Caccia alla maglia verde: Petacchi scopre le carte

01.07.2023
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Parte oggi da Bilbao la 110ª edizione del Tour de France, tra tutte le domande che ci accompagneranno fino a Parigi c’è anche quella che riguarda la maglia verde. L’anno scorso la vinse Van Aert con bel 194 punti di vantaggio su Philipsen. Chi riuscirà a vincerla? Sarà ancora terreno di caccia per il belga (in apertura sul podio di Parigi nel 2022) oppure tornerà sulle spalle di un velocista? 

Ne parliamo con Alessandro Petacchi, ultimo italiano a vincere la maglia verde, nel 2010. L’ex velocista, seguirà questo Tour da casa e poi volerà a Glasgow per commentare i mondiali con la RAI. 

Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”
Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”

Ricordi “verdi”

«Da quel Tour del 2010 – racconta Petacchi – è passato qualche anno, ma i ricordi si fanno più vivi quando si avvicina la Grande Boucle. Negli ultimi anni ho fatto anche le ricognizioni e mi è capitato di passare per certi posti e città dalle quali ero passato anche in quell’anno. Salire sul podio degli Champs Elysées ha un fascino incredibile, ti lascia un qualcosa dentro di indescrivibile. Quel podio rimane il più particolare del mondo ciclistico, rivivere ricordi e foto è sempre bellissimo».

Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
In quel Tour lottasti per la maglia verde con Cavendish, che oggi sarà al via di Bilbao…

Ricordo bene la tappa di Parigi, io ero in maglia verde, ma dovevo stare attento, perché a Cavendish bastavano pochi punti per superarmi. E’ stata una giornata difficile, dove però sono riuscito a fare una bella volata: ho perso, ma ho mantenuto la maglia verde.

Quest’anno Cavendish potrà lottare per la maglia verde?

Non è il primo favorito, lo metterei tra quelli con quattro stelle. Lui arriva al Tour con l’obiettivo della 35ª vittoria: per superare Merckx, gli basta una sola vittoria. Ora ci sono tanti velocisti giovani e forti, ma lui è sempre in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro. Basti pensare al 2021, arrivava senza grandi ambizioni, ha vinto quattro tappe e la maglia verde. 

Il percorso quest’anno sorride un po’ più ai velocisti?

Le possibilità sono più alte di vedere un velocista puro in maglia verde a Parigi. Tuttavia la condizione deve essere più che al massimo. Ovvio che chi va al Tour sta bene, ma a volte non basta nemmeno questo. 

Jakobsen è il velocista più forte secondo Petacchi, ma in salita soffre tanto, in foto a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Jakobsen è il velocista più forte, ma in salita soffre, qui a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Il tour favorito chi è?

Dipende dagli obiettivi suoi e della squadra, ma su tutti direi Van Aert. Può vincere o comunque fare punti nelle volate di gruppo. E potrebbe anche mettere in piedi un numero come quello dello scorso anno a Calais… Però c’è un’incognita…

Quale?

La squadra. Vingegaard corre per vincere il Tour e dovranno supportarlo al meglio, lo stesso Van Aert dovrà mettersi al suo servizio. Lo ha fatto anche lo scorso anno, però non è sempre semplice gestirsi. Sicuramente il belga va forte ovunque, anche in salita, ma in alcune tappe i velocisti potrebbero tirare il fiato e recuperare, mentre lui lavorerà per la squadra. 

Passiamo ai velocisti, chi vedi tra i favoriti per la maglia verde?

Philipsen è il più gettonato, considerando il supporto che avrà da Van Der Poel. Avere un corridore del suo calibro come “pesce pilota” può far uscire qualcosa di bello. 

Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Altri?

Il velocista più forte del mondo: Jakobsen. Se è in forma ha davvero un qualcosa di incredibile. Nel suo caso la squadra lavorerà tutta per lui, quindi godrà di un bel supporto. Anche se c’è da dire che lui in montagna soffre tantissimo, basti ricordare la tappa di Peyragudes quando si è salvato per dieci secondi dal tempo massimo. Poi ci sarebbe Groenewegen, anche lui velocista puro. 

E’ un Tour che parte subito molto duro.

Le prime tappe saranno importanti, soprattutto la prima e la seconda. Il percorso non si addice ai velocisti e se un uomo come Van Aert dovesse già prendere la maglia verde potrebbe essere difficile tirargliela via.

Zanini al lavoro: nasce il treno Astana per Cavendish

21.02.2023
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«Era la prima volta che lavoravo con “Cav” e ho avuto un’ottima impressione. L’ho visto davvero come un leader». Stefano Zanini, storico direttore sportivo dell’Astana Qazaqstan entra subito nel merito parlando di Mark Cavendish.

Il grandissimo sprinter inglese, tra l’altro campione nazionale in carica, è approdato quest’anno al team kazako. Team che non ha mai avuto un velocista così importante nel peso della squadra stessa. Senza Lopez e senza Nibali, un corridore così rischia di delineare i connotati della squadra stessa.

L’obiettivo principale, oltre che correre e fare bene, è prendersi il record assoluto di tappe vinte al Tour de France, che al momento condivide con Eddy Merckx: 34 vittorie.

Stefano Zanini (classe 1969) è uno dei direttori sportivi storici dell’Astana Qazaqstan: è col team kazako dal 2013
Stefano Zanini (classe 1969) è uno dei direttori sportivi storici dell’Astana: è col team kazako dal 2013
Stefano, cosa ti è sembrato di Cavendish all’Astana?

Come detto è la prima volta che ci lavoro. Ho trovato un leader nei modi, nel modo di rapportarsi con i compagni. Si è subito integrato. In ritiro l’ho visto effettivamente poco, giusto un paio di giorni, ma in Oman ci sono stato di più. Mark ti coinvolge.

Sa fare squadra, dunque.

Sì, sì, parla… Per esempio nella prima tappa dell’Oman ha raccolto la squadra e ha spiegato ai ragazzi come fare per lo sprint, cosa voleva. «Facciamo così, facciamo “colà”»… E in effetti non avevo mai visto un’Astana così unita ai 200 metri dall’arrivo. Bello! E l’ho visto coinvolto anche in altre tappe: ha dato il suo contributo per Lutsenko e Tejada.

Descriviamo meglio quel “così, colà”.

In Oman aveva stabili due uomini per il suo “treno”, chiamiamolo così: Fedorov e Laas. Gli ha detto che gli dovevano essere vicini per davvero e gli ha spiegato come dovevano comportarsi nel finale. Per esempio: se diceva destra una volta, si dovevano spostare a destra di un metro. Se lo diceva due volte, di due metri… E la cosa bella è che loro lo hanno fatto e lui gli ha dato fiducia. Mark si fidava, li seguiva. In riunione gli diceva: «Tu fai così che io ti seguo».

Cav si è ben ambientato. Eccolo scherzare con Tejada, uno dei leader per la generale in Oman (foto Instagram)
Cav si è ben ambientato. Eccolo scherzare con Tejada, uno dei leader per la generale in Oman (foto Instagram)
Beh, in effetti è bello! Sono tecnicismi che da fuori non si vedono…

E poi sai, se lo dice un campione come lui, cosa fai: non lo ascolti? Il palmares conta.

Ieri è iniziato il UAE Tour e prima eravate stati in Oman, avete lavorato sul treno magari prima dell’Oman?

No, non c’è stato modo. Abbiamo soprattutto parlato. E sono rimasto stupito di come poi sia andata in corsa. Da quel che ho visto è uno stimolo per i ragazzi. Per chi deve svolgere un certo lavoro ha una determinata motivazione.

E quindi come sarà il treno che vedremo? Avete un’idea?

Al UAE Tour ci sono Bol, Gruzdev e Martinelli che vanno ad aggiungersi a Laas e Fedorov, presenti invece in Oman.  E sono già cinque nomi. Fedorov è colui che allunga il gruppo: ha una “trenata” davvero importante. Poi ci sono anche Gidich e Syritsa, il ragazzo nuovo che abbiamo preso – ha una potenza impressionante – che sono veloci e potrebbero fare l’ultimo uomo.

