Chi vince il Tour? Dieci personaggi, dieci voti, un re

25.06.2023
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Pochi giorni ancora e sarà Tour de France. L’opinione pubblica già impazza sul possibile vincitore e quindi sul duello fra Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard. Al netto della presenza di tanti altri ottimi corridori, il succo della Grande Boucle è tutto racchiuso in questa sfida. 

Noi abbiamo lanciato un sondaggio: chi sarà il vincitore? E in questa “caccia all’opinione”, abbiamo coinvolto tecnici, corridori, personaggi extra ciclistici… Il risultato? C’è un favorito. Scopriamo chi è e perché.

Silvio Martinello, Giro d'Italia
Silvio Martinello, ex pistard, stradista e oggi commentatore per Radio Rai
Silvio Martinello, Giro d'Italia
Silvio Martinello, ex pistard, stradista e oggi commentatore per Radio Rai

Martinello: il danese è più solido

Vingegaard-Pogacar: 1-0

Iniziamo con Silvio Martinello, commentatore di Radio Rai e grande ex della strada e della pista.

«Propendo per Vingegaard. E il perché è semplice: il danese ha avuto un avvicinamento meno problematico, anzi privo di ogni genere di problema. Pogacar invece dopo l’incidente alla Liegi non ha più corso, pertanto ritengo che Vingegaard possa essere più efficace.

«Jonas ha avuto una crescita esponenziale. L’anno scorso è stato capace di concretizzare e di finalizzare un gran lavoro della sua squadra, di farsi trovare pronto nel momento in cui Pogacar ha commesso qualche errore. Ora è in una nuova dimensione, che sta sostenendo con grande personalità».

«Sarà una sfida anche tra le rispettive squadre e anche in questo caso dico Jumbo-Visma: mi sembra leggermente più solida rispetto alla UAE Emirates. Sarà comunque una sfida tutta da vivere. Siamo di fronte a due autentici fenomeni».

Luca Gregorio (a destra), qui con Riccardo Magrini
Luca Gregorio (a destra), qui con Riccardo Magrini

Gregorio: Jumbo-Visma superiore

Vingegaard-Pogacar: 2-0

Dalla radio alla tv, passiamo a Luca Gregorio, commentatore di Eurosport.

«Chi vince il Tour? Domanda più difficile di quanto si possa dire. Sono molto in dubbio. La lotta sarà fra Pogacar e Vingegaard. Il cuore è per Tadej, la ragione per Jonas, quindi voto per il danese. Vingegaard può fare il bis. E’ maturato. L’ho visto in una condizione stellare, con una grande squadra attorno. E credo che sia anche un filo più forte di Pogacar in salita».

«Ha vinto il Tour e questo gli dà più esperienza e più sicurezza. Mi ha colpito proprio questa sua maturazione come leader. E mi piace molto anche la sua completezza, perché oltre ad attaccare in salita va forte pure a cronometro, chiaramente ha meno impatto emotivo rispetto Pogacar per il quale, ripeto, protende il mio cuore: spero rivinca lui, anche se non corre da mesi».

Stefano Garzelli, anche lui grande ex, oggi ai microfoni della Rai
Stefano Garzelli, anche lui grande ex, oggi ai microfoni della Rai

Garzelli: Tadej può crescere

Vingegaard-Pogacar: 2-1

Restiamo nel settore mediatico e passiamo il “microfono” a Stefano Garzelli, il quale commenterà il Tour con Andrea De Luca per la Rai.

«Il favorito per me resta Pogacar. C’è però l’incognita della sua condizione. Sono convinto che stia bene. Tadej dovrà cercare di superare senza troppi problemi la prima settimana, soprattutto le tappe in Spagna, che sono dure e nervose. Se parte all’80 per cento e ne esce al 100 per cento… sappiamo chi è. 

«E poi bisogna ragionare in ottica della terza settimana. Vingegaard volava al Delfinato, ma da fine Delfinato a fine Tour ci sono circa 40 giorni, tanti. Quindi a mio parere il favorito rimane Pogacar, se non altro perché vuole fortemente la rivincita. La sconfitta dell’anno scorso, con degli errori, gli ha bruciato non poco. Tra virgolette, Tadej parte senza niente da perdere, al contrario di Vingegaard. 

«L’incognita per lo sloveno potrebbe essere la squadra. La UAE è forte, ha buoni corridori come Adam Yates, il quale però è un capitano e non tutti sanno fare la parte del gregario. Jonas ha una grande squadra, ma bisognerà vedere come si comporterà Van Aert, l’anno scorso fondamentale per la vittoria». 

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana

Toni: Tadej ha imparato

Vingegaard-Pogacar: 2-2

Dai commentatori passiamo ai tecnici, parola dunque al preparatore toscano Pino Toni, il quale di Tour ne sa qualcosa per averne vissuti parecchi da dentro.

«Per me vincerà Tadej Pogacar. Primo, perché se non fosse in condizione neanche ci andrebbe. Secondo, perché ha una cattiveria mai vista prima. Tadej non si farà cogliere in castagna come l’anno scorso. Per me l’estate scorsa dopo essere stato staccato la prima volta lui ha un po’ mollato, convinto che poi avrebbe recuperato, salvo poi rendersi conto che non era così. Era la prima volta in vita sua che viveva quella situazione. In qualche modo aveva sottostimato l’avversario, non commetterà lo stesso errore. In più ha una squadra veramente forte quest’anno, che si è ben preparata. Mentre in Jumbo-Visma, fortissima chiaramente, ci sono delle individualità che disperderanno energie».

Il discorso è chiaramente rivolto a Van Aert. «Bisognerà anche vedere se Wout lo farà questo Tour, visto che sta aspettando il figlio. Si fermerà? Non partirà? Io spero per lui che gli nasca tre giorni prima del via, così avrà il tempo di vederlo, di baciarlo e andare al Tour in tutta serenità. Perché una Jumbo con o senza Van Aert cambia… e tanto».

Paolo Belli è un grande appassionato di ciclismo. Ha vissuto anche dei Giri “da dentro”
Paolo Belli è un grande appassionato di ciclismo. Ha vissuto anche dei Giri “da dentro”

Belli: Tadej come Merckx

Vingegaard-Pogacar: 2-3

Non solo voci dal mondo del ciclismo. Paolo Belli, showman e musicista, è un grande appassionato di ciclismo e anche lui ha le idee chiare in merito alla maglia gialla di Parigi.

«Io dico Pogacar perché, a mio avviso, dopo gli infortuni si è allenato (e nascosto) bene. Lo sloveno ha esperienza è una buonissima squadra. Seguo Tadej da tempo e, come tutti, sono rimasto folgorato dalla sua classe. Tra le sue tante imprese straordinarie, quella alla Strade Bianche dell’anno scorso mi ha letteralmente stregato… Anche se continuo a tifare per tutti i corridori italiani.

«Sono diventato un suo grandissimo fan, perché mi entusiasma al punto che mi ricorda – vista ormai la mia veneranda età – il mitico Eddy Merckx».

Roberto Reverberi, manager e diesse della Bardiani
Roberto Reverberi, manager e diesse della Bardiani

Reverberi: danese più incisivo

Vingegaard-Pogacar: 3-3

Direttore sportivo e manager super partes, Roberto Reverberi, punta sul danese.

«Per me Vingegaard è il favorito. Ha dimostrato di andare molto forte, ha vinto anche il Delfinato. Lui è uno di quei corridori che punta alle corse e che va forte in due o tre occasioni l’anno, l’altro, Pogacar, è senza dubbio più spettacolare, va forte dal UAE Tour al Lombardia.

«Ma Vingegaard ha una squadra molto forte e di fatto Tadej arriva al Tour senza aver praticamente corso dall’incidente alla Liegi. Senza contare che dopo il successo dell’anno scorso, Vingegaard ha preso sicurezza».

Nel 2005 Ivan Basso lottava al Tour con Armstrong
Nel 2005 Ivan Basso lottava al Tour con Armstrong

Basso: Jonas terribile in salita

Vingegaard-Pogacar: 4-3

Ivan Basso di Tour de France ne fatti nove. E ha sempre lottato con grandi campioni. Oggi il manager della Eolo-Kometa è spettatore esterno.

«Vince Vingegaard. Vado a sensazione. Non ho elementi oggettivi per dirlo, ma mi sembra un corridore più adatto a questo Tour. Pogacar è il più forte al mondo e lo è a tutto tondo, in ogni tipo di corsa. Però Vingegaard in salita è veramente terribile e ha intorno la squadra più attrezzata per gestire le tre settimane».

Gianluca Brambilla da quest’anno veste i corridore della Q36.5
Gianluca Brambilla da quest’anno veste i corridore della Q36.5

Brambilla: Tadej vince con la testa

Vingegaard-Pogacar: 4-4

Fermo per la frattura alla clavicola occorsagli al Tour de Suisse, anche Gianluca Brambilla esprime il suo parere e il suo è quello di chi ci pedala fianco a fianco e li osserva da dentro.

«Secondo me, memore dell’esperienza dell’anno scorso, Pogacar lascerà il suo segno. Lui e Vingegaard hanno dimostrato di essere una spanna sopra a tutti e se la giocheranno loro. Non conosco il percorso nel dettaglio e neanche i pretendenti, ma dico Pogacar perché è forte sotto ogni aspetto, non ultimo quello mentale. Tadej vive ogni situazione, anche tesa, con molta spensieratezza e questa cosa mi colpisce di lui».

