Bardet a cuore aperto prima della Parigi-Nizza

28.02.2023
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Romain Bardet ha iniziato la stagione non muovendosi dalle corse casalinghe. Una sorta di tributo alla sua patria: «Non è che lo scorso anno volessi boicottare la Francia – ha raccontato a Nice Matin prima del suo esordio – ma la squadra ha voluto un programma diverso, facendomi gareggiare a Giro e Vuelta. Certamente però le corse di casa mi sono mancate, come mi sta mancando altro».

E’ un Bardet diverso quello che si presenta in questo 2023. Un po’ malinconico forse. Un Bardet assolutamente competitivo, lo si è ben visto lo scorso anno con la conquista del Tour of the Alps e quel Giro che gli è rimasto sul gozzo con un ritiro quando sembrava pronto per spiccare il volo. Ma che sente su di sé il peso dei suoi 32 anni compiuti.

Il rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importante
Il rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importante

Il più vecchio del team. Quasi…

«Intendiamoci, provo ancora lo stesso piacere di andare in bici e mettermi alla prova – sono le parole riportate da L’Equipe – ma molto è cambiato. E’ un ciclismo diverso, che consuma più in fretta. Nella mia squadra Degenkolb è l’unico più grande di me e questo mi fa pensare, mi ricorda gli ultimi anni all’Ag2R dove ho visto ragazzi lasciare la casa da giovanissimi con una voglia sfrenata di emergere, di entrare nel gruppo».

Bardet si è messo in discussione, quando nel 2021 ha cambiato squadra. Ha lasciato un team dove aveva vissuto tutta la sua carriera, ha lasciato la Francia, ma anche un modo molto più tranquillo di affrontare la sua attività per immergersi in un sistema estremamente selezionato e scientifico, quello del Team DSM.

«Durante i ritiri ogni sera – dice – vengono effettuati lunghi incontri di brainstorming, dove ognuno tira fuori i suoi pensieri e le sue sensazioni. Questo per creare uno spirito di gruppo che è alla base del team. Bisogna adattarsi, chi non lo fa ha vita breve. Prima forse era tutto molto più empirico e mi chiedo: ma se avessi affrontato prima il ciclismo da questo punto di vista, avrei vinto di più?».

Il momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da Froome
Il momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da Froome

Il podio al Tour non basta più

Cambiare squadra e nazione ha avuto il suo prezzo. Pian piano il corridore di Brioude si è sentito scollato dalla sua realtà e non fatica ad ammetterlo.

«Forse i miei podi – spiega – avevano un po’ falsato la mia dimensione. In Francia tutti vogliono la vittoria del Tour, il podio non basta più. Così ogni anno mi sentivo dire: è per quest’anno. E questo mi aveva logorato, non nego di aver versato lacrime per le mie sconfitte. Ora non ci penso più, anche se al Giro ci contavo davvero sulla vittoria. Ma Hindley e Carapaz sono battibili, uno come Pogacar al massimo no».

Bardet dice che un podio al Tour è ancora possibile e che gli piacerebbe vincere una tappa al Giro per completare la sua collezione nei tre grandi Giri, ma un problema c’è e torniamo al discorso di prima: l’età che pesa in questo ciclismo che consuma tutto rapidamente. L’annuncio dell’imminente ritiro del suo avversario di mille battaglie, Thibaut Pinot lo ha molto colpito.

«E’ vero che ha avuto una carriera piena e ricca di successi – osserva – ma sapere che molla alla mia età sorprende anche perché non credo sia un caso isolato. In questo ciclismo, continuare a correre dopo i 35 anni sarà sempre più raro e non dipende da un declino fisico, quanto di testa. Essere ai vertici consuma, molto più di prima».

Al Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosa
Al Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosa

Il peso dei sacrifici

Questo influisce sulla voglia di sacrificarsi, senza la quale continuare questo mestiere, a qualsiasi livello, è pressoché impossibile: «Stare lontano dalla famiglia è sempre più difficile, ma sai che devi farlo, per questo si dice che il ciclismo è un mestiere che non fa sconti, che ti chiede di essere sul pezzo 7 giorni su 7, per 24 ore al giorno ed è sempre più difficile e logorante. Io non mi faccio programmi in testa, vado avanti anno dopo anno per rendere sempre al meglio, ma il futuro resta una pagina tutta da scrivere, sapendo che gli anni indietro sono comunque molti di più di quelli avanti in sella a una bici».

Al dopo, ci sta già pensando: «I progetti sono tanti che mi frullano nella testa, ma partono tutti da alcuni comuni denominatori, come il viaggiare sempre con la mia famiglia e il pedalare sono ed esclusivamente per divertimento, perché alla bici non rinuncerò mai».

All’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioni
All’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioni

Alla Parigi-Nizza per colpire duro

L’inizio non è stato neanche male: in 5 giorni di gara un podio sfiorato al Tour des Alpes Maritimes e tutte prestazioni nei quartieri alti della classifica. Ora lo attende la Parigi-Nizza.

«Mi è mancata, c’è un’atmosfera speciale – sorride – è quasi una famiglia che va riformandosi anche con organizzatori e volontari. Sono felice di aver iniziato la mia stagione a casa, era una tradizione che mi era mancata molto. La condizione mi dice che posso puntare a qualcosa d’importante, ma alla Parigi-Nizza possono capitare tante cose, ogni tappa può essere quella decisiva, nel bene e nel male…».

«Higuita continua il suo cammino»: parola di Gasparotto

27.02.2023
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La stagione 2023, anche se un po’ in sordina dal punto di vista mediatico, è iniziata anche per Sergio Higuita. Il colombiano della Bora-Hansgrohe ha iniziato a correre dalla Vuelta a San Juan. Poi si è presentato ai campionati nazionali, dove però non è riuscito a difendere il titolo vinto lo scorso anno. A febbraio il colombiano è arrivato in Europa, più precisamente in Portogallo, dove ha corso la Volta ao Algarve. 

Prima corsa in stagione e primo podio in Argentina per Higuita: terzo dietro Lopez e Ganna
Prima corsa in stagione e primo podio in Argentina per Higuita: terzo dietro Lopez e Ganna

Continuità

Entro la fine del mese il venticinquenne colombiano avrà già messo in saccoccia quindici giorni di corsa, visto che nel fine settimana ha gareggiato in Francia. Non pochi, se si pensa che nel suo calendario ci saranno altre brevi corse a tappe e poi uno dei tre Grandi Giri.

«Higuita – ci spiega Gasparotto, suo diesse di riferimento nel team tedesco – manterrà un calendario simile a quello dello scorso anno. A marzo arriverà in Italia per correre la Strade Bianche e poi si muoverà in Spagna per affrontare la Volta a Catalunya».

Sembra abbiate trovato subito la strada giusta fin dal 2022, suo primo anno in Bora.

La scorsa stagione è stato costante tutto l’anno, lo si è sempre visto davanti nelle varie corse che ha affrontato. Ha accumulato 4 vittorie, tre podi ed undici top 10. Alle quali si devono aggiungere la classifica generale della Volta a Catalunya e due classifiche per il miglior giovane: una sempre al Catalunya e l’altra al Giro di Svizzera. 

L’unica pecca della scorsa stagione è stata la Vuelta, non corsa ai suoi livelli…

Ci eravamo abituati bene per tutto l’anno – dice con un mezzo sorriso Gasparotto – alla Vuelta è arrivato malato e non è riuscito ad esprimersi al meglio

Prima della Vuelta l’anno scorso il colombiano ha corso al Tour de Pologne dove ha vinto la terza tappa
Prima della Vuelta l’anno scorso il colombiano ha corso al Tour de Pologne dove ha vinto la terza tappa
Forse un rischio mandarlo solo alla Vuelta, sarebbe stato meglio fargli correre Giro o Tour con la possibilità, eventualmente, di rimediare?