Siete voi che decidete la posizione dei corridori nel treno o è Cavendish?

Lo si farà insieme man mano che passeranno le corse da qui al Tour (a tal proposito ieri Vinokourov ha lasciato una porta aperta anche per il Giro, ndr). L’importante è fare delle prove ogni volta che ce ne sarà occasione, anche sbagliando. E al UAE Tour ci sono già occasioni importanti (Ieri Cavendish è entrato assieme a Cees Bol nel ventaglio che ha deciso la corsa, piazzandosi terzo in volata, ndr).

Cees Bol porta fuori Cavendish nel finale della tappa di ieri al UAE Tour. Secondo Zanini, anche Fedorov può svolgere bene questo ruolo
Bol porta fuori Cavendish nel finale della tappa di ieri al UAE Tour. Secondo Zanini, anche Fedorov può svolgere bene questo ruolo
Stefano Zanini è stato un ottimo velocista e un grandioso apripista: gli sarebbe piaciuta una situazione così, scortare un campione quale Cav?

Eh, mi sarebbe piaciuto. E lo dico perché, ripeto, ho notato un’Astana ma vista prima. Avrei avuto belle possibilità con lui. Io ho lavorato con Minali, Steels, Boonen e qualcosa anche con McEwen e loro si sono sempre fidati di me. Per chi ricopre questo ruolo è uno stimolo importante per fare bene il tuo mestiere e dare tutto in gara. In diverse interviste Steels ha detto: «Quando sono in volata con Zazà, chiudo gli occhi e mi lascio portare da lui».

E secondo te Cavendish conosce il passato del suo direttore sportivo?

Boh, credo di sì! Però io non gliel’ho detto. Se posso do un consiglio, ma non sto lì a dire: «Io facevo così, o così».

Qual è quindi il segreto per un buon treno?

La fiducia, soprattutto nell’ultimo uomo. E per questo ho detto che è importante lavorare insieme. Il capitano, il velocista non deve avere mai l’intenzione di saltare su qualche altra ruota.

Martinello, il tempo massimo, i velocisti e i rapporti

10.02.2023
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Qualche giorno fa ragionando con Silvio Martinello si parlava di rapporti e di velocisti. La scelta degli ingranaggi o le nuove soluzioni che i corridori hanno a disposizione non riguardano però solo le volate. Il campione olimpico della corsa a punti a Atlanta 1996 ha spostato l’attenzione anche sui rapporti e il tempo massimo.

Stavolta il discorso velocisti-rapporti è letto a parti inverse: salite e rapporti corti, anziché volate, tappe pianeggianti e mega padelloni come il 58.

Silvio Martinello (classe 1963) è stato un grande pistard. Due medaglie olimpiche nella corsa a punti: oro ad Atlanta, bronzo a Sidney (in foto)
Silvio Martinello (classe 1963) ha vinto due medaglie olimpiche nella corsa a punti: oro ad Atlanta, bronzo a Sidney (in foto)

Volata da ultimo

Per portarvi in questo discorso vi proponiamo un esempio concreto: Fabio Jakobsen al Tour 2022.  L’atleta della Soudal-Quick Step verso Peyragudes era al limite del tempo massimo. Talmente al limite – viaggiava sul filo dei secondi – che i direttori sportivi per non rischiare di lasciare fuori gli altri corridori che lo scortavano, li avevano mandati avanti. Almeno loro sarebbero ripartiti il giorno dopo.

Gli stessi compagni aspettavano il loro velocista appena un metro dopo la linea d’arrivo (nella foto di apertura). Lo tifavano come se si stesse giocando la vittoria… quando in realtà era ultimo. Fabio ce la fece per una manciata di secondi. Poi cadde stremato.

Probabilmente qualche anno fa Jakobsen non ce l’avrebbe fatta. Non sarebbe rientrato nel tempo massimo. E non ce l’avrebbe fatta perché non avrebbe avuto a disposizione i rapporti più corti con cui “salvarsi”. Rapporti che in qualche modo oggi gli consentono di sviluppare parte della sua forza, contro il peso dei suoi muscoli, che invece in salita gli remano contro. Con un 39×25 Jakobsen si sarebbe “incatramato” su stesso.

Vedere cassette posteriori 11-34 non è così raro
Vedere cassette posteriori 11-34 non è così raro

Rapporti corti

«Oggi – dice Martinello – le nuove scale posteriori aiutano moltissimo gli atleti più pesanti e i velocisti in particolare. E lo si vede quando ci sono le grandi salite. In quei casi anche gli scalatori usano dentature molto agili. Ai miei tempi il 95 per cento delle corse le facevi con il 39×23 come rapporto più leggero. Potevi montare il 25 giusto quando c’erano il Gavia, il Mortirolo, il San Pellegrino in Alpe… La differenza era che lo scalatore quel rapporto in qualche modo lo girava, noi velocisti molto meno».

Con i rapporti attuali sono cambiate anche le preparazioni. Oggi tutti i velocisti lavorano in salita. E tutti vanno, chiaramente, alla ricerca della cadenza. Le 60 rpm dei velocisti negli ’90 sono un ricordo. Oggi come minimo si ragione su 15 rpm in più. Poi magari non si riesce a rispettarle, ma la base di riferimento è ben più alta.

«Oggi i velocisti lavorano in salita – va avanti Martinello – sia perché i percorsi sono diversi (mediamente più duri, ndr), sia perché c’è quasi sempre una salitella prima della volata. Soprattutto da quando ci sono le 12 velocità, i corridori hanno scale più ampie che gli consentono di avere rapporti più agili.

«Rapporti come il 34 all’anteriore (e pignoni come il 32-30-28 al posteriore, ndr) ti permettono di tutelare le fibre muscolari, quelle che servono fresche per lo sprint. Se le stesse fibre sono 5-6 ore in tensione, quasi come una Sfr, e per tanti giorni consecutivi (Jakobsen fu ultimo anche il giorno dopo, ndr) alla fine quella forza esplosiva per lo sprint viene meno».

L’arrivo di Peyragudes: Jakobsen arrivò ultimo a 36’48” da Pogacar. Si salvò dal tempo massimo (il 18% della tappa) per soli 15″
Peyragudes: Jakobsen arrivò ultimo a 36’48” da Pogacar. Si salvò dal tempo massimo (il 18% della tappa) per soli 15″

Tempo massimo

Ma oggi un velocista se la cava meglio in salita non solo per i rapporti più corti. Il tempo massimo è aumentato e può arrivare anche al 18% della durata della tappa. Una volta si creava la famosa “rete”, il gruppetto, perché se si finiva in tanti fuori tempo massimo l’organizzatore era “costretto” a reinserire tutti gli atleti. Era una sorta di mossa sindacale!

«Rispetto ai miei anni – va avanti Martinello – il tempo massimo oggi si è dilatato. E giustamente mi sento di aggiungere… L’obiettivo di un organizzatore qual è? Dare spettacolo e per farlo deve portare più corridori possibili al traguardo. Come per esempio gli sprinter all’ultima tappa di un grande Giro. E questo incide parecchio. Noi avevamo tempi massimi più ristretti e facevamo una grande fatica per starci dentro. Una volta avevi 30′-35′, oggi arrivano anche ad un’ora.

«Spesso si sentono critiche verso i velocisti nelle tappe di montagna perché vanno troppo piano. Ma loro fanno bene a sfruttarlo il più possibile. Questo significa che il giorno dopo hanno più energie per disputare un buono sprint».