Daniele Bennati, cittì della nazionale
Daniele Bennati, cittì della nazionale

Bennati: Tadej non sbaglia più

Vingegaard-Pogacar: 4-5

Passiamo poi al cittì azzurro, Daniele Bennati. Il Benna in questo periodo ha un bel da fare con il mondiale che si avvicina. Deve costruire la nazionale per Glasgow, ma non ha rinunciato a dire la sua…

«Per me lo vincerà Tadej Pogacar, perché lo scorso anno ha sbagliato e quest’anno non commetterà di nuovo lo stesso errore. Di questo ragazzo mi piace la sua spensieratezza, la sua semplicità nel rendere cose impossibili facili. E questa potrà essere un’arma a suo favore».

Nibali, re del Tour de France 2014, fra Peraud e Pinot
Nibali, re del Tour de France 2014, fra Peraud e Pinot

Nibali: Pogacar più cattivo

Vingegaard-Pogacar: 4-6

Infine, uno dei pareri di più peso, se non altro perché il Tour de France lo ha vinto: Vincenzo Nibali. Per lo Squalo il re a Parigi sarà lo sloveno.

«Dico Pogacar. Lo vedo con un altro piglio rispetto allo scorso anno. In questa stagione ha corso sempre in modo diverso, con più grinta. Fino allo scorso Tour non aveva mai trovato nessuno che lo battesse. Questa persona, Vingegaard, è uscita fuori e quindi si è preparato in modo più determinato».

Neanche l’incidente della Liegi potrà fermarlo per Nibali. «Se non fosse stato bene, probabilmente neanche andrebbe in Francia. I numeri, i valori, lui e la sua squadra li hanno. Conosce i parametri, sa a quale livello si trova e a quale livello sono gli altri e anche per questo non ha avuto bisogno di fare altre corse-test, prima del Tour. In più abbiamo visto che è molto bravo ad arrivare in forma agli appuntamenti, anche non avendo corso».

Juniores, anche in Francia il livello si alza…

05.03.2023
6 min
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Il viaggio in Francia con gli juniores del CPS Professional Team è stata un’occasione per “toccare dal vivo” ciò di cui spesso parliamo: come lavorano e com’è il movimento giovanile all’estero. Ed in effetti qualche differenza c’è.

Alcune le abbiamo captate noi stessi semplicemente osservando quanto accadeva: infrastrutture organizzative snelle, ogni ragazzo ha la sua bici, poco gioco di squadra… Altre differenze ce hanno rivelate i direttori sportivi con cui abbiamo parlato: la presenza di “squadre federali” e squadre satellite, il progetto scuola. E in comune? Anche in Francia la categoria juniores sta vivendo una rapida evoluzione.

Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation
Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation

Cordoba, diesse OCF

Manu Cordoba è il direttore sportivo dell’Occitan Cyclisme Formation Juniores con lui partiamo appunto dalla questione dell’importanza di questa categoria, la prima internazionale.

«E’ la categoria più importante – spiega Cordoba – I bambini sono spugne e certe cose le imparano dai piccoli, ma la categoria juniores consente loro di convalidare tutto ciò che hanno appreso prima. In questa fase subentrano infrastrutture tecniche, conoscenze e figure professionali che gli insegnano il mestiere del ciclista». 

«Oggi molti ragazzi sono captati direttamente dai grandi team, ma credo che se ne sia anche abusato. Abbiamo degradato la categoria U23 in Francia perché oggi uno junior corre come fosse un trentenne o un quasi pro’, mentre la categoria U23 può permettere a tutti gli juniores che non sono maturi di crescere e quindi di passare. Oggi (riferito alla Challenge Anthony Perez, ndr) abbiamo 160 ragazzi, ma il prossimo anno ce ne saranno 80 nella categoria superiore. E perdiamo tesserati. Questo anche perché le gare U23 dovrebbero essere vere gare U23 e non gare elite».

Codoba passa poi agli allenamenti, l’altra sfera su cui ci siamo concentrati.

«Non abbiamo un ritiro fisso e non seguo giornalmente i miei ragazzi, ma cerchiamo di fare degli stage. Per esempio veniamo da un training camp in Spagna e magari questa estate ne faremo uno in montagna, Sono momenti di apprendimento e non solo di preparazione.

«Voglio portare i ragazzi alle gare tutti allo stesso livello. Cerco di lavorare in modo equo con tutti. Per me il gruppo è centrale. Oggi molti diesse isolano i corridori meno forti e perdiamo questo senso di gruppo. La bici mi ha insegnato molti valori e voglio condividerli con tutti: quelli bravi e quelli meno bravi, più ricchi e meno ricchi…».

Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia
Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia

Puntous, Haute-Garonne

A Cordoba segue Michel Puntous, diesse dell’Haute-Garonne, una squadra federale che raccoglie e ha rapporti con diversi team.

«La categoria juniores – spiega Puntous – si sta sviluppando anche in Francia. Noi dell’Haute-Garonne abbiamo questa categoria da 10 anni e da 4 abbiamo creato una squadra di livello internazionale. Andiamo all’estero: Belgio, Spagna… Questa estate abbiamo ottenuto un invito per una corsa in Austria. In tutto faremo 20-22 gare internazionali».

«Prima i migliori juniores andavano in club di divisione nazionale come Aix-en-Provence o Vendée, ora invece vanno direttamente nei team di sviluppo delle squadre professionistiche. Personalmente, ho fatto passare 14 corridori. 

«Non abbiamo un filo diretto con le squadre professionistiche, ma abbiamo una buona rete a livello di comitato dipartimentale che a sua volta ci mette in contatto con le squadre pro’. Ma vale anche il contrario: molti ragazzi vogliono venire da noi. Per esempio quest’anno avevamo 6 posti e 30 candidati. E ci siamo posti un limite di due ragazzi stranieri».

Il dipartimento dell’Haute-Garonne nel Sud-Ovest, rappresenta un grande serbatoio ciclistico per la Francia.

«Non abbiamo un ritiro. Alcuni ragazzi che vivono vicini nei pressi di Tolosa si allenano insieme. Tutti vivono a casa coi genitori anche perché hanno la scuola. Ciò che vogliamo è che abbiano un doppio progetto sportivo e scolastico. A 18 anni ottengono il diploma di maturità (un anno prima rispetto a noi, ndr) e fino ad allora cerchiamo di allenarli senza strafare e oggi ci sono gli strumenti per farlo con potenziometri, piattaforme preparatori.

«I ragazzi devono imparare il mestiere e avere dei margini di miglioramento per quando passeranno. Il nostro obiettivo: prepararli per l’altissimo livello, non essere professionisti da junior. Se imponi loro troppi vincoli sin da adesso, come il nutrizionista, poi come faranno?».

Con Puntous si parla anche di tattiche. Lui dirige una squadra importante e avevamo notato che dopo il primo giorno di gara non c’era stato un grosso gioco di squadra.

«In Francia è complicato farli correre da squadra! Sono pochissimi i team che corrono con un leader. La filosofia è spesso individuale e anche io sostanzialmente la penso così. Voglio dare una possibilità a tutti. Non voglio avere solo uno o due leader e gli altri ragazzi che sono lì solo per loro.

«Poi è anche vero che da due anni a questa parte i ragazzi spesso ci chiedono di designare un leader. Più che altro perché hanno una tattica più chiara. Però non chiudiamo a nessuno. Ripeto, in questi due anni di categoria non voglio bloccare un corridore che magari non ha grandi mezzi e dirgli: “Non avrai mai la tua possibilità».

Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme
Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme

Bernat, Villemur Cyclisme

Xavier Bernat è invece l’organizzatore della due giorni francese, lui dirige la As Villemur Cyclisme, una squadra più piccola e che rientra in quella rete di team satelliti della Haute Garonne.

«In Francia – dice Bernat – la categoria juniores è diventata fondamentale. Ci sono corridori che passano subito alle “Conti” e possono diventare professionisti. Ora chiediamo a questi ragazzi di essere ad un alto livello. Guardate il vincitore di ieri (Giuliano, ndr): erano tre settimane che ogni weekend faceva delle corse con gli elite. E nell’ultima di queste gare è arrivato con il gruppo di testa. La cosa dura è che se non ottengono dei buoni risultati per loro il ciclismo è finito: non trovano un posto nella categoria successiva (come da noi, ndr)».

«Per quanto riguarda la gestione quotidiana dei ragazzi, anche noi non abbiamo un ritiro fisso. Siamo una piccola squadra e facciamo due stage l’anno qui in zona. Ognuno ha il suo preparatore. Anche perché spesso venendo da altre squadre erano legati ad esso e quasi non vogliono venire se non continua a seguirli».

«Abbiamo dei corridori del nostro team che fanno la spola con il team Haute-Garonne, che è una squadra della Federazione. I ragazzi hanno 17-18 anni e non tutti possono andare a correre ogni fine settimana con loro che fanno un’attività più internazionale. Pertanto stiliamo un calendario parallelo: chi può va con loro, chi non può resta a correre con noi. Andiamo d’accordo. Quest’anno per esempio faremo la Liegi Juniores, c’è una buona collaborazione con la Federazione».

La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane
La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane

Boggianti, Pomme Marseille

Jean Michel Boggianti è intento a parlare con i ragazzi de La Pomme-Marseille quando ci avviciniamo per parlare con lui. La sua è una delle squadre più blasonate di Francia.

«In Francia – dice Boggianti – investiamo molte risorse sui giovani perché il ciclismo si sta evolvendo e sempre più juniores stanno diventando professionisti. Cerchiamo di fargli prendere gli automatismi per il mondo dei pro’. Non abbiamo un nostro nutrizionista, ma organizziamo di tanto in tanto degli incontri con mental coach, preparatori, nutrizionisti…».