No. Noi scegliamo le corse in base alle caratteristiche delle tappe ed alle esigenze di ognuno. Sergio l’anno scorso ha detto di voler partecipare alle corse delle Ardenne e quindi era impossibile arrivare pronto al Giro. Il Tour, invece, aveva troppi chilometri a cronometro per lui, ne avrebbe risentito. 

Non cambiare registro vuol dire aver trovato la chiave, con tante corse a tappe brevi per alzare l’asticella poco a poco, giusto?

Le brevi corse a tappe, gestite con un buon periodo di recupero e allenamenti, sono perfette per crescere di condizione. In più, come detto prima, Sergio ha dimostrato di saperle anche vincere, che male non fa.

Rispetto al 2022 è già partito a correre da gennaio…

Il debutto alle corse in Argentina era previsto anche per la scorsa stagione, ma la Vuelta a San Juan è stata cancellata per Covid. Così è rimasto a casa ed ha esordito al campionato nazionale vincendo subito. 

Tra le Ardenne e il Giro di Svizzera tornerà in Colombia per allenarsi e stare con la famiglia
Tra le Ardenne e il Giro di Svizzera tornerà in Colombia per allenarsi e stare con la famiglia
Quest’anno, invece, quale corsa a tappe farà?

E’ stato inserito nella lista dei corridori per il Tour. La Grande Boucle ha pochi chilometri a cronometro ed ha un percorso adatto a lui. Ma vedremo come arriverà a luglio, ora è troppo presto per decidere, al massimo verrà dirottato sulla Vuelta. 

State lavorando anche sulla cronometro?

Certamente, Higuita deve imparare a difendersi a cronometro e deve migliorare molto in questo campo. I margini di crescita sono elevati, dobbiamo anche pensare che si tratta di un corridore di venticinque anni. Non è ancora nel pieno della sua maturazione fisica. 

Dopo la prima parte di stagione cosa farà?

Finite le Ardenne tornerà in Colombia, nel mese di maggio, ad allenarsi e per stare con la famiglia. Per i corridori sudamericani questi sono momenti molto importanti perché si tratta di una breve finestra dove riesce a stare con i propri cari

Niente Giro per Higuita, il gap a cronometro con i grandi è ancora troppo ampio
Niente Giro per Higuita, il gap a cronometro con i grandi è ancora troppo ampio
Come viene gestito quando si trova in Colombia?

Ha un contatto giornaliero con il suo preparatore che lo segue tramite le varie piattaforme di allenamento. Sergio è un ragazzo molto professionale e molte volte siamo noi a frenarlo perché rischia di allenarsi troppo. Io personalmente, essendo il suo diesse di riferimento, lo sento ogni tanto per sapere come sta e per aggiornarci. 

Una volta tornato in Europa dove correrà?

Riprenderà dal Giro di Svizzera, per rimettere la testa sulle corse e capire a che punto è con la preparazione. Poi stileremo il programma per la seconda metà dell’anno

EDITORIALE / Caro Pogacar, sei cannibale o kamikaze?

20.02.2023
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Anche se nel Tour dello scorso anno è finito allo spiedo, la sensazione che Tadej Pogacar sia la lepre e gli altri inseguano si fa ogni giorno più forte, pur con alcune variabili su cui ragionare.

Quando incontrammo lo sloveno a Benidorm nel primo ritiro del UAE Team Emirates, si disse con una certa chiarezza che Tadej avrebbe vissuto un avvio di stagione meno pressante. Per questo pensammo che la scoppola del Tour lo avesse indotto a una maggior cautela, volendo fermamente vincere il terzo.

Vingegaard è stato a lungo in ritiro e debutterà il 23 febbraio al Gran Camino (foto Instagram)
Vingegaard è stato a lungo in ritiro e debutterà il 23 febbraio al Gran Camino (foto Instagram)

La logica (non) condivisa

C’era una logica. La stessa che guida la preparazione degli atleti della Jumbo-Visma e, come emerge dall’intervista di stamattina con Paolo Artuso, anche quelli della Bora-Hansgrohe. Una logica non necessariamente condivisibile, ma capace di spostare gli equilibri. Le corse sono tutte a livelli altissimi: meglio arrivarci freschi piuttosto che rischiare di spendere troppo prima.

Se i più forti seguono una linea, gli altri copiano per non farsi trovare impreparati. Lo schema è identico per tutti. Altura e corsa, altura e corsa. Per tutti, ma in apparenza non per Pogacar.

In barba alla partenza più tranquilla, lo sloveno ha debuttato il 13 febbraio alla Jaén Paraiso Interior e ha vinto. Poi si è schierato al via della Vuelta a Andalucia, vincendo tre tappe e la classifica. Ora è atteso alla Strade Bianche e di lì probabilmente alla Parigi-Nizza, la Sanremo e le classiche del Nord dal Fiandre alla Liegi. E correrà per vincere.

Dopo il debutto alla Vuelta a San Juan, Evenepoel è da oggi in corsa al UAE Tour con grandi ambizioni
Dopo il debutto alla Vuelta a San Juan, Evenepoel è da oggi in corsa al UAE Tour con grandi ambizioni

Cannibale o kamikaze

Nelle prime corse della stagione, Pogacar si è comportato come lo scorso anno. Nel 2022 infatti arrivò al Tour con 10 vittorie e, una volta in Francia, iniziò a sprintare, attaccare, scattare e dare spettacolo. Sarebbe stato tutto perfetto, se non fosse capitato a un certo punto il buco nero del Granon. La squadra ha sempre detto di volerne capire la causa, senza però venirne a capo. Almeno non ufficialmente.

Non si è mai capito se sia stata una crisi di fame o se Pogacar, come si pensò allora, abbia avuto altro, forse anche un blando Covid come alcuni compagni di squadra. Sta di fatto che quel giorno si spense la luce e si cominciò a ragionare sul suo correre dispendioso dei mesi e dei giorni precedenti.

Il 2023 è iniziato allo stesso modo, con il piglio sbarazzino che fa di Tadej una sorta di novello cannibale, al cospetto di avversari che si nascondono ancora.

L’interpretazione è doppia. Si può pensare che Pogacar sappia esattamente quale sia stato il problema del Granon e quindi corra come sempre all’attacco. Oppure semplicemente, vivendo il ciclismo con leggerezza invidiabile, abbia deciso di godersela ogni giorno, cogliendo l’attimo.

Van Aert e Van der Poel, come Pogacar ed Evenepoel, sono i profeti di questo nuovo modo di correre
Van Aert e Van der Poel, come Pogacar ed Evenepoel, sono i profeti di questo nuovo modo di correre

Il nuovo corso

Qual che ne sia la spiegazione, Pogacar ha già vinto. Non è per caso che, dovendo comporre un ipotetico dream team del ciclismo, i posti già occupati siano quelli di Van der Poel, Van Aert, Pogacar ed Evenepoel. Gli altri entreranno magari a farne parte, da Vingegaard a Roglic passando per Sagan e Bernal, ma dopo una selezione in cui per varie ragioni si potrebbe persino ragionare di escluderli.

In questi giorni sui vari social non sono mancati gli scambi fra lo sloveno e alcuni dei rivali. Il primo con Evenepoel, nel giorno dell’ennesima vittoria in Andalucia. Remco lo ha pregato di non vincere più e l’altro gli ha risposto che adesso tocca a lui. Poi con Geraint Thomas, che si è fotografato con un ciuffo di capelli fuori dal casco, chiedendo a Pogacar se così andasse bene. E l’altro gli ha risposto che in quel modo risparmierà almeno 10 watt.

