Uno di noi in Olanda, nella casa della Jumbo-Visma

24.11.2022
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Wout Van Aert ci dà il benvenuto quando entriamo nel Service course della Jumbo-Visma. Il Van Aert è ad altezza naturale ed è di cartone! Di fronte a lui subito una serie di trofei e maglie.

Olanda meridionale, circa 80 chilometri a sud di Amsterdam, siamo ad s-Hertongenbosch. «Ma qui la chiamiamo Den Bosch», ci dice subito Ard Bierens, addetto stampa che fa gli onori di casa. «La pronuncia è un po’ complicata e credo che neanche gli olandesi la conoscano col vero nome!».

Sul Col du TJV

Capannoni super moderni in vetro e cemento e costruzioni hi-tech contornano la parte orientale  di “Den Bosch”, quella che divide il centro dalla campagna. Vicino c’è un canale, sul suo margine scorre neanche a dirlo una pista ciclabile. Appena scendiamo dalla macchina, su quella pista passa una serie di ragazzi in bicicletta. Questa immagine con la pianura e una pala eolica in lontananza ci fa pensare: «Okay, l’Olanda in una foto!».

Appena entrati, prima del caffè, lo stesso Ard ci fa fare un tampone. Qui i protocolli ci sono ancora. Sbrighiamo questa pratica in uno degli uffici al piano superiore. Vi si accede con una scala… anzi attraverso un colle!

Se l’Olanda è il cuore dei Paesi Bassi, un motivo ci sarà. Pensate che siamo praticamente a quota zero. Forse un metro sul mare. Quasi come sul Muro di Sormano, nella parte verticale degli scalini ci sono le quote con la variazione di quota… espressa in millimetri! Fino ad arrivare ai ben 4.200 millimetri del Col du TJV (Team Jumbo Visma)! Insomma al piano superiore.

Due piani

La stessa scala, come un po’ dappertutto, è contornata di trofei. Ci sono anche il “nostro” Tridente della Tirreno-Adriatico e qualche maglia rosa qua e là. Ci sentiamo stranamente orgogliosi di quei premi.

«L’edificio ha un anno – ci dice Ard, mentre ci fa da Cicerone – nel tempo siamo cresciuti molto. All’inizio eravamo un piccolo team. Compresi i corridori eravamo una settantina di persone. Ora se ne contano oltre 200.

«Ufficialmente questa è anche la sede della squadra di skating (pattinaggio sul ghiaccio, ndr), ma loro hanno un altro edificio nel Nord dell’Olanda dove questo sport è più praticato».

Nei piani superiori ci sono gli uffici, che però non ricoprono tutta l’aerea dell’edificio. Oltre agli uffici ci sono tre sale presso cui fare meeting e riunioni. Un paio di queste hanno un’ampia vetrata che dà sul resto dell’edifico, quello del “service course” vero e proprio.

Nel piano inferiore una grande area d’accoglienza ci porta nel mondo Jumbo-Visma. Tutto è in ordine, tutto è funzionale. Oltre al desk, ci sono una cucina e una sala mensa. Mentre dall’altra parte del salone ci sono docce e altri ripostigli.

Nel cuore della Jumbo 

Ogni porta ha l’insegna dell’iride e il cartellino che indica a cosa è adibita. Particolari che la dicono lunga. Presto ci rendiamo conto che Van Aert non è da solo. Incontriamo Roglic, Kruijswijk, Gesink… sempre di cartone, sempre a grandezza naturale.

Il magazzino-officina è la porzione più grande, chiaramente. Per i due terzi, forse anche più, c’è questo grande spazio. Al centro un’infinità di Cervélo, i banchi dei meccanici e ai lati, su due piani, ci sono altri magazzini. Ci sono pezzi di ricambio per le bici, altri per la logistica, altri ancora per gli alimenti, i lettini dei massaggiatori… E’ come una piccola città autonoma.

«Questa aerea – dice Bierens – è la più grande, come potete vedere. Qui ci sono le bici, i banchi di lavoro e quello spazio giù in fondo è il garage. Quest’anno abbiamo acquistato un altro bus. Ora siamo a quattro. Non dimentichiamo che abbiamo anche il team development e che la squadra femminile cresce».

Carrelli di bici

Ogni corridore ha il suo spazio per le bici. Ci sono carrelli che sembrano degli appendiabiti: in mezzo il nome del corridore e poi due bici appese su altrettante staffe. Sotto, affinché il meccanico possa spostarli verso il suo banco di lavoro o magari portarli verso l’ammiraglia, ci sono le ruote.

Nella parte bassa questi carrelli hanno una grossa base, sulla quale vengono appoggiate ruote, forcelle, pezzi di ricambio… Un oggetto in comune per tutti è il casco da crono, ben conservato nella custodia.

In molti hanno già la bici nuova, con i nuovi gruppi e alcuni particolari che per questioni di marketing e contratti in essere non si possono ancora far vedere. E ora vi facciamo una domanda? Secondo voi quale corridore aveva più carrelli? Van Aert: per lui ne abbiamo contati almeno quattro. Fra bici da cross, strada, crono e colorazioni speciali, Wout fa lavorare molto i suoi meccanici.

Ogni banco di lavoro è un piccolo paradiso della tecnica. Pulito, con attrezzi di ogni genere. Ai lati di ognuno, ci sono un compressore e un macchinario particolare che serve per il rodaggio dei cuscinetti delle ruote. Sopra, chiaramente, attrezzi e alcuni strumenti specifici. Un particolare che ci ha colpito è stata la quantità di cavi elettronici per i gruppi. Impressionante. Basti pensare che hanno un cesto apposito per il loro smaltimento.

Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour
Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour

Sponsor day

Ed è un vero brulicare di persone, meccanici e, man mano che va avanti la giornata, anche di corridori. E sono proprio questi che scandiscono i tempi di questa efficiente macchina organizzativa. Ognuno ha una tabella da rispettare, ben scritta su un foglio. 

Siamo capitati nel giorno in cui i nuovi sponsor forniscono i materiali. Si va dal dopo corsa ai giubbini refrigeranti, dagli integratori alle scarpe… per finire alle foto… cartolina. Ci sono almeno tre set fotografici in altrettanti parti del Jumbo-Visma service course.

Un corridore va a ritirare il giubbino, l’altro a fare la foto con gli integratori. C’è chi riconsegna il vecchio materiale in eccesso. Kruijswijk, per esempio, aveva un valigia grande piena di maglie ancora avvolte nella plastica. Chi riportava questo vestiario lo metteva in due enormi cesti grigi. Queste divise poi dovrebbero andare in regalo, in premio, in qualche serata di beneficienza… Forse è l’unica cosa in cui in Jumbo-Visma hanno le idee meno chiare!

Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!
Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!

Già in ricognizione

I ragazzi parlano fra loro, tra un caffè e un appuntamento nella loro scaletta. Jonas Vingegaard, re del Tour, ha un grosso cappotto verde militare. Lo avvolge che sembra un bambino. Umilissimo, semplice e già molto magro. Roglic invece indossa una giacca di pelle. Anche lui magrissimo, è super interessato ad ogni aspetto tecnico: scarpe, bici… Foss potrebbe fare l’intrattenitore. Sempre con un bicchiere di the, caffè o cola in mano e sempre ad attaccare bottone con qualcuno.

Mentre non si vedono Van Aert, Laporte, Affini «Sono a fare la ricognizione – ci spiega Bierens – In questi due giorni erano in Belgio. Ieri hanno provato gli ultimi 120 chilometri di E3 Harelbeke e oggi (ieri, ndr) il finale del Fiandre. Ma tra poco saranno qui anche loro». E infatti eccoli spuntare. «Volevamo fare dei test con i nuovi materiali prima dell’inverno», ci dice Edoardo.

Il futuro è ora

Intanto dalla zona dove è parcheggiato il bus arriva un certo rumore. «Stanno preparando – dice Bierens – la festa di domani sera (oggi, ndr). Un party tra di noi, per festeggiare l’ottima annata del team. Ci sarà tutto lo staff. Abbiamo vinto il ranking UCI.

«Ma prima facciamo la riunione. Una riunione importante. Quando siamo nati avevamo l’obiettivo di vincere il Tour entro sette anni. Ci siamo riusciti. E adesso? Cosa vogliamo? Dove vogliamo andare? E’ importante ragionare così e farlo tutti insieme. Perché è in questo modo che crei una solida base, che hai le idee chiare e dai sicurezza agli sponsor che ti sostengono nel lungo periodo».

Questa ultima frase dice tutto della Jumbo-Visma. Nel frattempo è sceso il buio. La pista ciclabile non si vede in più e su Den Bosch scende la pioggia. 

Il Tour di Vingegaard iniziato da una lite a scuola

11.11.2022
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Soltanto nella sua casa a Hillerslev, Vingegaard riesce ad essere semplicemente Jonas. Quando lo dice, a tratti nella sua voce compare una voglia di normalità dopo lo tsunami di popolarità che lo ha travolto con la vittoria del Tour. Il paese si incontra 280 chilometri a nord di Copenhagen e con i suoi 360 abitanti è davvero un’oasi di silenzio.

«Ci sono appena piccole differenze rispetto a prima – sorride il danese con un pizzico di ironia – sono più riconosciuto, ma quando sono a casa, è come prima. Posso ancora allenarmi come voglio, dove voglio. E chi lo desidera può pedalare con me».

Capire che cosa abbia significato per Jonas e la sua famiglia essere arrivati così in alto, è fare un viaggio nella tradizione e la cultura di un popolo che, soprattutto nelle campagne, viene educato nel segno della collettività, rifuggendo l’affermazione personale. Al punto che quando un insegnante del liceo cercò di convincere il giovane Jonas del fatto che non dovesse avere sogni legati allo sport, sua madre Karina esplose.

«Ero semplicemente così furiosa – ha raccontato – non è giusto togliere i sogni ai giovani. E ci sono alcuni sogni per i quali devono passare per la cruna di un ago».

Claus e Karina Vingegaard, i genitori di Jonas, hanno seguito la vittoria del Tour nel tendone di Hillerslev (foto Nordjyske/Henrik Bo)
Claus e Karina Vingegaard, i genitori di Jonas, hanno seguito la vittoria del Tour nel tendone di Hillerslev (foto Nordjyske/Henrik Bo)

Il ciclismo e la ribellione

Quando Jonas ha vinto il Tour, tutto il paese si è radunato sotto un tendone costruito nella piazza vicino alla chiesa, con i suoi genitori Claus e Karina nel mezzo a ricevere gli abbracci e gli applausi

Il Tour de France ha sempre fatto parte della vita della famiglia. Nel 1996, Karina era incinta di Jonas e insieme a suo marito seguì la vittoria di Bjarne Riis in maglia gialla. 

Da allora, quasi per ogni estate, la famiglia iniziò a recarsi in Francia per seguire il Tour de France e quando Jonas ha iniziato a correre, Claus ha pensato bene di investire in una roulotte che, oltre a garantire che Jonas potesse partecipare alle varie gare ciclistiche, è diventata la cornice di tante vacanze. Suona come una beffa il fatto che proprio quest’anno, in cui avrebbero avuto da festeggiare il Tour del figlio, i Vingegaard non siano potuti andare in Francia per motivi personali.

In un Paese caratterizzato dalla legge di Jante, uno schema mentale tipico del Nord Europa elaborato dal sociologo Aksel Sandemose, secondo cui bisognerebbe rifuggire l’affermazione individuale a favore della collettività, i genitori di Vinegaard sono andati nella direzione opposta. Raccontano infatti che per loro, era importante che i figli crescessero con la convinzione che avere degli altri obiettivi ripaga dagli sforzi. Al punto di aver discusso con quel consulente scolastico che si era preso la briga di dire a Jonas, già innamorato di ciclismo, che non sarebbe potuto diventare un ciclista professionista.

«Per fortuna alla scuola dello sport – ha ricordato la mamma – ha trovato un insegnante che valeva tanto oro per quanto pesava. Ha avuto un approccio a Jonas che lo ha fatto crescere mentalmente. Allo stesso tempo, ci siamo messi in contatto con un mental coach e quel periodo ha segnato la svolta psicologica».

A Saitama, Vingegaard ha indossato nuovamente la maglia gialla di PArigi
A Saitama, Vingegaard ha indossato nuovamente la maglia gialla di PArigi

La scelta del Tour

«Tutta questa attenzione non mi disturba – dice il diretto interessato, incuriosito dall’attenzione sulle sue origini – non sto cercando i riflettori. Sarei così felice anche se nessuno mi riconoscesse, ma non ho problemi con questo. Fa parte del pacchetto».

Prima di ricominciare sul serio con gli allenamenti, Vingegaard si è concesso una vacanza alle Maldive con la compagna Trine e la figlia Frida, che ha ancora due anni e si nasconde spesso fra le gambe del padre. Poi sulla via del ritorno, si è fermato in Giappone per i circuiti organizzati dal Tour de France. E qui ha potuto commentare le sfide che lo attendono. 

«Quello del Tour – ha detto – è un buon percorso. Mi sarebbe piaciuto solo un po’ più di cronometro, perché penso che sarebbe stata a mio vantaggio. E’ vero che il mio sogno è vincere i tre grandi Giri e a dicembre, durante il ritiro, ne parleremo. Vedremo cosa vuole la squadra e cosa vorrei io. Per il momento sarebbe troppo complicato correre Giro e Tour. E dovendo scegliere, la mia preferenza va al Tour de France».