Nella tappa di Verona al Giro 2021, lunghe chiacchierate in gruppo e ritmi blandi per quasi 190 chilometri sui 199 della tappa
Nella tappa di Verona al Giro 2021, lunghe chiacchierate in gruppo e ritmi blandi per quasi 190 chilometri sui 199 della tappa

La “rivolta” di Verona

E questo è verissimo. Proponiamo ancora due esempi concreti. Uno riguarda ancora Jakobsen che quel giorno a Peyragudes spese talmente tanto che poi non ebbe le gambe per fare lo sprint sui Campi Elisi, nonostante la “crono di recupero” nel mezzo.

L’altro esempio è una “semi querelle” rimasta nascosta risalente alla tappa di Bagno di Romagna al Giro d’Italia 2021.

Quel giorno il dislivello dichiarato era di circa 3.600 metri e la tappa era classificata di media montagna. All’arrivo un po’ tutti i corridori lamentarono invece un dislivello superiore ai 4.400 metri. La tappa, dunque, sarebbe dovuta essere classificata di alta montagna e di conseguenza sarebbe dovuto cambiare il tempo massimo (più ampio). I velocisti si lamentarono con l’organizzazione.

Furono infastiditi anche perché il giorno dopo c’era uno sprint annunciato: tappa totalmente piatta verso Verona. Una tappa che fu parecchio noiosa. Nessuno si mosse e il gruppo di fatto passeggiò fino ai -10 dall’arrivo, quando poi iniziarono le manovre per lo sprint. Sembra che questo immobilismo fosse una sorta di protesta mascherata.

«Ci sta – commenta Martinello – un velocista ci tiene molto. In certe tappe spende tantissimo e se giustamente aveva la possibilità di risparmiare qualche energia perché non sfruttarla? Una volata richiede molta forza e farla con le gambe stanche non è facile. Tanto più che le occasioni per fare gli sprint sono sempre meno».

Sprint: parliamo ancora di cadenze e rapporti

03.02.2023
4 min
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Rapporti, cadenze, volate… dalla  Vuelta a San Juan ne è uscito un bel calderone. C’è chi arrivava troppo agile, chi non riusciva a girare il suo rapporto. Alla fine il discorso è meno scontato di quel che si possa immaginare e per questo Silvio Martinello ci aiuta a capire meglio.

Non è un caso che abbiamo scelto l’ex corridore veneto. Silvio è stato sia un grande della strada che un gigante della pista e poiché il tema emerso a San Juan riguardava sia gli stradisti che i pistard quale interlocutore meglio di lui?

Martinello Villa 1999
Marco Villa e Silvio Martinello durante una Sei Giorni utilizzavano il 52×16. Oggi sarebbe impensabile
Martinello Villa 1999
Marco Villa e Silvio Martinello durante una Sei Giorni utilizzavano il 52×16. Oggi sarebbe impensabile
Silvio, partiamo dall’articolo che riguardava appunto volate e rapporti. Si parlava addirittura di 58 denti all’anteriore…

Oggi si tende a spingere rapporti sempre più lunghi che ti consentono di fare maggiore velocità, ma al tempo stesso tutto ciò implica la capacità di poterlo spingere, vale a dire la forza necessaria. Il 53×11 o 54×11, rapporti che utilizzavo anche io, erano già piuttosto duri, tanto che molto spesso avevi la sensazione di non spingerli in modo efficace. Oggi invece si va verso un ciclismo che si confronta sempre di più con la forza, anche quella a secco.

La palestra è aumentata molto…

Si fa anche durante la stagione, quando invece ai miei tempi si faceva solo d’inverno quando iniziavi a fare la base. Questo ha portato all’evoluzione a cui stiamo assistendo. Una normale evoluzione direi. Certo, leggere di certi rapporti fa un po’ effetto. Io ho smesso 20 anni fa, ma a vedere certe cose sembra sia passato un secolo. Marco Villa ed io con il 51×15 vincevamo il mondiale nell’americana. Con il 52×16 primeggiavamo nelle sei giorni. E questo è il rapporto degli allievi. E’ tutto relazionato alle velocità maggiori che ci sono.

Sempre più forza. I richiami si fanno anche a ridosso delle gare. Qui, Attilio Viviani poche ore prima di partire per San Juan
Sempre più forza. I richiami si fanno anche a ridosso delle gare. Qui, Attilio Viviani poche ore prima di partire per San Juan
Chiaro: ho più forza, spingo un rapporto più lungo, vado più forte… Eppure non è tutto così scontato o lineare, perché proprio a San Juan abbiamo visto come in tanti abbiano avuto problemi di cadenza. C’è anche chi andava sopra le 130 rpm. Esiste dunque una cadenza ottimale?

Una cadenza ottimale non esiste. Almeno ragionando sulla base delle mie esperienze dico di no. Ci sono sensibilità che variano di continuo: come stai quel giorno, come arrivi allo sprint… Io ho sempre dato precedenza alla cadenza piuttosto che alla forza.

Da buon pistard…

Non ero super potente. Se prendevi i miei rivali: Cipollini, Abdujaparov, Zabel… avevano più forza pura rispetto a me. Io ero bravo a destreggiarmi in gruppo, a farmi trovare nel momento giusto nella posizione giusta… Ma se avessimo fatto uno sprint su quattro corsie distinte sarei arrivato quarto. Ma il ciclismo è diverso e non si corre ognuno sulla propria corsia. Quindi analizzando questa evoluzione è chiaro che si è lavorato più sulla forza e non sulla cadenza.

Eppure le differenze di rapporti viste in Argentina sono state piuttosto ampie. C’è chi aveva il classico 53×11, vedi proprio i pistard italiani, e chi il 58×11…

Ai miei tempi mettevi l’11 e l’istante dopo maledicevi quel momento… perché appunto era molto duro. In questa analisi va considerato il rapporto anteriore che ti permette di “giocare” dietro, perché sinceramente faccio fatica a pensare che abbiano fatto lo sprint con il 58×11. Lo devi spingere poi…

Nelle volate, come nelle crono, si vedono più rapporti monster, ma non significa che vengono utilizzati sempre. Anzi…
Nelle volate, come nelle crono, si vedono più rapporti monster, ma non significa che vengono utilizzati sempre. Anzi…
Quello che pensavamo anche noi. Magari hanno fatto lo sprint con il 58×12…

Con il 58×12 ma forse più con il 58×13. Alla fine è lo stesso concetto di quel che abbiamo visto nei “padelloni” delle crono. Utilizzano il 58 o il 60 per spingere poi il 14 o il 15 e avere la catena che lavora più dritta, quindi ha meno attriti e meno inerzia. Vai a limare qualcosa in questo modo.

Tornando alla cadenza, Silvio, si sono viste differenze marcate. Tu hai detto che quella perfetta non esiste, ma un range ottimale ci sarà…

Quando correvano mi avevano inculcato nella testa che le cadenze erano: 60 rpm per la salita e 100 per la pianura. Ma questi ritmi non sempre eri in grado di rispettarli. Specie se c’era una salitella nel finale. Provavi a tenere, ma per andare con quelle cadenze ti ritrovavi ad essere troppo duro e finivi presto in acido lattico. In volata, come detto, ci sono molto variabili…

Okay ma poniamo un sprint “lineare” in pianura…

Diciamo che con il “vecchio” 53×11 se andavi a 110-115 rpm lottavi per qualcosa di molto importante. Ma dovevi arrivare fresco allo sprint.

Cinque sprinter italiani sotto l’occhio di Endrio Leoni

01.02.2023
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La stagione è ripartita e come di consueto lo ha fatto dando una grossa priorità alle volate. Hanno gioito per ora soprattutto sprinter stranieri. Giusto ieri ha rotto gli indugi Jonathan Milan, il quale però bisogna vedere se va inquadrato come un velocista puro.

Con Endrio Leoni , grande sprinter degli anni ’90-2000, abbiamo voluto fare un approfondimento sulle ruote veloci del Belpaese. Gli abbiamo chiesto di individuarne cinque. Cosa ci possiamo aspettare da loro? Quali sono quelle più pure che ci consentiranno di tenere alta la bandiera negli sprint più importanti?