Alla Valenciana, si è registrata la vittoria di Ciccone sull’Alto de Pinos, dopo un inverno redditizio
Alla Valenciana, si è registrata la vittoria di Ciccone sull’Alto de Pinos, dopo un inverno redditizio

Rinascimento italiano

Questa leggerezza sta scavando il solco e cambiando le abitudini del gruppo, quanto a interpretazioni di corsa, e costringendo le persone normali a fare gli straordinari per reggere il livello. Una leggerezza che fa capire insieme quanto sia cambiato il mondo del ciclismo, libero da logiche di spartizioni che non troppi anni fa fecero puntare il dito verso chi, come Pantani, vinceva ogni volta che ne aveva l’occasione. Qualcuno borbotta davanti allo strapotere di Pogacar, ma nessuno pensa che quel che fa sia sbagliato. E’ il nuovo corso del ciclismo degli squadroni, in cui la molla non è più l’invidia dei grandi verso i piccoli.

E in questo scacchiere di campioni, piace far notare che gli italiani hanno iniziato l’anno con il piede giusto. Con vittorie e ottimi piazzamenti. Se finalmente riusciremo a lasciarci dietro i disagi e le conseguenze rimediabili del Covid, forse ci accorgeremo che le nostre mamme sono ancora capaci di generare campioni.

Grand Depart in Italia: bellezza, campioni e progetti

14.02.2023
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Firenze-Rimini, Cesenatico-Bologna, Piacenza-Torino. Gino Bartali, Marco Pantani e Fausto Coppi. Lungo queste strade si passa davanti casa di tanti altri campioni. Vedi Gastone Nencini (anche lui vincitore di un Tour), di Vittorio Adorni, di Giovanni Valetti e persino di quella eroina che fu Alfonsina Strada.

Il Tour de France in Italia non sarà un evento fine a se stesso. E’ un classico esempio della forza promotrice del ciclismo. Di questo sport che passa sotto casa, che ti porta a scoprire posti unici e al tempo stesso li mostra al mondo intero e, soprattutto in questo caso, che lascia qualcosa sul territorio.

Da sinistra: Ricca, Nardella, Prudhomme e Bonaccini firmano l’accordo per il Grand Depart 2024
Da sinistra: Ricca, Nardella, Prudhomme e Bonaccini firmano l’accordo per il Grand Depart 2024

Percorso non casuale

C’è una frase di Christian Prudhomme che ci ha colpito. «Nell’era delle tappe più corte, non abbiamo inserito una frazione di 225 chilometri a caso. Lo abbiamo fatto perché ne valeva la pena. E lo stesso per le altre tappe, entrambe sui 200 chilometri». Il direttore del Tour si riferiva alla Piacenza-Torino e anche alla prima frazione del Grand Depart 2024.

Voleva dire che il ciclismo è bellezza. E’ il filo che unisce le perle, che dà loro un’identità, una storia. Prudhomme, nel suo viaggio in Italia per sancire ufficialmente l’accordo del Tour con le nostre terre, è rimasto ammaliato dalla bellezza che offre il nostro Paese.

Più volte in conferenza stampa ha allargato le braccia con senso di stupore per lo sfarzo di Palazzo Farnese. «In Italia ne avete tantissima di bellezza, di cultura. E mi chiedo come il Tour non sia partito prima da qui».

Ha parlato di Firenze. Delle colline che introducono a Torino o della storia della via Emilia. Prudhomme voleva unire i puntini con le sue tappe. E per farlo non ha badato troppo ai chilometraggi. Ma ha invece insistito su storia, geografia, bellezza, campioni.

Che occasione

«La nostra città – ha detto il sindaco di Firenze, Dario Nardella – ha investito 6 milioni di euro, ma  stimiamo che ci sia un ritorno dieci volte superiore. Per l’evento del prossimo anno ci saranno 400 nuovi posti di lavoro e una parte di questi sarà permanente.

«Quando si è presentata questa opportunità, con il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, abbiamo subito stabilito una grande collaborazione per realizzare il progetto. Avremmo i riflettori del mondo su di noi. Sul nostro ciclismo».

E su questo “nostro ciclismo” vogliamo ragionare. Perché se l’indotto e il ritorno sono pazzeschi, cosa può restare sul territorio? Cosa si può offrire? L’occasione è ghiotta – 1,2 miliardi di persone per tre giorni ammireranno le nostre terre – ma come si può sfruttarla nel concreto?

Il museo di Bartali a Ponte a Ema sarà coinvolto nella partenza della prima frazione
Il museo di Bartali a Ponte a Ema sarà coinvolto nella partenza della prima frazione

La forza del bike tourism

Nardella, Bonaccini e anche l’assessore allo sport del Piemonte, Fabrizio Ricca, stanno lavorando ad eventi di avvicinamento al Grand Depart. Ad uno sviluppo dell’offerta turistica legata alla bike economy, allo sviluppo di una rete ciclabile migliore in città e anche fuori. Dagli hotel della riviera romagnola, alle stradine del Chianti a quelle delle Langhe. Scoprire la “Regione orizzontale”, così Bonaccini ha ribattezzato la “sua” Emilia-Romagna, con le facili pedalate lungo le stradine di campagna della Via Emilia, che guarda caso parte da Rimini e finisce a Piacenza.

E di fruizione concreta ha parlato Prudhomme stesso. Nonostante sia il direttore della corsa più importante del mondo, il francese ha insistito molto sul ciclismo amatoriale sportivo e su quello per tutti nel quotidiano. Anche se lui fa leva su una cultura un po’ diversa.

Il suo concetto è: “Chi è a bordo strada a guardare il Tour, è la stessa persona che in qualche modo è incentivata ad usare la bici per viaggiare, fare sport ma anche per andare a lavoro o a comprare il pane”. Il che è anche giusto, ma non di facile applicazione da noi. Forse questo ragionamento va bene per alcune zone dell’Emilia Romagna.

«Il bike tourism, ma in generale il turismo legato allo sport – ha detto Bonaccini – è il secondo motivo di turismo che c’è. Gli eventi sono importanti (viene in mente la Nove Colli in primis, ndr), ma anche l’offerta permanente è importante. E non è un caso che da noi il responsabile del turismo sia uno sportivo come Davide Cassani».

Sulle strade dei campioni. Fra Castellania e Tortona ogni curva è buona per ricordare Fausto Coppi
Sulle strade dei campioni. Fra Castellania e Tortona ogni curva è buona per ricordare Fausto Coppi

Bellezza da toccare

Prima abbiamo parlato di storia, geografia, bellezza. Spesso, ma tanto spesso, in Italia le prime due parole si trasformano nella terza. Ed è stato soprattutto Prudhomme, “lo straniero”, ad esaltare la bellezza. La bellezza dell’Italia. E della storia del ciclismo.

«In questi giorni in Italia – ha detto il patron del Tour – sono rimasto colpito dal Museo di Gino Bartali. Chi era il corridore, chi era l’uomo. Gino il pio. Gino il Giusto. I campioni sono coloro che fanno sognare… Anche oltre i decenni, che portano i bambini in sella. Passiamo a Tortona, regno di Fausto Coppi. Andiamo a casa di Marco Pantani.

«Tutto ciò non è un patrimonio da tenere vivo per commemorare qualcuno o qualcosa. E’ un patrimonio di cui noi abbiamo la fortuna di beneficiare». Il paradigma francese in tal senso è spettacolare…

Quando il Giro passò sul Barbotto nel 2010 ci fu un vero assalto del pubblico per ammirare i campioni. Qui la rampa finale al 18%
Quando il Giro passò sul Barbotto nel 2010 ci fu un vero assalto del pubblico per ammirare i campioni. Qui la rampa finale al 18%

Al lavoro…

Le parole di Prudhomme hanno un riscontro reale. Già solo nella prima tappa, tra l’altro più che dura con i suoi circa 4.000 metri di dislivello, si scala la “Cotes de Barbotto”. Ogni granfondista italiano conosce questo passaggio mitico e miticizzato della Nove Colli. Prudhomme sapeva benissimo, per esempio, del San Luca a Bologna, classico finale del Giro dell’Emilia. E’ quel patrimonio ciclistico-culturale su cui si farà leva.