Santini ti fa vestire come i leader del Tour

11.11.2022
3 min
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La divisa per chi pratica un’attività sportiva è da sempre elemento di aggregazione e identificazione, qualunque sia lo sport praticato. Per ogni sportivo la propria divisa non deve essere però solamente bella, deve essere anche performante, magari come quella di un professionista.

In concomitanza con la presentazione dell’edizione 2023 della Grande Boucle, Santini ha deciso di mettere a disposizione di qualunque squadra amatoriale la tecnologia e i materiali utilizzati per realizzare i capi tecnici che vestono i leader del Tour de France. Stiamo parlando delle maglie destinate ai leader delle classifiche individuali, la Maglia Gialla in primis, ma anche dei body da strada e da cronometro.

Santini ha ridisegnato e implementato la piattaforma dedicata alla linea custom
Santini ha ridisegnato e implementato la piattaforma dedicata alla linea custom

Come Vingegaard

Quando si pensa al Tour de France, il primo pensiero va alla Maglia Gialla, quest’anno conquistata dal danese Jonas Vingegaard (foto di apertura di BeardyMcBeard). Come tutte le maglie destinate ai leader delle singole classifiche, anche la Maglia Gialla è confezionata con due tessuti rigorosamente eco. Sono infatti provenienti da produttori locali, e sono totalmente riciclati da PET e filati di avanzo.

La parte anteriore e le tasche sono realizzati in “Think 606 Eco”. Per schiena e maniche si adotta il “Finally Eco”. Entrambi i tessuti presentano una trama orientata in modo da favorire la miglior termoregolazione sotto sforzo, durante le calde giornate di luglio sulle strade della Grande Boucle. Vestibilità Sleek a effetto seconda pelle, zip nascosta, maniche tagliate al vivo, e finitura interna a fondo manica in silicone sagomato.

La prima maglia gialla firmata da Santini è stata indossata da Jonas Vingegaard
La prima maglia gialla firmata da Santini è stata indossata da Jonas Vingegaard

Anche i body

Da oggi tutta la tecnologia e i tessuti utilizzati per realizzare maglie e body da strada e da cronometro sono a disposizione dei team amatoriali. A proposito dei body, questi sono il risultato di continui investimenti in ricerca e sviluppo basati su una attenta analisi della struttura dei materiali per trovare la migliore combinazione di tessuti, taglio e vestibilità.

La ricerca è finalizzata a trovare il materiale che per elasticità, posizione e struttura influisca positivamente sul flusso d’aria che entra in contatto con parti specifiche del corpo, creando una sorta di microflusso continuo che agisce da spinta aerodinamica. Testati in laboratorio e in galleria del vento per ottenere le migliori prestazioni in ogni situazione.

I team amatoriali avranno a disposizione le stesse tecnologie usate per cucire il body del vincitore del Tour
I team amatoriali avranno a disposizione le stesse tecnologie usate per cucire il body del vincitore del Tour

C’è anche una nuova piattaforma

A supporto di questa iniziativa, Santini ha totalmente ridisegnato e implementato la piattaforma dedicata alla linea custom, per guidare l’acquirente in ogni fase della personalizzazione della divisa della propria squadra, sotto ogni aspetto: stile, disegni, comfort e performance. Si tratta di una soluzione online immediata, che permetterà a chiunque di avere la propria “Maglia Gialla”, realizzata con la stessa esperienza, cura e manualità e con i medesimi tagli, processi e materiali che Santini utilizza per le divise del Tour de France.

Santini

All4Cycling, due mondi in uno e la community cresce

10.11.2022
6 min
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Viaggio curioso nel mondo di All4Cycling a Gazzada Schianno, in provincia di Varese, fra le vetrine del negozio fisico e i meccanismi dell'online, le social ride e la community degli utenti

Alle spalle del negozio inizia un altro mondo. Come nei film western, quando alle spalle del bancone c’erano quelli che giocavano a poker. Alle spalle del banco di All4Cycling c’è invece il mondo dell’e-commerce ed è davvero la porta su un universo parallelo. Dalle postazioni, gli addetti ai lavori maneggiano gli oggetti venduti e dispongono la spedizione. Il magazzino, come tutti i magazzini, è il regno del caos organizzato. Ma alla base si respirano una grande passione per la bicicletta e un’ancora più grande voglia di lavorare.

Matteo Ruzza è il responsabile marketing di All4Cycling
Matteo Ruzza è il responsabile marketing di All4Cycling

Provincia di Varese

Siamo a Gazzada Schianno, comune varesino di neanche 5.000 abitanti, dove ha sede il negozio di All4Cycling. Ne abbiamo già parlato altre volte, ma oggi siamo venuti a guardarlo da vicino. Ci guida Matteo Ruzza, responsabile marketing dell’azienda, e intanto spiega quali siano le strategie commerciali e in che modo il negozio fisico interagisca con quello online.

«All4Cycling – dice – è una realtà e-commerce completamente italiana, con sede a Varese. Nasce appunto come sito Internet nel 2006. Nel 2011, dall’esigenza di avere un punto di riferimento anche sul territorio, si attiva con un pick and pay, quindi soltanto per il ritiro degli ordini online».

Specialized è uno dei marchi più presenti nel negozio di All4Cycling a Gazzada: come bici e accessori
Specialized è uno dei marchi più presenti nel negozio di All4Cycling a Gazzada: come bici e accessori

«Nel corso degli anni, per l’esigenza di essere presenti sul territorio e di rifornire anche gli appassionati di qui, inizia la vendita di abbigliamento. Fino ad avere, ingrandendosi ulteriormente, un punto vendita molto fornito nel quale è possibile trovare tutto quello che viene messo a disposizione online».

Negozio e community

Quel che ha distinto All4Cycling dal post pandemia e fino a pochi giorni fa sono state le iniziative social messe in atto, nella forma di uscite in bici e interventi di campioni, per raccontare, spiegare, intrattenere e consolidare la community.

«Inizialmente – spiega Matteo Ruzza – volevamo introdurre e valorizzare il mercato gravel, poi alla fine abbiamo capito che c’era l’esigenza di creare una community e di portare gli appassionati a conoscenza del territorio. Quindi le social ride hanno smesso di essere solo gravel raid e ci siamo aperti anche a diverse pedalate. Con le mountain bike e poi anche su strada qualche settimana fa con Fabio Aru. 

