Social network sites e sport, un tema molto complesso da affrontare e che si sta studiando ancora molto. Ci concentriamo allora sul mondo della bicicletta, ma prima partiamo da qui: sempre più persone utilizzano i social network durante gli eventi sportivi che seguono (il 45% degli utenti secondo il 2020 Sprout Social Index); sempre più persone utilizzano i social principalmente per seguire lo sport (dal 15% del 2016 al 22% del 2019 secondo il global web index); sempre più persone sostengono che non necessitano di seguire gli eventi sportivi in diretta per mantenersi aggiornati sui loro sport, squadre o atleti preferiti, bastano appunto i social network sites.
Questi dati restituiscono la dimensione della crescita esponenziale dell’influenza dei social sul mondo dello sport. Il ciclismo non è esente da questo processo che riguarda un po’ tutto in realtà, ma che è particolarmente forte in quest’ambito, proprio dati alla mano. Questa convivenza sempre più stretta può essere però un’arma a doppio taglio tanto per i professionisti, quanto per i fan e le aziende. Da un lato un utilizzo positivo ed equilibrato permette di migliorare il rapporto tra amatori e professionisti, ma anche di creare tifosi fedeli e, per le aziende, magari trasformarli in clienti. Dall’altro lato un uso inconsapevole o sbagliato del mezzo danneggia le reputazioni, genera tensioni e può inficiare sul benessere di tutto l’ambiente.
C’è tanto di buono…
Altri esempi in questo senso possono essere iniziative di sensibilizzazione sulla sicurezza della strada nelle quali ci siamo impegnati anche noi di bici.pro, oppure spinte politico-sociali come il messaggio che ha voluto dare Alessandro De Marchi in maglia rosa al Giro d’Italia indossando il braccialetto di Giulio Regeni, gesto diventato ancora più rilevante e virale grazie agli apprezzamenti e le discussioni di facebook, instagram e twitter.
Gli esempi non mancano né per una faccia della medaglia né per l’altra. In positivo pensiamo all’iniziativa recente di Lachlan Morton che ha corso un Tour de France parallelo a quello ufficiale con l’intento di raccogliere donazioni per la World Bicycle Relief, ma anche di promuovere un modo diverso di vivere il ciclismo. Senza i social probabilmente la sua impresa non avrebbe mai visto la luce, o comunque avrebbe avuto un impatto e un seguito decisamente inferiore considerando anche il rapporto quasi intimo che ha instaurato con chi lo ha seguito online passo passo fino agli Champs Elysèes.
… e altrettanto di negativo
Abbiamo parlato di vantaggi personali ed economici: pensate quanto uno come Sagan abbia beneficiato dalla cassa di risonanza social, tenendo vivo il rapporto coi fan anche in periodi di magra. Infine si può parlare dell’account ciclismo ignorante, un esempio dal basso, che fa comunità creando forme espressive ricorrenti (cosiddetti tormentoni) che vanno a formare anche una cultura comunitaria, un insieme di simboli condivisi.
L’altro volto dei social, quello “oscuro” è purtroppo altrettanto ricco: pensiamo al tema, sottolineato da Giovanni Visconti, degli insulti e della pressione mentale che i corridori subiscono dal pubblico, il quale ha ormai un canale diretto per farsi sentire (nel bene e nel male appunto). Sempre lato corridore c’è la necessità di utilizzare consapevolmente il medium considerando il ruolo sociale che si ricopre e l’impatto delle proprie azioni virtuali. La sospensione di Quinn Simmons dalla sua stessa squadra, la Trek-Segafredo, per dei tweet discutibili è emblematica di tutto ciò. Anche le squadre e le aziende devono sempre evitare scivoloni, costrette comunque a produrre un costante flusso di contenuti per questioni di marketing.
Corridori maturi e soluzioni
Poi c’è anche il discorso che faceva Valerio Agnoli, sempre da noi, sull’eccessiva informazione che investe amatori e pro’ indifferentemente, portandoli a stressarsi e paragonarsi a standard irrealistici, promossi falsamente sui social, quando non a seguire indicazioni scorrette su alimentazione, metodi di allenamento estremi e così via.