Endrio Leoni (classe 1968) è stato un grande sprinter. Professionista dal 1990 al 2002, ha vinto oltre 30 corse… ai tempi di Cipollini
Leoni (classe 1968) è stato un grande sprinter. Pro’ dal 1990 al 2002, ha vinto oltre 30 corse… ai tempi di Cipollini

Tempi duri

Endrio schietto come era in bici lo è anche ai “microfoni” e dice subito che anche gli sprinter italiani di oggi non stanno passando un super momento.

«Faccio un po’ fatica a trovarne cinque – dice Leoni – perché un conto è il “mezzo velocista” che fa settimo, decimo… Un conto è il velocista che lotta per la vittoria. E’ un po’ lo stesso discorso degli scalatori che sento spesso. Dice: “Va forte in salita”. Okay ma se poi non vince….

«Comunque scelgo Nizzolo, Viviani, Dainese e Consonni».

Nizzolo (qui al centro) è potente ma non potentissimo, secondo Leoni
Nizzolo (qui al centro) è potente ma non potentissimo, secondo Leoni

Nizzolo, non solo potenza

E seguendo l’ordine di Leoni, iniziamo questa analisi con Giacomo Nizzolo.

«Nizzolo è uno che vince le sue 2-3 corse l’anno come minimo. All’inizio era davvero un velocista di belle speranze, aveva ottime premesse poi sul più bello ha avuto quel problema fisico, al ginocchio se ben ricordo, e questo gli ha tolto molto. Ti porta via tempo, energie mentali, toglie qualcosa al tuo fisico… mentalmente non sembra, ma si fa sentire».

«Giacomo era uno di quelli che teneva bene sulle salitelle e questa sua caratteristica mi piace molto. Vediamo se potrà arrivare al suo livello (o forse sono gli altri che sono cresciuti molto, ndr). In più è anche capace di destreggiarsi nei finali».

E anche se Nizzolo spinge e ricerca rapporti molti lunghi, Leoni non sembra essere d’accordo sul fatto che Giacomo sia un super potente.

«Non si tratta tanto del rapporto. E’ vero lui parte da lontano, ma poi devi capire anche cosa fanno i tuoi avversari. E’ potente sì, ma quel che voglio dire è che non è un Kittel».

Per Leoni, Elia Viviani (qui affiancato da Albanese, al centro), deve trovare la fiducia totale della squadra
Per Leoni, Elia Viviani (qui affiancato da Albanese, al centro), deve trovare la fiducia totale della squadra

Viviani e la Ineos

Si passa poi a “sua maestà” Elia Viviani, che più passa il tempo e più è stimato da colleghi e tecnici.

«Elia – spiega Leoni – si è un po’ perso nel tempo, almeno su strada. Ed è un peccato. Non so se sia stato uno sbaglio per lui andare in Francia e lasciare il team dove vinceva. Su strada deve rivedere qualcosa.

«Gli servirebbero almeno un paio di uomini, perché è vero che è bravo a saltare di qua e di là, ma se ogni volta sei da solo hai già fatto mezza volata e poi le gambe per l’altra mezza? La mia preoccupazione è che non so se in Ineos Grenadiers gli diano due uomini o comunque lo spazio necessario».

«Cosa mi piace di lui? Che a 33 anni ha ancora una grossa determinazione. Correre su pista e su strada a quel livello è difficilissimo. Ha qualche stagione per fare ancora bene».

Tour de France 2022, Alberto Dainese (in maglia nera) tra i giganti: Sagan, Van Aert e Groenewegen. Alberto può crescere molto
Tour de France 2022, Alberto Dainese (in maglia nera) tra i giganti: Sagan, Van Aert e Groenewegen. Alberto può crescere molto

Speranza Dainese

E veniamo ad Alberto Dainese. Complice forse la sua giovane età, Leoni si accende. L’atleta della DSM è quello più in rampa di lancio se vogliamo…

«Tra quelli nominati – prosegue Leoni – è quello che lascia più speranza. E’ un bravo ragazzino ed è veneto come me! Dovrebbe trovare una squadra a sua disposizione, sarebbe il massimo. Perché vedo che spesso è troppo indietro quando viene lanciato lo sprint. Non può sempre consumarsi per rimontare… e finire quarto, per dire. Ai 250 metri lui è 12°-13°, quando dovrebbe essere 6°-7°. Al Giro d’Italia gli ha dato una mano anche Bardet, che per carità è anche bravo, ma è uno scalatore. Lì ci serve uno sprinter forte quasi quanto te che sei il leader. Uno che sappia spingere bene il rapporto specie con le velocità (e i rapporti stessi) che ci sono oggi. Per me se lo merita, la sua gavetta Alberto l’ha fatta».

«Dainese è esplosivo. Può fare anche una volata di 180 metri. Ma poi queste sono analisi che lasciano il tempo che trovano. Ogni volata è diversa dalle altre. Magari c’è una curva ai 300 metri oppure si arriva velocissimi da un rettilineo di 1.500 metri… come quelle che preferivo io».

Consonni, che sa destreggiarsi benissimo in gruppo, potrebbe essere un ottimo apripista per Endrio
Consonni, che sa destreggiarsi benissimo in gruppo, potrebbe essere un ottimo apripista per Endrio

Consonni, apripista?

La lista dell’ex sprinter veneziano si chiude con Simone Consonni. 

«Simone – va avanti Leoni – è un gran bell’atleta, però io lo vedo più come velocista d’appoggio. In quel ruolo è ottimo… chiaramente se lui è mentalmente disposto a farlo. Può dire la sua in tante occasioni ma è un piazzato. In più tiene bene sulle salitelle».

«Per me Simone dovrebbe trovarsi un velocista di quelli super: uno Jakobsen, un Groenewegen, per dirigere il loro treno. Perché poi è la cosa più difficile quel ruolo, serve un’intelligenza tattica superiore e al tempo stesso bisogna essere fortissimi: qualità che lui ha. Potrebbe essere un Martinello, un Lombardi. Ecco, Giovanni non era super potente, ma era il più intelligente».

E il quinto?

I nomi che snoccioliamo sono tutti di buoni corridori: da Lonardi ad Attilio Viviani. Da Konychev a Fiorelli. Da Mareczko a  Mozzato

«Siamo nella schiera dei piazzati – spiega Leoni – Mareczko è il più sprinter di tutti, anche di quelli nominati prima, ma va bene per le corse più piccole. Io lo seguo da tempo. Da giovane pensavo: “Però, bravo questo ragazzo”. Ma evidentemente non è facile adattarsi tra i pro’».

«Sì, poi ci sono nomi come Trentin o Pasqualon, ma non sono dei velocisti. Sono corridori velocissimi. Anche Pantani era veloce e se si buttava in volata faceva decimo. Ma un conto è lottare tra i primi tre e un conto è farlo per il decimo posto. E’ un altro lavoro, un altro sport, cambiano le velocità, cambiano i watt. Ce ne sono 200 in meno. Un conto è fare lo sprint di testa a 1.600 watt e un conto è farne 1.400 a ruota.

«Semmai aspettiamo i giovani, come Milan ieri. Jonathan lo conosco bene. E’ un 2000, correva con mio figlio. E’ veloce, alto, potente… speriamo che possa trovare lo spazio giusto in quella squadra».

Volate a San Juan: chi voleva il 58, chi sognava il 54

30.01.2023
6 min
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E’ nato tutto da un’osservazione intercettata nel gruppo alla Vuelta a San Juan, quando uno dei velocisti ha fatto un ragionamento su Nizzolo. Dato che Giacomo non ha un treno che lo lanci, questo il senso del discorso, per le volate ha scelto di usare una corona anteriore da 56. In questo modo farà le sue volate da solo, partendo da dietro e cercando di rimontare. Se la strada è piatta o tende a scendere, non avrà difficoltà a lanciarsi, come gli successe quando vinse a Verona al Giro del 2021. Se invece il finale ha continui rilanci e lui non può prendere velocità, rischia di rimanere chiuso nelle retrovie e di non arrivare neppure in zona podio. La volata di ieri si è svolta proprio secondo questo copione.