«I valori aggiunti di forza di All4Cycling – prosegue – sono due: il fatto di avere delle persone che conoscono il ciclismo perché lo praticano o lo hanno praticato. E poi c’è proprio il cercare di fare community per evitare di rimanere soltanto su un rapporto venditore/cliente. Questo secondo noi è importante».

All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
All4Cycling è uno Shimano Service Center, centri di riferimento presenti in tutto il mondo
Come è suddiviso il vostro mercato?

Inizialmente il pubblico era strettamente road, perché questo era il percorso di crescita di All4cycling, nato vendendo principalmente prodotti per la strada. Partendo dall’abbigliamento delle squadre professionistiche, per arrivare all’abbigliamento di collezione, introducendo successivamente componenti e accessori. Come ultima cosa sono state portate dentro le bici. Questo è stato il nostro percorso. Ora la strada è ancora predominante.

E la gravel?

La gravel non dico che sia altalenante, però fondamentalmente non sappiamo ancora dove si posizionerà. In questo momento sta andando molto bene. E anche la mountain bike fa la sua parte, forse possiamo dire che ci stiamo avvicinando un punto di pareggio fra le tre discipline in gioco.

All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
All4Cycling è anche un punto Oakley, con la possibilità di personalizzare i propri occhiali
A cosa serve portare i campioni nel negozio?

Nelle attivazioni con i clienti, i campioni hanno ancora sicuramente il loro fascino. Abbiamo fatto un meet and greet con Vingegaard che è andato molto bene. Poi abbiamo fatto una social ride con Fabio Aru e anche quella, al pari dell’incontro con Vingegaard, è andata sold out in pochissimo tempo. Il campione ha il suo fascino, ma è stato bello vedere che dopo il periodo della pandemia la gente ha voluto essere presente, riscoprendo la socialità della bici. E questo per noi è molto importante e non smetteremo di farne.

C’è differenza fra il cliente del negozio e quello dell’online?

Chi acquista in rete, si concentra più su abbigliamento, componentistica e accessori. Con la bici è più complicato, perché arriva smontata e non tutti sono in grado di montarla. Quel che funziona nell’online è l’immediatezza e se mi arriva la bici e poi devo andare in un altro negozio per farla montare, l’immediatezza sparisce.

Riuscite a seguirli entrambi nella stessa maniera?

Nella fase della consulenza, noi cerchiamo in tutti i modi di essere il più possibile presenti anche online. E’ vero che il cliente arrivando in negozio ha la possibilità di confrontarsi con i ragazzi che sono super esperti, ma anche online abbiamo aperto tutti i canali. Abbiamo una chat, abbiamo le mail, abbiamo il servizio clienti telefonico. Insomma vogliamo far percepire al cliente online che dietro al robot dell’e-commerce c’è anche una persona competente, in grado di consigliare come se ce l’avessero davanti nel negozio.

Pioggia di watt. Le migliori prestazioni dell’anno dai 20′ in su

29.10.2022
5 min
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Quella appena terminata può essere archiviata come la stagione dei record. Si è assistito, ancora una volta, a prestazioni incredibili. Prestazioni che la maggior parte di noi tende a “fotografare” nel momento in cui Jonas Vingegaard stacca Tadej Pogacar sul Col du Granon al Tour de France. Ma anche nelle volate dei due atleti alla Planche des Belles Filles o a Peyragudes (nella foto di apertura). “Chissà quanti watt finivano su quelle pedivelle?”, ci si chiede…

Eppure quella del Granon non è stata la miglior prestazione dell’anno. Lo scettro spetta, o forse sarebbe meglio dire spetterebbe, ancora a Pogacar. Noi abbiamo preso in considerazione gli sforzi dai 20′ in su. Tadej ha sviluppato 6,5 watt/kilo sul Carpegna, durante la Tirreno-Adriatico.

Altre super prestazioni sono sempre firmate da Pogacar e Vingegaard i quali proprio alla Planche des Belles Filles hanno fatto un qualcosa come 6,6 watt/kilo, però quella scalata era più breve e soprattutto c’era stato molto gioco di squadra prima del chilometro finale. Al terzo posto ecco Remco Evenepoel che sulla Fancuya, alla Vuelta, avrebbe espresso 6,4 watt/chilo. E per di più per oltre 25’.

Pogacar sul Carpegna. Con un paio di gradi sopra lo zero e un abbigliamento più pesante questa prestazione assume ancora più valore
Pogacar sul Carpegna. Con un paio di gradi sopra lo zero e un abbigliamento più pesante questa prestazione assume ancora più valore

Il parere di Toni

Noi ci siamo divertiti a spulciare sul web, nelle varie piattaforme dedicate, questi numeri. Ma presto ci siamo accorti che c’erano delle discrepanze. I valori erano un po’ ballerini a seconda di chi e come erano riportati. Come da nostra abitudine ci siamo rivolti ad un esperto. E chi meglio del preparatore Pino Toni? E infatti il coach toscano ci ha un po’ messo sul chi va là.

«I numeri – spiega Toni – sono numeri in quanto precisi. E’ difficile stabilire realmente i valori espressi di quelle prestazioni. E per quei dati non basta solo il peso del corridore. Ci sono in ballo molti altri fattori, come la scorrevolezza, la lavorazione dei cuscinetti per quella corsa, la pressione delle gomme, se aveva o no la borraccia, se e quanto quell’atleta è stato a ruota…

«E’ importante valutare il peso nel suo totale, cioè anche quello della bici e degli altri materiali, perché nel ciclismo di oggi uno scarto di 0,2-0,3 punti fa la differenza tra una prestazione alta e una stratosferica».

«Chiaramente un Vingegaard che nel finale del Granon fa 6,1 watt/chilo è un campione. E lo è perché ha fatto quella prestazione al termine di una lunga tappa di montagna.

«Poi ormai è un dato di fatto che si va più forte. Gli juniores viaggiano sul filo dei 6 watt/chilo. Ci sono ragazzi che pesano 69 chili e sviluppano 460-470 watt».

La prestazione di uno, i valori di squadra. Specialmente su certe salite, il lavoro si squadra incide moltissimo sul computo dei dati
La prestazione di uno, i valori di squadra. Specialmente su certe salite, il lavoro si squadra incide moltissimo sul computo dei dati

Più sorprese che watt

Il dato preciso di certe prestazioni è solo nei computerini degli atleti e nei calcoli dei loro coach che li seguono e sanno come erano “settati” quel giorno in quel momento. Per questo Toni preferisce parlare di prestazioni super in quanto “sorprese”.

«Piuttosto – riprende Toni – io sono stato colpito da tre prestazioni, tre personaggi. E sono Girmay, Vingegaard appunto, e Ganna.

