PADOVA – Quasi Natale, un mese alle elezioni federali di Roma. Tre anni fa Martinello fu sconfitto da Cordiano Dagnoni per lo spostamento di voti durante il secondo turno di votazioni e già allora si ripromise di tornare. Che cosa è cambiato in lui nel frattempo? E che cosa è cambiato nel ciclismo italiano? Partiamo da qui, dal chiedergli la fotografia, secondo lui, del nostro movimento.
Martinello ha 61 anni. Da corridore è stato un grande pistard e un ottimo velocista. In pista ha vinto un oro e un bronzo alle Olimpiadi e cinque titoli mondiali. Da quando nel 2000 smise di correre ha aperto la sua palestra a Tencarola, alle porte di Padova, ed è stato opinionista televisivo e ora radiofonico in RAI.
Che cosa ti sembra del ciclismo italiano oggi?
In alcuni settori, pensiamo alla pista, abbiamo un movimento di vertice molto importante. Siamo a tutti gli effetti un riferimento a livello internazionale, in ambito maschile e femminile. Nel settore endurance sono stati fatti dei progressi come pure nel settore velocità dove si è iniziato a lavorare, dato che per tanti anni non si era fatto nulla. I progressi ci sono stati, c’è un margine ancora ampio per arrivare ai massimi livelli che sarà colmabile solo ed esclusivamente con un progetto serio. E’ un ciclismo che in ambito professionistico ha delle eccellenze. Poi però c’è una base in grande sofferenza. Alcune categorie, la juniores, la under 23 e l’ambito continental, ci vedono ai margini del contesto internazionale. Abbiamo impiegato del tempo a capire la riforma entrata in vigore a metà degli anni 90, siamo in grave ritardo ed è un movimento che sotto questo punto di vista sta soffrendo molto.
Si potrebbe obiettare che negli juniores si sta tornando a vincere anche su strada.
Quando si parla di malessere e criticità del nostro ciclismo, di solito a chi lo gestisce salta la mosca al naso. Non sto negando i risultati che ci sono stati, fermo restando che bisognerebbe avere l’umiltà, la capacità e la razionalità di leggerli e interpretarli. Sottolineare certi numeri torna utile al megafono della propaganda, me ne rendo conto. E a quel punto, non serve neanche andare a vedere che il numero dei tesserati e delle società è in calo ed è un dato incontestabile. Si capisce che nel medio-lungo periodo, questo creerà delle gravissime difficoltà.
E cosa si fa?
Si può decidere di lasciare andare la barca o si decide di intervenire con politiche di attenzione. La Federazione ha il compito di creare le condizioni per arginare questa tendenza e poi per cercare di invertirla. Dovrebbe creare i presupposti – dal punto di vista economico, delle normative e della promozione – perché il movimento torni a crescere. Un serio piano di promozione, che magari parta dalle scuole, aiuterebbe le società nel reclutare gli atleti. Nei giovanissimi abbiamo dei bei numeri, negli esordienti si comincia a soffrire. Quando cominciano le categorie agonistiche, il ciclismo su strada soffre vari problemi, fra cui la sicurezza. Per fortuna ci sono tante altre discipline anche più accattivanti. Pensiamo al fuoristrada, per fare un esempio.
Non credi che l’attuale Federazione stia facendo qualcosa del genere?
Per natura non sono un pessimista, però vedo la mancanza di visione e di una certa intraprendenza anche nel cercare di battere strade nuove. Serve il coraggio di andare in nuove direzioni, che non vuol dire rottamare il passato. Ma bisogna prendere atto che il mondo sta cambiando e dobbiamo adattarci, mettendo in atto delle tutele per questi ragazzi, a fronte di un movimento che va a intercettare l’eccellenza in età sempre più giovanile. Ne stiamo bruciando tanti, sia perché magari non hanno la capacità di rispettare le attese, ma soprattutto dal punto di vista psicologico. Le pressioni cui sono sottoposti in età ancora non matura a un certo punto li porta a fermarsi. E questo è un problema che non riguarda solo noi, ma il movimento internazionale.
I tesseramenti in calo riducono anche la base da cui vengono fuori i talenti?
