Un metro dopo l’altro. Lentamente. Inesorabilmente. A Reggio Emilia Alberto Dainese è protagonista di uno sprint che non si aspettava neanche lui.
Romain Bardet sfila dietro l’arrivo con un sorriso enorme. Sbatte i pugni sul manubrio dalla gioia per il suo compagno. Il francese la volata non l’ha vista, ma ha sentito gli urli dall’ormai immancabile radio. E ha capito. Ha capito che Alberto ce l’aveva fatta. Una sorpresa.
Molto vento Reggio Emilia, ma quasi tutto a favore. La media finale è stata di 47,015 De Bondt, scattato quando il gruppo aveva terminato la lotta dei ventagli, è stato ripreso all’ultimo chilometro
Molto vento Reggio Emilia, ma quasi tutto a favore. La media finale è stata di 47,015 De Bondt, scattato quando il gruppo aveva terminato la lotta dei ventagli, è stato ripreso all’ultimo chilometro
Incognita vento
L’undicesima frazione della corsa rosa, la seconda più lunga del Giro d’Italia (203 chilometri), si temeva potesse essere noiosa. Si sapeva che si sarebbe arrivati allo sprint e magari gli attacchi potevano essere scoraggiati.
Le antenne erano dritte per tutti quanti però, perché c’era vento. Jumbo Visma, Quick Step – Alpha Vinyl ed Ineos Grenadiers. Dopo Bologna, per una trentina di chilometri, è stata battaglia serrata: obiettivo stare davanti, non prendere buchi per i possibili ventagli.
Il percorso però cambia di nuovo direzione e il vento torna a favore. Niente da fare. E’ sprint compatto. Se il bravissimo belga della Alpecin Fenix, Dries De Bondt, sfiora il colpaccio, dietro le cose passano con una calma apparente.
Tutti aspettano che Cavendish e Demare prendano l’iniziativa. Guarnieri, compagno del francese, conosce bene queste strade visto che è quasi di casa.
Anche Dainese e la Dsm restano fedeli al dogma di stare davanti. Un po’ per proteggere Bardet e un po’ perché i suoi compagni lo hanno ben scortato. Anzi era lui che doveva scortare…
«Non dovevo fare io la volata – racconta Dainese – doveva farla Bol. Ma poi ci siamo parlati. Mi ha detto che non stava bene e così ho provato io. E anche io non ero convintissimo, non mi sentivo super, visto che la scorsa notte non avevo dormito bene».
La Scott di Dainese. Taglia S, nonostante sia alto 1,76 metri. Per lui pedivelle da 172,5 mm Tubolari Vittoria e ruote Shimano da 50 mm (Demare le aveva da 60 mm) Altra curiosità: sul manubrio di Alberto nessun promemoria o altimetria… Su quello di Demare invece c’era la tabella alimentare: cosa mangiare (solidi, liquidi, gel) e ogni quanto
La Scott di Dainese. Taglia S, nonostante sia alto 1,76 metri. Per lui pedivelle da 172,5 mm Tubolari Vittoria per Dainese e ruote Shimano da 50 mm (Demare le aveva da 60 mm) Altra curiosità: sul manubrio di Alberto nessun promemoria o altimetria… Su quello di Demare invece c’era la tabella alimentare: cosa mangiare (solidi, liquidi, gel) e ogni quanto
Dal basket alla bici
Già, ma ce l’ha fatta. E allora chi è Alberto Dainese? Chi è questo ragazzo che porta l’Italia a prendersi una tappa dopo oltre metà Giro?
E’ un ragazzo di Padova, Abano Terme per la precisione. Classe 1998, è al terzo anno da professionista. Giocava a basket, ma non essendo troppo alto è passato alla bici.
«La bici – racconta Alberto – l’ho conosciuta da bambino perché passavo i pomeriggi dai nonni, mentre mamma e papà lavoravano. I miei nonni seguivano il ciclismo in tv e mi sono appassionato. Da allievo ho fatto anche un bel po’ di pista, perché non ero scaltro in gruppo. Ma questo, credo, mi ha dato un buon colpo di pedale, così come che i tanti balzi fatti nel basket mi hanno dato un po’ di esplosività».
Olanda e Italia
Alberto Dainese prima di passare alla Dsm ha militato anche alla Seg Racing Academy, una continental olandese. Una squadra che fa molta attività internazionale e che funziona bene a quanto pare, visto che quando Marco Frigo, altro gioiello italiano, gli aveva chiesto consiglio se andarci o no, Alberto stesso gli aveva dato il via libera.
«Vero – riprende Dainese – ho fatto due anni in Olanda e mi è servito. Ma prima ne avevo fatti due alla Zalf e anche quelle sono state stagioni preziose. Alla Seg ho fatto molta esperienza, ma anche con Marino Amadori in nazionale ho corso parecchio. Pertanto non mi sento di dire che sono uscito solo da una squadra olandese, la scuola italiana c’è e conta. E visto quel che abbiamo vinto negli ultimi anni non mi sembra in crisi».
Velocità e non watt
Reggio Emilia intanto cerca di tornare alla sua tranquillità. Questa città della Bassa oggi era strapiena. Ancora una volta il Giro ha spopolato. Mentre attraversiamo il rettilineo per tornare in sala stampa, ci “rivediamo” la volata.
Dainese ha fatto davvero una rimonta super.
«E’ stata una volata lunga – dice Dainese – In effetti sono partito da dietro e non so se il vento fosse contrario o a favore, non l’ho capito bene! Quando è partito lo sprint non ho accelerato subito, ma quando sono uscito ho visto che avevo un buono slancio e ho spinto fino alla fine. Ci ho creduto.
«Demare aveva la posizione migliore, ma tante volte conta “l’elastico”, cioè come arrivi sulla linea, come esci».
«Ho fatto lo sprint con il 54×11 e girava agile. E’ stata una volata molto veloce. Se mi dite che Gaviria (secondo, ndr) ha toccato i 75, io avrò fatto qualcosina in più. Non conosco ancora i watt, ma alla fine contano relativamente, quel che conta è la velocità.
«Anche io ogni tanto guardo i dati e mi dico: ah okay, si possono fare. Ma poi certi picchi li devi toccare a fine tappa, dopo 200 chilometri. Guardate Cav che vince con watt relativamente bassi».
Bardet leader
Sul podio, dopo la beffa di Girmay di ieri che lo ha costretto al ritiro, Dainese è stato ben attento al tappo dello spumante. Gli schizzi sono finiti sulla folla e simbolicamente sui suoi compagni.
Ancora una volta il ciclismo si è mostrato sport di squadra. Dopo la linea d’arrivo, i Dsm si sono ritrovati tutti assieme. Capitan Bardet era il più felice, quasi più di Alberto.
«In squadra c’è un bel clima – conclude Dainese – quando si soffre e si fatica tutti insieme e uno di noi vince, la felicità è per tutti. Bardet poi ha sempre creduto in me, anche quando non ci credevo io. E vedere un ragazzo che è terzo in classifica e vuol vincere il Giro così contento per te è bellissimo».