«In Pomme abbiamo un progetto, un programma di lavoro doppio: uno sportivo e uno scolastico. Per noi l’obiettivo è che i ragazzi abbiano successo, ma non per forza nel ciclismo. Se non avranno una carriera con la bici, che abbiano qualcosa a cui aggrapparsi e quindi che portino avanti il loro percorso di studi. Per questo abbiamo un centro di formazione dove sono fissi, dove dormono, e tre volte a settimana si allenano con noi. I ragazzi vanno a scuola e noi li andiamo a prendere quelle tre volte a settimana.

«Sono 9 ragazzi su 17 che portano avanti questo progetto sport-studio. In Provenza, il nostro dipartimento, vi accedono solo quando hanno raggiunto buoni risultati. Sono classificati come sportivi di alto livello e quindi beneficiano della scuola di sviluppo e ottengono una borsa di studio».

A Boggianti chiediamo se hanno dei fili diretti con le squadre pro’.

«Delle relazioni con i team pro’ ci sono: vedi EF Education-EasyPost o Soudal-Quick Step, ma ci sono soprattutto gli agenti (procuratori, ndr) che vengono da noi per individuare gli atleti». 

Cosa può fare Remco alla Vuelta? Ecco il parere dei colleghi

23.08.2022
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La Vuelta riparte oggi dalla Spagna. La prima tappa in terra iberica, la quarta in assoluto, si snoda nei Paesi Baschi. Proprio da queste parti un mese fa più o meno, Remco Evenepoel sbaragliava la concorrenza alla Clasica de San Sebastian. Una prova di forza incredibile. Tanto che titolammo: Remco passeggia a San Sebastian.

Il rampollo della Quick Step-Alpha Vinyl è appunto in gara e in tanti, noi inclusi, si chiedono cosa può fare: punterà alla classifica? Vorrà fare incetta di tappe? Questa domanda è circolata spesso tra media belgi e non solo… Oggi si entra nel vivo della corsa (la Vitoria Gasteiz-Laguardia propone oltre 2.300 metri di dislivello) e prima che la classifica possa subire degli scossoni, sentiamo cosa dicono i colleghi in merito alla Vuelta di Evenepoel.

Sivakov (a destra) con Carlos Rodriguez all’inseguimento di Evenepoel a San Sebastian
Sivakov (a destra) con Carlos Rodriguez all’inseguimento di Evenepoel a San Sebastian

Come Van Aert

«Un corridore come Remco Evenepoel potrebbe fare un po’ come Wout Van Aert al Tour – ha detto Pavel Sivakov – Lui può davvero essere un jolly. E’ in grado di attaccare ovunque e mettere la corsa in disordine».

E non è una constatazione banale, specie se magari dopo le prime frazioni dovesse ritrovarsi, come è presumibile, in classifica. Ad uno così non puoi lasciare spazio. Anche se la sua esperienza con i grandi Giri non è andata bene. Ricordiamo che lo scorso anno Evenepoel si ritirò dal Giro d’Italia.

Simon Yates ed Evenepoel a San Sebastian: l’inglese meglio di tutti ha saggiato il “nuovo Remco scalatore”
Simon Yates ed Evenepoel a San Sebastian: l’inglese meglio di tutti ha saggiato il “nuovo Remco scalatore”

Yates non si fida

Il capitano della Bike Exchange-Jayco, Simon Yates, è uno dei pretendenti più solidi alla maglia rossa finale. E forse, visti suoi alti e bassi, il corridore che più somiglia e può capire Remco stesso. I due si contesero San Sebastian e l’inglese ne uscì con le ossa rotte.

«Non scherziamo – ha detto Yates a Rtbf – Evenepoel è uno dei contendenti alla vittoria finale. Se guardiamo la sua prestazione a San Sebastian sarebbe stupido non tenerne conto. Certo, è ancora molto giovane. Tutti dicono che ancora non ha le tre settimane nelle gambe, ma ad un certo punto succederà che le avrà. Magari non sarà quest’anno… ma succederà».

Reagire alle giornate no come quella di Montalcino al Giro 2021: sarà questa la sfida più grande per Remco secondo Froome
Reagire alle giornate no come quella di Montalcino al Giro 2021: sarà questa la sfida più grande per Remco secondo Froome

Parola a Froome

Non è venuto meno a questo dibattito Chris Froome, uno che di grandi Giri se ne intende. L’esperto inglese era parecchio tempo che non pedalava spalla a spalla con il giovane belga, ma non si è perso i suoi “show”.

«Remco – ha detto Froome – ha dimostrato di avere il livello per competere per la vittoria assoluta. Nessuno lo dubita. Non io almeno… Ma non lo ha ancora mai dimostrato in una gara di tre settimane. E’ questa è la vera sfida per lui.

«In un grande Giro infatti non basta essere bravo in una tappa e risparmiare il resto del tempo. Devi saper gestire gli alti e bassi. Devi esserci anche, e soprattutto, nelle giornate brutte. Chi sa superarle meglio vince questa Vuelta».

Velasco impegnato a San Sebastian dove ha visto un super Evenepoel
Velasco impegnato a San Sebastian dove ha visto un super Evenepoel

Il parere di Velasco

Simone Velasco è stato forse l’italiano che più è stato vicino a Remco nel giorno della “passeggiata” di San Sebastian. Al contrario di Froome lo ha visto pedalare da vicino e l’elbano non ha dubbi: il belga può fare bene anche nella generale.

«Secondo me – dice Velasco – a livello di classifica può entrare in una top ten, ma per il podio ancora non è pronto, ancora fa fatica. Non è una questione fisica e neanche dei “fantasmi” del Giro, perché ha un carattere forte, ma solo una questione di esperienza. E posso confermare che non è mai andato così forte in salita».

«Credo che nella crono farà molto bene, ma nel complesso è una Vuelta molto dura e già oggi nei Paesi Baschi si potrà vedere qualcosa: in queste tappe ci sarà una prima selezione».

Per Carapaz il giovane belga può puntare alla vittoria finale
Per Carapaz il giovane belga può puntare alla vittoria finale

Carapaz: «Remco in condizione»

Sulla falsariga del compagno Sivakov, anche Richard Carapaz non sottovaluta Evenepoel e soprattutto la sua forma. Però visto il modo di correre del capitano della Ineos-Grenadiers  quasi, quasi Remco potrebbe essere un buon alleato.

 

«La condizione di Evenepoel – ha detto l’ecuadoriano a Het Nieuwsblad – è incredibile. Per me lotterà sicuramente per la vittoria finale. Molto dipenderà dalla condizione di Roglic. Se Primoz dovesse stare bene allora la gara probabilmente sarà un po’ più controllata. Ma se così non dovesse essere c’è Evenepoel che potrebbe fare confusione e correre in modo molto offensivo e imprevedibile».

Remco si è allenato moltissimo in Italia a luglio, lontano dai media del Belgio (foto Twitter)
Remco si è allenato moltissimo in Italia a luglio, lontano dai media del Belgio (foto Twitter)

E Remco cosa dice?

Anche Roglic ed Almeida, più o meno all’unisono hanno detto che Remco non va sottovalutato e che è forte. Landa ha detto che da uno così ci si può attendere di tutto e non si possono fare previsioni.

E il diretto interessato cosa dice? Il corridore di Lefevere aveva parlato prima del via della corsa spagnola. La pressione c’è e probabilmente lui stesso la sente, anche se cerca di negarlo. 

In una conferenza alla vigilia del via ha subito tenuto a dire che era rilassato, salvo poi aggiungere che era stato tutto luglio lontano dal Belgio proprio per evitare le pressioni dei media.

«Questa scelta – ha detto Evenepoel – mi ha fatto bene, così ho potuto essere più lontano dai commenti e le opinioni che si fanno su di me. Mi sento molto calmo e molto rilassato. Prepararmi lontano dal Belgio è stata la scelta migliore che potevo fare».

Intanto un primo obiettivo l’asso di Schepdaal lo ha già raggiunto: uscire dall’Olanda senza problemi. Dopo la cronosquadre era contento sia per il risultato, che per non essere incappato in nessun incidente.

«Cercheremo di mettere insieme le vittorie di tappa per la squadra e un buon posto assoluto nella generale – aveva dichiarato alla vigilia Evenepoel – ma la priorità restano le tappe. Se a fine Vuelta dovessimo avere anche una buona classifica sarà un bonus…».

Evenepoel è fortissimo a crono: già campione nazionale, sfrutta al meglio la sua potenza grazie ad una grande efficienza aerodinamica
Evenepoel è fortissimo a crono: già campione nazionale, sfrutta al meglio la sua potenza grazie ad una grande efficienza aerodinamica

Crono spartiacque

«Ovviamente – ha aggiunto Remco – ho anche ambizioni per una buona classifica finale. In salita non sono mai andato così forte. Vedremo come saremo messi dopo la decima tappa. E’ vero, ci sono frazioni come San Sebastian ma anche altre tappe con salite più lunghe e ripide». 

Per la cronaca, la decima tappa è quella della crono di Alicante. La delicatissima frazione contro il tempo di cui tanto ci ha parlato Stefano Garzelli. E sappiamo come va Remco a crono. A quel punto la classifica sarà definitivamente delineata e anche lui non potrà più nascondersi.

Una cosa è certa: uno che parla così alla maglia rossa magari non ci punta… ma ci pensa eccome.

