Che cosa ci insegna l’annuncio del ritiro di Aru?

12.08.2021
5 min
Salva

Forse ha atteso troppo. Oppure forse ha convissuto troppo a lungo con il malessere e si è spezzato. Il Fabio Aru che oggi ha annunciato a mezzo social l’imminente ritiro dalle corse è un uomo più sereno e solido di quello che sgomitava contro se stesso per venire a capo del disagio e un atleta più consapevole e performante di quando sia stato negli ultimi tre anni. E curiosamente ha detto basta al termine della rincorsa, come se abbia voluto dimostrare a se stesso di poter di nuovo lasciare il segno. Poi, di fronte allo stress e alla fatica che ciò comporta, abbia scelto di concentrarsi sulla famiglia.

Dumoulin, prima il ritiro, poi la riflessione e il ritorno. Qui vince i campionati nazionali della crono, sulla via per Tokyo
Dumoulin, prima il ritiro, poi la riflessione e il ritorno. Qui vince i campionati nazionali della crono

Prima Dumoulin

A un certo punto, durante la Vuelta dello scorso anno, anche Tom Dumoulin disse basta. Aveva corso un bel Tour, chiudendo al settimo posto nonostante il lavoro per Roglic. Non era più il corridore che nel 2017 aveva conquistato il Giro d’Italia, ma era pur sempre un riferimento per il gruppo.

«Sento come se mi fossi liberato di una zavorra di cento chili dalle spalle – disse – volevo fare il bene di molte persone. Volevo che la squadra fosse felice di me. Volevo gli sponsor fossero soddisfatti. Volevo che mia moglie e la mia famiglia fossero felici. Quindi volevo fare bene per tutti, ma a causa di questo nell’ultimo anno ho messo da parte me stesso. Ma cosa voglio io? Cosa vuole l’uomo Tom Dumoulin? Cosa voglio fare della mia vita?».

Probabilmente Tom si è fermato in tempo. E al di là che abbia fatto tutto per preparare la crono di Tokyo senza stress, è riuscito a fare ordine nei pensieri. E ora tutti sappiamo come sia finita la storia. L’olandese è tornato al Giro di Svizzera. E schiantando lo scetticismo generale ha conquistato il podio delle Olimpiadi a cronometro, per poi annunciare che tornerà ad essere un ciclista professionista.

Nel 2012 Fabio vince il Val d’Aosta (qui a Tavagnasco) poi passa all’Astana
Nel 2012 Fabio vince il Val d’Aosta (qui a Tavagnasco) poi passa all’Astana

L’analisi di Elisa

Qualche giorno fa Elisa Longo Borghini ha usato parole di una lucidità perfetta: «A volte i giornalisti non si rendono conto, ma te la fanno pesare. Io cerco sempre di guardare a quello che faccio e a non lasciarmi condizionare troppo da quello che viene scritto, ma resta il fatto che se un corridore non va, sente tutto amplificato. Certi giorni ti colpisce anche il commento negativo a bordo strada. Passi un po’ staccata davanti a una casa e senti dire: “Ma quella è la Longo Borghini?”. Ci resti male. Abbiamo una maglia, ma siamo persone».

Quante volte a partire dal 2018 Aru si è sentito fare le stesse domande? E in che modo esse gli hanno scavato nell’anima, come hanno fatto le domande sempre uguali con Viviani nei mesi scorsi e prima ancora con Marco Pantani?

Tour del 2017, Aru parte da Saint Girons in maglia gialla: l’Astana è la sua casa, ma piovono offerte
Tour del 2017, Aru parte da Saint Girons in maglia gialla: l’Astana è la sua casa, ma piovono offerte

La profezia di Vinokourov

Dire oggi che non fosse pronto per lasciare l’ambiente protetto dell’Astana è sin troppo facile, ma le parole di Vinokourov in quel luglio trionfale del 2017 risuonano profetiche ancora oggi.

«Sono convinto di una cosa – disse il kazako – se corrono dietro ai soldi, allora se ne vanno. Ma se Aru vuole vincere, allora deve restare con noi».

Aru ha smesso di essere Fabio al Giro d’Italia del 2018, giusto l’anno dopo, quando qualche goccia di troppo fece traboccare il vaso. Costantemente sotto pressione sin dagli under 23 perché fosse magrissimo (nessuna forzatura, lo ha raccontato lui). In perenne contrapposizione, per volere della stampa, con quella roccia di Nibali, cui apparentemente ogni cosa scivola addosso. Sotto accusa per ogni piazzamento diverso dal podio. Rallentato da guai fisici. La somma di tutto questo e di altro di cui probabilmente non ci siamo neppure accorti ha prodotto il guasto che Dumoulin ha subito individuato e affrontato.

Il Giro del 2018, il primo in UAE, non andò per niente bene
Il Giro del 2018, il primo in UAE, non andò per niente bene

“Testone” sardo

Avrebbe potuto mollare a fine giugno, quando dopo il campionato italiano si è reso conto di non avere il livello per correre il Tour. Invece Fabio è cocciuto, lo è sempre stato. Ha onorato l’impegno con il Team Qhubeka. Ha portato avanti il piacere ritrovato nel cross. Si è rimboccato le maniche. Ha risalito la china. Ha lottato per vincere al Sibiu Cycling Tour ed è arrivato secondo per 36” nella Vuelta a Burgos vinta da Landa (foto di apertura). Ha dimostrato di non essere finito. Poi ha annunciato il ritiro.

«Ho riflettuto a lungo su quale fosse la decisone giusta da prendere, notti insonni, pianti e quant’altro. Ma se devo essere sincero ho imparato ancora di più ad amare il mezzo e lo sport che mi ha portato a raggiungere traguardi che mai avrei immaginato. E oggi nonostante sia qui a comunicarvi questa scelta importante della mia vita, posso gridare a gran voce che amo il ciclismo, amo ancor di più andare in bici, amo allenarmi e non ho nessuna intenzione di lasciarla in garage. Ma come tutti gli inizi c’è sempre una fine. Ora è giunto il momento di godermi un nuovo capitolo della mia vita, accanto alla mia famiglia».

Fabio Aru, Montodino 2020
Nel ciclocross lo scorso inverno ha ritrovato il piacere di… giocare con la bici. Il ritiro è giunto inatteso
Fabio Aru, Montodino 2020
Nel ciclocross lo scorso inverno ha ritrovato il piacere di… giocare con la bici. Il ritiro è giunto inatteso

L’ultima Vuelta

Vivrà la Vuelta come l’ultima sfida o come l’ultimo cancello da saltare prima della libertà? E il suo esempio alla fine insegnerà qualcosa a chi continua a spingere sui corridori (stampa compresa) affinché diano sempre spettacolo, battano record, si rialzino dalle cadute, infiammino folle con numeri da fenomeni e tensioni più logoranti delle stesse salite? E’ possibile che il destino fosse già scritto e che per fare strada serva una solidità psicologica superiore. Eppure segnaliamo con una punta di rammarico come quasi tutti i ragazzi del Novanta siano andati incontro allo stesso destino. Proprio loro, i primi a passare professionisti molto giovani e capaci di grandi risultati sin dai primi anni. Oggi è tutto più veloce, facciamoci una pensata, per evitare che la stessa macchina stritoli altri talenti.