo vedevi che si stava già preparando per il professionismo. La regola era che finivi le superiori, poi facevi il militare e dal secondo/terzo anno cominciavi a stringere i tempi. Dovevi menare, passare entro il quarto anno al massimo, sennò dopo eri vecchio. Poi successe che nel 1990 fermarono me e tutti quelli di interesse azzurro con il blocco olimpico, altrimenti saremmo passati prima.

C’era fiducia che poteste vincere una medaglia?

Corremmo in tre il Giro dell’Umbria del 1992, facendo battaglia. C’era Pantani che aveva appena vinto il Giro d’Italia, ma cadde prima della crono di apertura e nemmeno partì. Era la corsa a tappe dopo il ritorno dall’altura e quindi dovevamo metterci in crisi. Voleva dire soprattutto non guardare al risultato e cercare di far fatica. Quindi attaccare, andare in fuga, correre di squadra. Non si andava fortissimo e noi percepivamo di aver fatto tanto carico. Così erano già cominciate le voci su cosa avremmo potuto combinare alle Olimpiadi, ma noi sapevamo che il lavoro sarebbe venuto fuori. Vedevamo la tranquillità di Zenoni e di Fusi. E avendo vissuto negli anni precedenti quello che succedeva a livello di condizione atletica, ero tranquillo anche io. Sapevamo che la gamba sarebbe arrivata.

L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
Aver condiviso questa avventura ha creato un rapporto prezioso?

C’era come un filo che ci teneva uniti, anche se poi si stava a lungo senza vedersi. Davide lo vissi quando venne alla Polti e facemmo anche un Giro d’Italia insieme. Fabio a quel punto non c’era già più, ma ero sempre rimasto in contatto con Annalisa. In realtà più Maria, mia moglie. Scherzando diciamo che Annalisa vuole più bene a lei che a me. Quando morì Fabio, pochi giorni dopo Maria andò a casa da lei che era là da sola col bambino. E lei si lasciò andare, parlavano di tantissime cose, senza che mia moglie mi abbia mai raccontato niente. E probabilmente in quei momenti si creò anche questo doppio legame. Che poi, diciamocelo chiaramente, eravamo tre esponenti di tre squadre molto rivali fra loro. Io poi ero andato via da Locatelli e avevo vinto il mondiale, quindi quando ci si incontrava alle gare, c’era proprio una guerra aperta. Non potevi essere amico dei corridori di Locatelli.

Chi era Fabio Casartelli?

Fabio era un bravo ragazzo, determinato come noi altri due. Eravamo una squadra e sebbene fossimo stati scelti da un altro tecnico, alla fine in quella camera nacque la complicità per vincere le Olimpiadi.

C’erano punti in comune fra voi?

Anche se sotto diversi punti di vista, eravamo tutti e tre simili. Un po’ della mitezza di Davide me la sento anch’io nel carattere e ce l’aveva sicuramente anche Fabio. Si rideva e si scherzava, eravamo sempre gentili con i meccanici. C’era un bel tasso di bontà d’animo, ma non crediate che fossimo remissivi. Davide era sagace, sottile. Eravamo tutti e tre innamorati di quello che facevamo e intelligentemente sottili nel nostro modo di essere. Avevamo il fuoco che ardeva dentro e la serenità nell’affrontare le cose.

Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Di quei tre sei rimasto soltanto tu…

Ho smesso nel 2000 e Fabio non c’era già più. Davide aveva la sua strada. Ho tifato per lui da lontano. Sapete quante volte ho pensato che sarebbe stato bello lavorare per lui quando era alla Gerolsteiner? Sarebbe stato bellissimo e l’ho pensato tante volte quando ho smesso, ma non l’ho mai detto nessuno. Lui era uno che gratificava i compagni, basta vedere quello che hanno detto tutti in questi giorni. Aveva un bel modo di fare

Era davvero così buono Rebellin?

L’unico difetto che aveva, una caratteristica che rifletteva il suo essere mite, era che in alcuni casi era portato ad attendere per paura di aver sopravvalutato la propria forma, la propria condizione. Non si rendeva conto di essere lui uno dei più forti del gruppo. Una volta ai Paesi Baschi nella riunione pre gara disse che si sarebbe mosso quando anche quelli forti fossero partiti. Lo guardammo e gli dicemmo che era lui il più forte e che gli altri aspettavano lui. Però era la traslitterazione del suo carattere, nel suo atteggiamento in gara. Se avesse avuto il coraggio di perdere, il mondiale 1991 l’avrebbe vinto lui. Quando è partito Ržaksinskij, se gli fosse andato dietro lui, l’altro si sarebbe rialzato e Davide avrebbe potuto anche vincere la volata di quelli dietro.

Hai parlato con Zenoni?

A lui ho detto: «Giosuè, accetta il mio abbraccio, come quello di un figlio che abbraccia un padre». Io non ho più un papà, lui non ha avuto figli, ma so che Davide era particolare. Ho voglia di vederlo e di stare insieme anche a Fusi che non vedo da tantissimo. Credo che andremo insieme al funerale. Il viaggio verso Madonna di Lonigo sarà il momento di stringersi ancora di più.