Volate. L’arte (quasi persa) del fare da soli: parola ad Endrio Leoni

26.08.2021
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Anche alla Vuelta lo stiamo vedendo, vincono i velocisti che hanno un treno o quel che ne resta dell’immaginario comune, cioè il treno rosso della Saeco di Cipollini. E quando manca almeno quel paio di compagni fidati lo sprinter non vince. L’esempio Guarnieri-Demare ne è la prova più calzante. Dov’è finito il velocista che fa tutto da solo? Dov’è finito l’Endrio Leoni della situazione?

Beh, lo chiediamo proprio all’ex ruota veloce veneziana. Oggi Leoni lavora nel settore immobiliare, ma è sempre molto attento a quel succede nel ciclismo. Segue anche i giovani. Leoni ha vinto molto, ma spesso ha avuto degli infortuni e la sua bacheca poteva anche essere più folta.

Endrio Leoni, classe 1968, vanta oltre 20 vittorie in carriera e 13 anni da pro’
Endrio Leoni, classe 1968, vanta oltre 20 vittorie in carriera e 13 anni da pro’
Endrio, dicevamo: facevi le volate da solo. Pronto a fare a spallate, ad infilarti, a saltare da una ruota all’altra…

Le mie volate diventavano un lavoro. Quando non avevi un treno dovevi adattarti. Dovevi portare un risultato a casa ed ogni volta poi era una guerra per trovare un contratto. Oggi magari le cose sono un po’ cambiate, in ogni senso. Velocisti così ce ne sono pochi. In pochi hanno pelo sullo stomaco. Forse un po’ Groenewegen, ma gli altri sono tutti sui binari e se salta il treno non vincono, anzi non riescono neanche a fare la volata.

Sagan però è uno che sa fare anche da solo…

Però Peter non è un velocista puro e poi adesso ha perso un po’ di esplosività. E si è anche un po’ adagiato. Rischia meno.

Che differenze c’erano tra i tuoi tempi (gli anni ’90-2000) e le volate attuali?

Adesso i “treni” partono ai meno due chilometri, tre al massimo. Una volta iniziavano ai -10. Il treno di Cipollini era quello super-collaudato, ma lo poteva fare perché aveva gente adatta e dei “centochilometristi”: Poli, Vanzella, Scirea, Calcaterra, Ballerini… già in quella fase. Era già tanto stargli a ruota. Lì c’era la vera lotta. Però sapevi che stando lì, male che ti andava, facevi secondo o terzo. Era durissima restarci, perché una spallata, un colpo d’aria a 60 all’ora e perdevi un sacco di energie.

Ricordi una delle volte che hai battuto Mario?

A Bassano, avevo preso la sua ruota. Lui aveva Chioccioli e Ballerini. Quel giorno stranamente fu facile prendergli la ruota e restarci. Non ci fu troppa bagarre e arrivai “fresco” allo sprint, altrimenti facevo sempre la volata con “mezza gamba”. In carriera ho fatto 42 secondi posti, una ventina dei quali dietro di lui! Purtroppo non avendo un treno tutto mio negli d’oro è andata così.

Prendevi proprio la ruota di Cipollini o quella di un suo uomo?

No, no la sua. Mario era talmente tranquillo che non metteva nessuno dietro di lui. Anche perché quella gente che aveva lo portava allo sprint ad un velocità pazzesca. Credo che con le bici di oggi Cipollini avrebbe toccato 3-4 chilometri orari in più. Con i nuovi telai e le nuove ruote non disperdi energia.

Prima hai detto che gli sprinter attuali sono tutti “sui binari”, però è anche vero che hanno molte più regole da rispettare. Il “fair play” è, come dire, molto imposto…

Vero. Non dico che bisogna fare come negli anni ’60 quando in tanti arrivavano senza numero perché si attaccavano alla maglia, ma un po’ più di libertà ci vorrebbe. Le mani non vanno staccate dal manubrio e va bene, era così anche ai miei tempi, 20 anni fa. Però c’era più spazio per delle furbizie, come tenere un avversario alle transenne, mettergli paura, tenerlo in spazi stretti… E si vedeva chi aveva l’esperienza e la scuola della pista. Oggi invece una volta partito lo sprint devono mantenere la linea. Una regola un po’ estremistica per me.

Hai parlato di “guerra di posizione”: come ti sentivi quando era il momento di allargare il gomito?

Istinto – risponde secco Leoni – negli ultimi 10 chilometri sei come il toro che vede rosso. Non ricordi niente. Il velocista senza treno deve solo difendersi dall’avversario che viene a disturbarti, devi chiudere sulla ruota che hai battezzato. Però era bello. Io vivevo per quei dieci chilometri. Era adrenalina pura. E ancora oggi m’immedesimo nelle volate che vedo.

Come proteggevi quella posizione? Dove guardavi?

Ripeto: istinto. Facevi tutto sul momento. Eri a tre centimetri da quello davanti (gli spazi si restringevano) ma non guardavi davanti. Cercavi di capire dov’eri e chi c’era intorno a te. Per questo la volata non è per tutti. Ce n’è di gente forte e veloce, ma non tutta è adatta per la bagarre.

Si frenava?

Il freno non si toccava – esclama Leoni – In volata ti appoggiavi. Se frenavi perdevi posizioni e poi era un bel dispendio energetico per recuperarle. In quel caso, se non ne perdevi troppe, meglio restare dove eri finito e fare la volata magari dalla quinta, sesta ruota che cercare di risalire. Ma io lo dicevo ai miei avversari: non mi venite dietro perché io non freno!

Tra i battitori liberi come te chi è che ti dava più filo da torcere?

Beh, Abdujaparov era un “cagnaccio”. Ma negli ultimi tempi anche McEwen… caspita se ci sapeva fare! E infatti ha vinto tanto. Un altro davvero tosto era Kirsipuu. Lui era forte perché era capace di prendere molto vento ma di riuscire a fare la volata lo stesso. Molto bravo anche Danny Nelissen: fortissimo ma sfortunato.

Guarnieri-Demare, l’esempio migliore del feeling tra velocista e apripista attuali. Il francese è così coperto da Jacopo che quasi non si vede
Guarnieri-Demare, l’esempio migliore del feeling tra velocista e apripista attuali. Il francese è così coperto da Jacopo che quasi non si vede
La grande rivalità è stata con Cipollini e Mario era da volata lunga. Tu come ti allenavi per batterlo? Puntavi sullo sprint lungo o sugli ultimi 50 metri?

Di testa partivo sempre per batterlo, poi magari non ci riuscivo, ma sin da giovane avevo sempre vinto parecchio allo sprint e quella era la mia mentalità. Mi allenavo anche sulle volate lunghe. Le facevo anche da 250 metri e se serviva le facevo più corte, ma tutto stava a come ci arrivavi. Non era tanto la lunghezza dello sprint a fare la differenza, ma quanto spendevi per arrivarci. Con quante energie arrivavi ai 4-500 metri. A volte non avevi neanche la forza per alzarti sui pedali. In questo contava molto anche il ruolo dell’ultimo uomo.

Cioè?

Lui doveva, e deve, essere bravo a portarlo il più avanti possibile, ma in modo regolare. Senza strappare, perché più lo sprinter arriva regolare alla volata e più va forte. E per questo è molto importante che il pilota conosca bene il suo capitano.

Tra i tuoi tanti successi qual’è quello che ti ha dato più emozione?

La prima tappa del Giro (era il 1992 e Leoni prese la maglia rosa, ndr). Era il sogno da bambino, lo vedevi in tv. Ci misi un paio di giorni a realizzare, sul momento non mi resi bene conto.