Infine potendo discutere senza moderazione si formano ambienti in cui le opinioni si radicalizzano, contrapponendo i tifosi delle proprie idee o dei propri corridori/squadre. A farne le spese sono per primi gli stessi appassionati, ma è poi la comunità tutta che ci rimette, scoraggiando eventuali nuovi membri e rendendo pesante la condivisione.
Le soluzioni sono complesse, come del resto è complesso il problema perché sociale e in quanto tale andrebbe affrontato. E’ fondamentale un’educazione digitale, che dovrebbe partire fin dalle scuole: se in piazza non aggredisci verbalmente l’altro, non dovresti farlo neanche sulle piazze virtuali. La tecnologia però rende tutto più distante, mediato e quindi dà l’illusione di essere meno reale, con conseguenze invece più che reali e concrete.
Si afferma una nuova figura
Poi sarebbe importante la comprensione del medium, la stesura di linee guida da seguire per corridori, aziende e squadre. Magari anche affidarsi quando possibile a professionisti, sia psicologi che possano sostenere i corridori come suggeriva Visconti, sia del digitale e dei social media. Un social media manager permette al corridore di mantenere i vantaggi economici condividendo il peso mentale del dover star dietro alla propria immagine digitale (aspetto sottolineato da Velasco). Allo stesso modo le squadre o le aziende meno conosciute possono farsi un nome più velocemente e ottenere più facilmente sponsor. Quelle più affermate già si affidano a degli esperti e appunto non è un caso.
Per chiudere il discorso, queste dinamiche e questi pro e contro riguardano come detto un po’ tutti gli sport e la comunicazione digitale sportiva. In cosa si distingue allora il ciclismo oltre nell’avere protagonisti diversi? E’ semplice, la comunità online riflette quell’essere un “circo” quasi chiuso che caratterizza la grande famiglia della bicicletta. Tutto sembra ancora più vicino, squadre, diesse, persino dirigenti come Lefevere, molto attivo su Twitter. Questa dimensione “raccolta” amplifica ulteriormente la forza mediatica di questi mezzi. Se c’è un’opinione diffusa arriva a tutti, se c’è un discorso condiviso partecipano veramente tutti.
La discussione sulle borracce
Ricordate le polemiche sulle borracce e le nuove normative UCI? In quell’occasione fu fortissima la protesta dei social, forse l’agente principale, insieme agli altri media, che ha spinto poi a rivedere quelle stesse norme. Si è vista una comunità molto unita nel sottolineare l’ipocrisia del “nemico comune” e anche le opinioni dissonanti hanno preso parte a questa discussione. Questi sono momenti che formano la comunità stessa, come la condivisione di eventi importanti, le corse più epiche, vedi Chris Froome che corre a piedi sul Mont Ventoux.
Attenzione ai messaggi sbagliati…
Ancora, si può prendere il video-tormentone del DS che risponde in maniera iconica e verace (“il ciclismo è uno sport di m***a”) ad un suo giovane corridore che gli chiede i boccettini lunghi. Per dire su quest’ultimo ci ha scherzato persino Egan Bernal, su un qualcosa che era partito come prettamente locale, settoriale come può essere il ciclismo giovanile italiano. Questa vicinanza però, oltre ad amplificare le negatività dei tifosi verbalmente violenti, causa anche dei circoli viziosi da cui diventa difficile uscire a livello di mentalità. C’è l’esasperazione del controllo di tutto che toglie il divertimento e il gusto dell’andare in bicicletta anche a chi dovrebbe solo godersela.
Queste dinamiche sono ancora più difficili da combattere con il rischio di trovare dell’ostracismo ad ogni livello. Di nuovo pro e contro insomma. Poi, diciamoci la verità, non cambieremmo il nostro circo per nessun altro al mondo, ma è nostro dovere provare a migliorarlo ogni giorno di più, a partire da come ci comportiamo noi stessi nella nostra “famiglia virtuale”.