«Vingegaard è andato forte. Ha staccato un buon Pogacar. Ma quel che mi ha colpito più di tutto non è stata la sua singola prestazione, ma la sua costanza. Non mi aspettavo la sua continuità a quel livello. Anche il suo compagno Kuss va forte, per dire, ma Vingegaard è andato forte per tutto il Tour. Per questo lo metto sul podio.

«Quelli che avete snocciolato sono numeri importanti, ma la valutazione deve essere fatta in un’altra maniera. E ritorno al discorso del peso complessivo (bici + atleta, ndr), della scorrevolezza…». 

«Vero, a conti fatti quell’atleta è salito a 6,5 watt/chilo. Ma quello è un valore di squadra, specie al Tour dove le salite sono più pedalabili, si fanno a 25 all’ora, e quasi sempre con passo regolare imposto appunto dai team. E quindi analizziamolo quel dato.

«Magari nei primi 5 chilometri era stato in quarta ruota e aveva risparmiato 30 watt. Nei successivi 5 chilometri era stato in terza ruota e aveva risparmiato altri 20 watt… almeno. Poi ancora era stato in seconda posizione e ha continuato a mettere altri 20 watt nel taschino. Fin quando negli ultimi 3-4 chilometri è rimasto da solo ed effettivamente è andato a 6,5 watt chilo. Il totale della scalata risulta 6,5 watt/chilo, ma per 10-11 chilometri ha espresso valori più bassi».

Girmay e Ganna

Ci sono poi Girmay e Ganna. Le altre due “sorprese” che Pino Toni mette sul podio. Prestazioni che non si distinguono per i watt espressi (o almeno non solo per quelli), ma nel complesso della performance, della crescita complessiva, dello spessore psicofisico dell’impresa.

«Girmay – dice Toni – è cresciuto molto. Mi ha colpito. Ha vinto la Gand battendo fior di campioni e soprattutto ha vinto la tappa al Giro davanti al miglior Mathieu Van der Poel della stagione. Non sono numeri banali in ogni senso».

«Ganna invece va magnificato. Va elogiato per la forza espressa durante Record dell’Ora, una determinazione pazzesca nonostante per lui non fosse un anno super. Io non so chi e quando potrà avvicinare quel tempo. Serviranno una grande convinzione e uno staff super. Ganna aveva quanto di meglio a disposizione tra Ineos-Grenadiers e nazionale italiana. Il top del mondo».

Toni spiega come con tutta quella cura, non solo della preparazione del corridore, ma anche dei materiali il fisico può rendere meglio. Non che il “motore del corridore” aumenti, ma riesce a sviluppare al meglio i propri valori e a farlo per un tempo maggiore.

«Se tu hai 450 watt nelle gambe non ne sviluppi di più, però ne arrivano di più alla ruota: ed è quello che conta».

La Jumbo fa i piani. E se al Giro arrivasse Van Aert?

28.10.2022
5 min
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Il vero problema per un corridore come Van Aert è che l’essere ovunque vincente porta gli addetti ai lavori e i tifosi a misurarlo su ogni percorso. Per questo da ieri in Belgio, avendo capito che Evenepoel non dovrebbe esserci, si ragiona sulle tappe del Tour che Wout potrebbe vincere e sulla riconquista della maglia verde.

Vingegaard al Giro dell’Emilia: il danese è il vincitore uscente del Tour de France
Vingegaard al Giro dell’Emilia: il danese è il vincitore uscente del Tour de France

Le scelte di Van Aert

In realtà però il tema sta a cuore anche in seno alla Jumbo Visma, in cui mai come nel 2023 sarà necessaria una rigida programmazione, per evitare che a voler stringere troppo con Van Aert, si finisca con lo stringere niente. L’esempio dell’eterno rivale Van der Poel ha dato da pensare. E’ vero che ha vinto il Fiandre, poi però si è disperso in mille fughe a vuoto.

«Il focus del Tour è nell’ultima settimana con i Vosgi – ha spiegato il preparatore Merijn Zeeman a Het Nieuwsblad – mentre i Pirenei sono meno duri dell’anno scorso e il blocco nelle Alpi è più lungo. Ci sono tappe di montagna più facili rispetto agli anni passati, ma d’altra parte ce ne sono alcune estremamente difficili. Il percorso va accettato, è qualcosa su cui non abbiamo controllo. Ora finalmente possiamo fare il nostro piano e determinare la nostra strategia. Con Roglic, Vingegaard e Van Aert avremo molte opportunità per fare la differenza. Avrebbero dovuto mettere più cronometro? Il nostro più grande concorrente è Pogacar, ma anche lui è uno specialista».

Per una caduta, Roglic ha rinunciato a giocarsi la Vuelta. E’ dato al via del Giro: sarà vero?
Per una caduta, Roglic ha rinunciato a giocarsi la Vuelta. E’ dato al via del Giro: sarà vero?

Tutto sul tavolo

Il nodo cruciale che ci è saltato all’orecchio sentendolo parlare è stato il fatto che abbia citato le tre punte per il Tour. E se da un lato anche nel 2022 è parso chiaro che la sconfitta di Pogacar sia dipesa dal massiccio blocco Jumbo Visma contro cui si è scontrato, dall’altro sembrava di aver capito che Roglic per quest’anno avesse altre priorità.

«Tutto è ancora sul tavolo – fa notare Zeeman – è anche possibile infatti che Primoz faccia un altro grande Giro. Ma voglio anche sentire la loro opinione. Voglio sapere cosa pensano e qual è la loro motivazione. Facciamo un piano, poi analizziamo i pro e i contro. Vogliamo vincere le più grandi corse del mondo. Ma questo è possibile solo con un piano in cui tutti credano. Così è stato anche l’anno scorso. Questo è un processo e qualcosa in cui investiamo molto tempo e in cui crediamo pienamente».

Chi non rinuncerà al Tour è Pogacar, ansioso di rifarsi. Qui con Prudhomme alla presentazione di ieri
Chi di certo non rinuncerà al Tour è Pogacar, ansioso di rifarsi.
Come lavorate di solito in questi casi?

Qualcuno pensa che sia uno spettacolo di marionette. In realtà lavoriamo da sei anni fissando obiettivi e determinando insieme la strategia. Ci prendiamo molto tempo per questo. Poi facciamo un brainstorming passo dopo passo. Ne parlo con tutti i corridori per sentire cosa preferiscono. E si continua poi a modellare il piano e vengono coinvolti gli allenatori. Ora siamo solo all’inizio di tutto questo processo. Quindi onestamente non so ancora chi andrà al Tour e chi al Giro.

E Van Aert cosa farà?

Nel 2022 è stato in altura per sei settimane. Si deve lavorare sodo per arrivare al suo livello. E poi dovremo selezionare i suoi obiettivi. C’è anche il mondiale di Glasgow che si svolgerà il 13 agosto, c’è il Giro che per lui è anche attraente, in più non ha mai fatto la Vuelta. E’ tutto è sul tavolo. Possiamo inventare qualcosa di completamente nuovo oppure replicare quello che si è già fatto.