La chiave è proprio questa: far diventare le strade italiane del Tour eventi e simboli. «Quello è il Barbotto, vado in Romagna per scoprirlo, scalarlo». Che sia in e-Bike o per confrontare i propri tempi su Strava con quelli dei campioni… Ognuno sceglie il suo ciclismo, ma resta il fatto che si passa di lì. Si ammira il luogo. Si mangia una piadina, si dorme in un agriturismo o in un hotel della costa adriatica.

Tornando al tema del far diventare un simbolo certi passaggi e le strade del Tour, stando a quanto detto da Nardella, Bonaccini e Ricca, non ci stupiremmo se queste tre tappe diventassero dei percorsi permanenti, con una segnaletica a loro dedicata.

L’impresa (impossibile?) di dirottare Pidcock sul Tour

12.02.2023
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Bernal non si sa quando e se tornerà ai livelli migliori. Osservandolo da vicino alla Vuelta a San Juan, la sensazione che il colombiano abbia ancora tanta strada da fare è stata piuttosto netta. Tuttavia, considerando il punto di partenza e il fatto che abbia davvero rischiato di non poter più nemmeno camminare, è superfluo dire che gli vada lasciato il tempo necessario per riallacciare tutti i fili. Nel frattempo però, cosa fa il team Ineos Grenadiers? Nel gruppo si dice che forse solo Pidcock, 23 anni, potrebbe essere all’altezza di un’investitura.

Lo squadrone dei 7 Tour, 3 Giri e una Vuelta negli ultimi 10 anni per la prima volta l’anno scorso è andato in bianco e l’assalto deciso al contratto di Evenepoel fa capire che perdere altro tempo non è una delle opzioni più gradite. Ma Lefevere sa scrivere i contratti cui tiene maggiormente, così Remco non si è mosso e forse non aveva neppure l’intenzione di farlo.

Sfogliando l’organico della squadra e i programmi stilati per il Giro ed il Tour, vedremo Geraint Thomas e probabilmente Arensman, al Giro mentre Bernal, Martinez e Pidock andranno al Tour. Della Vuelta parleranno poi.

Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione
Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione

Pidcock e le distrazioni

Con Dario Cioni abbiamo provato a sbirciare nelle carte della squadra britannica, per capire quali considerazioni si facciano dietro le porte chiuse sui corridori che potenzialmente potrebbero diventare grandi nelle corse di tre settimane. Il punto di inizio è Pidock, per la sensazione che ci rimase addosso vedendogli dominare il Giro d’Italia U23 nel 2020.

«Tom – dice Cioni – è uno che se ci mette la testa, potrebbe far delle belle cose. E’ uno su cui si sta lavorando, ma è vero che dal suo punto di vista lui rimane quello un po’ eclettico che vuole far tutto. Stiamo studiando sul discorso dei Giri, quindi la vostra impressione è corretta.

«E’ uno che riesce a mentalizzarsi bene sul singolo appuntamento e comunque non rinuncia alle sue mille cose. Nel senso che continuerà a fare le varie altre cose, perché comunque questo fa parte del suo essere. Come scuola, siamo sempre stati favorevoli a non snaturare completamente le attitudini dei corridori, soprattutto se arrivano a un certo livello. Per cui il pistard continua a fare pista e nel caso di Tom ci sarà ancora la mountain bike. Senza scordarsi che da questo punto di vista, Ineos ha raddoppiato prendendo Pauline Ferrand Prevot. Comunque Grenadier è un prodotto offroad, quindi non è seguire un suo capriccio, perché alla fine lui è il campione olimpico».

I mondiali d’agosto

Il calendario di Pidcock diventa quindi centrale, alla luce delle necessità di chi corre preparando il Tour de France. In questo la coincidenza fortunata del mondiale in Scozia subito dopo il Tour sarebbe per Tom il lancio ideale.

«Il mondiale infatti – spiega Cioni – è il minore dei problemi, perché facendoli dopo il Tour, avrà piena libertà. In ogni caso, Pidcock avrà un calendario molto flessibile. L’anno scorso era partito con l’idea di fare il Giro, poi era finito al Tour. Quest’anno magari, mettendo più di enfasi sul discorso Tour, si può parlare di investimento sul futuro. Da quello che abbiamo visto nel 2022 pensiamo che possa avere buone possibilità anche nelle corse a tappe. Quindi se l’anno scorso era stato un primo approccio al Tour, quest’anno sarà più strutturato, ma accanto ci saranno comunque Bernal e Martinez».

Le dinamiche di squadra

Il problema di Pidcock è la sua ritrosia apparente di farsi ingabbiare nelle logiche di una sola specialità. Vince nel cross, pur avendo ammesso di non avere il livello di Van der Poel e Van Aert. Vince nella mountain bike, al suo attivo due mondiali e le ultime Olimpiadi. Sta imparando a vincere le classiche, con una Freccia del Brabante e il secondo posto all’Amstel. E l’anno scorso, al debutto nel Tour, ha vinto sull’Alpe d’Huez.

«Alla fine anche lui – dice Cioni con il necessario realismo – dovrà inserirsi nelle dinamiche della squadra. Lui va forte in salita, ma la crono sarà un elemento su cui lavorare. L’anno scorso è stata un po’ sottovalutata per i mille impegni. Però adesso, nell’ambito della sua crescita verso il Tour, è chiaro che acquisisca importanza. Alla fine però sono progetti lunghi, bisogna avere pazienza. Non puoi fare tutto in un colpo. Diciamo che la crono fa parte probabilmente del cammino per step che abbiamo impostato».

Thomas e Hayter

Accanto a Pidcock, la Ineos Grenadiers ha altri nomi su cui lavorare. Uno, Geraint Thomas, è quello più concreto, che per il 2023 – stimato come l’anno del ritiro – ha scelto il Giro d’Italia. Gli altri tre sono Leo Hayter, Geoghegan Hart e Arensman, di cui si parlava giusto ieri con Tosatto.

«Il piccolo Hayter – spiega Cioni – è uno su cui si può ragionare in chiave grandi Giri, ma diamogli tempo perché è appena arrivato, quindi non starei ora a mettergli pressione. Suo fratello invece è talentuoso, ma lo vedo più sul fronte delle classiche. E poi c’è Arensman, che è stato preso anche per questo. Al Giro abbiamo una garanzia come Geraint Thomas, che però in teoria è all’ultimo anno e anche questo devi tenerlo in considerazione. Il Giro è stato una sua scelta e noi tendenzialmente appoggiamo le scelte dei corridori, specialmente a quel livello. Poi gli altri magari proviamo a incastrarli nei vari progetti».

Con Tosatto nel debutto di Arensman: che cosa ha visto?

09.02.2023
6 min
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Alla Volta a la Comunitat Valenciana ha fatto il suo esordio tra le fila dei “Grenadiers” Thymen Arensman. Giovane e slanciato olandese che nel corso della passata stagione si è messo in mostra in più di un’occasione con il Team DSM. Dopo due anni e mezzi con la WorldTour olandese Arensman è passato alla corte britannica. Matteo Tosatto, diesse della Ineos, lo ha avuto tra le mani in questi primissimi assaggi di stagione. 

Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Che cosa hai visto in lui in queste prime uscite insieme?

Già dalla scorsa stagione – racconta il tecnico veneto – avevamo visto delle belle cose. E’ sempre stato un grande avversario, molto serio e preparato. Fin dalle prime pedalate dei vari ritiri invernali ho notato una grande professionalità ed un atteggiamento molto serio. 

