«Come corridore, Mark è un campione. Però come persona mi ha deluso». Maxi Richeze parla in modo netto, con lo sguardo dritto di chi non ha cose da nascondere. Il garage dell’Hotel Del Bono di San Juan è in penombra e umido da morire, fuori c’è un vento che ti porta via. Ieri c’erano 38 gradi, oggi va un po’ meglio. Le squadre della Vuelta a San Juan sono tutte in Argentina, ieri siamo arrivati anche noi giornalisti e da oggi in avanti ogni incontro diventa lo spunto per una storia da raccontare.
Il disastro B&B Hotels
Richeze lo avevamo intercettato a metà ottobre, quando avevamo saputo che Mark Cavendish gli aveva chiesto di accompagnarlo al Tour per la sfida finale al record di Merckx. La B&B Hotels aveva fatto l’offerta giusta e attorno al campione dell’Isola di Man stava nascendo un treno per la Grande Boucle. Richeze sarebbe stato il suo ultimo uomo, Mozzato sarebbe stato uno degli uomini interessati.
Poi di colpo si è fermato tutto. La squadra si è persa nelle sue vicende finanziarie e il manager Pineau a un certo punto ha alzato le armi e liberato tutti i corridori. Un bel disastro in terra di Francia, da cui Cavendish e il suo manager Martijn Berkhout si sono messi in cerca d’altro.
Ci siamo lasciati che stavi andando alla B&B, mancava solo di firmare…
In realtà abbiamo firmato e fatto un primo ritiro a ottobre. Quando hanno rinviato la presentazione per la prima volta e hanno smesso di arrivare messaggi, ho pensato che forse c’era qualcosa di strano. Poi però hanno mandato l’email per fare il ritiro di dicembre e ho detto: «Vabbè, si sta sistemando». Invece è saltato tutto.
Come erano a quel punto i rapporti con Cavendish?
Erano buoni. Non ci parlavo troppo spesso, perché sapevo che era un po’ sotto stress. Gli dicevo che io c’ero e di chiamarmi quando avesse notizie. Lui mi ha sempre tenuto al corrente delle varie squadre che sentiva. Io ero ancora in Europa, sono arrivato qua prima di Natale, dopo aver visto la finale del mondiale di calcio in Qatar.
Quindi eri in Europa quando è venuta fuori la pista Astana?
Esatto. Mark mi aveva parlato dell’Astana e di una professional americana. Il giovedì ho parlato con gli americani, il venerdì sera invece mi hanno scritto sia lui sia il suo procuratore, dicendo che l’Astana tornava in prima posizione e che il giorno dopo si sarebbero messi a posto. Da lì non ho avuto più notizie, era il 16 dicembre. Mi ha scritto che mi avrebbe fatto sapere il giorno dopo, ma più niente. Lui neanche vede più i miei messaggi, il suo procuratore li vede, ma non risponde.
Erano i giorni in cui l’Astana era a Calpe. C’eravamo anche noi…
Esatto. Venerdì sera abbiamo parlato e loro domenica avevano già firmato. Erano lì e hanno smesso di darmi risposte.
Come te lo spieghi?
Non lo so. Alla fine se lui doveva andare e non riusciva a portarmi, si poteva anche capire. Me lo dici, mi dispiace, ma non sono un bambino. Avrei capito. Eravamo già a dicembre, un periodo un po’ tirato e ci stava anche che fosse preso con le sue cose, però almeno avrei voluto una chiamata. E se non aveva il coraggio per una chiamata, almeno un messaggio. Non che non mi rispondi più al telefono e neanche ai messaggi. Sono deluso…
Anche perché per questa opportunità, avevi ricominciato ad allenarti…
Sì, io avevo già deciso di smettere. E’ stato lui a motivarmi perché facessi un altro anno e per quello ho continuato ad allenarmi.
A questo punto hai deciso che San Juan sarà la tua ultima corsa?
Visto che praticamente non rispondevano più al telefono, ho capito e sinceramente non sono neanche andato in cerca di altre squadre. Come avevo detto anche a Mark, avevo bisogno di motivazioni forti per fare un altro anno. Quella di andare con lui al Tour de France era una bella sfida, una cosa buona. Quando è sfumata, ho deciso di smettere, non volevo forzare il destino. Già era saltato il discorso con B&B. Dopo è successo questo problema con lui. Io credo nel destino, vuol dire che il Signore non voleva che continuassi a correre. Quindi, cuore in pace.
Come sei rimasto quando hai visto che l’Astana ha preso Cees Bol?
Ripeto, io non discuto la scelta tecnica. Bol è un corridore dello stesso procuratore di Mark, ma capisco Vino che magari ha voluto un velocista più giovane che può fargli risultato. La scelta ci sta, il silenzio mi è dispiaciuto.
Riuscirai a vivere questa ultima corsa serenamente?
Sereno, un po’ contento, un po’ malinconico. Perché, sai, ti passano tante cose per la testa. Tutta la vita in bicicletta, 17 anni da professionista, quindi è dura. Dici che smetti, ma quando arriva il momento… Però cercheremo di goderci questo momento con tanti amici. Ho parlato anche con il Governatore e con il Ministro dello Sport, qui dove ho iniziato la mia carriera di ciclista e dove la voglio finire. L’ho sempre detto che ci tenevo che fosse qui. C’è gente mi ha dato tanto, sia a livello affettivo come anche sportivo. Per me era importante arrivare fin qui.
Il futuro sarà qui o in Europa?
Non lo so, ancora non ho deciso. Io ho un’azienda qui, poi abbiamo anche l’azienda di famiglia, quindi voglio lavorare un po’ su quello. Mi piacerebbe molto lavorare qui, con i ragazzini in Argentina o anche qui a San Juan, visto che c’è anche il velodromo nuovo. Quello aiuterà tanto. Quindi il futuro è ancora da decidere. Per ora la bimba è in Italia con mia moglie. L’ultima volta che sono venute con me, a scuola l’hanno caricata di compiti e mia moglie ha sclerato…
Ti alleni da solo oggi?
Oggi sì. Ho un terreno a 40 chilometri da qui e vado a controllare come vanno le cose, poi mi sposto all’hotel dell’Argentina, sennò mi ammazzano (ride, ndr). Ho fatto qualche giorno in questo delle WorldTour perché mi hanno invitato, ma ora torno dai miei.