Prima del mondiale, Evenepoel ha vinto la Vuelta. Il Giro lo tenta con le sue tre crono
Prima del mondiale, Evenepoel ha vinto la Vuelta. Il Giro lo tenta con le sue tre crono
Lui accetterà tutto?

Non sono Van Aert. Wout è una persona molto sensibile e sa che per avere successo è necessario avere un buon piano. Di sicuro gli piace provare cose nuove e questo fa sì che la definizione del suo programma richieda molto tempo. Non è stato ancora deciso nulla, ma una cosa è certa: il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix vengono prima di tutto. Ne abbiamo parlato al telefono ieri dopo la presentazione del Tour e questo lo abbiamo definito molto rapidamente. Adesso però bisogna capire cosa verrà dopo. Di solito inizia a correre ai primi di dicembre, ma bisognerà vedere come sarà la sua condizione.

Se fosse un vostro corridore, portereste Evenepoel al Tour?

Remco è estremamente forte nelle crono, quindi si direbbe che il Giro gli si addica di più. Ma d’altra parte, un grande Giro è un mix di tutti i tipi di specialità che dovresti provare. La sua squadra deve avere un piano. Se fossi in lui, non mi focalizzerei troppo su una gara che prevede solo prove a cronometro. Penso che possa vincere anche in un altro modo. Ma certo, se decidesse di venire, non gli faremo sconti. Penso che ci siano quattro corridori che si distinguono sopra tutti gli altri in questo momento: Vingegaard, Pogacar, Roglic ed Evenepoel. Questi sono i più completi.

Un Tour per attaccanti e disegno rivoluzionario

27.10.2022
8 min
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«Mesdames et messieurs, voilà le Tour de France numero 110». La Grande Boucle è stata presentata questa mattina a Parigi, al Palais des Congrès, davanti ad un folla di campioni, direttori sportivi, manager, grandi del passato e appassionati.

Il percorso? Ci sentiamo di definirlo innovativo. Una prima settimana che entra subito nel vivo e che potrà decretare una classifica già ben assestata. Una seconda settimana piena di salite e un finale senza tappe monster, ma infarcita di trabocchetti. Quasi si fosse “invertito” l’ordine fra la prima e la terza settimana.

Christian Prudhomme (nella foto di apertura), il direttore del Tour, è sembrato più orgoglioso che mai. Si va in scena dal 1° al 23 luglio: 21 tappe, 3.404 chilometri, otto frazioni di montagna, quattro arrivi salita. E ancora: otto tappe di pianura, quattro tappe ondulate e una sola cronometro, tra l’altro abbastanza breve. Solo due frazioni al di sopra dei 200 chilometri.

Il Tour de France 2023, il grande escluso è il Nord e il Nord Ovest in particolare
Il Tour de France 2023, il grande escluso è il Nord e il Nord Ovest in particolare

Subito i Pirenei

Si parte dall’estero, in Spagna, dai paesi Baschi e più precisamente da Bilbao. E qui Prudhomme non ci è andato leggero con i giudizi: «Dopo il Belgio, il tifo del ciclismo più caldo al mondo è nei Paesi Baschi. E dal 1992 che volevano le Grand Depart, si sono candidati per 30 anni. L’organizzazione basca era presente l’anno scorso al via in Danimarca. Hanno visto il fervore e io gli ho detto: “Adesso sapete cosa vi aspetta”. Roba da pugili».

Così come da pugili è la prima settimana. La seconda tappa, per esempio, arriva a San Sebastian ed è una (quasi) fedele replica dell’omonima classica. Anche la terza tappa è un “grido” di appena 137 chilometri con 4 Gpm, non duri okay, ma sono pur sempre 4 scalate. E tutti hanno ancora gambe fresche.

Le vere salite, i Pirenei, arrivano due giorni dopo nella Pau-Lauruns. Nel finale si scala il Marie-Blanque salita non lunga, ma dura e asfissiante per la sua umidità. E il giorno dopo c’è il Tourmalet e la scalata finale a Cauterets, erta lunga ma pedalabile (16 km al 5,4%) tipica del Tour.

Non fa parte della prima settimana, ma chiude il primo blocco del Tour, il mitico Puy de Dome. E’ la nona frazione. Si va da Saint Léonard de Noblat-Puy de Dôme, salita storica e durissima nel Massiccio Centrale, il “terzo” gruppo montuoso della Francia: 13 chilometri al 7,7%, ma gli ultimi 4 non scendono mai sotto l’11%.

Quante Alpi

Il Tour de France osserva così il primo giorno di riposo. E lo fa, più o meno, nel cuore geografico della sua Nazione. 

Da qui si passa alla sezione centrale, probabilmente quella decisiva. Se le tappe 10, 11 e 12 sono “facili”, poi non si scherza più. Ed è qui che inizia il lungo viaggio nelle Alpi. Quest’anno a più riprese, tra Savoia e Delfinato il Tour ci passa davvero tanto tempo: sette giorni.

S’inizia con l’arrivo in cima al Col du Grand Colombier, tra l’altro nel giorno della festa nazionale. Poi è la volta di Morzine con il classico Col de Joux Plane prima dell’arrivo. Salita difficile e discesa difficilissima (se da fare a tutta per scappare o chiudere).

La 15ª tappa, la Les Gets les Portes du Solei-Saint-Gervais Mont-Blanc, sarà un vero delirio: i Gpm sono solo quattro, ma potrebbero essere almeno una dozzina. E non è una battuta. Da affrontare oltre 5.200 metri di dislivello in 180 chilometri. Non c’è un metro di pianura. I restanti contendenti alla maglia gialla saranno davvero pochi a questo punto.

Un lungo sprint

Dopo la tripletta alpina, ecco il secondo giorno di riposo che farà da antipasto alla curiosa e attesa frazione numero 17: la Passy-Combloux che sarà percorsa individualmente e contro il tempo. È la crono di 22 chilometri con una cote nel finale e gli ultimi chilometri che tirano all’insù. Chi uscirà con le gambe in croce dal Gpm rischia di pagare tanto, tanto…

Di fatto, le tappe super difficili terminano qui. Ma questo elemento di rottura col passato terrà alta la tensione fino a Parigi, perché comunque il terreno per attaccare non mancherà. Imboscate, strappi, salite: i Vosgi e il Ballon d’Alsace sono perfetti. La ventesima tappa con arrivo a Le Markstein è un inno all’incertezza: 133 chilometri, ancora quasi 4.000 metri di dislivello: una Liegi “in quota”.