Lo stesso concetto sull’uso dei rapporti più lunghi del solito nelle volate lo aveva approfondito Viviani nei giorni successivi. E mentre ci accingevamo a parlarne con Nizzolo, dal box della squadra italiana ci è giunto il caso opposto. Gli azzurri in gara, essendo in Argentina per acquisire base e ritmo in vista degli europei su pista, hanno usato per tutto il tempo il 53. E Pinazzi, decimo nella volata della sesta tappa, a un certo punto avrebbe spinto volentieri qualcosa di più lungo.

Nizzolo ci ha spiegato il suo criterio di scelta dei rapporti, preparandosi per una tappa a San Juan
Nizzolo ci ha spiegato il suo criterio di scelta dei rapporti, preparandosi per una tappa a San Juan

La volata lunga

Giacomo lo troviamo nel box della Israel-Premier Tech mentre si prepara per la tappa. Le gambe infilate nella maglia e i due numeri dorsali da fissare con le spille. Ascolta il tema. Solleva lo sguardo in modo interlocutorio. E poi spiega.

«Qualcosa di vero c’è – dice – prediligo davvero le volate arrivando da dietro e poi di testa. Nel senso che mi piace lanciare lo sprint da dietro e poi comunque fare una volata lunga. Non sono un velocista che viene fuori negli ultimi 50 metri, non lo sono mai stato. Invece il discorso del 56 è nato tempo fa, ho iniziato a usarlo nel 2016, quando ci feci tutto l’anno, non solo le volate».

Nizzolo spiega che il 56 gli dà una pedalata più rotonda in pianura
Nizzolo spiega che il 56 gli dà una pedalata più rotonda in pianura
Quali vantaggi ti dà?

Credo che sia anche un discorso di rotondità della pedalata, mi trovo sostanzialmente bene così. E poi la mia qualità in volata non è certo la cadenza, ma è più la forza. Allora provo a sfruttare quel rapporto. Ma vi dico che molti corridori lo usano sempre di più. Addirittura c’è anche chi usa il 58.

Se avessi un treno sarebbe la stessa cosa?

Sì, perché come dicevo, è proprio un discorso di caratteristiche fisiche. Piuttosto che l’agilità, preferisco sfruttare la forza.

Ci sei arrivato per vari step? Ad esempio hai provato anche il 58?

Non ce l’ho, altrimenti lo userei. Chiederò se c’è la possibilità di averlo. In realtà tutti pensano che il 56 sia qualcosa di durissimo, ma non è così impossibile.

Nizzolo utilizza pedivelle da 172,5, anche con una corona anteriore più grande
Nizzolo utilizza pedivelle da 172,5, anche con una corona anteriore più grande
Si riesce sempre bene a lanciarsi nelle volate o si rischia di restare chiusi?

Direi di sì, anche perché comunque al massimo si può giocare coi rapporti dietro, se le volate salgono leggermente. Resta però il beneficio che mi dà durante la tappa. E’ chiaro che in volata mi dà qualcosa in più, per come interpreto lo sprint. Però lo trovo comodo anche durante il giorno.

Monti il 56 anche sulla bici da allenamento?

Esattamente. E anche a casa ritrovo le stesse sensazioni. E chiaro che qui le velocità sono più alte, per cui il 58 mi avrebbe fatto comodo. Ad esempio, il primo giorno avevo il 55 perché avevamo pensato che ci fosse vento e invece mi sono messo le mani nei capelli, perché ero proprio fuori cadenza. Lo stesso Morkov ha detto che anche lui era fuori cadenza e aveva il 56. Quindi figurate io che di solito ho anche meno cadenza di lui. 

Nella prima tappa a San Juan, che aveva qualche curva nel finale, Nizzolo si è piazzato al terzo posto
Nella prima tappa a San Juan, che aveva qualche curva nel finale, Nizzolo si è piazzato al terzo posto

Gli azzurri con il 53

E gli azzurri? I corridori di Villa, che a un certo punto è ripartito per seguire le ragazze a Montichari, lasciando la squadra a Mario Scirea, sono venuti in Argentina per fare la base e certo non per inchiodarsi le gambe. Al rientro infatti li attendono tre giorni a Montichiari prima di partire per gli europei di Grenchen. Per questo, il tecnico azzurro ha stabilito che tutti corressero con il 53. Ecco il motivo per cui nella volata della sesta tappa, Pinazzi ha chiuso al decimo posto con la sensazione che un paio di denti in più non ci sarebbero stati male.

«Sono giovane e siamo qui per fare la gamba – spiega il corridore di Parma – ma in effetti il 54 lo avrei girato bene. La sensazione è che sei lì che già frulli, vuoi buttare giù altri due denti e non puoi. Allora fai il massimo per stare lì con loro, ma quando poi raggiungono un’altra punta di velocità, tu rimani lì.

«Già a due chilometri dall’arrivo, quando si sono messi davanti i treni, io avevo già il rapporto massimo. Quindi potete già immaginare dopo, quando hanno aumentato ancora di più, quanto girassi le gambe. Allo sprint avevo 120-130 pedalate. Detto questo, poco male: fra gli U23 corro sempre con il 53, casomai dovessi passare, si potrebbe valutare diversamente».

Il salto fra i pro’

Il suo obiettivo è passare professionista, con la pista come valore aggiunto per le prestazioni ed il curriculum. L’anno scorso sono venute due vittorie, alla Vicenza-Bionde e a Misano, e il secondo al Circuito del Porto.

«Il primo passaggio – spiega – è far bene ai prossimi campionati europei su pista. E poi vorrei una bella stagione su strada, essendo all’ultimo anno da under 23. L’obiettivo è far bene, vincere tanto e passare. Ho cominciato la stagione così, un buon decimo posto, un piccolo grande risultato e speriamo di continuare così

Il treno, la Bastianelli, l’adrenalina: il rock di Chiara

21.12.2022
6 min
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Il sorriso è inconfondibile, la sua gioia contagiosa: Chiara Consonni non cambia neanche dopo essere passata dalla Valcar Travel&Service (di cui è atleta fino a fine anno), alla UAE Adq.

La giovane bergamasca sta parlando con i nuovi fornitori del vestiario per affinare le taglie. E anche in questo caso non passa inosservata. Ribatte in modo colorato, ma mai eccessivo. Seduta ad un pianoforte nell’hotel di Lido di Camaiore ci parla del treno, delle sue volate, di come vive uno sprint… E l’intervista si trasforma in un viaggio tecnico e di emozioni.

Chiara Consonni (classe 1999) durante il ritiro a Lido di Camaiore
Chiara Consonni (classe 1999) durante il ritiro a Lido di Camaiore
Chiara, con l’ultima intervista eravamo rimasti che avevi un po’ di ansia nel passare alla UAE Adq? C’è ancora quest’ansia?

No dai – ride Chiara – niente ansia. Alla fine con i primi ritiri ho visto che ho già conosciuto tante persone, tutto è molto organizzato e funzionale. E’ un’altra cosa, chiaramente, rispetto alla vecchia squadra però sono più motivata che spaventata, mettiamola così.

Quando dici più organizzate rispetto alla alla vecchia squadra cosa intendi?

Per adesso due secondi fa stavamo discutendo del vestiario, come ci sta? Ci prendevano le misure per affinare tagli personalizzati. Curano tutto nel minimo dettaglio e anche questo ti fa capire che organizzazione ci sia dietro. Per ogni ragazza hanno un programma e delle cose diverse: tutti cercano di dare a tutte noi il massimo per essere competitive e perfette al 100%.

Parliamo di preparazione, Chiara: avete fatto due ritiri, qualche allenamento un po’ più corposo, avete iniziato a farlo?

