Si era nel pieno del Lunigiana, concluso ieri con la vittoria del portoghese Morgado, quando con Giovanni Visconti abbiamo iniziato a ragionare sul ciclismo degli juniores e anche quello degli allievi.
Il tema è sul tappeto. I nostri si allenano forte, ma pagano qualcosa agli stranieri. Il siciliano di San Baronto era reduce da una serata di festa, in cui i dirigenti del Velo Club Empoli lo avevano presentato alle famiglie dei ragazzi nella sua nuova veste. Un incarico inatteso, che Giovanni ha preso con passione. Non come direttore sportivo, per cui deve ancora completare la formazione, più come preparatore, motivatore e maestro di vita. Una sorta di “picconatore 2.0”, con l’idea di mantenere il ciclismo vicino alle sue origini, avvicinandolo alla modernità e allontanandolo dalle ricette superate in cui sono spesso intrappolate squadre e atleti.
Come è cominciato?
Mi hanno cercato un mese dopo che avevo smesso e inizialmente l’avevo presa così, alla leggera. Mi dissero di volermi proporre qualcosa, così andai nella loro sede vicino Empoli, ad Avane. Avevo qualche dubbio, ma entrando in quel posto, con le coppe e le bici appese, sono rimasto sorpreso positivamente. Mazzoni, il presidente, tratta bene i ragazzini e non gli fa mancare nulla (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). Mi ha ricordato i miei tempi. E soprattutto mi è piaciuto che nonostante fossero così legati alla tradizione, volessero investire per dare una svolta. Non è da tutti, non tutte le squadre pensano di farlo. Mi hanno sorpreso.
Perché sorpreso?
Il problema da noi è che si va avanti con il vecchio stile e si prende quel che viene. Così abbiamo parlato. Ci siamo scambiati messaggi. Ci siamo rivisti. E mi hanno chiesto di seguirli, di dare qualche consiglio agli allievi e a qualche junior. Hanno visto un miglioramento netto. Non perché gli abbia dato delle tabelle, semplicemente perché ho cercato di gestirli emotivamente. Ho creato un gruppo whatsapp con i ragazzi, scriviamo continuamente, cerco di parlare la loro lingua. Hanno visto il salto di qualità soprattutto a livello di sicurezza e poi sono arrivati anche i risultati. Hanno vinto il campionato toscano allievi con Migheli, ma non perché sia arrivato io. C’è stato un cambio negli stimoli e così mi hanno chiesto di prendere ufficialmente questa via. Di seguire gli allievi come avevo fatto fino a quel momento e per il prossimo anno anche gli juniores. Ufficializzare la mia immagine di preparatore atletico e jolly nella società. E nella cena di venerdì mi hanno presentato.
Come è andata?
Eravamo d’accordo di fare una serata come quella. Una cena in cui hanno premiato i ragazzini che hanno vinto qualche maglia e hanno sfruttato l’occasione per presentare il progetto Visconti alle famiglie. Hanno allievi, juniores e anche gli esordienti, con cui però non lavorerò direttamente. Non mi sento assolutamente di fare delle tabelle già agli esordienti, in cui il ciclismo deve essere ancora un gioco.
In cosa consiste il progetto Visconti?
Un metodo in linea con l’era moderna. Il ciclismo va avanti come tutto nella vita e chi sta dietro alla tecnologia e alla scienza sicuramente è avvantaggiato rispetto a chi non lo fa. Però vorrei creare un ponte tra il passato e il futuro. Nel ciclismo di ora si è velocizzato tutto e non ti aspetta più nessuno. Devi fare le cose bene sin da subito, però tanta scienza va unita alla voglia di fare sacrifici, all’umiltà, allo stare insieme. Provo a ricordarmi i miei tempi da junior e allievo, il modo in cui ci divertivamo. Ecco, io vorrei unire queste due cose e riuscire a portare nel gruppo la mentalità giusta, non avere ragazzi che si parlano solo attraverso whatsapp o TikTok. Non è facilissimo da spiegare, però non voglio che i ragazzi siano delle macchinette.
