Velocisti, caos e perfezione alla velocità della luce

26.01.2023
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«Anche quella dei velocisti – dice Viviani, in apertura con Richeze – è una famiglia che si sta evolvendo. Siamo tanti, ma non vedo un dominatore assoluto. I giovani arrivano. De Lie ha vinto tante corse lo scorso anno e ha cominciato bene quest’anno. Poi ci sono Kooij e anche Jakobsen, anche se lui è una conferma. Lo scorso anno però non c’è stato uno che abbia schiacciato gli altri. Se ci mettiamo tutti insieme in una gara come questa, magari qualcuno manca, però non c’è uno che le vinca tutte».

Ieri la salita ha diviso il gruppo. Davanti sono rimasti Gaviria e Sagan, dietro Jakobsen, lo stesso Viviani e tutti gli altri. La curiosità di fare con Elia il punto sui velocisti è venuta proprio osservando l’andamento della Vuelta a San Juan. Ogni volata un vincitore diverso, ogni volata una squadra capace di gestire diversamente il finale. Poco importa se giovani o più esperti.

«In questo momento – conferma Viviani – Van Poppel è quello che fa la vera differenza e Bennett ne trae beneficio. Però anche Bennet ha la mia età, quindi possiamo dire che c’è una decina di velocisti che si dividono le vittorie. Poi ogni anno c’è chi prevale sull’altro in termini di numero o qualità delle vittorie. Non è secondo me come gli scalatori. Il Tour se lo giocano Pogacar, Vingegaard e non so chi altri. Sul piano delle volate, la situazione è più aperta».

Alla Vueltsa San Juan per ora tre volate e tre vincitori diversi
Alla Vueltsa San Juan per ora tre volate e tre vincitori diversi
Dipende dal livellamento delle prestazioni?

No, perché comunque lo sprint non è come in salita. La differenza la fanno tante cose, non solo i watt per chilo. La fa il percorso, se tira un po’ in su. La fa se la volata viene un attimo più tirata, come qui nella seconda tappa. La fanno le dinamiche, il treno migliore, restare chiusi sulle transenne, riuscire a venir fuori… Quindi tante cose che, messe insieme, non fanno prevalere sempre il corridore più potente. Probabilmente i primi sprint da giovanissimo potrebbero far prevalere sempre lo stesso, però tra i professionisti non è più così.

Quanto incide il treno? 

Prima ho parlato di Van Poppel per dire che tantissime squadre possono portare il velocista all’ultimo chilometro, ma è quello che succede nel finale a fare la differenza. Tutte le volte che ho vinto nel 2018-2019 era perché Sabatini, Richeze o Morkov lavoravano per me. Questa combinazione di corridori aveva il pieno controllo di quello che succedeva nell’ultimo chilometro. Quindi la squadra può fare bene dal chilometro zero fino all’ultimo, ma in quello spazio, sono il penultimo e l’ultimo uomo che fanno la differenza. Un Van Poppel così fa la differenza e ti porta a giocarti il 90 per cento delle volate. Senza di lui, Bennett non vincerebbe così bene.

In che modo l’assenza dei treni all’antica cambia la volata?

La situazione è più caotica. Non c’è più il treno di quei 6-7 che prendono la testa e portano il leadout fin là. Oggi parliamo di due uomini: quello che entra al chilometro e porta l’ultimo ai 500 metri e quello ti lancia negli ultimi 500 metri. Le squadre non sono più sbilanciate verso lo scalatore o il velocista. Tutto da una parte o dall’altra. Ormai ci sono dentro i due uomini per lo scalatore e i due per il velocista. Per questo non vediamo più il dominio di un treno che prende la testa e va pulito sino falla fine.

Van Poppel è l’ultimo uomo di Bennett, uomo chiave invidiato da tanti velocisti
Van Poppel è l’ultimo uomo di Bennett, uomo chiave invidiato da tanti velocisti
Una volta fra grandi velocisti c’erano spesso tensioni, adesso come va?

Abbiamo rapporti abbastanza buoni. E’ ovvio che poi con qualcuno vai più d’accordo e c’è chi ti sta più sulle scatole o chi secondo te si muove in modo un po’ troppo aggressivo. Capita poche volte ormai di vedere delle scorrettezze per cui dici: «Cavoli, mi ha fatto rischiare la vita!». C’è rispetto, questo mi sento di dirlo.