Sì, anche se io ho iniziato un po’ più tardi perché con la pista ho finito più tardi. Nei primi giorni, siamo state impegnate con tanti meeting: foto, vestiario, test, interviste. Dalla seconda metà invece faremo un po’ di chilometri.

Tu e Marta Bastianelli siete le ruote veloci della UAE Adq. Proverete i treni?

Sicuramente. Non non vedo l’ora di provarli e mettermi a disposizione di Marta, che è un mio piccolo grande sogno, perché la vedevo come il mio idolo quando ero più piccolina. Mi ricorda quando mio fratello (Simone, ndr) si ritrovò con Viviani. Quando è passato, e imparava tirando le volate al suo idolo, al suo campione. Mi rivedo tantissimo in lui in questo momento. E poi Marta la conosco già da un anno perché siamo state compagne nelle Fiamme Azzurre.

Secondo Chiara tra le compagne del treno deve esserci una fiducia che vada oltre la bici
Secondo Chiara tra le compagne del treno deve esserci una fiducia che vada oltre la bici
E se fosse il contrario? Se sarà Marta a tirare per te?

Eh, in quel caso sì sarei più ansiosa! Non capita tutti i giorni d’imparare da un’atleta così. E non è da tutti i giorni che una del suo calibro si metta a tua disposizione. Però lo metterò in conto, cercherò di prendermi le mie responsabilità e sarò ancora più motivata. 

A proposito di tuo fratello, Simone ti ha dato qualche consiglio?

Più sulla pista che sulla strada. Mi ha sempre detto: “Divertiti e basta”. Questo per lui è l’importante, mi dice di non prendere tutto sul serio. Anche se adesso è arrivato il momento… di prenderla sul serio.

Chiara Consonni è una “rompiscatole” quando si tratta del treno? Per esempio parli molto? Vuoi essere protetta? Richiami spesso le tue compagne?

Dipende. Io cerco di fare come Elisa (Balsamo, ndr) ha fatto con me. E’ un’esperienza che spero mi sia di aiuto. Noi due ci siamo insegnate tantissimo a vicenda. Si tratta di mettere in pratica quelle piccole cose che ci ha insegnato Arzeni. Cerchiamo d’imparare dagli errori. Però secondo me, finché non sei in gara è tutta un’altra cosa. Io sono un po’ spericolata e per fortuna al mio fianco, nel treno, ho sempre avuto ragazze, persone, a cui tenevo e con le quali avevo un rapporto anche fuori dalla gara. E secondo me questo è un altro fattore importante quando si fa un treno: fidarsi delle compagne che ti portano a far la volata. 

La fiducia conta eccome…

Io, per esempio con Ilaria (Sanguineti, ndr), sapevo che mi dovevo mettere alla sua ruota e che se lei era in giornata mi portava ai 250 metri nella posizione migliore. Io non dovevo dirle: «Più avanti, più indietro, aumenta…». Sapeva già tutto lei. E questa fiducia viene dal rapporto che abbiamo fuori dal ciclismo. Alla Valcar ci ha aiutato e spero di trovarlo anche con le nuove ragazze. 

Tra passato e futuro. La Bastianelli (al centro) e la Consonni (a destra): da rivali a compagne di squadra
Tra passato e futuro. La Bastianelli (al centro) e la Consonni (a destra): da rivali a compagne di squadra
Chiara cos’è per te una volata?

Se penso a una volata, mi viene in mente sicuramente quella di Valencia dell’anno scorso. La prima volata dell’anno: sono caduta, ho fatto un volo assurdo e mi sono graffiata tutta. Squalificarono Barbara Guarischi perché aveva cambiato traiettoria. Dopo quello sprint lei mi disse: «Ma tu non potevi frenare?». Io quando sono in volata non penso di frenare. Mi vien di dare tutto, di accelerare. Ecco cos’è per me la volata… E’ difficile da spiegarlo, non so se ci sono riuscita.

E anche bene…

Mi dico che devo dare tutto in quei 30”-40”. “Chiudo gli occhi” e non guardo più in faccia nessuno fino alla linea d’arrivo per poi esultare o sbattere il pugno sul manubrio. E’ un’esplosione di emozioni. In quei secondi riesco a esprimermi al 100 per cento anche grazie alle mie caratteristiche.

E allora portaci in volata con te. Siamo ai 250 metri e?

Parto, mi alzo sulla sella, metto il rapporto giusto, perché certe volte mi è capitato di sbagliare rapporto, sguardo a terra e faccio 20” dove davvero guardo solo il computerino. Poi inizio a vedere com’è la situazione, nel senso che alzo la testa, guardo come sono messa e continuo a dare tutto fino all’arrivo. Quando tiro su la testa, guardo la linea oppure guardo anche le avversarie a che punto sono. In quel momento riesco a capire se può essere la volta buona oppure no.

Le abilità acquisite in pista, Chiara le riversa anche su strada. Ecco l’ottimo colpo di reni con cui ha vinto la tappa finale del Giro donne
Le abilità della pista utili anche su strada. Ecco il colpo di reni con cui ha vinto la tappa finale del Giro
Quanto dura una volata nella tua testa?

Per me parte dai meno due chilometri. Dopo che l’ho fatta dura 3”, ma quando sono lì non finisce più. Quando sei lì ti sembra un’eternità, ma poi è un attimo, uno schiocco di dita. E dopo l’arrivo dici: «Cavoli, mi è mancato un colpo di pedale o mezza pedalata», ma lì per lì non è facile.

L’adrenalina e la paura?

La paura non tanto, ma l’adrenalina sì: tantissimo. Mi gasa tanto stare in gruppo o avere un treno delle compagne che lavora per me. Mi aiuta poi a sprintare quando è il mio momento. 

Come lo riconosci il rapporto giusto? 

A furia di far volate lo senti e lo capisci dalla cadenza. E se è giusto o no lo capisci subito. Adesso comunque siamo anche avvantaggiate perché facciamo le stesse corse. Per dire, quest’anno ho vinto una corsa in cui c’era un cavalcavia nel finale. Lo scorso anno in quella corsa avevamo sbagliato a tirare la volata alla Balsamo, che infatti fece seconda. Quest’anno conoscendo l’arrivo ho vinto. Ho aspettato e sono uscita giusto gli ultimi 150.

Da Marco a Mark. Cittì Villa e la grandezza di Cavendish

11.05.2022
5 min
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Mark Cavendish è un veterano. Talmente veterano che ha corso anche con Marco Villa. Okay, non volevamo dire che il cittì fosse vecchio, ma volevamo far capire da quanto tempo l’inglese sia in gruppo. Su strada e su pista.

Con Villa, parliamo di Cav e di questo ragazzino che 17 anni fa, ancora prima di essere pro’, è arrivato all’improvviso sul parquet e che domenica scorsa ha vinto la sua sedicesima tappa al Giro d’Italia e la numero 160 in carriera (su strada). E chissà che oggi verso Messina, non possa ritoccare questi numeri.

Marco Villa, ora cittì azzurro, per un breve periodo della sua carriera ha incontrato da corridore Mark Cavendish
Marco Villa, ora cittì azzurro, per un breve periodo della sua carriera ha incontrato da corridore Mark Cavendish
Marco, vi siete incontrati tu e Cavendish…

Eh sì. Io ero alla fine e lui all’inizio della carriera. E adesso continuo ad incontrarlo da tecnico.

Il Villa corridore che ricordo ha di Cav?

Che era veloce! Si è visto subito. Era veloce, ma aveva anche doti di resistenza. E la T-Mobile ci vide lungo a prenderlo subito. Era un ragazzino.

Quando facevate spalla a spalla aveva timore reverenziale o non faceva sconti a nessuno?

