Si parlava con Daniel Oss, giusto ieri alla partenza della Het Nieuwsblad, quando alle sue spalle è arrivato Sagan, reduce da un’altra raffica di interviste.
«Bello – stava dicendo il trentino – è la prima volta che entro nel velodromo di Gand. Con Liquigas, BMC e Bora, siamo sempre stati fuori. Nelle prime corse quassù c’è sempre quell’ansietta da prima gara. Per quanto possano essere andate bene le prime, questa è quella in cui tiri la linea. Che vuol dire tutto e anche niente. Se va bene o male, cambia poco. Ma se va bene, parti con più morale. Il materiale è lo stesso dell’anno scorso, ricognizioni non servono granché. Ne abbiamo fatta una in Francia sul pavé del Tour e qualche test per i nuovi tubeless, per le pressioni principalmente».
Poi Daniel s’è voltato e, avendo visto Peter, l’ha apostrofato sul suo avere sempre fretta. Poi ridendo è sparito verso il pullman. Mancava mezz’ora alla partenza, bello poter fare tutto con calma. Sagan intanto si guardava intorno. Col senno di poi possiamo dire che la corsa non sia andata un granché. Ma avendo ripreso il Covid e perso il secondo ritiro, con il solo Tour du Haut Var nelle gambe, sarebbe stato ingeneroso aspettarsi di più. Una cosa è certa: Peter è super esigente con se stesso, le sconfitte non gli vanno proprio giù…
Come stai?
Bene
Torni sulle tue strade…
E’ buono essere qui e ricordarsi le strade, perché tutto il Belgio corriamo in questi posti.
Che cosa ti è parso della presentazione con tanto pubblico?
Passi quei due minuti sul palco (sorride, ndr), ma per noi non è importante quello.
Ti stai abituando alla nuova squadra?
E’ un buon gruppo di persone, la squadra funziona bene. E avendo attorno le persone giuste, è comodo, prendi i ritmi subito.
Che cosa significa che funziona bene?
All’Haut Var ho visto che tutto è organizzato professionalmente, allo stesso livello del WorldTour. E’ un bel gruppo, peccato che non ho potuto passare molto tempo con i compagni di squadra.
E’ stato pesante il Covid stavolta?
Molto meglio della prima volta. Ho un po’ penato per tre giorni e dopo una decina ero di nuovo in sella. Però ero indietro, così sono andato con mio fratello a Gran Canaria e abbiamo fatto il nostro ritiro.
Le persone giuste attorno a te…
Oss, Bodnar, mio fratello. Il meccanico e il massaggiatore. Il direttore sportivo. L’addetto stampa (dice ammiccando verso Gabriele Uboldi, ndr). Si fa prima ad adattarsi. Servono anni per creare fiducia l’uno con l’altro. Ed è bello avere un gruppo fisso di persone intorno a te, anche quando cambi squadra. Ti aiutano a integrarti in un nuovo gruppo.
E’ vero che la Quick Step non ti ha voluto proprio a causa del gruppo?
Lefevere ha iniziato a parlare del “gruppo di Peter”. Ma non è il mio gruppo, non possiedo le persone, le voglio solo intorno a me. Penso che sia importante avere il proprio massaggiatore e il meccanico. Negli anni, alcuni hanno provato a cambiare la mia posizione in bici e ogni volta è stato uno stress. Adesso sono sette anni che non la tocco e questo è un grande passo avanti. E poi le persone del mio gruppo non lavorano solo con me e per me. Fanno quello che chiede loro la squadra. Come era alla Bora, così è alla TotalEnergies.
Però il tuo protetto Martin Svrcek, che ora corre alla Biesse Carrera, andrà alla Quick Step.
Gli ho consigliato io di firmare, per il cacciatore di classiche che può diventare. Sono contento che lo abbiano preso. Quando videro me per la prima volta, da junior, mi dissero che mi avrebbero seguito e invece sparirono. Forse perché mi chiamavo già Peter Sagan, ma non ero ancora Peter Sagan.
Sei sempre molto esigente con te stesso?
Chi te lo ha detto?
Non sembri uno che si accontenta…
Bisogna, dipende dai momenti. Per andare forte si deve fare così…
Com’è la gamba?
Buona, devo crescere. La mia vera stagione comincerà dalla Tirreno. E poi da lì le corse saranno tutte importanti…