Non c’è dubbio, è riconosciuto da chiunque si occupi di statistiche. Dobbiamo fare attenzione a questa base che si sta assottigliando e che ci obbliga a guardare con attenzione a un futuro non più lontanissimo. Sono problemi che stiamo già toccando con mano e che saranno sempre più reali e presenti. Aggiungiamo il calo demografico e il fatto che al momento di scegliere, le famiglie hanno decine di opportunità con cui il ciclismo deve mettersi in concorrenza. Pertanto dobbiamo anche modificare il nostro approccio, senza sbandierare in modo eccessivo la fatica che spaventa le persone. Non è un caso che il settore del fuoristrada abbia numericamente un riscontro maggiore, perché ha un approccio più divertente che aiuta a reclutare i ragazzini, oltre a poter togliere dal discorso i problemi legati al traffico.
La Federazione ha creato una super struttura per le nazionali e la sensazione è che la maggior parte delle risorse sia stata messa lì.
Questo tipo di assetto è lo stesso che avevo indicato nel mio programma di quattro anni fa. Di fatto lo hanno riproposto e realizzato. L’alto livello della struttura non dipende dal fatto che viaggino o meno col pullman, quello è relativo. Tutto ciò che è stato costruito intorno alle squadre nazionali nasce anche da scelte del passato, lo stesso Davide Cassani andava in questa direzione. Pertanto quello è un aspetto assolutamente da consolidare. Semmai mi sarei aspettato che le esperienze tecnico-scientifiche raccolte fossero trasmesse anche in basso, invece il Team Performance è un club chiuso, da cui non trapela nulla come per il rischio di spionaggio industriale. Sarebbe importante invece che questo lavoro, tra l’altro molto efficace, potesse essere veicolato anche alla base.
Si torna sempre a parlare della base…
Io credo che la vera priorità sia quella, anche economicamente. Le medaglie sono importanti e credo di parlare con cognizione di causa, visto che so cosa c’è dietro alla conquista di una medaglia, ma le medaglie vanno pesate. Quindi concentriamoci ed inseguiamo quelle che servono, ma per il resto dedichiamoci a sostenere la base che è la priorità del futuro prossimo. Serve gente qualificata anche nel Consiglio federale. Non dimentichiamo che lo Statuto ci impone di lavorare alla composizione di una squadra di qualità e di competenza certificata. Perché è vero che il presidente Dagnoni qualche problema l’ha avuto e ha trasmesso qualche segnale di inadeguatezza, ma purtroppo per lui non era accompagnato da una squadra in grado di aiutarlo a commettere meno errori. E allora una cosa ve la dico: il 10 gennaio sarà indetta una conferenza stampa anche per presentare la mia squadra.
Da chi sarà composta?
Proporrò soggetti di chiara e certificata competenza, perché io non ho nessuna intenzione di circondarmi di persone che mi diano le pacche sulle spalle e mi dicano quanto sono bravo. Io ho bisogno di gente che ascolterò con grande attenzione, che rompa molto le scatole. Sul tavolo ci sono dei problemi enormi e mi piacerebbe che si trovassero le soluzioni, non per la gloria di Silvio Martinello, ma per l’interesse del ciclismo italiano.
Che cosa hai imparato dalle elezioni precedenti?
Mi sono portato via gli errori che ho commesso, non ho problemi a riconoscerli. Furono un’assemblea e una campagna particolari, condizionate dall’emergenza sanitaria in cui eravamo coinvolti. Arrivai con grande determinazione e non feci la necessaria attenzione a non scivolare nei tranelli che nel frattempo erano stati tesi, rispondendo punto su punto ad ogni provocazione. Questo ha consentito a qualcuno di veicolare il messaggio che io fossi un soggetto autoritario, egocentrico, ancora con il numero sulla schiena.
In che senso?
Nel senso che mi sentissi ancora corridore e fossi ancora lì a sgomitare. Nulla di tutto questo, ho il mio carattere, certamente, ma sono uno a cui piace molto ascoltare. Prendo decisioni, ma dopo aver valutato e analizzato. Credo che questi messaggi abbiano fatto presa e condizionato il voto di alcuni presenti nell’assemblea, dove solo pochi prendono decisioni per un movimento invece molto complesso. Eppure ritengo quel primo turno fu molto soddisfacente, nonostante i tanti condizionamenti che ci sono stati. Mi ha permesso di capire che un’ampia parte del movimento credesse e ancora crede nella necessità di voltare pagina.