Il finale è un pieno di simbolismo. E in tal senso i francesi sono maestri. La 21ª tappa infatti partirà dal velodromo dove si svolgeranno le Olimpiadi del 2024 e terminerà con la classica parata sugli Champs-Élysées.

Un po’ perché vuole continuare a crescere e un po’ perché il Tour 2023 è ideale per lui, Gaudu punta al podio
Un po’ perché vuole continuare a crescere e un po’ perché il Tour 2023 è ideale per lui, Gaudu punta al podio

Voce ai pro’

A questo punto quali sono state le reazioni dei corridori? Gaudu congola e ha detto che vuole il podio. Alaphilippe ha contato sulle dita di due mani e mezzo le frazioni che possono vederlo protagonista. Van Aert, se sarà quello del 2022, non lotterà per la vittoria giusto a Morzine e a Saint Gervais.

Non solo, ma questo percorso, che più di qualcuno a Parigi ha definito l’opposto del Giro d’Italia, ha fatto protendere persino Simon Yates per la via francese. E sappiamo quanto l’inglese ami la corsa rosa. 

Accontentati anche gli sprinter. Pollice all’insù da Groenewegen a Cavendish, che con l’ufficioso passaggio alla B&B Hotels tornerà in corsa.

Mentre Lefevere smorza i toni su Remco Evenepoel, che sembra aver già scelto il Giro: «Decideremo insieme quale grande Giro fare. La porta per il Tour non è chiusa e il fatto che ci siano solo 22 chilometri a crono non vuol dire nulla. Remco vince dappertutto. Piuttosto questo tracciato mi ricorda quello del 2019 quando Alaphilippe fu a lungo in giallo. E se fosse al 100%…».

Vingegaard sembra puntare dritto al bis, ma è consapevole che sarà dura
Vingegaard sembra puntare dritto al bis, ma è consapevole che sarà dura

Jonas riflette

E poi ci sono loro due, i protagonisti di quest’anno: Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar.

«Con la squadra – ha commentato alla stampa internazionale Vingegaard (in vacanza) – non abbiamo ancora stilato un piano definitivo per il 2023, ma l’idea chiaramente è quella di essere al Tour. Sarei sorpreso se non fosse così! Sono pronto a raccogliere questa sfida. So che il prossimo anno sarà più difficile vincere, ma fa parte del gioco».

Sempre in relazione a Vingegaard, Merijn Zeeman, il team manager della Jumbo-Visma, ha aggiunto a VeloNews parole importanti. «Non abbiamo ancora deciso nulla. Il Giro d’Italia è un’opzione se lo vuole, ma se sei la maglia gialla uscente cerchi di difenderla. Però Jonas non ha mai corso il Giro e magari vorrà provare.

«Prima di ogni decisione vorrei anche conoscere il parere di Roglic. Entro dicembre chiariremo tutto perché per prepararsi al meglio servono tanti mesi».

Pogacar è rimasto piacevolmente colpito dal percorso 2023
Pogacar è rimasto piacevolmente colpito dal percorso 2023

Tadej già gasato

«Mi piace molto questo percorso – ha detto sorridente lo sloveno – La prima settimana è già difficile e la terza settimana è difficile e divertente. È positivo che le tappe più toste arrivino all’inizio del Tour, questo lo rende più interessante.

«Mi piacerebbe continuare a correre così, attaccando sempre, ma al Tour ho imparato che a volte devi aspettare il finale».

Ma forse le parole che più sintetizzano questa sfida e l’intero Tour 2023 sono quelle del team manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti. «Il percorso di questo Tour fa venire voglia di attaccare. Magari Tadej potrebbe decidere di cambiare e non scattare più a 50 chilometri dall’arrivo… ma neanche possiamo trasformarlo. E’ la sua natura».

La Cervelo R5 di Vingegaard, posizione super raccolta

15.10.2022
4 min
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Alla partenza del Giro di Lombardia abbiamo potuto ammirare da vicino la Cervelo R5 di Jonas Vingegaard. Il danese, da buono scalatore, predilige questa bici alla “sorella”  aerodinamica S5. Telaio che invece quasi sempre utilizza Wout Van Aert. Jonas ce l’aveva in qualche tappa più filante del Tour, vedi la passerella di Parigi, e più recentemente alla CRO Race.

Dopo qualche difficoltà tecnica nell’avere la bici “tutta per noi”, il team Jumbo Visma ci ha fatto ammirare da vicino questo gioiello. E la prima cosa che ci ha colpito è stata la sua leggerezza. Una taglia 54 che molto probabilmente non arrivava a 7 chili (non avevamo la bilancia in quei momenti, ma una certa sensibilità ci permettiamo di dire di averla acquisita). E comunque con un telaio da 703 grammi e una forcella da 320 è un peso più che fattibile.

Ruote e gomme

Partiamo dalle ruote. Per quanto riguarda i cerchi Jonas, visto anche il dislivello del Lombardia superiore ai 4.000 metri, ha optato per delle Shimano C36, quindi a medio profilo, a vantaggio anche della guidabilità. Aveva lo stesso assetto anche nelle tappe di montagna del Tour de France.

Una cosa che ci ha colpito sono state le gomme. A prima vista sembravano dei “gommoni” giganti. Erano da 26 millimetri. Il team olandese ha come sponsor tecnico Vittoria, che in epoca recente ha inserito nel suo portfolio anche Dugast. Questi pneumatici sono tubolari di altissima gamma con carcassa in cotone e già visti (le sezioni erano diverse) alla Roubaix. Il disegno del battistrada è quello di un Vittoria Corsa Speed, ma forse rivisto nelle scanalature, specie quelle più centrali. In ogni caso c’è il marchio Vittoria, ma non il nome del tubolare.

Vingegaard in azione al Lombardia. Posizione raccolta e molto avanzata
Vingegaard in azione al Lombardia. Posizione raccolta e molto avanzata

Posizione avanzata

Passiamo alla messa in sella. Nonostante una statura di 175 millimetri, Vingegaard ha un arretramento di appena 2,5 centimetri. La sella, una Fizik Antares00, è molto spostata in avanti. La cover della sella non è di quelle tradizionali e sembra essere una produzione “particolare”, non di serie.

E sempre in relazione alla sua guida raccolta, c’è il manubrio: si tratta del nuovo Vision Metron 5D 3K, vale a dire con la rifinitura tre 3K del carbonio utilizzato. E’ un manubrio integrato molto leggero (355 grammi), Jonas infatti ha optato per la larghezza da 40 e questa implica un attacco manubrio (100 millimetri) cortissimo per un professionista. A prima vista sembra quello della mtb di un downhiller. Di conseguenza la sua guida diventa estremamente “diretta”.