E’ molto alto e slanciato, un fisico da corridore moderno…

Fisicamente è ottimo, si tratta di un atleta giovane e forte. La cosa più importante è che si tratta di un corridore completo, questo grazie alle sue caratteristiche. E’ molto bravo a cronometro ed in salita ha un bel passo, tant’è che ha vinto la tappa regina della Vuelta a Sierra Nevada. 

Il suo arrivo fa parte di quello che è un ricambio generazionale?

Beh sì. Con la partenza di Carapaz abbiamo deciso di prendere corridori giovani sui quali lavorare. Thymen (Arensman, ndr) ha tanti anni davanti dove può crescere e fare bene. 

Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno
Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno
Anche perché c’è il dubbio sulla ripresa di Bernal?

Lui è un punto interrogativo per tutti, fin dall’anno scorso ha lavorato molto per riprendersi e tornare ai suoi livelli. Sta facendo e farà delle corse che potranno darci delle risposte. Alla Vuelta a San Juan si è rivisto poi, vista la botta al ginocchio subita nella prima tappa, abbiamo deciso di fermarlo. Non deve avere fretta, ha davanti a sé un percorso da fare. 

Tornando a Arensman, come si è ambientato nel vostro gruppo?

Sono stato un po’ di tempo con lui. Due settimane nel ritiro di dicembre e poi a quello di gennaio. Più la sua prima corsa con noi, la Valenciana appunto. Si è visto anche dalla corsa a tappe spagnola la sua voglia di mettersi in mostra dando una mano anche ai compagni, come Geoghegan Hart.

Cosa gli manca secondo te?

Un po’ di consapevolezza in più sulla sua forza, è giovane ed ha paura di sbagliare, deve trovare un po’ più di coraggio. 

L’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempo
L’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempo
E’ un corridore che ha ottenuto gran parte dei suoi risultati a cronometro, voi avete una tradizione importante in quella disciplina. 

Già da dicembre ha lavorato molto con dei test in pista e sulla posizione. Era presto per fare dei lavori specifici, ma ha preso dimestichezza con il mezzo ed i materiali. E’ molto contento della bici, ha trovato subito un buon feeling e questo per lui è molto importante per trovare la consapevolezza che dicevo prima. 

Avere Ganna al suo fianco sarà un bel vantaggio…

Quando hai il due volte campione del mondo ed il detentore del record dell’Ora al tuo fianco sai già di poter contare su un grande aiuto. “Pippo” potrà essere di grande appoggio a Arensman sia per guidarlo al meglio nella scelta dei materiali ed anche per quanto riguarda la preparazione.

Su strada invece che tipo di scalatore hai trovato?

Si vede che gli piacciono le salite lunghe, anche se alla Valenciana ha fatto bene anche su distanze più brevi. Di certo lavora un po’ più sulla regolarità, non è un corridore che fa dieci scatti in due chilometri. Ma forse non esistono più scalatori di questo genere. In salita gli manca qualcosa e lavoreremo per limare qualcosa senza snaturarlo. Alla fine quel che perde in salita lo guadagna con gli interessi a cronometro. 

Lavorare con Bardet gli ha dato una mano nel percorso di crescita…

Al Tour of the Alps si è messo in gran mostra, anche su salite durissime come quelle che trovi lì. E’ arrivato terzo nella generale alle spalle di Bardet e Storer, ed ha vinto la classifica dei giovani. 

Arensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salita
Arensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salita
L’età è un fattore.

E’ un classe ‘99, fa parte della nuova generazione. Ricordiamo che Evenepoel è del 2000, Pogacar del ‘98. E’ sulla falsariga di questi corridori ed ha a disposizione tanti anni. 

Immaginiamo che l’obiettivo che avete con lui è quello di vincere.

Si tratta di un ragazzo sul quale si può fare affidamento, vincere dei Grandi Giri non è facile, soprattutto al primo anno in una nuova squadra, sarebbe sbagliato partire con questo obiettivo. Quel che giusto è prendere le misure, soprattutto quest’anno, si deve essere elastici.

Quest’anno che calendario farà?

Ora andrà alla Volta ao Algarve, poi la Tirreno-Adriatico. La Corsa dei due Mari potrà essere un primo banco di prova. Ci sono delle salite lunghe con l’arrivo a Sassotetto che potrà dire molto. 

Il Giro potrà essere un obiettivo al suo primo anno con la Ineos?

E’ un obiettivo di questa stagione. Non partiremo per vincere ma andremo alla giornata, il primo Grande Giro con una squadra nuova è sempre pieno di incognite. Credo, tuttavia, che Arensman possa fare due Grandi Giri in un anno. Non Giro e Tour, piuttosto Giro e Vuelta. Una volta prese le misure per tutta la stagione potremo alzare l’asticella in Spagna. 

Assomiglia molto a Thomas, vero?

Sì. Sono entrambi molto forti a cronometro, se devo trovare una differenza direi che Arensman è più scalatore di Geraint. Non è un segreto che il britannico sarà al via della Corsa Rosa e farli correre insieme è un bel modo per insegnare al giovane olandese qualcosa. Non è da escludere che le cose possano cambiare nel corso di una gara di tre settimane, lo insegnano la stessa Sky e Thomas (il riferimento è al Tour de France del 2018 vinto dal britannico quando il capitano designato era Froome, ndr). Sono convinto che si trovi nella squadra giusta al momento giusto.

Prudhomme a Roma: il Tour e le strategie di ASO

08.02.2023
6 min
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Christian Prudhomme a Roma. Il direttore del Tour de France ha firmato l’accordo per la partenza della Grande Boucle dall’Italia nel 2024. Da Firenze le ormai note tappe toccheranno anche Bologna e Torino, prima di rientrare in Patria.

La bellezza straripante di Palazzo Farnese, ambasciata di Francia, ha catturato il patron del Tour stesso. Anche lui non è rimasto insensibile di fronte a tutto ciò. In effetti gli ingredienti per questo momento storico c’erano tutti: una mano tesa fra Italia e Francia, Roma che col sole indossa la sua veste più bella, mura storiche e il grande tema del ciclismo a fare da filo delle perline.

Le grand depart 2024

«Sarebbe stata una grossa incongruenza – dice Prudhomme – se il Tour non fosse partito dall’Italia. Anzi, mi chiedo come mai non sia accaduto prima. Dieci anni fa c’era stata l’occasione di Firenze. Rifiutammo a malincuore quella candidatura, ma giusto l’anno prima un inglese, Bradley Wiggins, aveva vinto il Tour e così partimmo da Londra.

«L’Italia è bellezza. Il ciclismo, il Tour uniscono. Questa cosa doveva accadere e per me è un onore. E’ un onore passare nelle terre di Bartali, di Pantani, di Coppi».

Rispetto a tante occasioni simili, le parole durante l’incontro istituzionale non sono state solo di circostanza. Tuttavia con il direttore del Tour abbiamo parlato anche di altro. Prudhomme è anche il direttore del settore ciclismo di Aso, la società che organizza il Tour e molti, moltissimi altri eventi. E il peso di Aso anche nei confronti dell’UCI è enorme.

L’Arctic Race (in Norvegia) è una delle gare di Aso al di fuori dei confini francesi. Indirettamente “supervisionano” delle gare anche in Africa
L’Arctic Race (in Norvegia) è una delle gare di Aso al di fuori dei confini francesi. Indirettamente “supervisionano” delle gare anche in Africa
Signor Prudhomme, Aso organizza molti grandi eventi oltre i confini di Francia. Tra donne e uomini si contano 132 giorni di gare professionistiche. Avete in ballo altri progetti?