A cosa serve la scienza?
Per misurare la fatica. Sto cominciando a guardare come lavorano e non so se sia solamente un problema della Toscana. A dire di voler preservare i ragazzi sono spesso direttori sportivi e accompagnatori di una volta, che rifiutano il cardio o il misuratore di potenza. Poi però li portano su strada sempre a tutta. Fanno 120 chilometri a gennaio, vanno sul Monte Serra, girano in doppia fila, fanno distanze assurde. Credono di preservarli, invece li fanno lavorare senza sapere chi hanno tra le mani. Non solo il metodo è sbagliato, ma sono sempre fuori giri.
Questo cosa comporta?
Sapete quanti ne ho trovati spossati, stanchi e svogliati? Lavorano tantissimo, non ottengono niente, logorano solamente il loro corpo e la testa. Trovi già quello che ha paura di non correre il prossimo anno, di non trovare la squadra. Hanno lavorato tantissimo, ma nel modo sbagliato. Nel mio provare ad aiutarli, gli ho proposto di allenarsi meno e con più di qualità. Magari con più intensità nel breve tempo, quello che serve ai giovani. Alla fine gli allievi fanno un’ora e 40 di gara, a cosa serve che si allenino per 4-5 ore? Idem gli juniores, a cosa gli serve fare 6 ore?
Ti alleni con loro?
Abito vicino, quindi ho la possibilità di andare a vedere qualche gara o qualche allenamento. Siamo usciti insieme in bici per vedere come si fanno i lavori.
Il mondo dei preparatori è piuttosto affollato, a cosa ti ispiri?
Alla mia esperienza. Ho vissuto diverse generazioni di ciclismo. Quello che ho lasciato magari a me personalmente non piaceva, perché ero a fine carriera e avevo tanti anni alle spalle, però il giovane di oggi deve crescere con il giusto metodo di lavoro. C’è la freddezza delle preparazioni da unire alla voglia di fare le cose con più familiarità, più dialogo. Lo scopo non è che facciano ora i lavori dei professionisti, in modo che migliorino subito. Si deve crescere per gradini perché altrimenti, lavorando senza pazienza, trovi ragazzi che fanno un mese di picco di condizione, ottengono grandi risultati e poi spariscono. Invece devono crescere un gradino alla volta. E questi gradini abbiamo la possibilità di misurarli, abbiamo il metodo per misurare la fatica e non strafare. La tecnologia li protegge.
Un bel cambio di rotta per Visconti…
E’ vero. Ho detto più di una volta che fino ai dilettanti si dovesse andare avanti con le sensazioni: ora non lo direi più. Il mondo è cambiato. Scienza e tecnologia servono, ma non sarebbe male insegnargli a mediare le due cose. Glielo ripeto in continuazione: non dovete diventare degli oggetti, dovete imparare a gestirvi e capirvi. Se pensi che un allenamento sia sbagliato, giri e vai a casa. Non siamo macchinette. Uno dei problemi grossi del ciclismo di oggi è quello che i giovani sono sfruttati tanto e male e non ottengono nulla.
E a 18 anni diventano professionisti.
Per questo almeno il metodo glielo devi insegnare, senza però farli lavorare da giovani con l’intensità dei professionisti. La vera svolta ci sarà quando si capirà la necessità di un ricambio in chi gestisce i ragazzi. Bisogna ringiovanire anche lì, la vita va avanti. Sono brave persone, ci mancherebbe, volenterosi. Però cosa gli insegna un settantenne a un allievo o a uno junior? Che deve mangiare poco, che deve andare a letto alle 9 e che deve fare tanti chilometri? Che se ieri non s’è allenato, oggi fa il doppio? Si va avanti così, senza sapere niente di che valori hanno. Le cose sono come dicono loro e basta. Bocciano quello che non capiscono. Nel mio piccolo, vorrei superare questo scoglio. Salire un altro gradino.