Non ci sono più… i banditi come un tempo?

Con tutti i temi che si trattano negli ultimi anni, parlando di sicurezza, di stare attenti… E’ inutile che lottiamo per la sicurezza organizzativa, se poi ci ammazziamo fra noi. Quindi è ovvio che questo porta ad essere un po’ più corretti. Anche le squalifiche che ci sono state secondo me hanno indotto qualcuno a pensarci bene prima di fare scorrettezze.

L’incidente di Jacobsen, per esempio, ha fatto parlare?

Ha fatto parlare tanto, però secondo me ha fatto parlare in modo sbagliato. Come al solito se ne è parlato per le conseguenze, non per quello che è successo. Perché io sono ancora del parere che Groenewegen si sia spostato una volta di troppo, ma anche Fabio ha pedalato una volta di troppo. Nove velocisti su dieci avrebbero capito che era il momento di frenare. Quindi per me in quell’incidente le responsabilità sono 50 e 50. E’ successo a chiunque di vedere la ruota che arriva sotto e fare uno spostamento. Okay, Groenewegen ha esagerato, ma dall’altra parte Jakobsen ha provato a infilarsi fino a quando il manubrio è entrato nelle transenne. La mossa di Dylan non è stata per ammazzare Jakobsen. Certo che ne abbiamo parlato, ma nel modo giusto, analizzando ambedue le parti.

La drammatica caduta al Polonia 2020, che stava per costare la vita a Jakobsen (che vola oltre la transenna)
La drammatica caduta al Polonia 2020, che stava per costare la vita a Jakobsen (che vola oltre la transenna)
Il fatto che si usino i rapporti sempre più lunghi in volata è causa dell’evoluzione del ciclismo?

Ma sì, perché comunque ci sono volate dove chi è da solo magari mette un dente in più. Se gli va bene e prende la scia giusta, riesce a saltare quelli davanti. Quindi secondo me l’uso di rapporti sempre più lunghi è più per la dinamica che ormai c’è nelle volate. E poi si va avanti, guardiamo come sono aumentati i rapporti in pista. Aumentano le velocità, però quei rapporti bisogna tirarli.

Cioè?

Mercoledì avevo il 56 pensando alla volata, ma non sono arrivato a farla. Quindi a cosa serviva il 56? Sulla bilancia va messo sempre tutto, perché se non sei abituato a tirare un certo rapporto, probabilmente può essere più nocivo che altro. Per contro, il primo giorno era una volata tutta piatta, si girava a sinistra e trovavi vento a favore, probabilmente un dente in più sarebbe servito. Quindi c’è sempre da analizzare non solo quei 500 metri finali, ma anche la giornata.

Prima forse queste attenzioni non c’erano.

Non si cambiavano i rapporti giorno per giorno. Avevi un rapporto ed era quello. C’era chi metteva il 54 tutto l’anno, chi il 53… Sicuramente fa parte delle scelte di oggi. Come gli scalatori cambiano dal 36 al 39 e al 42 se la salita è poco pendente, lo stesso noi possiamo permetterci cose che una volta non si facevano.

San Juan per Viviani è momento di verifica con gli altri velocisti e preparazione per gli europei in pista
San Juan per Viviani è momento di verifica con gli altri velocisti e preparazione per gli europei in pista
Tu hai corso la Sei Giorni di Rotterdam e poi hai fatto i lavori in pista prima di venir qua: com’è il passaggio dai carichi di lavoro della pista alla prima corsa su strada?

Nei primi giorni è sempre difficile, però è ovvio che facendole entrambe, non è un problema e anzi deve essere un vantaggio. Il passaggio successivo è che dopo questa corsa, andrò ancora in pista con le gambe belle cariche. Adesso dovremo finire questa gara, poi recuperare e recuperare non vuol dire viaggiare. Quindi ci prenderemo qualche giorno in più a casa per assimilare quello fatto qua e aggiungere la qualità, per arrivare pronti all’europeo

E dopo gli europei?

Strada. Uae Tour e poi sono nella lista della squadra per la Parigi-Nizza, ma dobbiamo vedere le dinamiche di inizio stagione. Il mio programma strada sarebbe perfetto vede Parigi-Nizza, Sanremo, Gand-Wevelgem. Se non dovessi essere fare la Parigi-Nizza, potrei andare in Coppa del mondo al Cairo. Ma il programma numero uno è quello della strada al 100 per cento.