Che cosa è successo negli ultimi tre anni?
Sono passati a vuoto. Sarebbero stati l’occasione per fare scelte ragionate, che ora dovranno essere necessariamente coraggiose, perché il tempo non è tantissimo. Scelte condivise, soprattutto. Il Consiglio federale, se sarò investito di questa responsabilità, verrà chiamato a un lavoro importante. Colgo l’occasione per ripetere che sarà utilizzato solo ed esclusivamente il criterio della competenza. Ci saranno commissioni snelle, composte da soggetti competenti per la materia specifica. La nostra Federazione è molto complessa, io ho il mio percorso personale che spazia fra la pista e la strada e non mi permetto nemmeno di ragionare su altre discipline che non sono in grado di affrontare con la competenza necessaria.
Hai parlato dello statuto: non si era detto che riscriverlo fosse una necessità?
Tre anni fa tutti i candidati ne avevano proposto la modifica. Solo uno ha avuto la possibilità di farlo, ma ha spiegato la scelta di non farlo con due motivazioni inconsistenti. La prima pare sia stato il fattore economico. Ha parlato di 400 mila euro per organizzare un’assemblea straordinaria, mi chiedo se volesse organizzarla in resort esclusivo. Un’assemblea ha dei costi, ma francamente ritengo che siano ben al di sotto di quella cifra. La seconda giustificazione invece mi sembra molto grave e certifica, a mio avviso, l’inadeguata della guida federale.
Quale è stata?
Dato che dalla scorsa assemblea il movimento è uscito con una divisione piuttosto netta tra le fazioni di Dagnoni, Isetti e Martinello, il presidente ha dichiarato che non sarebbe stato certo di poter portare in assemblea straordinaria lo statuto che aveva in mente lui. Domanda: lo statuto è lo strumento di cui il movimento deve dotarsi per essere più funzionale alle proprie esigenze oppure viene realizzato per le esigenze di una sola parte? Nella commissione che lavorerà al nuovo statuto, a parte i nomi di saggi che tutti conosciamo e che possono lavorare ad uno strumento così delicato, vorrei gli uomini e le donne indicati dai singoli candidati. Deve essere lo strumento della Federazione, non di Dagnoni, di Martinello o di chiunque sarà.
Perché è necessario cambiare lo statuto?
La composizione del Consiglio federale è anche un esercizio di equilibri geografici territoriali e le dinamiche assembleari possono risultare un limite. La Federazione ha bisogno di un nuovo strumento di rappresentanza, per cui entro la fine del 2026 sarà indetta un’assemblea straordinaria per il nuovo statuto. Bisogna dare voce alle società, c’è poco da fare e questo è un impegno chee mi sento di prendere.
Tu hai girato parecchio, che cosa hai visto sul territorio?
Ho voluto incontrare le società, non per caso. I miei competitor invece si stanno dedicando a incontrare i delegati. Sono quelli che votano, per carità, il ragionamento non fa una piega. Ma io fin dal momento in cui ho ufficializzato la mia candidatura, ancora nello scorso mese di giugno, ho parlato di scelte responsabili e consapevoli. Significa che le nostre società, che sono la spina dorsale del movimento, in realtà vengono considerate un problema. Non vengono tenute in considerazione nell’Assemblea nazionale, dove sono presenti tramite i delegati eletti nelle provinciali. Il fatto di girare per esempio in Veneto, Friuli, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio è servito, per spiegare alle società i punti fondamentali del mio programma. Sono stati momenti utilissimi, ho un quaderno alto così, perché c’è voglia di confronto. Fare scelte consapevoli significa che le società hanno il diritto di chiedere ai delegati quale sarà il loro voto, cosa che poi è accaduta di molte assemblee provinciali. Aggiungo un dettaglio…
Quale?