Non era timido. Cavendish si sapeva difendere, aveva un carattere forte e si muoveva bene. E infatti poi la carriera che ha fatto dice tutto. Ha vinto mondiali su pista e su strada (Copenaghen 2011, nella foto di apertura, ndr), ha il record di tappe vinte al Tour de France. Mi dispiace per quei due o tre anni nei quali sembrava che nessuno lo volesse. Mi è sembrato un po’ irrispettoso. Ma col suo carattere ha saputo tenere duro. Mi colpì una cosa di lui.

Cosa?

Nel 2016 vinse quattro tappe al Tour avendo fatto la preparazione per la pista. Poi è andato a Rio e se non trovava un super Viviani avrebbe vinto le Olimpiadi. Finite le Olimpiadi recupera, va al mondiale e se non incontra sulla sua strada un certo Sagan vince anche il mondiale. “Questo” quando va forte fa fatica a fare secondo.

Nel 2007 Cavendish passò alla T-Mobile, non aveva neanche 22 anni
Nel 2007 Cavendish passò alla T-Mobile, non aveva neanche 22 anni
Qual è il primo ricordo che hai di lui? L’aneddoto…

Che mi sono ritrovato all’improvviso questi inglesi in pista che andavano forte. Hanno iniziato a vincere tutto e Mark ne faceva parte, con la differenza che lui andava forte anche su strada.

Ti aspettavi di vederlo ancora là davanti l’altro giorno?

Sì – risponde secco Villa – e poi lui è un vero maestro ormai di quel tipo di volate. Si porta in testa e nessuno lo affianca. Ha un sistema diverso rispetto agli altri sprinter. Al netto, chiaramente, dell’eccellente lavoro di Morkov e dei suoi compagni. Cav parte lungo e nessuno lo rimonta.

Sistema diverso: spiegaci meglio…

Non ho i suoi dati, ma per me è diverso da quel che ho visto. Gli altri velocisti partono al 100% e cercano di andare più avanti possibile. Mark invece per me parte all’80% e fa una progressione continua. Una progressione che inganna chi sta a ruota. Chi gli è dietro pensa di saltarlo, ma poi quando lo affianca prende aria e li resta mentre lui continua ad accelerare. Ed è in questo che è diverso dagli altri velocisti. Gli altri partono forte: se tengono, bene, se invece calano vengono saltati.

Cavendish faceva parte dell’infornata di Wiggins (a sinistra) su pista. Eccoli, iridati madison nel 2016 a Londra
Cavendish faceva parte dell’infornata di Wiggins (a sinistra) su pista. Eccoli, iridati madison nel 2016 a Londra
Eppure nel rettilineo di domenica scorsa, ad un certo punto sembrava fosse troppo lungo, che potesse essere saltato…

Quando lui parte sa bene dove sta la linea di arrivo e fa di tutto per arrivarci al 100%. Poche volte sbaglia.

E della sua posizione cosa ci dici? Lui fu un “rivoluzionario” in tal senso. Magari anche “bruttino” a vedersi col sedere in alto e le spalle schiacciate sul manubrio, ma di certo efficace.

Era la posizione degli inglesi. Loro sui marginal gain ci avevano lavorato subito e li limavano tutti. Cav fu tra i primi ad adottare questa posizione e a portarla anche su strada e di conseguenza anche gli altri si sono dovuti adattare. Anche Elia ci lavorò molto. Ci lavorò sulla posizione per l’omnium, per il giro lanciato… fino a portarla su strada.

L’altro giorno, come detto, sembrava avere una cadenza altissima, quasi che s’imballasse: oggi si tende ad utilizzare rapporti più lunghi, questo vale anche per lui? O Cav è rimasto fedele al 53?

No, di sicuro aveva il rapporto che serviva. Tanto più che è in quella squadra (la Quick Step-Alpha Vinyl). Se il rettilineo finale tirava a scendere, loro lo sapevano e lui aveva il rapporto adeguato. No, no… non si torna indietro, non si tratta di avere rapporti lunghi o corti, ma di avere quelli giusti.

Nel 2016 altro poker al Tour, un vero capolavoro per come si era preparato secondo Villa. Da notare la posizione schiacciata
Nel 2016 altro poker al Tour, un vero capolavoro per come si era preparato secondo Villa. Da notare la posizione schiacciata
Cosa ti piace di lui, Marco?

Bah – ci pensa un po’ Villa – la sua carriera. L’aver vinto su strada e su pista, quel record al Tour… Lo conosco bene, è un amico. Magari definirlo mito è fuori luogo, ma di certo con quel che ha fatto ci va vicino. Senza dubbio è uno dei più forti di questa era moderna. E poi, ragazzi, sembrava finito e l’anno scorso si è portato a casa tutti quei successi dalla Francia.

Però conta molto anche la squadra. E per uno come lui conta anche per le salite, per arrivare allo sprint o per portare a casa la maglia verde (o della classifica a punti)…

La squadra è super importante per tutti i velocisti, non solo per Mark. Senza parlare del treno, tante volte la sola scia dell’ammiraglia non basta. Magari avere due compagni vicino ti aiuta a non staccarti, riprendi la salita successiva col primo gruppo e puoi arrivare meglio nel tempo massimo. E questo vale ancora di più quando le salite sono all’inizio. E lui lo sa bene, tanto è vero che quando ha capito che in Sky si puntava solo alle classifiche generali, ha cercato spazio altrove, nonostante fosse inglese e affezionatissimo a quel gruppo.

Sprint a ranghi ridotti: a lezione da Diego Ulissi

31.03.2022
7 min
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Quando la scorsa domenica Diego Ulissi ha vinto il Gp Industria e Commercio a Larciano ha sfoggiato uno dei suoi “cavalli di battaglia”: lo sprint in gruppetti ridotti (nella foto di apertura). Il corridore della UAE Emirates è un cecchino quando si arriva in pochi. Sa giudicare bene le tempistiche, i rapporti, la durata dello sprint. Oltre al fatto che ha doti fisiche adatte.

Con Diego, partendo proprio dalla volata di Larciano, cerchiamo di capire come si gestiscano questi arrivi. Un argomento che, come vedremo, il toscano ha subito fatto suo e l’intervista si è trasformata in una “lezione ad aneddoti”.

Liegi 2021: uno degli sprint ridotti più tesi degli ultimi anni. Pogacar fa la volata quasi al centro rettilineo e vince di gambe
Liegi 2021: uno degli sprint ridotti più tesi degli ultimi anni. Pogacar fa la volata quasi al centro rettilineo e vince di gambe
Diego, partiamo dalla volata di Larciano. Arrivo in fondo alla discesa con l’ultimo chilometro “pianeggiante”. Tu, Gallopin, Verre e Fedeli guadagnate una manciata di metri. Come hai capito che quello era l’attacco da seguire?

Sono frazioni di secondo. Devi pensare e scegliere in pochissimo tempo la soluzione migliore. Domenica, Hirschi era stato ripreso e non poteva scattare perché aveva appena speso molto, in più era davanti al drappello e non ha visto scattare Verre. Io che ero dietro avevo una visione più completa e mi è venuto d’istinto seguirlo. Era però un’azione pericolosa.

Perché?

Perché eravamo all’ultimo chilometro e noi della UAE eravamo in due, quindi uno ci doveva essere. Verre ha tirato molto, ma lo capisco perché è giovane e anche un piazzamento gli dà fiducia, e questo ha favorito la mia volata. Mi ha consentito di restare a ruota. Gallopin è partito lungo e lì devi essere freddo perché l’arrivo tirava un po’ e non puoi partire troppo presto, almeno che tu non ne abbia il doppio degli altri, cosa che non puoi sapere. Devi essere lucido. Devi quantificare bene la distanza dall’arrivo e quanto possono reggere le tue gambe.

