Christophe Laporte: un grande anno verso Parigi 2024

18.10.2022
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E’ un po’ il destino dei mondiali di ciclismo. Passano i giorni e ci si ricorda del vincitore, molto meno di chi lo ha accompagnato sul podio. Il fatto è che quello di Christophe Laporte è un secondo posto di spessore, definirlo il “primo dei battuti” come storicamente si fa nell’ambiente sarebbe riduttivo se non addirittura errato. Perché quel secondo posto, seppur lontano dal dominante Evenepoel, ha grandi significati che sfociano nel passato e nel futuro.

Il francese della Jumbo-Visma, approdato quest’anno nella corazzata olandese, è stato una delle grandi sorprese dell’anno, innanzitutto perché ha portato a casa qualcosa come 5 vittorie, poi perché ha saputo ritagliarsi uno spazio importante in una formazione, quella piena di big, che non era scontato. Nell’anno delle sfortune e delle difficoltà dell’ex iridato Alaphilippe, il quasi trentenne di La Seyne sur Mer si è sostituito al popolare LouLou mantenendo il ciclismo transalpino in prima pagina. Chiusa la stagione con la Parigi-Tours, Laporte si è sottoposto di buon grado alle nostre domande.

L’ultima vittoria della stagione, al Memorial Vandenbroucke. Per lui 5 successi e 12 Top 10
L’ultima vittoria della stagione, al Memorial Vandenbroucke. Per lui 5 successi e 12 Top 10
Come giudichi questo tuo primo anno alla Jumbo-Visma?

Decisamente positivo, oltre le mie aspettative. Ci sono stati molti momenti davvero speciali, credo di poter dire di aver lasciato il segno in generale in una stagione eccezionale per il mio team.

Molti pensavano al tuo arrivo che avresti fatto da supporto ai capitani, invece hai recitato un ruolo primario, soprattutto nelle corse in linea. Con che spirito sei entrato in squadra e che accoglienza hai trovato?

Tutto è nato al primo approccio con i dirigenti del team. Avevo chiesto espressamente se dovevo entrare come un semplice gregario o avrei avuto anche i miei spazi, era un fattore importante per la mia scelta considerando che non sono un ragazzino e ogni decisione non è detto abbia margini di cambiamenti. Questi spazi mi erano stati garantiti e alla fine mi sono stati dati anche oltre le mie speranze, ho avuto un ruolo centrale sia come finalizzatore, ma anche, anzi soprattutto in supporto ai capitani. Era importante per me poter puntare con decisione alle classiche e la squadra mi ha supportato nella maniera migliore.

Il francese con Vingegaard e Van Aert. Il clima nel team è per lui l’arma in più
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Visti i risultati di questa stagione, hai mai pensato che in un altro team avresti avuto maggiore libertà, soprattutto nei grandi giri?

No, ho potuto avere le mie possibilità ma soprattutto ho potuto gioire dei successi dei compagni. Abbiamo lavorato bene tutti insieme. Poi vincere una tappa al Tour de France per un francese vale tantissimo.

Laporte è un grande interprete delle classiche, ma ha le caratteristiche per poter far bene anche nelle corse a tappe?

Stando alla Jumbo Visma non è un problema, le mie caratteristiche sono quelle di un corridore da corse di un giorno, abbiamo molti capitani per le gare a tappe come Roglic, Vingegaard, anche Van Aert, alla classifica pensano loro e io posso dare loro un aiuto, ma io sono contento degli spazi che mi sono ritagliato. Ci potranno anche essere occasioni per far bene, al Giro di Danimarca credo di averlo dimostrato, certamente non può essere il Tour de France, almeno non per la classifica. Credo comunque che posso ancora crescere e impratichirmi nella gestione del team per una breve corsa a tappe. Il mio obiettivo restano però le classiche. 

L’abbraccio con Van Aert all’arrivo di Cahors, Tour ’22. Una vittoria in “stile Laporte”
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Torniamo a Wollongong: l’argento mondiale lo vedi come una medaglia guadagnata o un’occasione perduta?

Su questo non ho dubbi, una medaglia d’argento è una medaglia conquistata. Quando sali sul palco significa che hai vinto qualche cosa, al mondiale essere sul podio è un grande risultato, c’è stato solo un corridore che ha fatto meglio, tutto qua. Alla fine ero contento e credo che si sia visto.

Visti i tuoi risultati, ora molti in Francia sognano un tuo trionfo a Parigi 2024. Alle Olimpiadi ci stai pensando e che valore hanno per te?

Assolutamente sì, sono un obiettivo primario. Partecipare alle Olimpiadi è il sogno di tutti, figuriamoci poterlo fare a Parigi per un francese come me. Ci sto pensando e so che posso far bene. Per ora il mio pensiero è guadagnarmi la selezione, ma poi certamente partirò con un preciso obiettivo in mente, trasformare un sogno in realtà, perché è quella corsa che può contraddistinguere un’intera carriera, è la più importante di tutte.

Laporte con Evenepoel e Matthews. Ai mondiali ha vinto lo sprint dei battuti a 2’21” da Remco
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La Francia ha vissuto nel ciclismo su strada una lunghissima crisi, ora con te, Alaphilippe e molti altri è tornata protagonista: che cosa è cambiato?

Non parlerei proprio di crisi nel ciclismo su strada perché nel corso degli anni ci sono sempre stati corridori molto buoni. Forse non siamo il Belgio che vive di ciclismo, ma se guardate bene ora abbiamo una bella generazione di campioni. Molti però vedono solo il fatto che siamo tutti orientati verso le classiche e non ci sono grandi specialisti per i giri di tre settimane. Il Tour de France manca ai nostri corridori da decenni e questo pesa. Le cose però sono convinto che stiano cambiando, dagli junior stanno uscendo fuori autentici talenti per le corse a tappe e quindi il ricambio non mancherà. Il ciclismo francese ha davanti a sé un gran bel futuro e io nonostante i miei 29 anni voglio farne parte.