Il sole cala e l’umidità sale a Serraglio, paesino del mantovano dove in una casa stile castello vive Edoardo Affini. Due torrette in pietra, i gerani, un portico… il cronoman ci accoglie col sorriso. Andiamo a trovare il gigante della Jumbo-Visma in un pomeriggio di novembre. E’ in momenti come questi che si racconta in tranquillità quel che è stato e di quel che sarà.
Affini, classe 1996, è alla sua terza stagione da professionista. Una stagione tutto sommato bella per lui, suggellata dalla maglia rossa alla Vuelta. Mentre ci mostra la sua bella casa che è ancora in fase di costruzione iniziano le nostre domande. E la prima è una curiosità da “cicloamatore”.
Edoardo, qui di montagne neanche l’ombra. Come fai per gli allenamenti?
I primi strappetti, le colline moreniche, sono a 30 chilometri, altrimenti devo andare sul Garda. Se devo fare una distanza senza lavori ci vado in bici, ma se devo fare degli specifici mi avvicino con la macchina. Altrimenti tempo che arrivo è ora di tornare a casa!
E si diventa cronoman anche per tutta questa pianura? Al netto di un certo fisico chiaramente…
Di certo con la pianura c’è feeling. La faccio spesso. Anche i rapporti: vai a cercare quelli più lunghi.
Che stagione è stata?
Direi una bella stagione per me, molto bella per la squadra. Per quel che mi riguarda ci sono stati alti e bassi. Tra gli alti, c’è senza dubbio la maglia rossa alla Vuelta arrivata dopo una vittoria, quella della cronosquadre. O il podio nella tappa del Giro. E poi quando sei in corsa e i tuoi capitano finalizzano. Come Wout (Van Aert, ndr) alla Omloop o ad Harelbeke.
E i bassi, invece , quali sono stati?
Le due mazzate del Covid. Una a febbraio, che ha scombussolato un po’ i piani della primavera, e una alla Vuelta. Quella mattina in Spagna ho fatto un controllo quasi per scrupolo visto che qualche caso c’era stato. Dopo il tampone stavo andando a fare colazione quando con la coda dell’occhio ho visto la seconda lineetta del test. Non avevo assolutamente niente, ma c’è un protocollo di squadra che parla chiaro e sono tornato a casa.
Hai parlato della squadra. Con tutte queste vittorie vi sentite più forti quando siete in corsa. Per la serie: “Fatevi largo arriviamo noi della Jumbo-Visma”?
Questa sensazione c’era già l’anno scorso e quest’anno ancora di più. Siamo sempre pronti a prendere in mano la corsa e fare il meglio per far vincere i capitani. Non solo, ma quando poi hai capitani del nostro calibro anche le altre squadre ci lasciano fare. “Che ci pensino loro”, dicono. Ma al Fiandre, anche senza Wout fermato dal Covid, abbiamo dato il nostro contributo e corso come volevamo noi.
Insomma c’è questa sensazione di essere una squadra…
Siamo un collettivo. Sono qui da due anni, di prima non posso parlare, ma da quel che mi dicono è che proprio negli ultimi due anni si è fatto un bello step. Specie nel cercare di fare la corsa.
Parliamo di leader. Van Aert che capitano è? Cosa chiede in corsa?
Wout sa quel che vuole. Non è uno che ti martella, però è capace di farti tirare fuori il meglio per il tuo specifico lavoro. E te ne rendi conto dopo. Tu stesso percepisci che vuoi dare il 100%.
Roglic invece?
Anche lui è un leader, ma è diverso rispetto ad un Van Aert. E’ più espressivo, nel senso che parla di più è più “nervoso”. Poi magari certe volte su una salitella sta faticando tanto e ti dice: “Ti vedo bene, io invece oggi ho mal di gambe”. Allora lo guardi e visto che un po’ lo capisce, gli dici in italiano: “Primoz, mettiti a ruota!”. A quel punto capisce e si mette a ridere… Però è un capitano vero.
E poi c’è Vingegaard…
Con Jonas non ho corso tanto a dire il vero. Ci ho fatto la Tirreno, quando ha fatto secondo dietro Pogacar. Che dire: è un talento. Di certo è un tipo tranquillo. Quando si è detto che dopo il Tour fosse saltato di testa è perché lui non cerca attenzioni, non è da social. E’ introverso. Però quando è in corsa sa come gestire la squadra. E gli piace stare dietro a me!
Ah sicuro: dietro ad Affini si sta bene!
La posizione di Wout alla Sanremo è stata una cosa micidiale. Anche lui riesce a stare ben coperto dietro a me. Per risparmiare energie ha fatto tutta la corsa alla mia ruota. E queste erano le consegne. Lui si fermava a fare pipì? Io mi fermavo. Lui andava all’ammiraglia? Io andavo dietro. Così fino alla Cipressa.
Come hai passato quest’ultimo periodo?
Bene dai. Riposo vero. La prima settimana sono stato a casa, poi sono andato in Olanda dalla mia ragazza per 15 giorni e adesso sono di nuovo qui. Ho ripreso giusto questa settimana, con piccole cose, giusto per dire al fisico che è ora di riprendere, mentre da domani si riprende più seriamente.
Si dice che si va sempre forte, quali sono stati i giorni in cui in stagione ha spinto di più?
Beh, nella cronosquadre della Vuelta siamo andati forte davvero. Ma anche nel giorno della fuga al Giro. Negli ultimi 60 chilometri abbiamo pedalato di brutto. Giravamo tutti e quattro.. come un quartetto. Abbiamo mantenuto la velocità alta. Anche Gabburo, che era più piccolo, girava con noi passistoni. Ci stava un attimo, ma la velocità non calava. E poi un altro giorno che abbiamo menato e in cui ho avuto paura di restare solo indietro è stato nel giorno del Crocedomini in avvio. Nella tappa dell’Aprica. Mi sono detto: “Almeno fino in cima devo restare attaccato. Poi vediamo”. So solo che per un’ora e 4′ ho fatto 430 watt… per restare attaccato.
E il Giro d’Italia con tre crono ti piace?
Diciamo due nel mio caso! Penso sia un percorso interessante. Ci sono anche delle tappe dure. La prima crono è interessante, ma anche la seconda è insolitamente lunga per il Giro. In generale penso sia giusto che in un grande Giro ci siano anche dei bei chilometri contro il tempo. E infatti penso che al Tour quest’anno abbiano un po’ sbagliato. Pensiero mio almeno…
Qual è l’obiettivo di Affini?
Continuare a migliorare. Certo anche vincere, quello fa piacere a tutti, ma di base dico migliorare.