Chissà per quanto tempo Herzog e Morgado parleranno ancora dell’arrivo del mondiale juniores di Wollongong. I due infatti dal prossimo anno correranno insieme alla Hagens Berman Axeon di Axel Merckx: si conoscevano e non si fidavano l’uno dell’altro.
«Sapevo di essere più veloce – ha sorriso Herzog su una sedia della sala stampa – ma non mi fidavo e ho provato a staccarlo per essere tranquillo. Avrei preferito vincere con più margine per esserne sicuro. Invece non ho mai fatto uno sprint tanto tirato e incerto. Ancora non ci credo».
Il tedesco tanto atteso
Avevamo definito Emil Herzog il talento che i tedeschi aspettano da 20 anni. Il suo ruolino di marcia 2022 è notevole. Su 5 corse a tappe, ne ha vinte 4. Corre alla Auto Eder, vivaio della Bora Hansgrohe e al bottino di stagione vanno aggiunti due bronzi a crono: agli europei e qui ai mondiali.
Antonio Morgado di corse a tappe ne ha fatte 6, ne ha vinte 2 e per 3 volte è arrivato secondo. Fra le vittorie, ricordiamo il recente Giro della Lunigiana. Per questo nessuno si è stupito quando il portoghese ha attaccato all’inizio dell’ultimo giro e il tedesco si è messo in caccia sulla scalata rimasta di Mount Pleasant.
«Il mondiale era un obiettivo – racconta Morgado – ma sapendo di non essere il più veloce, ho provato ad arrivare da solo. Solo che Herzog è stato più forte. Quando mi ha preso, ci siamo detti di collaborare per andare insieme all’arrivo. Invece ha provato a staccarmi all’ultimo chilometro. Nonostante ciò, su quell’arrivo in pianura restava più veloce lui. Per questo ho provato a partire lungo, ma non c’è stato niente da fare».
A suo agio nella pioggia
Dopo aver vinto, Herzog ha continuato a urlare con le braccia larghe come Hulk. Nonostante le tante vittorie, è davvero parso lui il più incredulo per il risultato.
«Quando ho visto che Morgado era andato via – racconta – ho capito di dover chiudere da solo il buco. Appena l’ho preso, mi ha detto che aveva un principio di crampi, ma che ugualmente avrebbe fatto lo sprint. E’ partito lungo e sono subito scattato anche io e l’ho passato ai 15 metri. Mi piace quando piove, perché tutto diventa più tecnico. Si conquista vantaggio nelle discese e nelle curve».
Pesante per il Tour?
Nonostante tante vittorie e tanto talento, ma forse sapendo che è meglio essere cauti con programmi, sogni e promesse, quando gli chiediamo dove voglia arrivare, Herzog va cauto.
«Il mio sogno è vincere grandi corse – sorride – ma di certo non il Tour de France, perché sono troppo pesante (alto 1,83, per 74 chili, ndr). Penso alla Tirreno e semmai allo Svizzera, corse che mi si addicono di più e in questa direzione darò il meglio di me…».
Nodo azzurro
E l’Italia? I nostri sono ripartiti da Dino Salvoldi, chiamato prima di tutto perché insegni il metodo di lavoro a una categoria che gira a velocità differenziate. Il nuovo cittì alla vigilia ragionava sul fatto che attaccare un’etichetta sia sbagliato. Non si può dire a priori se sia giusto o meno assecondare certi passaggi. Qualcuno è pronto per diventare professionista a 18 anni, qualcuno no. Impedirgli di farlo significa privarli di una importante chance di carriera. E per tutti gli altri, ci sono comunque le altre gare del calendario.
Idem dicasi per l’attività, da noi troppo centellinata. Perché facciano certe esperienze, se i club non si muovono perché agli sponsor locali non interessa correre all’estero, deve intervenire la nazionale, ma potrebbero farlo anche i Comitati regionali. Come accade in Francia.
Ritmo subito alto
Il migliore dei nostri è stato Matteo Scalco, quattordicesimo, che a due giri dalla fine era ancora nel gruppo di testa e dal 2023 sarà con Reverberi.
«Già dai primi giri – racconta dopo l’arrivo – il ritmo della gara è stato veramente alto. Il gruppo si è rotto in vari tronconi e dopo tre giri eravamo rimasti solo Belletta e io. Abbiamo cercato di tenere in salita, finché le gambe hanno ceduto. Ero venuto con grandi aspettative, ma non è una novità che gli altri vadano così forte, li avevamo già visti. Tra noi eravamo belli uniti, con l’obiettivo di correre insieme perché era l’unico modo per difendersi. Ma con la partenza così veloce ci siamo subito disuniti. Lo strappo è duro, anche perché se scollini con soli 10 metri dai primi, ti trovi in fondo alla discesa che hai 10 secondi e quindi devi andare a tutta per cercare di rientrare. Un percorso che non si riesce a respirare».