Lucidità, distanza dalla linea d’arrivo, pensieri: serve sangue freddo…

Serve, serve… Mentre vi raccontavo della volata di Larciano mi è venuta in mente quella di Agrigento al Giro 2020, con l’arrivo in salita. Una salita corta e pedalabile però, in cui potevano reggere corridori come Sagan e Demare. Noi quindi volevamo portarli allo sprint con le gambe in croce. Valerio Conti ha tirato fortissimo. Io sono uscito con Honorè. Poco dopo dalla radio mi hanno detto che stava risalendo Sagan. Mi sono girato e l’ho visto. A quel punto potevo fare due cose. Aspettarlo e batterlo in volata, sperando che sprecasse tante energie per rientrare, o spingere ancora per non farlo rientrare. Dovevo ragionare in una frazione di secondo. Ho deciso di aspettare un po’ e rifiatare quel tanto per batterlo in volata e così è andata. Molto quindi dipende anche dall’arrivo.

Agrigento 2020: dopo il forcing di Conti scatta Honorè, Ulissi lo bracca e intanto “fa cuocere” Sagan che rimonta da dietro
Agrigento 2020: dopo il forcing di Conti scatta Honorè, Ulissi lo bracca e intanto “fa cuocere” Sagan
Cioè?

Da come è fatto: se tira, se ci sono curve, se è un po’ in discesa. Per esempio, lo scorso anno ragionavo con Covi dopo che in Sicilia perse allo sprint con Valverde. Posto che Alejandro è un campione, non lo ha però battuto perché avesse più gambe, ma perché aveva preso in testa le due curve finali e seguendo la traiettoria non aveva potuto far altro che stargli a ruota. Valverde aveva anticipato la volata. Una lezione che magari gli servirà per il futuro.

E tu gli arrivi li studi sempre, soprattutto quando sai che puoi fare bene?

Nei percorsi che non si conoscono, come gli arrivi delle corse a tappe, visualizziamo gli arrivi con VeloViewer o comunque abbiamo delle tecnologie con le quali i diesse ci fanno vedere i finali al dettaglio. In questo modo capiamo cosa ci aspetta e come possiamo interpretare la volata. E questo è importante anche per parlare con i compagni che ti devono portare allo sprint. In tal senso mi viene in mente la tappa di Monselice sempre al Giro d’Italia del 2020.

Quella dei Colli Euganei. Racconta pure…

Quel giorno eravamo una ventina e con me c’era McNulty. Ai 300 metri sapevamo che c’era una doppia curva verso sinistra, quasi come un’inversione ad U. Ci siamo parlati e gli ho detto esattamente in che posizione volevo essere dopo la curva. E così è andata. Sono uscito terzo, proprio davanti ad Almeida che fece secondo per mezza ruota.

Quando Ulissi parla di calibrare bene le distanze… Ecco il colpo di reni perfetto di Monselice al Giro 2020
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Conoscere l’arrivo influisce anche sulla scelta dei rapporti?

Sì. Di solito io uso sempre il 53. Ho un buon picco di potenza per il mio peso, ma non è altissimo in scala assoluta, tuttavia riesco a mantenerlo a lungo. Ed è proprio così che vinsi a Fiuggi (Giro 2015, ndr). Anche lì, l’arrivo tirava e con un dente in meno sono riuscito a non diminuire assolutamente i watt nei 200 metri finali. Battendo di fatto i velocisti più puri.

E invece uno sprint che hai perso? Un errore che non rifaresti?

Mi viene in mente una tappa al Giro di Polonia 2020, su un arrivo in leggera salita. Con i compagni abbiamo preso la volata un po’ troppo lunga. C’è stato quindi un leggero calo della velocità e ai 300 metri Carapaz ha anticipato. Quando poi sono uscito, ho rimontato, ma era tardi. Quel giorno abbiamo sbagliato. E può succedere.

Nella gestione di questi sprint a ranghi ridotti, battezzi una ruota o fai per conto tuo a prescindere da chi c’è?

Solitamente battezzo una ruota, ma dipende anche dal tipo di sprint che si vuole impostare. Generalmente quando un corridore sa di essere il più veloce si mette in condizione di fare la “volata pulita”. Si mette in testa dietro ad un compagno e si fa lanciare per partire nel momento che reputa giusto in base a energie, distanza, vento, pendenza… Se invece c’è un corridore più veloce, cerca la sua ruota. Cerca di sfruttare la sua scia e spera di saltarlo. Ma non è facile. Per esempio nelle volate dell’ultima Coppi e Bartali con gente come Van der Poel e Hayter cerchi una delle loro ruote, ma poi uno dei due resta libero e magari fa uno sprint migliore.

Giro di Polonia 2020: il lavoro della UAE Emirates si esaurisce troppo presto. Ulissi resta scoperto e Carapaz lo anticipa
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Di solito questi arrivi sono tesi, specie se magari sapete che da dietro il gruppo non rientra e ci si controlla: come si gestisce la tensione?

Se un corridore in stagione arriva presto alla vittoria, gestisce meglio anche quei frangenti. Rischia di più, resta più calmo e tende a sbagliare meno. Se invece inanella dei piazzamenti, s’innervosisce. In generale bisogna cercare di essere freddi, fidarsi dei compagni e ragionare quel mezzo secondo prima dell’avversario. Ma non è facile. E un pizzico di fortuna serve sempre. E poi vincere aiuta a vincere.

La vecchia regola di spostarsi alle transenne per controllare un lato solo vale ancora?

Sì, vale sempre. Riprendiamo lo sprint di Larciano. Verre aveva appena tirato e sapevo che non poteva più fare molto. Fedeli era alla mia sinistra e non aveva spazio. Gallopin davanti. Ero in piena visuale. Avevo la situazione sotto controllo. Quindi di tre avversari di fatto ne controllavo uno solo: Gallopin. Lui è partito un po’ lungo, io l’ho fatto quando ho deciso che fosse il momento migliore. A quel punto ho dato tutto sperando, come sempre, che qualcuno non mi sorpassasse da dietro. E’ importante non deconcentrarsi.

Un capolavoro tecnico-tattico, quante cose da tenere sotto controllo…

Penso anche all’arrivo di Tirano al Giro 2011.

Tirano 2011: Ulissi (Lampre) precede Visconti. Il toscano lascia poco spazio al siciliano che non la prende benissimo
Tirano 2011: Ulissi (Lampre) precede Visconti. Il toscano lascia poco spazio al siciliano che non la prende benissimo
Ah, sapevamo che l’avresti tirata fuori. Altrimenti lo avremmo fatto noi! Quella volata fu bella complessa…

C’è tutto un ragionamento dietro quella volata, non fu uno sprint a caso. 

Spiegaci tutto…

Eravamo in quattro: Bakelands, Lastras, Visconti ed io. Lastras era “velocetto” e poteva anche partire all’ultimo chilometro. E Giovanni era il più forte e il più veloce, era maturo e vincente e per questo era quello che temevo e controllavo di più. Dalla mia avevo il fatto che ero un neopro’ e non sapevano quanto fossi veloce. Li presi un po’ alla sprovvista partendo lungo. In più quel giorno montai il 52, anziché il 53: il rettilineo tirava un po’, si era alla terza settimana e c’era stanchezza… fatto sta che appena sono partito, essendo più agile, ho preso subito quei 10 metri. Ma restava Visconti. Così e mi sono buttato nel punto in cui ero più protetto dal vento, ma non del tutto alle transenne. Gli lasciai quello spazio (coperto dal vento che faceva gola, ndr), dove però sapevo che non sarebbe potuto passare. Diciamo che cadde nel tranello. Me la studiai bene! L’importante è che nessuno si fece male.

Un ragionamento vero e proprio! All’inizio Diego, hai parlato d’istinto. Ed è vero: okay l’esperienza, con la quale si può migliorare, ma certe cose o ce le hai o non ce le hai. E’ così?

Per le tempistiche serve l’istinto è vero ma credo anche che si debba conoscere i corridori. Io quando sono a casa guardo le corse e studio gli avversari. Non si sa mai. Perché okay le dritte dei diesse, ma la tua visione, quella del corridore, è differente.