La scelta degli juniores. Inchiesta tra i diesse degli U23

25.06.2022
7 min
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Come scelgono i ragazzi di primo anno le squadre under 23? Al netto che i migliori juniores hanno la “strada spianata” e magari saltano direttamente fra i pro’, quali sono i criteri di scelta per gli altri ragazzi? Ne abbiamo parlato con alcuni direttori sportivi di squadre under 23 e continental, mettendo a confronto esigenze differenti.

Non bisogna però nascondersi dietro ad un dito: in questa scelta molto dipende dai procuratori e sostanzialmente dagli ordini d’arrivo. Perché, alla fine volenti o nolenti, si parte sempre da là. Ma resta in piedi il discorso tecnico. Vediamo come.

Per i ragazzi della Hopplà (continental) prima di entrare in squadra si passa dai test in Mapei Sport
Per i ragazzi della Hopplà (continental) prima di entrare in squadra si passa dai test in Mapei Sport

Basta plurivittoriosi

«Certo che guardiamo le classifiche – dice Matteo Provini, tecnico della Hopplà Petroli Firenze – ma guardiamo anche il modo di correre dei ragazzi. Qualche anno fa, per esempio, ho fatto l’errore di prendere un ragazzino che aveva accumulato molte vittorie, ma tutte nei circuiti, in volata. Poi nelle prime corse da under 23 si staccava sul primo cavalcavia. Da quel giorno non guardo solo chi vince, ma chi è nei primi dieci. Quando presi Ganna, non lo voleva nessuno, aveva fatto solo due piccole vittorie da juniores. Anche Konyshev non aveva vinto, ma vedevo che era sempre in fuga.

«Per me contano molto tre corse in particolare e sono: l’Internazionale di Solighetto, il Lunigiana e il Liberazione di Massa. Se si va a vedere, da qui sono sempre saltati fuori dei nomi importanti».

Ganna Chrono 2014
Un semisconosciuto Ganna alla partenza della Chrono des Champions 2014, vinta fra gli juniores
Ganna Chrono 2014
Un semisconosciuto Ganna alla partenza della Chrono des Champions 2014, vinta fra gli juniores

«Per il mio modo di fare – prosegue Provini – i plurivittoriosi con me non vanno sempre d’accordo. Hanno già l’impressione di essere dei campioni e non hanno voglia d’imparare.

«Quindi andiamo a contattare gli juniores di livello medio, dopodiché li sottoponiamo a dei test presso il centro Mapei. In base ai valori che danno questi test decidiamo se prenderli o no».

L’aspetto umano

Con Provini si cerca di capire se in qualche modo è valutabile anche l’aspetto umano.

«Qualche junior lo portiamo in ritiro con noi – sorride – e cerchiamo di capire chi sia la persona che stiamo ingaggiando. La prima è capire se hanno voglia di imparare e se ascoltano tutto quello che gli si dice.

«Il problema è che spesso – riflette – ci sono dietro di loro troppe persone, preparatore e famiglie, che li condizionano. Tante volte gli dici di fare una cosa, poi tornano a casa e fanno l’opposto. E così diventa difficile valutare per noi. Non si ha la piena padronanza dell’atleta. Per questo cerchiamo di scegliere chi ha piena fiducia nelle strutture della squadra».

Miodini della Beltrami-Tsa, squadra continental
Miodini della Beltrami-Tsa, squadra continental

Occhio ai punti

«Guardiamo anche le classifiche – spiega Roberto Miodini della Beltrami-Tsa – e le guardiamo perché se fai la continental i ragazzi devono avere dei punti. Senza punti ne possiamo prendere uno solo.

«Ma quando dico che guardiamo le classifiche, intendo che tengo l’occhio sui punteggi. Per forza di cose devo stare in quel range. Anche se sono consapevole che ci sono dei ragazzi che hanno pochi punti ma che sono, o possono essere, fortissimi. Magari non sono riusciti ad esprimersi perché ancora sono in fase di crescita, ma quelli io, ripeto, non li posso prendere. Se potessi, lo farei».

«Sulla nostra scelta – prosegue – incide molto anche la tipologia di calendario che andiamo a fare. Se facessimo anche tante corse che per la maggior parte sono piatte, come i circuiti per gli under 23, magari prenderei anche delle ruote veloci. Ma facendo un calendario continental che è più duro, che prevede corse a tappe, è più utile prendere un ragazzo che sappia fare fatica. E’ più utile un passista scalatore… A me piace chi fa fatica, anche se spesso accumula pochi punti perché lavora per altri. Ed è un paradosso. Quando invece per noi sarebbe il profilo migliore.

«In tal senso è importante avere una rete di fiducia con i direttori sportivi delle squadre juniores, ma anche amici, gente esperta… Perché basarsi solo sul giudizio del diesse di quell’atleta non è totalmente giusto: lui cerca di piazzare il suo corridore».

Turchetti, seduto al centro, con i suoi ragazzi della Delio Gallina
Turchetti, seduto al centro, con i suoi ragazzi della Delio Gallina

Le conoscenze contano

E il discorso delle conoscenze di Miodini e della valutazione umana che in qualche modo faceva Provini si ritrovano anche in Cesare Turchetti, della  Delio Gallina – Ecotek Lucchini Colosio.

«Nella scelta dei ragazzi – dice il diesse bresciano – molto incidono anche le conoscenze. Ci sono dei direttori sportivi in cui ho più fiducia e parlo con loro, ma mi rifaccio anche ai rapporti con amici competenti per capire il corridore e la persona.

«Qui, alla fine tutti vogliono andare alla Colpack-Ballan o alla Zalf Euromobil. Fai fatica a prendere uno junior bravo. E sì che poi noi gli diamo tutto. Nel mio metodo è previsto parecchio tempo in ritiro, quindi c’è anche un certo impegno. Ma se il ragazzo non vuole stare con noi o ci sta con la testa di chi dopo un anno vuole andare via, non va bene. Non è il massimo per chi vuol investire su di lui e cerca di farlo crescere».

Carlo Franceschi, storico manager della Mastromarco Sensi-Nibali
Carlo Franceschi, storico manager della Mastromarco Sensi-Nibali

Si va sul campo

«Prima di tutto – spiega Carlo Franceschi della Mastromarco Sensi Nibali – valuto il suo rendimento nell’arco della stagione. Non tanto le vittorie, ma la capacità di rendere da inizio a fine annata. Anche se vince poco, ma arriva sempre nei primi dieci, sai che ci devi lavorare, ma altrettanto sai che ci puoi fare affidamento.

«Spesso chi ha tante vittorie sono i ragazzi che vincono i circuiti, ma poi tra gli under servono le caratteristiche di fondo e resistenza».

«Il corridore piccolo ha più difficoltà è vero, però anche qui conta la qualità. Pozzovivo, per esempio, è sempre stato competitivo. Anche da allievo. Io poi, anche per cercare di individuare questi ragazzi che sono più indietro nella crescita, durante la stagione ho il compito di andare a vedere qualche gara juniores. E se il piccolino si fa vedere e magari ti arriva nei dieci è un’ottima cosa.

«Ma anche qui bisogna valutare: è piccolo perché i suoi geni sono così (e lo scopri conoscendo i genitori) o perché non è ancora cresciuto? Solitamente lo vedi in faccia un ragazzino di 17 anni se e quanto ha sviluppato. E lo vedi a prescindere dalla statura.

Anche Franceschi riprende in parte il discorso di Turchetti.

«Con i corridori di fuori regione si va a conoscere la famiglia. Il ragazzo magari vorrebbe venire, ma i genitori non sono d’accordo o non sono convinti di mandarlo a vivere nel ritiro. Così non va bene, non vai da nessuna parte: queste incertezze si riflettono sul ragazzo. La Mastromarco è una famiglia e tutti devono essere sereni di starci».

Coppolillo, dirige i ragazzi della #inEmiliaRomagna
Coppolillo, dirige i ragazzi della #inEmiliaRomagna

Particolarità #inEmiliaRomagna

«Valutare i ragazzi non è facile – dice Michele Coppolillo della #inEmiliaRomagna – non guardiamo solo il risultato, ma anche altre cose. Nel nostro caso poi è anche più semplice la scelta, in quanto abbiamo sposato la politica di portare avanti i ragazzi dell’Emilia Romagna. Ma è chiaro che guardiamo anche oltre. Che risultati hanno ottenuto, che tipo di attività hanno svolto, quante gare hanno fatto…».

«Ricordiamoci che tra gli juniores si è in una fase di crescita importante. E non tutti hanno sviluppato allo stesso modo. Abbiamo degli esempi in casa. Noi abbiamo preso corridori che da juniores non avevano mai vinto e poi da under 23 lo hanno fatto. Penso a Dapporto. La maturazione a quell’età è molto differente. E non si dovrebbe avere fretta.

«Lo scalatore, che solitamente è più piccolo, oggi fa fatica ad emergere. Fa più fatica in pianura. Le medie sono cambiate e magari arrivano sotto le salite già stanchi. Anche per questo collaboriamo con le società. Parliamo costantemente. Cerchiamo di avere un giudizio complessivo».

Coden, a sinistra, con i ragazzi della squadra Interregionale al Giro. Lui è il diesse della Campana Imballaggi
Coden con i ragazzi della squadra Interregionale al Giro. Lui è il diesse della Campana Imballaggi

Crescita in casa

«Noi – spiega Alessandro Coden della Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino – siamo un team nato nel 2011 e abbiamo anche la squadra juniores. Non avendo grosse pressioni dagli sponsor, portiamo i ragazzi più avanti possibile, tanto che abbiamo creato la categoria under 23 da un paio di anni. Per noi quindi si tratta di un cammino. Anche se non manca un occhio rivolto ai ragazzi di altre squadre.