Abbiamo sempre dei progetti. Ovviamente tutto ruota intorno al Tour de France. Ho menzionato prima (nella presentazione, ndr) il legame tra il ciclismo di tutti i giorni e il ciclismo dei campioni, il ciclismo degli amatori… ogni aspetto è per noi un importante elemento di sviluppo. Parlavate di gare professionistiche, ma oggi abbiamo quasi 30 ciclosportive (eventi amatoriali, ndr) certificati. Abbiamo eventi in Australia, in Messico, in Canada, negli Stati Uniti, in tutto il mondo. Solo l’Etape du Tour vede al via 16.000 persone. Stiamo sviluppando questo modello accanto alle gare dei pro’ in altri 25 Paesi.

Perché?

Perché vogliamo incoraggiare le persone a praticare il ciclismo e vogliamo farlo sotto l’etichetta del Tour de France. Perché è da qui che la gente si avvicina al ciclismo e lo si promuove in tutto il mondo. Al di là della competizione, la bicicletta è qualcosa di molto, molto importante oggi nel nostro mondo. La bicicletta è l’anello di congiunzione tra la mobilità, la bici di tutti i giorni, e la bicicletta dei campioni. Vogliamo intensificare questo legame.

Tour de France Femmes 2022, un vero successo… Presentata già l’edizione 2023. Un progetto chiaro e definito
Tour de France Femmes 2022, un vero successo… Presentata già l’edizione 2023. Un progetto chiaro e definito
La vostra politica vede scorrere quasi parallelamente il ciclismo maschile e quello delle donne. Un paio di anni fa è stato rotto l’ultimo tabù: la Roubaix. Come mai ci avete creduto più degli altri?

Quando abbiamo rilanciato il Tour de France Femme avec Zwift, ci siamo detti che volevamo creare un evento di lunga durata, che sarebbe stato ancora vivo tra 50 anni, come il Giro, come il Tour… Ci sono stati molti duelli tra Jeannie Longo e Maria Canins negli anni ’80: esistevano, erano reali. Solo che purtroppo, per motivi economici, la manifestazione si è interrotta e tutti gli eventi successivi in Francia alla fine si sono tutti fermati per motivi economici. Così abbiamo voluto un evento equilibrato il primo anno. Un evento che fosse impattante per il futuro. Ma perché lo fosse, l’aspetto economico è fondamentale ovviamente.

E quanto è ancora grande la differenza d’impatto economico tra i due mondi?

La differenza è ancora notevole.

Siete partiti molto forte con le donne. Si è visto anche dallo sforzo mediatico (sociale e soprattutto tv), da come avete presentato l’evento: le schede delle tappe, le info sulle atlete, i vari approfondimenti di contorno, le dirette…

E’ stata incredibile la candidatura delle città. Lo abbiamo visto dopo la prima edizione: è stato un successo strepitoso. Non ci aspettavamo così tante persone a bordo strada. Non ci aspettavamo così tante persone davanti alla televisione. Ma dobbiamo continuare. Dobbiamo andare oltre. E questo significa anche affrontare le difficoltà. Per esempio nel 2024 ci saranno le Olimpiadi. I campioni vanno alle Olimpiadi sulla scia del Tour de France e così dobbiamo cambiare data. La scorsa volta uno dei successi è stato che i Giochi sono diventati una “quarta settimana”. Dopo la pandemia c’è stata la prima edizione femminile della Parigi-Roubaix ed anche quella è stata un successo oltre la difficoltà.

A La Toussuire, arrivo sia del Tour che del Delfinato, l’elenco dei vincitori. Una cultura sportiva d’insieme si costruisce anche così
A La Toussuire, arrivo sia del Tour che del Delfinato, l’elenco dei vincitori. Una cultura sportiva d’insieme si costruisce anche così
In Francia siete riusciti a “fare sistema” e in questo discorso rientra anche l’aiuto alle squadre francesi. Da sempre avete teso la mano ai vostri team professional. Quanto è grande il vostro aiuto per loro e quanto loro danno al Tour?

Le tre settimane del Tour de France incidono per circa il 57% delle ricadute economiche globali di un anno di ciclismo. Quindi è ovviamente un capitale per le squadre. Forte di questo impatto (e di circa 1,2 miliardi di spettatori al giorno, ndr) durante le tre settimane, i team possono fare parlare di sé, possono mettersi in mostra e così possono trovare sponsor per gli anni successivi, possono programmare. Va da sé che tutto ciò è importante per i team, ma è importante anche per noi.

Il Tour de France aiuta economicamente il Tour de l’Avenir?

Noi possediamo l’Avenir, abbiamo delegato ad altri la sua organizzazione, ma il gruppo Amaury (ASO, Amaury Sport Organization, ndr) possiede ancora questa corsa. Stanziamo 150.000 euro ogni anno, più auto e strutture varie per la sua organizzazione. Il delegato alla sua organizzazione è Philippe Folliot che è anche il responsabile del Tour de l’Ain. Lui è un ottimo organizzatore. In qualche modo appartiene al gruppo Amaury.

Una parte della carovana del Tour (e i suoi gadget) non mancano al Tour de l’Avenir (foto @anoukflesch)
Una parte della carovana del Tour (e i suoi gadget) non mancano al Tour de l’Avenir (foto @anoukflesch)
Quindi fate sistema! Cosa manca per lei al ciclismo italiano per fare sistema? Per farlo ad un livello così alto?

Io non lo so! L’Italia è un grande Paese del ciclismo e ha posti fantastici (mentre con le mani indica Palazzo Farnese, ndr). Poi va detto che forse più di altri voi seguite i campioni. Ne arriva uno e all’improvviso ha un grande seguito. La  forza del campione è avere un seguito… Quindi, sinceramente, non so cosa manchi in Italia. Se voi invece avete una ricetta per come far vincere il Tour de France a un francese, l’ascolto con interesse! Non abbiamo lezioni da dare all’Italia. 

Per esempio lei, signor Prudhomme, ha citato campioni e campionesse: non è così scontato per noi. E’ un bel cambio di mentalità…

Una delle più grandi atlete di Francia in assoluto è Jeannie Longo. Tutte le persone che hanno 40 anni e oltre sanno chi è la Longo, lei è andata oltre. Per dire l’importanza che hanno i campioni… e le campionesse.

Modolo: la nuova vita e i ricordi di una carriera

05.02.2023
8 min
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Quando qualcosa finisce, lascia un senso di vuoto dentro di noi. Ci si ritrova un po’ spaesati davanti a situazioni che prima non avremmo immaginato. Se la tua vita è sempre ruotata intorno alla bici e due pedali, quando te li tolgono fai fatica a ricalibrare il tempo. Sacha Modolo si è trovato in questa situazione: l’ultima gara è stato il Giro del Veneto e poi da lì è iniziata una nuova vita. 

«Devo ancora abituarmi ai nuovi ritmi – ci racconta – sono cambiati e parecchio. La vita dello sportivo aveva un obiettivo, ti alzavi per allenarti e tutte le mattine andavi a guardare il meteo fuori dalla finestra per capire se potevi uscire in bici o meno. Avevo una spinta motivazionale, ora ne sto cercando una nuova. La mattina non ho più la bici, ma porto la bambina all’asilo. Poi torno e do una mano a mia moglie in casa».

Il trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionisti
Il trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionisti

Hobby e passioni

In questi primi giorni di febbraio, dove la primavera ha fatto incursione riscaldando le giornate, si respira un clima diverso, quasi investiti da un’inaspettata vitalità. Nel frattempo Modolo cerca di ritagliarsi il suo spazio in questo mondo senza bici. 

