Il “Garzo” lo intercettiamo a Milano, dove si trova per il commento del Giro del Belgio. In precedenza aveva raccontato con Rizzato il Delfinato da Roma e, con lo stesso giornalista veneto, comporrà la coppia RAI per il Tour de France. E proprio su un aspetto che riguarda il Tour vogliamo punzecchiarlo, perché osservando la Jumbo Visma c’è venuto di pensare che la quiete domestica sia relativa. E che di coppie in crisi negli anni ne abbiamo viste ormai parecchie. Lasciando in pace per una volta Roche e Visentini, basta voltarsi per ricordare Garzelli-Pantani al Giro del 2000, Simoni-Cunego nel 2004, Amstrong-Contador al Tour del 2009 e anche Froome-Wiggins in quello del 2012.
«La mia esperienza fu diversa – ricorda – Marco non doveva correre quel Giro, lo decise 10 giorni prima. Io lo avevo preparato per essere leader, non nascondo che i primi giorni non furono facili. Diciamo che quella fu una situazione estrema. Ma se hai due leader, devi puntare su uno solo. Se ne hai due, rischi di dividere la squadra».
A voi successe…
Marco aveva creato il modo moderno di correre, con la squadra attorno al capitano. E poi gli piaceva correre dietro, per cui io che preferivo stare davanti non ero appoggiato dalla squadra e un po’ soprattutto nelle prime tappe, ne risentii. Finiva che mi appoggiavo a chi lavorava per gli altri. Ma la squadra divisa è un rischio, soprattutto nelle tappe dei ventagli o magari la prossima sul pavé. Cosa succede se Roglic buca? Fermi metà squadra o la fermi tutta? E fermi anche Vingegaard, se è davanti?
L’Astana di Armstrong e Contador era divisa a metà…
Armstrong era al rientro, Contador era ambizioso. Bruyneel, il tecnico, sapeva che Contador potesse vincere, ma era dalla parte di Lance. Chissà le tensioni! Fra Simoni e Cunego fu ancora diverso. Io ero loro avversario ed era chiaro che in partenza fossero tutti per Gilberto. Poi però fu la strada a dire chi fosse il più forte. Ci fu la spaccatura eclatante a Bormio, quando volarono parole, ma a quel punto il Giro era già deciso. Bisogna che chi guida la squadra abbia le idee chiare. E Bisogna che abbia carisma. Gli episodi di cui abbiamo parlato, soprattutto quelli con Marco, Armstrong e Contador riguardano personaggi con più personalità dei loro direttori.
Al Giro del 2000, dopo un po’ di imbarazzo, Pantani fu decisivo per la vittoria di Garzelli Al Giro del 2004, Simoni era leader designato, ma la strada cambiò i piani Al Tour del 2009 la convivenza fra Armstrong e Contador scosse profondamente l’Astana Anche al Tour 2012 Wiggins si ritrovò con la pressione di Froome addosso
Nel momento in cui ci fosse tensione in casa Jumbo, sarebbe lo stesso Tour a dare spessore ad entrambi, no?
Vero anche questo. Vingegaard ha dimostrato che ora è più forte. Nell’ultima tappa al Delfinato lo ha proprio aspettato e non so se Roglic abbia avuto una crisi di fame. Sono d’accordo con Malori sul fatto che Roglic punti tutto sul Tour, perché potrebbe essere l’ultimo a un certo livello, ma non dimentichiamo che l’altro nel 2021 è arrivato secondo. E il Tour è la corsa pià difficile da gestire. Caldo. Stress. Tutti che vogliono vincere. Devono partire con le idee chiare.
Anche perché, si parte dalla Danimarca…
Per Vingegaard una spinta pazzesca. Poi c’è la tappa del pavé. Se io fossi il diesse e Roglic buca, non fermerei Vingegaard e viceversa. L’importante è come hai costruito la squadra e quello che sei in grado di far passare. Va detto chiaramente davanti a tutti quello che si farà in determinate circostanze. Se da un lato penso che avere due capitani sia un ostacolo, quando hai davanti uno come Pogacar è bene portarne due, perché sai che nel testa a testa sono tutti perdenti. E in tappe come quella del pavé, male non fa. E’ la tappa che tutti temono…
Nibali ci vinse il Tour.
Ebbe dei compagni perfetti come Boom e Fuglsang e mentalmente crebbe.
Può esistere il rischio che la squadra si spacchi per simpatie verso uno o l’altro?
Non credo, sono professionisti. Non accadde con Armstrong, tanto che vinsero il Tour con Contador e anche Alberto ha il suo bel carattere. E nemmeno con Marco, che per noi era un idolo. Per lui davamo l’anima.
Tu lavori tanto con i giovani, si può lavorare su questi aspetti con loro?
Ci provo, ma non è semplice, perché ci sono di mezzo i genitori che credono di sapere tutto. Però a volte capitano episodi da pelle d’oca, come quando si mettono spontaneamente a lavorare per quello di loro che sta meglio. Senza radiolina né altro. Succede con gli allievi e anche con gli juniores, nonostante io sia molto preoccupato. Da qualche anno ci facciamo del male da soli. La mentalità di passare a tutti i costi non va. Quelli che passano precoci, non hanno la struttura per reggere la pressione e magari smettono perché non sono attrezzati a sopportare il mal di gambe. Quelli che non passano, si demoralizzano e non si sentono all’altezza. Continuando così, in un modo o nell’altro, il ciclismo perde.