«Su cosa mi baso per prendere gli altri? Guardo il rendimento nella sua regolarità. I suoi piazzamenti. E lavoriamo per farlo crescere. Qualche corridore buono lo abbiamo avuto anche noi: Zambanini, che ora è alla Bahrain Victorious, e Colnaghi alla Bardiani Csf Faizanè. Ci abbiamo creduto e adesso cercheremo di fare crescere qualche altro ragazzo».

Remco o Wout? Per chi fa il tifo il Belgio?

25.09.2021
5 min
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Remco Evenepoel o Wout Van Aert? Il tifo del Belgio ciclistico (e non solo) è letteralmente spaccato a metà. Tuttavia l’ago protende per uno dei due e, almeno per il momento, a spuntarla è Wout Van Aert. Vederlo in azione tra la sua gente è stato emozionante anche per noi. Il giorno della crono quando si stava scaldando davanti al bus del Belgio c’era davvero il mondo. Cori quando è arrivato Evenepoel, cori e applausi quando è arrivato Van Aert.

Per farci gli affari loro, abbiamo chiesto ai colleghi giornalisti belgi chi è il più amato tra i due? E perché?

Van Aert ed Evenepoel al campionato nazionale 2021. Con lo loro Theuns (nel mezzo)
Van Aert ed Evenepoel al campionato nazionale 2021. Con lo loro Theuns (nel mezzo)

Wout avvantaggiato dal cross 

«Sicuro che il più amato è Wout – dice Guy Van den Langenbergh dell’Het Nieuwsblad – ha maggiore visibilità da più tempo. Ha vinto tantissimo nel ciclocross e questo lo rende molto popolare. E resta molto aperto ai suoi fans, molto semplice. Non è cambiato. Remco invece deve ancora cercare il suo cammino, sta crescendo sia come corridore che come persona. Ma non è allo stesso livello di Wout. Lui c’è sempre: d’inverno, d’estate, in primavera… sempre al centro dei media, è spontaneo. Remco non è così spontaneo in tal senso. Wout ha un’altra immagine: è sposato, ha dei figli, non li nasconde al pubblico. E questo piace…

«Remco è molto conosciuto tra i supporter del ciclismo, Wout è conosciuto da tutti, anche da mia madre che ha 84 anni. E per lei Wout è una star, Remco è un ciclista. Sembra che Remco sia sul piedistallo? Beh, se tutti gli dicono che il più forte corridore del mondo, che vincerà il Tour… poi è normale che a 21 anni non abbia sempre i piedi per terra».

Merckx ha detto che Remco correrà per sé e non per la squadra: cosa ne pensa Guy? «Io non credo. A Tokyo si è detto che il suo attacco prima del Mikuni Pass fosse sbagliato, in realtà è perché non ce la faceva visto come è andata. Ha cercato di fare qualcosa. Piuttosto ricordiamoci che due anni fa ad Harrogate ha aiutato Gilbert a rientrare. Non può permettersi un errore del genere per ottenere il supporto di tutto il Belgio, per guadagnare credito verso il gruppo, verso il cittì, i compagni… Magari attaccherà perché dovrà “aprire il finale”».

Tante scritte sull’asfalto del circuito di Leuven per Wout…
Tante scritte sull’asfalto del circuito di Leuven per Wout…

Differenze e similitudini

«Sono due tipi differenti – ribatte Joeri De Knopp dell’Het Laaste Nieuws – Remco ha un carattere più impulsivo, il suo modo di fare, di reagire (come abbiamo visto anche a Trento con Colbrelli)… non tutti lo amano. E’ il carattere di un ragazzino. I tifosi che amano Van Aert sono di più. Ma chi ama Remco lo ama al 100%. Wout nella sua carriera ha già avuto tanti successi, mentre Evenepoel deve iniziare a costruire di fatto la sua carriera».

Ma forse in questa minor popolarità di Evenepoel c’è lo zampino della caduta al Lombardia dell’anno scorso, un incidente che di fatto ha bloccato la sua crescita. Remco sembrava lanciato alle stelle. Come se all’improvviso si fosse rotto l’entusiasmo intorno a lui.

«Può essere, ma attenzione – riprende De Knopp – Remco ha tantissimi supporter: dalle Fiandre Occidentali a quelle Orientali, nel Limburgo, in Vallonia… Piuttosto quell’incidente gli ha dato popolarità per tutto quello che ha dovuto fare successivamente per tornare al suo livello: il dolore, la fatica, la rinascita… Ma anche Wout ha vissuto qualcosa di simile, dopo la caduta al Tour de France due ani fa. No, io credo che la differenza tra i due la faccia il loro carattere. Wout è più grande, corre da più anni, ha già costruito la sua immagine. 

«Se Remco si rende conto di questa differenza di popolarità? Eh… lui è come è. Non credo che voglia essere il personaggio principale. Certo, ha un passato diverso. Ha giocato a calcio, è stato anche all’estero e ha tirato fuori spesso questa storia. Ma ripeto, la grande differenza, come ho detto, la fanno i due caratteri».

Il Fans Club di Evenepoel R.EV 1703, uno dei più grandi
Il Fans Club di Evenepoel R.EV 1703, uno dei più grandi

I club di Remco…

La differenza di età e soprattutto il ciclocross sono i motivi che anche secondo Ann Braeckman, freelance per diverse testate e sempre in prima linea nel ciclismo, segnano il solco fra Van Aert ed Evenepoel.

«E’ difficile comunque dire il perché di questa differenza di popolarità – dice la giornalista – Wout corre da più tempo e ha vinto tre mondiali nel ciclocross. Si batte sempre: in salita, nel cross, a crono e dà sempre tutto. Inoltre i suoi duelli con Van der Poel lo hanno aiutato. Remco, invece, è giovane. E’ la nuova star, pedala da neanche cinque anni. Non ha lo stesso carattere. Ha fatto delle cose per le quali in Belgio non c’è troppa abitudine, se sei un ciclista… Lui giocava a calcio in Olanda e nelle Fiandre hanno detto subito: che lì non erano modesti, non parlano bene in pubblico e quindi ha ripreso tutto ciò da lì. E’ chiaro che è meno popolare. Ma per me non è così grave che Remco abbia certe uscite. Alla fine ha 22 anni e già tanta attenzione mediatica».

Resta il fatto che domenica a Bruges quando è arrivato Evenepoel c’è stato un boato, ma quando è arrivato Van Aert è letteralmente esplosa la piazza.

«E’ anche vero però che Wout è arrivato dopo e si stava giocando l’oro. Inoltre consideriamo che da quelle parti, Fiandre Occidentali, il ciclocross è molto popolare e ci sta che abbia molti supporter. Ma Remco per esempio ha molti fans club. Ne ha uno grandissimo che è venuto a Trento con 42 persone. Ha un vero marchio, R.EV 1703: 1703 è il Cap di dove abita e R.EV 1703 è anche la targa della sua auto. Van Aert, invece, ha i tifosi, ovunque… magari anche lui ha dei club. Posso dire che nelle gare di cross si vede tanta gente che ha le sue maglie. 

Infine una considerazione sulla gara di domani e su come potrà correre il giovane rampante. «Non credo comunque che domenica Remco correrà a modo suo – conclude Ann – Se per qualche suo sbaglio il Belgio non dovesse vincere sarebbero guai: avrebbe molto da perdere».

Ora degli juniores parlano i tecnici regionali

14.09.2021
5 min
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Ormai il tema legato agli juniores è “il” dibattito di questo periodo. L’epilogo dell’Europeo con le dichiarazioni al vetriolo di De Candido è stato solo l’ultima goccia di un tema che era sul tavolo e che anzi su queste pagine avevamo sottolineato in tempi non sospetti, quasi presagendo quel che stava per avvenire. Ne abbiamo parlato con molti diesse, ma come la pensano i responsabili di categoria in seno ai comitati regionali?

Le rappresentative regionali juniores hanno due sole occasioni per essere selezionate: Campionati Italiani e Giro della Lunigiana e sicuramente, tastando il polso nell’ambiente, è un po’ poco. Molte società sarebbero anche disponibili per un’attività più corposa, sempre nel segno del dialogo: «Una volta si avevano più occasioni – sottolinea Salvatore Balestriere responsabile della Campania – dal 2019 c’è stato un regresso, un po’ per il Covid, ma anche per la mancanza di occasioni. Noi facciamo un incontro iniziale con tutte le società per tracciare un programma condiviso, che coinvolge le principali prove del calendario».

Tricolori juniores 2017
Il calendario italiano prevede due sole sfide per rappresentative regionali, ai Tricolori e al Lunigiana. Poco in confronto ad altre specialità ciclistiche
Tricolori juniores 2017
Il calendario italiano prevede due sole sfide per rappresentative regionali, ai Tricolori e al Lunigiana. Poco in confronto ad altre specialità ciclistiche

Con Evenepoel è cambiato tutto

«Noi abbiamo insistito e ottenuto una trasferta anche alla Strade Bianche – gli fa eco Christian Murro per il Friuli – siamo una regione piccola. Questo ci aiuta nel trovare maggiori occasioni d’incontro, in sintonia con il responsabile della pista Buttazzoni».

«Seguendo tutte le corse in Toscana posso mantenere forti legami – afferma Alessio Lazzeri – e siamo riusciti a fare un paio di uscite prima dei tricolori, ma resta comunque poco in base a quel che si potrebbe fare. Ad esempio stiamo pensando a uno stage invernale per juniores, tra gennaio e febbraio con una decina di elementi ai quali far fare anche pista e offroad, per verificare anche le loro capacità a 360°».