«Ho un piccolo garage, dove tengo delle Lambrette e delle Vespe d’epoca – mentre Modolo parla sua figlia sotto si fa sentire – ogni tanto mi metto al lavoro su qualche motore. Il mio migliore amico, che è anche il mio testimone di nozze, ha già un’attività avviata e pensavamo di fare qualcosa insieme con le moto e le auto d’epoca. E’ un mercato che ha tanta richiesta, soprattutto all’estero. Per il momento, però, collaboro con Marco Piccioli e Massimiliano Mori, i miei due procuratori. Mi hanno fatto una proposta e ho deciso di provare. Mi sono dato un anno di tempo per capire se questo mondo mi interessa, anche se, devo ammettere che mi piacerebbe fare qualcosa legato ai giovani ciclisti della mia zona (Conegliano, ndr). 

«Nel ciclismo moderno ci sono poche squadre italiane e i giovani fanno fatica a entrare nel mondo dei professionisti. Le WorldTour sono tutte straniere e tendono a premiare i corridori locali, come da noi ai tempi facevano Lampre e Liquigas. Pensate che nel 2010 nella sola zona di Treviso eravamo 15 professionisti, tra i quali Ballan, ultimo campione del mondo. Ora sono tre: Vendrame, Cimolai e Gandin, arrivato quest’anno in Corratec».

Nuova vita

Il ciclismo per Modolo ha rappresentato gran parte della sua vita e ora che non c’è più il trevigiano ha più tempo per dedicarsi ad altro. La passione per le due ruote rimane, anche se motorizzate.

«L’ultima uscita in bici – ci confida – l’ho fatta alla vigilia di Natale, dopo un mese che non la toccavo. E’ stata dura mentalmente, dopo una vita dedicata al professionismo mi mancava la motivazione. Si è trattata di una passeggiata praticamente. Sono uscito anche sabato scorso, ma ho fatto due orette con dei amici amatori. Siamo andati a prendere un caffè al bar. Continuo a coltivare, anche con maggiore impegno, la passione per le moto. Se ho qualche ora libera preferisco passarla così, questa passione mi ha aiutato a staccare la spina appena smesso con il ciclismo.

«Avevo una mia visione del ciclismo, quasi non vedevo l’ora di smettere, ma quando arriva il momento pensi che uno o due anni in più li avresti fatti volentieri. Sono parte di un gruppo di enduristi e mi diverto molto, dopo una vita a spingere due ruote ora sono loro che spingono me. Abbiamo in mente anche qualche gita, magari in Umbria, vedremo. L’enduro è bello, mi ritrovo a percorrere parte dei sentieri che facevo in mtb, fare qualche salita sterrata senza fars è divertente». 

Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto
Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto

Un viaggio nei ricordi

Sacha ultimamente sta rivivendo tramite foto alcune delle sue vittorie, il trevigiano è passato professionista nel 2010. Di acqua sotto i ponti ne è passata ed in tredici anni di carriera di cose ne sono successe, così Modolo ci guida nei suoi ricordi. 

«La prima vittoria me la ricordo benissimo – dice – ero in Cina, è quella che mi ha sbloccato ed è arrivata al secondo anno di professionismo. Da lì in poi in quella stagione ho vinto altre nove corse. Nel mio primo anno da corridore ero arrivato quarto alla Milano-Sanremo ed ero finito sotto i riflettori. Non ero abituato ed ho fatto un anno senza vincere, quel successo in Cina è stato davvero molto importante.

«In quella stagione (2011, ndr) ho vinto la Coppa Agostoni – continua – forse la corsa più importante che ho portato a casa quell’anno. Il percorso era molto duro con il Ghisallo e tenere su quelle rampe è stato difficile. La volata nel gruppetto me la ricordo bene: non riuscivo a trovare spazio così mi sono appoggiato ad Oscar Gatto. Secondo arrivò Simone Ponzi con il quale ho corso due anni alla Zalf. E’ bello quando cresci insieme tra i dilettanti e poi ti ritrovi a battagliare in una corsa professionistica».

Le battaglie con i big

Sacha Modolo ha avuto tra i suoi rivali grandi corridori del calibro di Cavendish e Sagan e qualche volta è riuscito a mettergli le ruote davanti. Un motivo di grande orgoglio e soddisfazione per lui che è sempre rimasto con i piedi per terra. 

«La corsa era il Tour de San Luis – ricorda Sacha – e la prima tappa arrivai secondo alle spalle di Cavendish, alla seconda volata sono riuscito ad impormi. Era uno dei primi anni che lavoravo con Rossato, mi sono trovato subito bene con lui. Quell’inverno, ricordo che andavamo due volte a settimana in pista e avevo sentito subito la differenza. La vittoria in Argentina ne è una grande testimonianza, perché mettersi dietro Cavendish ai quei tempi era difficile. Lui a fine anno era sempre in doppia cifra abbondante con le vittorie.

«La stagione successiva (il 2014, ndr) iniziai di nuovo forte con due primi posti in Spagna e una tappa alla Volta Ao Algarve. Uno dei successi più belli della stagione è arrivato alla Tre Giorni di De Panne, alla seconda tappa riuscì a battere in volata Demare e Kristoff. Mentre la vittoria più bella di quell’anno è arrivata al Giro di Svizzera, nella quinta tappa, che finiva in cima ad uno strappetto, ad esterno curva ho passato Sagan. Mi sentivo molto bene e uno degli obiettivi della stagione era provare a prendere la maglia gialla al Tour. La prima tappa, ad Harrogate, era prevista una volata. Purtroppo arrivai in Inghilterra, si partiva da lì quell’anno, con la febbre. Feci di tutto per recuperare ma al secondo giorno dovetti andare a casa».

Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017
Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017

La vittoria di “casa”

Nel palmares di Modolo si contano anche due tappe al Giro d’Italia, entrambe raccolte nel 2015. La prima al Lido di Jesolo e la seconda a Lugano. 

«L’emozione più bella – dice con una lieve flessione della voce – è quella del Lido di Jesolo (in foto di apertura, ndr). Correvo in casa e volevo fare bene, solo che la mattina mi sveglio e piove, per di più le temperature non erano nemmeno troppo bonarie. Mi ricordo che ero parecchio infastidito, io con freddo e pioggia facevo prima a rimanere in pullman – ride – però quel giorno pescai una grande prestazione. Avevo la fortuna di trovarmi nel treno due uomini come Ferrari e Richeze che mi hanno pilotato benissimo. E’ la vittoria che tutti da queste parti si ricordano. Ogni tanto quando sono in giro, qualcuno la menziona ancora».

Modolo Vuelta Espana 2021
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin
Modolo Vuelta Espana 2021
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin

Il grande cambiamento

Non è un caso che le vittorie raccontate dallo stesso Modolo siano arrivate tutte nello stesso periodo. Il ciclismo era molto diverso, nelle ultime stagioni c’è stato un bel cambiamento ed anche il trevigiano dice la sua

«Era un ciclismo più abbordabile – replica – avevamo molto meno stress, lo ha detto anche lo stesso Sagan pochi giorni fa quando ha annunciato il ritiro. La stagione finiva ad ottobre e per un paio di mesi potevi rimanere tranquillo. Quando sentivamo che alcune squadre facevano già i ritiri a dicembre si rimaneva un po’ perplessi. Ora è la normalità. Ricordo che nell’inverno nel quale sono passato professionista era caduta una grande nevicata e per una settimana non ero riuscito ad allenarmi. Andavo a passeggiare lungo il Piave con altri corridori, ma vivevamo la cosa senza tensione. Adesso appena fa due giorni di pioggia, i corridori prenotano per le Canarie e ci rimangono due mesi tra ritiri individuali e di squadra. Il ciclismo è cambiato, ma è anche giusto che sia così. Solo che è successo tutto quando ero già over 30 ed è difficile poi adattarsi. Noi della generazione nata tra il 1987 e il 1990 abbiamo subito tanto questa cosa.