Questo tanto girare, ribadisco un dettaglio non banale, io l’ho fatto a spese di Silvio Martinello. Sono consapevole che in assemblea un delegato possa cambiare opinione venti volte, ma nell’attesa di avere un nuovo statuto che permetta alle società di esprimere la propria preferenza anche a livello nazionale, è giusto pretendere che i delegati rispondano del loro voto.
Il presidente Dagnoni ha detto di aver fatto molto per agevolare le società.
Io ho percepito una lontananza siderale. Non dimentico che siamo un popolo che si lamenta molto ed è abituato a scaricare le responsabilità sugli altri, però c’è una grande distanza, certificata dai comportamenti di questa Federazione. Vogliamo parlare di trasparenza? Vogliamo parlare di coinvolgimento? Basta leggere i comunicati ufficiali dopo i Consigli federali. Nessuno di noi sa cosa effettivamente viene deciso. Nel momento in cui, ai primi di giugno, il Consiglio federale ha certificato il bilancio del 2023, che poi è stato certificato dal CONI qualche settimana fa, nel comunicato pubblicato sul sito federale se ne dava un minimo cenno e si parlava invece del nuovo accordo con Infront. Si costruiscono comunicati ad arte per distogliere l’attenzione dai veri problemi. Il confronto e la trasparenza sono fondamentali in una macchina complessa come la Federazione, anche per legittimare chi è stato investito dalla responsabilità di guidarla. Tutto questo c’è stato pochissimo nei primi mesi, mentre è completamente scomparso dopo le nostre vicende dell’estate del 2022.
Cosa successe?
Si sono sentiti accerchiati per una vicenda che non è mai stata spiegata del tutto, quella dei contributi irlandesi, e si conoscerà solo ed esclusivamente nel momento in cui qualcuno andrà ad aprire quei cassetti. Per l’opinione pubblica magari è una vicenda chiusa, ma non lo è per chi ha sempre mantenuto l’attenzione sul caso. E si tratta della conferma che lo stesso Consiglio federale non fosse informato di quelle scelte. I componenti hanno dovuto firmare una dichiarazione di riservatezza. Potevano essere tutti più coraggiosi e pretendere di sapere, come Norma Gimondi, invece sono rimasti tutti buoni al loro posto.
Ritroveremo nella contesa elettorale con ruoli diversi anche personaggi come l’ex presidente Di Rocco e Lino Secchi, candidato alla presidenza.
A Secchi ho fatto una corte spietata, mi sarebbe piaciuto averlo a disposizione. Lino è stato il riferimento di tanti presidenti regionali per la sua esperienza, la sua capacità di dialogo e la sua conoscenza. Nel momento in cui mi ha comunicato la scelta di candidarsi, gli ho augurato buona fortuna. Quanto a Di Rocco, ci siamo dati qualche sportellata, però è impossibile non riconoscere il suo profilo dirigenziale. Un dirigente di alte qualità che potrebbe aiutare molto a portare avanti le nostre istanze sui tavoli internazionali. Le nostre e quelle di altri movimenti nazionali, come quello spagnolo che è pure in grande sofferenza. Se avessi vinto quattro anni fa, non mi sarei privato della sua esperienza e certo non avrei mai pensato a un suo allontanamento con le modalità con cui è avvenuto. Non credo che rottamare persone valide sia una strada da seguire, cosa ben diversa invece è pretendere di avere solo persone competenti. Il fatto che chi vince prende tutto e chi non vince è fuori dai giochi è stata una scelta che ci ha impoverito.
Perché ti sei ricandidato?
Con il nuovo statuto dovremo cercare maggiori collegialità e condivisione. Non ho altri obiettivi, tutelerei meglio i miei interessi personali continuando a occuparmene. Nella vita mi sono realizzato, anche nel post carriera. Grazie al cielo e sempre grazie al ciclismo, conduco una vita dignitosa, ma è arrivato il momento in cui voglio restituire qualcosa. Mettere la mia esperienza a disposizione dei tanti che mi hanno spinto in questa direzione e sono riusciti a convincermi che io possa dare qualcosa. Ebbene, Se posso dare qualcosa, io ci sono. Se invece dobbiamo andare avanti in modo che nulla cambi, allora non è una cosa che mi interessa.
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