Mark Cavendish è un veterano. Talmente veterano che ha corso anche con Marco Villa. Okay, non volevamo dire che il cittì fosse vecchio, ma volevamo far capire da quanto tempo l’inglese sia in gruppo. Su strada e su pista.
Con Villa, parliamo di Cav e di questo ragazzino che 17 anni fa, ancora prima di essere pro’, è arrivato all’improvviso sul parquet e che domenica scorsa ha vinto la sua sedicesima tappa al Giro d’Italia e la numero 160 in carriera (su strada). E chissà che oggi verso Messina, non possa ritoccare questi numeri.
Marco, vi siete incontrati tu e Cavendish…
Eh sì. Io ero alla fine e lui all’inizio della carriera. E adesso continuo ad incontrarlo da tecnico.
Il Villa corridore che ricordo ha di Cav?
Che era veloce! Si è visto subito. Era veloce, ma aveva anche doti di resistenza. E la T-Mobile ci vide lungo a prenderlo subito. Era un ragazzino.
Quando facevate spalla a spalla aveva timore reverenziale o non faceva sconti a nessuno?
Non era timido. Cavendish si sapeva difendere, aveva un carattere forte e si muoveva bene. E infatti poi la carriera che ha fatto dice tutto. Ha vinto mondiali su pista e su strada (Copenaghen 2011, nella foto di apertura, ndr), ha il record di tappe vinte al Tour de France. Mi dispiace per quei due o tre anni nei quali sembrava che nessuno lo volesse. Mi è sembrato un po’ irrispettoso. Ma col suo carattere ha saputo tenere duro. Mi colpì una cosa di lui.
Cosa?
Nel 2016 vinse quattro tappe al Tour avendo fatto la preparazione per la pista. Poi è andato a Rio e se non trovava un super Viviani avrebbe vinto le Olimpiadi. Finite le Olimpiadi recupera, va al mondiale e se non incontra sulla sua strada un certo Sagan vince anche il mondiale. “Questo” quando va forte fa fatica a fare secondo.
Qual è il primo ricordo che hai di lui? L’aneddoto…
Che mi sono ritrovato all’improvviso questi inglesi in pista che andavano forte. Hanno iniziato a vincere tutto e Mark ne faceva parte, con la differenza che lui andava forte anche su strada.
Ti aspettavi di vederlo ancora là davanti l’altro giorno?
Sì – risponde secco Villa – e poi lui è un vero maestro ormai di quel tipo di volate. Si porta in testa e nessuno lo affianca. Ha un sistema diverso rispetto agli altri sprinter. Al netto, chiaramente, dell’eccellente lavoro di Morkov e dei suoi compagni. Cav parte lungo e nessuno lo rimonta.
Sistema diverso: spiegaci meglio…
Non ho i suoi dati, ma per me è diverso da quel che ho visto. Gli altri velocisti partono al 100% e cercano di andare più avanti possibile. Mark invece per me parte all’80% e fa una progressione continua. Una progressione che inganna chi sta a ruota. Chi gli è dietro pensa di saltarlo, ma poi quando lo affianca prende aria e li resta mentre lui continua ad accelerare. Ed è in questo che è diverso dagli altri velocisti. Gli altri partono forte: se tengono, bene, se invece calano vengono saltati.
Eppure nel rettilineo di domenica scorsa, ad un certo punto sembrava fosse troppo lungo, che potesse essere saltato…
Quando lui parte sa bene dove sta la linea di arrivo e fa di tutto per arrivarci al 100%. Poche volte sbaglia.
E della sua posizione cosa ci dici? Lui fu un “rivoluzionario” in tal senso. Magari anche “bruttino” a vedersi col sedere in alto e le spalle schiacciate sul manubrio, ma di certo efficace.
Era la posizione degli inglesi. Loro sui marginal gain ci avevano lavorato subito e li limavano tutti. Cav fu tra i primi ad adottare questa posizione e a portarla anche su strada e di conseguenza anche gli altri si sono dovuti adattare. Anche Elia ci lavorò molto. Ci lavorò sulla posizione per l’omnium, per il giro lanciato… fino a portarla su strada.
L’altro giorno, come detto, sembrava avere una cadenza altissima, quasi che s’imballasse: oggi si tende ad utilizzare rapporti più lunghi, questo vale anche per lui? O Cav è rimasto fedele al 53?
No, di sicuro aveva il rapporto che serviva. Tanto più che è in quella squadra (la Quick Step-Alpha Vinyl). Se il rettilineo finale tirava a scendere, loro lo sapevano e lui aveva il rapporto adeguato. No, no… non si torna indietro, non si tratta di avere rapporti lunghi o corti, ma di avere quelli giusti.
Cosa ti piace di lui, Marco?
Bah – ci pensa un po’ Villa – la sua carriera. L’aver vinto su strada e su pista, quel record al Tour… Lo conosco bene, è un amico. Magari definirlo mito è fuori luogo, ma di certo con quel che ha fatto ci va vicino. Senza dubbio è uno dei più forti di questa era moderna. E poi, ragazzi, sembrava finito e l’anno scorso si è portato a casa tutti quei successi dalla Francia.
Però conta molto anche la squadra. E per uno come lui conta anche per le salite, per arrivare allo sprint o per portare a casa la maglia verde (o della classifica a punti)…
La squadra è super importante per tutti i velocisti, non solo per Mark. Senza parlare del treno, tante volte la sola scia dell’ammiraglia non basta. Magari avere due compagni vicino ti aiuta a non staccarti, riprendi la salita successiva col primo gruppo e puoi arrivare meglio nel tempo massimo. E questo vale ancora di più quando le salite sono all’inizio. E lui lo sa bene, tanto è vero che quando ha capito che in Sky si puntava solo alle classifiche generali, ha cercato spazio altrove, nonostante fosse inglese e affezionatissimo a quel gruppo.