Molti sono nell’ambiente juniores da anni, eppure la sempre più precoce ricerca del massimo risultato ha messo spalle al muro molti tecnici.

«Abbiamo a che fare con team gestiti come quelli dei professionisti – dice Stefano Vitellozzi delle Marche non senza rammarico – così ti ritrovi team che vanno continuamente in ritiro a Livigno. D’altronde non è un tema solo italiano, all’estero ragionano così e vincono e quindi molti vogliono fare lo stesso. Evenepoel ha cambiato tutto, i team cercano il campione in erba, che vince subito. Risultato? Da un momento all’altro il ragazzino che gareggiava con i pari età si ritrova a fare il Laigueglia con i big. Giusto? Sbagliato? Lo dirà il tempo…».

Remco Evenepoel, qui vincitore ai Mondiali junior 2018, con il suo immediato ingaggio alla Deceuninck ha scardinato il sistema
Remco Evenepoel, qui vincitore ai Mondiali junior 2018, con il suo immediato ingaggio alla Deceuninck ha scardinato il sistema

E se gli Under 23 sparissero?

«Non è solo il caso di Evenepoel – ribatte Lazzeri – quando ti trovi un ragazzo di 24 anni che ha già due Tour, nessuno pensa che quello stesso ragazzo già a 18 anni aveva un patrimonio atletico fuori del comune, si cerca lo stesso. Oggi il ciclismo è uno sport a parte, dove si vuole tutto e subito. Anche nel calcio i migliori talenti juniores fanno la loro gavetta nelle serie minori, qui invece non si attende. Poco importa che a 25 anni saranno corridori spremuti, ce ne saranno altri al loro posto. Andrebbe anche bene, se si considerasse chi matura dopo e magari vincerà a 28 anni e oltre. A questi invece non si dà tempo e si rischia di farli smettere prima».

Stefano Sartori, responsabile per il Trentino, è anche più pessimista: «Di questo passo la categoria U23 andrà a sparire e tanti ragazzi lasceranno e penseranno a trovarsi un lavoro quando invece avrebbero chance per fare bene per un po’ d’anni e mettere da parte qualcosa. Noi parliamo degli juniores, ma a livello inferiore la situazione è ancora più grave, trovi allievi che fanno 6 allenamenti settimanali quando una decina di anni fa si arrivava a 3. Se non vinci da allievo già fatichi a trovare posto in un team junior e così via. Bisognerebbe darsi tutti una ridimensionata…».

Oioli con il vincitore Martinez al Giro della Lunigiana: all’estero è caccia aperta al talento precoce
Oioli con il vincitore Martinez al Giro della Lunigiana: all’estero è caccia aperta al talento precoce

La difficile coesistenza con lo studio

Qualcuno però mette in evidenza un aspetto spesso dimenticato: parliamo di ragazzi ancora in età scolare.

«Io infatti dico da tempo che servirebbe un anno in più per la categoria – riprende Balestrieri – perché molti sono alle prese con la Maturità, le gare coincidono con un momento importante nella loro crescita. La Fci ai migliori consente una permanenza suppletiva, ma io sono dell’avviso che servirebbe qualcosa di strutturale, concordato con gli enti internazionali, perché la concomitanza dell’attività con la scuola non è da tutti “digerita” senza problemi».

Un altro aspetto sottolineato da molti è che bisogna avere a che fare con molte figure che fino a pochissimi anni fa non c’erano: «il ruolo dei diesse è sminuito – lamenta Aldo Delle Cese del Lazio – molti ragazzi hanno preparatore, dietologo e questo fa sì che il tecnico non sia più seguito perché agiscono in proprio. Io poi penso che andrebbe imposta la permanenza fra gli U23 almeno per un paio d’anni, perché questa continua caccia al talento porta troppi ragazzi a saltare la categoria approdando in un mondo che non conoscono, senza i mezzi adeguati, spesso anche senza il talento adeguato».

Tricolori junior 2021
Il podio degli ultimi tricolori junior: dai responsabili regionali arrivano molte proposte per rilanciare il settore
Tricolori junior 2021
Il podio degli ultimi tricolori junior: dai responsabili regionali arrivano molte proposte per rilanciare il settore

L’importanza del “mestiere”

Un concetto ripreso da Murro, sulla base della sua esperienza da pro: «Ci troviamo ragazzi che hanno la metodologia, gli strumenti, ma la vita fra i professionisti è fatta di tante altre cose. Non si insegna più il “mestiere”, manca quella gavetta che avevi tra i dilettanti e che potrebbe ancora esistere fra gli U23, l’imparare quelle sottigliezze che solo il tempo può darti e che saranno decisive per sopravvivere. Per questo penso che sarebbe importante avere qualche occasione in più per lavorare con i ragazzi come rappresentativa, provare a insegnare loro cos’è davvero il mestiere».

E’ un sistema che può cambiare? Forse, ma bisogna tenere conto anche del mondo nel quale viviamo, come sottolinea Balestriere: «I ragazzi guardano sui social le esperienze degli altri e alzano la propria asticella, trovano su Strava i riferimenti di questo e quel campione, questo e quel percorso e si adeguano. Io non mi sento di condannarli, c’è un condizionamento mediatico che non lascia scampo».

Il caso di Roglic. Dottor Jekyll al Tour, mister Hyde alla Vuelta

09.09.2021
6 min
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Al Tour in qualche modo si complica la vita, alla Vuelta domina: lo “strano” caso di Primoz Roglic, un po’ come nel celebre romanzo di Stevenson. Con l’aiuto di quattro figure analizziamo il cambiamento dello sloveno tra Francia e Spagna.

Soprattutto quest’anno Primoz ha vinto a mani basse, dominando dalla prima all’ultima tappa. L’anno scorso aveva un po’ traballato nel finale, complice un’annata particolare con un calendario iper caotico, e i fantasmi del Tour perso poche settimane prima in modo rocambolesco.

La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…
La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…

Il corridore: Gasparotto

Partiamo con l’occhio del corridore. Abbiamo chiesto ad Enrico Gasparotto fresco ex, e quindi con giudizio più libero, ma che ha visto Roglic in gruppo, anche alla Vuelta 2020.

«Prima di analizzare il Roglic tra Tour e Vuelta – dice Gaspa – per me bisogna concentrarsi sulla differenza delle tre corse a tappe. Il Giro è quello più imprevedibile. E lo è non tanto per le cadute ma per la morfologia del nostro territorio. In ogni tappa, dal Nord al Sud, c’è una salita, una discesa, un tranello. Ricordo che ogni volta che c’era un capitano che lottava per la classifica c’era tensione in squadra, perché ogni situazione poteva volgere in peggio.

«Il Tour è la gara a tappe più importante, la più seguita e questo genera tensione nei ragazzi e nei team. E la riportano in corsa. Il percorso sarebbe più facile, ma questa voglia di stare davanti, di farsi vedere e i corridori che sono tutti al super top della condizione, genera una grande tensione globale in corsa e fuori. E poi c’è la Vuelta che ha salite più corte ma strade ampie e buone ed è più facile da interpretare anche tatticamente.

«Al Tour è fondamentale avere uomini capaci di stare davanti per davvero. E anche l’atleta deve saper guidare perfettamente la bici e forse in questo senso, venendo da altri sport, a Roglic manca quello 0,01% di abilità nel districarsi nelle situazioni estreme. Anche alla Vuelta ha preso dei rischi esagerati in certe situazioni. Però so che la Jumbo ci sta già lavorando su con l’ex downhiller Sainz. Lui ha collaborato con altri team, anche con noi alla Ntt. Ha aiutato nella tecnica la nazionale svizzera di Mtb, che infatti ai recenti mondiali ha fatto tripletta».

Sepp Kuss il suo gregario più fidato
Sepp Kuss il suo gregario più fidato

Il diesse: Zanini

Dal corridore, passiamo al diesse. Ci siamo rivolti a Stefano Zanini, in forza all’Astana-Premier Tech. E anche lui punta forte sul discorso dello stress in gara. «Probabilmente – spiega Zazà – perché dei tre grandi Giri la Vuelta è quello meno stressante. In Spagna si prende tutto con più calma e parlo anche dell’ambiente di contorno».

Con Zanini emerge il discorso della squadra. In Francia Roglic aveva anche Van Aert che in qualche modo ha calamitato attenzioni e richiesto uomini.

«Dite che potrebbe aver influito la presenza di altri big? Ci può stare. Io non conosco bene Primoz e non so che carattere abbia realmente. Da fuori sembra tranquillo, poi bisogna vedere se magari soffre la presenza di chi può essere leader al posto suo. Io gli metterei vicino un uomo completamente per lui. Il classico gregario super fidato. E Kuss è il più vicino (ma in pianura fa fatica visto che è uno scalatore, ndr) a ricoprire questo ruolo. Fatto sta che per me un capitano lo devi “coccolare” e dargli fiducia al 100% fino alla fine, anche se un giorno perde 2′. Poi, ovvio: se qualcuno in squadra va più forte devi rivedere le cose, ma devi fare il tutto e per tutto per stargli vicino».

Infine Zanini interviene sui rischi presi da Roglic e dalla sua ammiraglia anche in quest’ultima Vuelta.

«Certi rischi non glieli farei prendere, sicuro. O guadagni bene, altrimenti un’azione come quella nel giorno in cui è caduto in discesa per pochi secondi non è necessaria. Con questo non voglio giudicare la Jumbo-Visma, ognuno fa la sua corsa. Magari per come hanno perso il Tour l’anno scorso, non vogliano più rischiare e guadagnare il più possibile ogni volta che si presenta l’occasione».

In Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassanti
In Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassanti

Il preparatore: Cucinotta

Ma non si vince senza gambe buone e per questo ecco l’intervento di Claudio Cucinotta, sempre in forza all’Astana, ma preparatore anche di molti biker di livello internazionale.

«Bisognerebbe capire bene come si prepara Roglic per l’una e per l’altra corsa – dice il tecnico – ma questo lo sa solo lui realmente. Sicuramente in Spagna rispetto al Tour incontra dei livelli di concorrenza e ritmi leggermente inferiori. Non tanto sulle salite, quanto per arrivarci. E questo genera un livello di pressione diversa che magari al Tour può metterlo in difficoltà. E’ un fatto che alla Vuelta Primoz sbagli meno. L’anno scorso quando ha perso il Tour ha avuto un calo di testa e non fisico, perché fino al giorno prima aveva dominato. In un lasso di tempo così breve non può cambiare la situazione in quel modo».

In Spagna, a parte qualche caso, ci sono salite più corte del Tour. Primoz è un ottimo cronoman e in teoria dovrebbe essere sfavorito su questa tipologia di percorso.

«Roglic è tutto! E’ uno scalatore, ma è esplosivo. Se andiamo a vedere vince spesso gli sprint con arrivo in salita e per me le scalate brevi lo avvantaggiano. Ma non è che sulle salite lunghe vada male…

«Se c’è differenza nei valori espressi nelle due corse? Quest’anno non lo sappiamo perché al Tour si è ritirato presto (e la metà di quelle poche tappe le ha fatte in modo malconcio, ndr) dopo la caduta. L’anno scorso invece i suoi valori erano molto simili tra le due gare. Per me quindi la differenza del suo rendimento non è fisica».

Sulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezza
Sulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezza

La mental coach: Borgia

A questo punto il giudizio della psicologa diventa forse il più importante visto che la parola stress è quella che è emersa praticamente sempre. Parola ad Elisabetta Borgia, che collabora con la Trek-Segafredo e molti altri atleti.

«Si è parlato di stress, ma non credo sia la parola chiave. Dopo quel Tour perso in quel modo contro Pogacar è chiaro che su Roglic c’è una pressione super al Tour. La corsa francese è più stressante della Vuelta e lo stress incide sugli atleti. E un atleta chiamato a vincere nel bene o nel male è più esposto alla pressione. Detto questo però Roglic ti vince le Olimpiadi che non sono propriamente una corsetta! Che ci abbia lavorato su? Che abbia imparato dai suoi errori? Poi è anche vero che la pressione in una gara secca è diversa da quella prolungata in tre settimane».

A questo punto la Borgia apre un “capitolo” molto interessante.

«Un aspetto molto importante nella prestazione è il senso di auto efficacia. Questo è un costrutto dello psicologo Bandura che dice che è fondamentale nel benessere della persona, e nello sportivo ancora di più, quanto ti senti forte. E un Roglic che ha già vinto due Vuelta arriva in Spagna in modo diverso da come farebbe in Francia, dove ancora non è riuscito a vincere, anche se ci è andato vicino. Alla Vuelta sa di essere forte, si sente “a casa”, è in una “comfort zone”. Al Tour magari non è riuscito a tirare fuori il Roglic migliore. Poi è anche vero che è caduto in questa Vuelta e viene da chiedersi se sia consapevole dei propri limiti, se sia sempre lucido».

Infine vogliamo capire se il fatto che la Vuelta per molti sia un obiettivo di “riparazione” o comunque non il primo goal della stagione, possa incidere sull’approccio mentale. Ho sbagliato al Tour o al Giro e vado alla Vuelta per raccogliere qualcosa…

«Sicuramente si hanno sensazioni diverse: un conto è preparare il primo obiettivo e un conto il secondo, specie se è l’ultimo ed è “o la va o la spacca”. Quest’anno poi, con le Olimpiadi di mezzo, ci sono stati tanti approcci differenti. Una cosa fondamentale di Roglic è che ha una resilienza non da poco. Fa flop al Tour, va alle Olimpiadi e vince, va alla Vuelta e vince. E lo stesso ha fatto l’anno scorso. Segno che comunque questo ragazzo ha delle risorse importi. E’ sul pezzo. Okay lo stress e la testa, ma è forte. Perché comunque, e lo dico sempre, la testa conta, ma le corse si vincono con le gambe. Se hai 50 watt in meno anche se di testa sei forte non vinci».

Qui Scott: dopo la paura, i record. Ma i media ci aiutino

19.03.2021
6 min
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Come stanno andando le cose per Scott? Che cosa sta dicendo il mercato del marchio americano dopo il primo lockdown di un anno fa? Prosegue il nostro viaggio negli affari delle aziende che forniscono bici ai team WorldTour e in questo il 2021 ha portato un cambio di maglia dopo anni di collaborazione con il team australiano che da quest’anno si chiama Team Bike Exchange e corre su Bianchi, mentre per Scott si sono schiuse le porte del Team Dsm.

Le dinamiche di questa fase accomunano più o meno tutte le grandi aziende, ma ciascuna è una storia a sé per il modo in cui ha attraversato le prime rapide e si sta attrezzando per le prossime. Ne abbiamo parlato con Donatella Suardi, General Manager di Scott Italia, la prima donna che incontriamo in questo viaggio di approfondimento.

Donatella Suardi è General Manager di Scott Italia (foto Scott)
Donatella Suardi è General Manager di Scott Italia (foto Scott)

«Il grande problema oggi – dice con un sorriso che non nasconde la grande determinazione – è che i media dovrebbero far capire quanto sia difficile la gestione dell’approvvigionamento di biciclette e che questo non dipende da noi, ma dalla capacità produttiva che ha un tetto oggettivo. E davanti a una richiesta così spropositata, i tempi si allungano».

Siamo qui per questo, ma partiamo dall’inizio, vuole? Che cosa successe l’anno scorso quando il mondo venne fermato per due mesi?

Successe che noi non ci siamo mai fermati. Abbiamo mantenuto in essere gli ordini e intanto parlavamo con i clienti, cercando di convincerli di non annullare la programmazione. Perché comunque c’era la sensazione che si sarebbe recuperato. La produzione di quel che si vende avviene 9-12 mesi prima che le bici arrivino nei negozi, i prodotti che erano disponibili venivano dall’anno precedente, ma quello che è successo era decisamente imprevedibile. Abbiamo fatto tutti un 30 per cento in più, dopo che il 2019 era stato un anno di mercato quasi bloccato. Le e-Bike facevano piccoli numeri. Il guaio è stato che a un certo punto oltre Oceano si è fermata la produzione delle bici per il 2021.

Dal 2021, Scott è sponsor tecnico del Team Dsm olandese
Dal 2021, Scott è sponsor tecnico del Team Dsm olandese
E da quel momento le cose si sono complicate. Ma le consegne comunque procedono, giusto?

Perché le bici ci sono. Si ha la sensazione che manchino perché ne stiamo consegnando il 70 per cento in più dello scorso anno nello stesso periodo. Rispetto a prima, quando la produzione era concentrata in 6-7 mesi, adesso si va avanti tutto l’anno. Per cui arriveranno, più tardi, ma arriveranno. E non dipende da noi.

Il guaio è che i ciclisti dell’ultima ora vanno nei negozi ignorando certi meccanismi e pretendono di entrare e portarsi via la bici…

E’ difficile spiegare certi meccanismi e quale sia la causa dei ritardi. La gente è arrabbiata. I sistemi sono andati un po’ in tilt e magari capita che abbiamo qua pronta da consegnare una bici da 10 mila euro e non possiamo, perché manca il cavo dei freni. Poi ci sono i problemi di Shimano, che sta valutando di costruire delle nuove linee di produzione, ma vorrebbe condividere il rischio d’impresa con altre grandi aziende. E se impiantano dei nuovi stabilimenti e la bolla di colpo di sgonfia?

Al Team Dsm anche gli accessori, ecco il casco (foto Scott)
Al Team Dsm anche gli accessori, ecco il casco (foto Scott)
Difficile fare previsioni, però.

Molto difficile. Immaginiamo che il 2023 sarà l’anno in cui la situazione si stabilizzerà e avremo un quadro più chiaro, ma sono previsioni basate su sensazioni personali e in economia non bastano per giustificare certi investimenti. La sensazione dice anche che più va avanti il lockdown e più si venderanno attrezzature per gli sport outdoor e fra queste anche la bicicletta. Noi italiani siamo restii al cambiamento, ma quando poi ci decidiamo, non torniamo più indietro.

Ecco, di chi stiamo parlando? Chi sono i nuovi ciclisti?

Persone di ogni categoria ed estrazione. Attratti maggiormente dalla e-Bike che ti permette di fare qualcosa in più. Poi c’è da capire che tipo di clienti diventeranno. A prima vista, sono persone che non cambieranno bici tutti gli anni, anche se alcuni si sono così appassionati, che dopo l’entry level sono già passati a qualcosa di meglio. Diciamo però che se acquisti Scott, parti già da un livello piuttosto alto. La crescita continuerà e per avere numeri più attendibili, dovremo aspettare un paio di anni.

Nino Schurter è la vera bandiera dell’azienda (foto Scott)
Nino Schurter è la vera bandiera dell’azienda (foto Scott)
In questo quadro di grande frenesia, quanto conta avere una squadra di professionisti?

Per l’immagine è decisivo, soprattutto in Italia, sennò non vende le bici (risata divertita, ndr). Inoltre il team consente di sviluppare le tecnologie e di approfittare dei feedback degli atleti. Aver cambiato team non è passato inosservato, soprattutto dopo i tanti anni con Mitchelton, ma diciamo che il know-how dell’azienda è tale da poter assorbire il cambiamento. Nelle squadre su strada trovi l’atleta più sensibile, ma ad esempio uno come Nino Schurter nella mountain bike per noi è un riferimento importantissimo e ci ha dato un vero valore aggiunto.