E’ anche vero però che con lo scostamento in avanti della piega stessa di 10°, lo stesso attacco diventa un “falso” 100 millimetri, ma è come se fosse un 110-115 millimetri nel punto di appoggio del palmo sullo shifter. La curva ha un’ergonomia compact e non è previsto il flare (svasatura) verso l’esterno.

Affidabilità Shimano

Ci sono poi i rapporti e il gruppo. Per quanto riguarda il settore della trasmissione, Vingegaard si affida alla solidità del gruppo elettromeccanico Shimano Dura Ace Di2. Il re del Tour resta fedele alle pedivelle da 172,5 millimetri, mentre altri colleghi di pari statura si sono orientati su quelle più corte da 170.

 

In effetti il danese è un po’ a cavallo, tra le due misure. E a proposito di cavallo la sua altezza di sella è 73,5 centimetri. Un riferimento che potrà essere utile agli appassionati più esperti per valutare appunto se optare per una pedivella da 172,5 o 170.

Infine i rapporti. Per il Lombardia, Jonas aveva optato per una guarnitura 53-39 e una cassetta 11-30.

L’occhio di Mohoric su Lombardia, Milan e Vingegaard

06.10.2022
5 min
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Matej Mohoric è tornato a vincere, non una gara in linea, bensì una classifica generale, più precisamente quella della CroRace. La corsa a tappe croata, che si è conclusa domenica 2 ottobre, ha permesso allo sloveno di riassaporare il piacere del gradino più alto del podio. Il vincitore della Milano-Sanremo di quest’anno però non si monta la testa e guarda cautamente agli appuntamenti di fine stagione. Lo abbiamo intercettato mentre era in viaggio con la sua squadra, il Team Bahrain Victorious, verso il Gran Piemonte (che si corre oggi, ndr). Sabato Mohoric correrà anche il Lombardia, ultima monumento della stagione. 

Mohoric, uno degli uomini simbolo della Bahrain Victorious, al Tour non si è espresso sui suoi livelli
Mohoric, uno degli uomini simbolo della Bahrain Victorious, al Tour non si è espresso sui suoi livelli

Doppietta italiana? Rimandata

Dopo aver vinto la Classicissima di Primavera, Mohoric avrebbe potuto puntare alla doppietta, cercando di vincere anche la Classica delle Foglie Morte. Un successo che avrebbe risollevato una stagione fin qui a due facce. Con una prima parte ricca e vincente, mentre la seconda è stata decisamente più opaca. 

«A mio modo di vedere – ammette – credo sia difficile una mia vittoria al Lombardia. Nonostante quest’anno sia cambiato il percorso, che non prevede più il Muro di Sormano ma la doppia scalata al San Fermo della Battaglia. A mio avviso, anche con questa variazione, rimane una corsa per scalatori, difficile che qualcuno con le mie caratteristiche sopravviva. Ci saranno Pogacar, che ha vinto pochi giorni fa la Tre Valli Varesine, e Vingegaard che alla CroRace si è dimostrato già in un buono stato di forma. Devo ammettere che nella tappa con arrivo a Primosten ho fatto molta fatica a tenere la sua ruota. Come squadra arriveremo ben attrezzati: ci saranno Caruso, Landa, Poels, Mader».

Assenza mondiale

Mohoric era tra i corridori assenti al mondiale di Wollongong, una scelta dolorosa ma necessaria. D’altronde quando la condizione non c’è, è inutile rincorrerla arrivando ad esaurire le energie fisiche e mentali. Così, il (quasi) 28enne sloveno, è rimasto a casa ed ha lavorato per ritrovare il giusto colpo di pedale.

«Solo prima delle gare in Canada – spiega riferendosi alla mononucleosi che lo ha colpito al Tour – ho iniziato a sentirmi meglio. Quelle corse sono state utili per recuperare il ritmo gara e per rimettermi un po’ in sesto. Una volta rientrato in Europa, mi sono allenato per una decina di giorni, rinunciando al mondiale, per arrivare al meglio alla CroRace. Non disputare la corsa iridata mi è dispiaciuto molto, ma il viaggio era lungo e presentarsi lì fuori condizione mi avrebbe precluso tutto il finale di stagione. Passare per la gara a tappe croata mi ha aiutato a trovare condizione e continuità, caratteristiche utili anche in vista dell’inverno. Fossi uscito dal Tour con una buona gamba, in Australia ci sarei andato sicuramente, anche perché il percorso era molto vicino alle mie caratteristiche. Queste gare che vengo a fare in Italia, servono per non fermarmi, con grandi probabilità al Gran Piemonte sarò il leader della squadra visto che al 99 per cento ci sarà una volata».

La CroRace è stata una corsa fondamentale per la crescita di Milan, Mohoric ne è sicuro
La CroRace è stata una corsa fondamentale per la crescita di Milan, Mohoric ne è sicuro

Spazio a Milan 

Alla CroRace abbiamo assistito ad una bella doppietta di Jonathan Milan. Il friulano ha indossato anche la maglia di leader, poi ceduta a Vingegaard alla quinta tappa e riportata alla Bahrain Victorious da Mohoric proprio nell’ultima frazione.

«Sono andato vicino più volte a vincere una tappa – riprende a raccontare Mohoric – ma sono contento che ad alzare le braccia al cielo sia stato Jonathan (Milan, ndr). Vincere in Croazia o meno non mi avrebbe cambiato la stagione, mentre per un corridore giovane come lui è stato un passo importante. Correre da leader queste gare minori fa parte di un processo di crescita che Milan deve fare per puntare poi alle classiche. Secondo me lui in questi giorni ha fatto due bei passi in avanti».

Vingegaard è tornato a correre alla CroRace e ha vinto la terza tappa, un bel biglietto da visita in vista del Lombardia
Vingegaard è tornato a correre alla CroRace e ha vinto la terza tappa: bel segnale in vista del Lombardia

E poi c’è Vingegaard…

Mohoric ha visto da vicino il rientro alle corse di Vingegaard, uno dei favoriti per il Lombardia e l’unico che ha deciso di passare dalla CroRace per preparare quest’ultima classica monumento.

«Vingegaard andava già forte – spiega lo sloveno – è diverso fare le gare di un giorno o fare una corsa a tappe, seppur breve come la CroRace. Nel secondo caso hai più possibilità di sfruttare le tappe creando maggior fondo. Si tratta di una preparazione diversa, ma da un certo punto di vista migliore. Se fai le corse di un giorno in Italia, come Tre Valli o Giro dell’Emilia, dai tutto ogni volta e rischi di impiegare più tempo per recuperare. Dalla mia esperienza mi viene da dire che è meglio distribuire lo sforzo, sfruttando le gare a tappe per prepararsi al meglio».