«Personalmente mi sono accorto di questo cambiamento quando ero in Alpecin, non ero abituato ad essere monitorato tutto il giorno. I risultati arrivano perché è un metodo più efficace, ma anche molto stressante. Non mi va di fare la parte del vecchio – ride – ma qualche anno fa se ti ritiravi in corsa non lo veniva a sapere nessuno. Adesso si ha una lente puntata addosso, costantemente, e i social non aiutano. I giovani sono abituati e, a mio modo di vedere, anche per questo sono avvantaggiati. E’ un ciclismo più veloce».

Diviso tra casa e ciclismo: Pasqualon raccontaci come fai

29.01.2023
6 min
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Da una storia su Instagram di Andrea Pasqualon è nata questa intervista. Le foto in questione erano due. Nella prima il neo corridore della Bahrain Victorious era in macchina in piena notte con destinazione casa. La seconda, il mattino successivo, abbracciato a sua figlia Joyel. La curiosità è arrivata di conseguenza, con l’intenzione di capire come i corridori riescano a conciliare famiglia e ciclismo. Sia chiaro, è il loro lavoro, ma non riconoscere il lato umano di questa storia sarebbe da insensibili.

Andrea Pasqualon è passato quest’anno alla Bahrain Victorious con la quale ha firmato un biennale (foto skovacevic)
Andrea Pasqualon è passato quest’anno alla Bahrain Victorious con la quale ha firmato un biennale (foto skovacevic)
Andrea, come si trova il giusto equilibrio?

Il nostro sport – racconta Pasqualon – è di per sé molto difficile, bisogna avere una grande concentrazione per fare le cose al meglio. Sia quando ci si trova in allenamento che quando ci si trova in gara. Anzi in quest’ultimo caso lo stress è maggiore e se a questo si aggiunge la famiglia diventa una bomba pronta ad esplodere. Bisogna far combaciare tutto, non si può far mancare nulla alla famiglia. 

Quanto è importante la famiglia per un corridore?

I figli sono un pensiero in più che si somma al lavoro, ma la famiglia è importante. Trovare il luogo ed il tempo per stare con loro ti aiuta anche a recuperare. Stare con mia figlia e passare del tempo con lei mi fa stare bene. Quando si è ai ritiri o alle corse, non si vede l’ora di tornare da loro e di godere della loro presenza. 

Nome particolare Joyel, da dove arriva?

La mia compagna ed io non volevamo sapere il sesso. Avevamo un sacco di nomi da maschio, ma da femmina no. Così la sera prima abbiamo pensato ad un nome e ci è venuto in mente Joyel. Arriva da un cartone animato: Rio. 

Quanto anni ha ora?

Sei, appena compiuti: il 25 gennaio. Fa gli anni lo stesso giorno della nonna, mia madre, ed abbiamo festeggiato insieme. Ho approfittato di alcuni giorni di pausa per tornare qui in Trentino e passare dei giorni con tutta la famiglia. 

Riesci a conciliare l’attività di professionista con la figura di padre?

Non è sempre semplice, spesso la mia compagna si trova nella situazione di dover ricoprire entrambe le figure. E’ una santa, come lo sono anche le mogli o compagne dei miei colleghi, che spesso si trovano a dare quel che il padre non riesce a trasmettere. 

Quando torni a casa stai spesso con tua figlia, lo si vede dalle foto.

Una volta tornati a casa dalle varie corse o ritiri, bisogna dare il 110 per cento. Viaggiare di notte fa parte del mestiere, preferisco dormire qualche ora in meno, ma svegliarmi insieme a mia figlia il giorno dopo.

Pasqualon ha corso per sei anni con la Intermarché, prima Wanty Group Gobert
Pasqualon ha corso per sei anni con la Intermarché, prima Wanty Group Gobert
Avere delle figure di supporto come i nonni è importante?

I nonni sono una figura di riferimento importantissima. Noi abbiamo la fortuna di avere anche i bisnonni, sono delle persone molto attive e ci danno una grande mano per gestire la famiglia. Io stesso ricordo mio nonno come se fosse mio padre, i miei genitori lavoravano entrambi e lui mi ha cresciuto ed insegnato molto. 

Anche la tua compagna lavora?

Tanja lavora e qualche volta partecipa a delle fiere o eventi e sta via per il weekend. La sera, quando è a casa, lavora in un bar, è giusto che anche lei si trovi il suo spazio. Non deve rinunciare alle cose per “colpa” mia.

Tua figlia Joyel che rapporto ha con il tuo lavoro?

Con il passare degli anni sta iniziando a capire il mio lavoro. Quando era più piccola si arrabbiava di più per le mie assenze. A volte, ancora ora, mi chiede se posso prendere dei giorni liberi per restare con lei. I giorni in cui devo fare scarico riesco a conciliare le cose, ma quando devo fare dei lavori specifici devo dirle di no a malincuore. Le prometto però che esco presto così torno prima e passiamo più tempo insieme. 

Le corse a tappe sono meno pesanti dei ritiri perché i ritmi sono più frenetici e si è concentrati sulla corsa
Le corse a tappe sono meno pesanti dei ritiri perché i ritmi sono più frenetici e si è concentrati sulla corsa
Sono più difficili da gestire i ritiri o le gare?

I ritiri.

Come mai?

Perché in gara sei concentrato sul risultato e sul motivo per il quale stai correndo. Le giornate scorrono via più rapide.

Quando vai in ritiro da solo le porti con te?

Sì, mi sono preso una casa ad Andorra e porto la famiglia con me. Prima di un Tour de France o del Giro mi è utile averli accanto, mi fa stare bene anche di mente. Poi considerate che se non li vedessi neanche durante il ritiro, al quale poi si aggiunge la corsa, sarebbero 60 giorni di lontananza. 

Molte squadre non permettono ai corridori di portare con sé la famiglia, anche nei ritiri individuali…

E’ una cosa che non capisco, dicono che deconcentra l’atleta. Sinceramente non lo comprendo come ragionamento. Quando vado in ritiro mi piace portare la famiglia, avere qualcuno di importante accanto è utile sia a livello umano che sportivo. Se fossi un diesse opterei sempre per la felicità del corridore, un professionista felice riesce a rendere di più.

Pasqualon preferisce allenarsi sulle strade di Andorra, più sicure e a portata dei ciclisti (foto airanphoto)
Pasqualon preferisce allenarsi sulle strade di Andorra, più sicure e a portata dei ciclisti (foto airanphoto)
Come funziona una tua giornata tipo in ritiro?

Ho preso una casa ad Andorra, la mattina mi alleno mentre Tanja e Joyel fanno delle belle camminate. Il pomeriggio lo passiamo insieme.

Dalle foto sui social si vede che ti piace portarla con te in bici o sugli sci.

Sì, mi piace l’idea che cresca come una “sportiva” per insegnarle uno stile di vita sano. Non mi importa quale sport vorrà fare e non la obbligherò a fare nulla. Credo, però, che sia giusto darle la possibilità di provare tante cose, a seconda dei suoi gusti. 

Anche tu scii molto.

Sono cresciuto sugli sci, fino ai 17 anni ed è bello avere un’attività da alternare.

Joyel ha sei anni, è prossima alla scuola, che decisione avete preso tu e la tua compagna?

Ora lei è in un istituto privato, un asilo che ha una visione differente e lascia tanto i bambini all’aria aperta. In Trentino sono molte le strutture così, i bambini crescono a contatto con la natura imparando a condividere con essa gli spazi.

La scuola elementare dove la farà?

Ad Andorra, per motivi di tempo resto più tempo lì che in Italia. E’ uno Stato che mi piace molto e piace tanto anche alla mia compagna. Si tratta di un posto sicuro dove allenarsi, le strade sono larghe e c’è la cultura ed il rispetto del ciclista. Ad essere sincero in Italia pedalo poco, preferisco fare attività differenti e le ultime vicende (l’incidente mortale di Rebellin, ndr) mi hanno convinto ancor di più a prendere questa scelta.