Prima ha parlato della vostra azione dei primi tempi sui negozi che volevano fermarsi…

Erano spaventatissimi. Chiusi senza sapere fino a quando. Così magari alcuni pensavano che cancellare gli ordini fosse il modo migliore per evitare altre perdite. Sono particolarmente orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto con loro con i nostri ragazzi. Ognuno si è preso un gruppetto di clienti e abbiamo cominciato a chiamarli, proponendoci come riferimenti in quel momento così incerto. Gli abbiamo fatto sentire che l’azienda era al loro fianco e questo ha fatto sì che le bici siano arrivate e alla riapertura il mercato abbia preso il volo.

e-Bike anche in città e le distanze si riducono (foto Scott)
e-Bike anche in città e le distanze si riducono (foto Scott)
Il rapporto con i clienti ne è uscito rafforzato?

Decisamente, è una nota molto positiva. Ma il momento delicato inizia adesso, per i motivi che ci siamo detti prima. Stiamo vivendo un boom notevole, ma ce lo stiamo godendo davvero poco. In 30 anni che faccio questo mestiere, non avevo mai lavorato così male. I ragazzi ricevono 50-60 mail di richieste e reclami, io qualcuna in meno perché la mia mail non l’hanno tutti, anche se la trovano su Linkedin. Stavo quasi pensando di togliermi di lì…

Un’altra risata, l’accento bergamasco e la grande concretezza. Questo è il punto con Scott, il nostro viaggio sta per raggiungere il suo approdo, mentre le strade d’Italia sono sempre più piene di biciclette.

NELLE PUNTATE PRECEDENTI

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Il coraggio di Bianchi sta dando i suoi frutti

Wilier a gonfie vele. E si studia un modello urban

Focus Italia Group: crediti sospesi e dealer contenti. E la Jumbo?

Trek Italia: la bici è rientrata nella nostra cultura

Quei quattro giorni ad aprile, quando il mercato impazzì

Beltrami TSA: da Factor a Froome, passando per Marin

Lapierre, il boom reggerà e i pro’ ci daranno una mano

09.03.2021
6 min
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Lapierre, la bici di Demare e Guarnieri, ma anche di Marta Cavalli e Lorenzo Germani: in Italia se vuoi parlarne non puoi non passare attraverso la dialettica di Romano Favoino. Milanese trasferito a Finale Ligure per amore del vivere meglio, tecnico della downhill, dietro l’apparenza spesso ironica e disincantata, si nasconde un manager coi fiocchi, capace di leggere molto bene il momento del mercato e di riflesso del marchio che rappresenta. Un altro tassello molto prezioso per la nostra inchiesta che inizia ormai a contare interventi di grande qualità.

Romano Favoino è il responsabile di Lapierre Italia
Romano Favoino è il responsabile di Lapierre Italia
Ti ricordi qualcosa dei primi tempi, quando eravamo tutti richiusi?

Ricordo benissimo, è la stessa domanda che faccio ai miei dealer. Vi ricordate quando il 28 aprile cominciai a dirvi che avevo delle bici da spedire, che vi sarebbero servite alla riapertura? Erano titubanti. Poi c’è stata la riapertura con il boom e chiedevano che gli spedissi qualsiasi cosa. In realtà come Lapierre siamo sempre stati fiduciosi. Ma certo non si poteva immaginare tutto questo. Il trend di crescita è talmente alto che nemmeno il miglior analista di mercato poteva prevederlo. Non credo c’entri il Bonus Mobilità. Anzi, quei soldi li avrei investiti diversamente.

Come?

Nelle infrastrutture. E’ bello avere la bici nuova, ma se non la puoi utilizzare, hai poco da fare. Se ci deve essere l’uso urbano, bisogna pensare che non tutti abitano in città e che i pendolari hanno bisogno di parcheggi sicuri alle stazioni o alle fermate della metropolitana. Oggi come oggi, l’Italia non è strutturata in questo senso, mentre la gente che si è avvicinata è davvero tanta. E avrebbe comprato la bici anche senza il Bonus, anche perché non c’è mai stata grande certezza sulla sua erogazione. E’ cambiato tutto.

Il test dei pro’ è una fase molto importante nello sviluppo del prodotto
Il test dei pro’ è una fase molto importante nello sviluppo del prodotto
Un po’ generico…

E’ cambiato il mercato. Prima vendevi bici in prossimità delle fiere, perché l’appassionato cercava la novità, e semmai all’inizio della bella stagione. Ora c’è una richiesta costante ed è molto positivo. Poi sono cambiate le fasce di mercato. Ci eravamo collocati in un settore medio/alto, invece adesso vendiamo anche bici sotto i 1.000 euro e anche questo ci fa molto piacere. Segno che c’è sempre l’utilizzo sportivo della bici, per il quale in negozio cerchi un prodotto con dei contenuti, ma anche un utilizzo più basico.

Perché quelle bici a meno di 1.000 euro non si vendevano prima?

Perché non le chiedevano. I negozi spingevano solo le gamme alte, anche se noi, tolti i modelli da bambini, abbiamo bici più che dignitose a partire da 400 euro. Poi per i meriti del marketing e per i risultati sportivi – quattro vittorie di tappa al Giro ti danno visibilità – la gente ha iniziato ad associare Lapierre a prodotti di qualità.

L’elettrico sta conoscendo un boom destinato ad aumentare
L’elettrico sta conoscendo un boom destinato ad aumentare
La crescita continuerà a lungo?

Prevediamo un trend che proseguirà anche negli anni futuri, con una crescita esponenziale sul fronte delle bici elettriche. Così almeno ci dicono i produttori di motori e componenti. Semmai ci sarà da fare i conti con la situazione di difficoltà oggettiva nel reperire la componentistica e con una logistica farraginosa che fa crescere i prezzi.

Credi che andrà avanti così nei prossimi mesi?

Almeno per i prossimi tre anni avremo un mercato in cui la domanda sarà superiore all’offerta e questo comporterà la ridefinizione delle forze in campo. E’ brutto dirlo, ma credo che ci sarà un po’ di pulizia dal punto di vista dei marchi. Se non hai la capacità finanziaria per fare programmi a lungo termine e stoccare in modo importante il magazzino, sei destinato a non reggere.

Bici sviluppate d’accordo fra la casa e il team, messe alla prova da centinaia di giorni di corsa
Bici sviluppate d’accordo fra la casa e il team
Non pensi che Shimano si rimetterà in pari prima o poi?

Più che di forza lavoro, si tratta di un problema di output delle linee produttive. Credo che Shimano sia al limite e per aumentare la produzione dovrebbe costruire nuove linee. Per cui immagino che al momento il signor Shimano stia parlando con i marchi più importanti per capire se i loro ordini andranno avanti ancora a lungo. Creare una catena di montaggio senza che poi serva sarebbe un esborso notevole. E poi mettiamo in conto che a monte c’è un problema nel reperire le materie prime.

Quelle per produrre effettivamente i componenti?

Esatto, quello che serve per fare l’alluminio, il carbonio, l’acciaio. E questo è un problema che non riguarda solo l’industria del ciclo, ma tutti i comparti della produzione

La gravel di Lapierre sposa molto il concetto di libertà
La gravel di Lapierre sposa molto il concetto di libertà
Che cosa puoi dirci del rapporto fra Lapierre e la Groupama-Fdj?

Il legame è nato nel 2002 e questo ha condizionato molto lo sviluppo della gamma negli anni.  Quando vado in Francia, mi capita spesso di trovare i tecnici della squadra, che lavorano con i Product Manager per sviluppare le bici nuove. E si tratta di modelli diversi rispetti agli attuali trend di mercato, ma è chiaro che se devi sviluppare la bici per un team, gli atleti abbiano tutto l’interesse che il loro strumento di lavoro funzioni bene. Se invece ogni due anni si cambiasse squadra, probabilmente Lapierre e il team di turno seguirebbero strade parallele.

Abbiamo detto dell’elettrico, che rapporto c’è fra Lapierre la gravel?

Gravel significa tutto e il suo contrario. C’è il gravel agonistico, con bici super leggere e piene di contenuti, e c’è il gravel che punta al cicloturismo e a girate in libertà. Lapierre è più vicina a questa seconda accezione. Il nostro telaio è in alluminio, ha la forcella in carbonio e le predisposizioni per i portapacchi o il reggisella telescopico. Non farei tanto l’analisi delle vendite, ma dei fattori che le hanno determinate. Chi compra oggi una gravel? E che uso ne vuol fare? Noi lo stiamo indagando, ma non posso anticipare i risultati cui stiamo arrivando. Personalmente associo il gravel a un’idea di libertà.

Guarnieri e Demare, coppia d’oro della Groupama Fdj
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E’ una bici che sostituisce quella da strada oppure la Mtb?

Difficile da dire. Piuttosto la vedo come una seconda bici, è l’ulteriore acquisto per cui litigare con la moglie. E forse è una bici che ben si sposa con le esigenze pandemiche. Non possiamo allontanarci da casa, quale bici serve per il nostro territorio? E in base a questo si sceglie. Di sicuro il boom di questi modelli proseguirà nei prossimi due anni e sta portando con sé l’idea del viaggio in bici, con la produzione di borse e accessori dedicati. E’ un orientamento comune in altri Paesi, almeno in questo l’Italia si sta allineando col resto d’Europa.

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