Liquigas prima, Cannondale poi… ma sempre del grande team di Roberto Amadio parliamo. La corazzata verde è stata l’ultima squadra stellare battente bandiera italiana. Una corazzata durata dieci stagioni, che ha visto una lunga sfilza di campioni, tra cui Basso, Nibali e Sagan.
Garzelli il primo a firmare
«Ma il primo fu Garzelli – ricorda Amadio – La Liquigas in qualche modo nacque a Genova, alla partenza del Giro del 2004. Lì, incontrai Paolo Dal Lago, amministratore delegato di Liquigas, che mi chiese del WorldTour. Gli dissi come la pensavo. Rimanemmo che casomai ci saremmo rincontrati. Ad agosto ci ritrovammo dal dottor Paolo Zani, patron di Liquigas, e iniziò l’avventura. Garzelli fu il primo capitano. Puntammo al Giro, ma Stefano da persona intelligente quel era capì che non poteva più puntare ai grandi Giri e così si concentrò sulle corse di un giorno. E infatti successivamente vinse la Tre Valli Varesine e altre tappe. Stefano firmò ai primi di settembre di quella stessa stagione. Ma subito dopo arrivarono tanti altri campioni: Di Luca, Paolini, Pozzato… Partimmo subito bene. La filosofia mia e della dirigenza fu quella d’investire sui giovani. E il primo investimento fu prendere Nibali. Ma anche altri: Kreuziger, Oss, Viviani, Guarnieri che all’inizio faticò parecchio ma che oggi è uno dei migliori apripista».
La sfida di Basso
Ma certo quel che fece della Liquigas un “dream team” fu l’accoppiata Basso-Nibali.
«Ivan lo volli io – racconta Amadio – e fu una scelta coraggiosa prenderlo dopo la sua squalifica. In quel periodo certe scelte erano mal viste nel mondo ciclismo. Ma con Aldo Sassi e il Centro Mapei a cui si rivolse Ivan riuscimmo a dimostrare chi era Basso».
Il varesino vinse il Giro del 2010, uno dei più belli e che in qualche modo aizzò anche un certo dualismo tra “bassisti” e “nibaliani”. Il momento di tensione arrivò nella tappa di Montalcino proprio al Giro 2010.
«Quel giorno fu tremendo, tra pioggia, freddo, cadute, incidenti vari… Però noi eravamo partiti con Basso capitano e tenemmo fede a quella linea, anche se avremmo potuto lasciare andare Nibali. Vincenzo si mostrò intelligente. Eravamo un bel gruppo. Lui poteva fare di più, ma prevalse la squadra. Se avesse potuto vincere il Giro? Di sicuro Vincenzo è stato penalizzato in quella tappa, ma credo di no. Alla fine Ivan è andato davvero forte».
Amadio ricorda anche la tappa di Aprica, quella con il Mortirolo, la più bella secondo lui. Un’azione di squadra molto importante, supportata anche da Scarponi (Androni), che forse si aspettava di vincere la tappa, come poi avvenne.
«Ricordo con piacere la mentalità di quella tappa che era lo specchio della mentalità Liquigas: fare la corsa e vincere. Avevamo dimostrato la nostra forza al 100%. E non fu facile. Perché dopo la discesa del Mortirolo, nella quale Basso aveva avuto dei problemi, Arroyo in maglia rosa stava rientrando. Non si fece la strada classica, ma si scese nella parte vecchia di Edolo prima di risalire verso Aprica e lì c’era uno strappo duro che mise in difficoltà Arroyo e di fatto decise il Giro».
Re Nibali
Amadio ha parlato dei giovani. E’ in questo gruppo che è maturato, che è cresciuto il suo staff a partire da Slongo e Pallini, che si è creato il feeling con il dottor Magni.
«Cavallo di razza? Si sapeva che Nibali era un corridore importante già dalle categorie giovanili. Aveva fatto una stagione alla Fassa Bortolo. Firmò nella sede Liquigas a Milano. Venne con Alex e Johnny Carera. Per lui preparammo un triennale e non un biennale come per gli altri. Era timido… ma si vedeva che era determinato, che aveva voglia d’imparare e che in tutte le corse voleva vincere».
«Ma il mio ricordo di Nibali è la vittoria della Vuelta 2010 e come avvenne. Su quella salita terribile all’ultima tappa, la Bola del Mundo. Fu il compimento di un lungo percorso. Un’immensa soddisfazione personale. Fu davvero una cosa grande, vidi la determinazione sua e del gruppo. Un qualcosa di così forte, ma contrario, quindi delusione, lo provai quando fece secondo alla Liegi. Non per la sua prestazione, chiaro, ma per come andò. Se la meritava».
L’era di Sagan
E poi arrivò Peter Sagan. Era l’autunno del 2009…
«Peter – racconta Amadio – me lo aveva segnalato Zanardo del cross di Treviso. Mi disse che era un ragazzo polivalente, che spaziava dal cross alla Mtb. Da lì iniziammo a seguirlo. Durante i mondiali dissi a Stefano Zanatta di andarci e di contattarlo, io ero in America in quel periodo. Trovammo subito l’accordo.
«Era un ragazzino. Aveva 19 anni quando l’ingaggiai, ma dimostrò subito di che pasta era fatto. In Australia alla prima corsa tra i grandi fece degli ottimi piazzamenti, andò in fuga con Armstrong e i migliori. Poi un giorno cadde. Aveva una brutta ferita al braccio. Lo portarono in ospedale e mentre lo ricucivano fece al dottor Magni: io domani parto. E così andò. Aveva gli attributi già a 19 anni!
«Peter fu subito simpatico – riprende Amadio – I ragazzi mi parlavano di lui e mi dicevano delle sue qualità fisiche e in gruppo. Alla prima Parigi-Nizza che fece lo volli seguire nel prologo. Era duro, con una rampa finale di 400 metri ben oltre il 10 per cento. Parte e subito si mette in posizione a spingere l’11. Cavolo, faccio tra me e me, questo va forte. Sempre composto, seduto. Poi inizia lo strappo e resta seduto. Non si alza. Taglia il traguardo e ancora è seduto. Alla fine sigla il miglior tempo provvisorio e il quinto a fine tappa. Vado a parlagli e gli chiedo perché non si fosse alzato. Lui mi rispose: mi hanno detto che a crono dovevo mantenere la posizione e così ho fatto, non sapevo che potevo alzarmi. Questo era Peter!».
La forza del gruppo
La Liquigas, che nelle ultime stagioni era diventata Cannondale, ha lasciato un’immagine positiva di sé. Una squadra ben organizzata, mai fuori dalle righe. Ai tifosi di certo piaceva.
«Eravamo al Tour. Sul bus dissi: siamo la Cannondale e non possiamo non vincere. Oggi eliminiamo tutti i velocisti. Attacchiamo da lontano e vedrete che otterremo il risultato. I ragazzi fecero così. Saltarono Cavendish, Greipel… e tutti gli altri e Peter vinse. Era la forza del nostro gruppo.
«Gli ultimi acquisti furono Mohoric, Formolo, Bettiol e Moser. Moserino un talento infinito, peccato non sia riuscito ad esprimersi. Ha fatto una scelta di vita e okay… Bettiol, me lo segnalò il povero Mauro Battaglini. Mi disse: prendilo perché è un fenomeno. E infatti arrivò giovanissimo. Quando ha vinto il Fiandre non sono rimasto stupito. Da Formolo mi aspettavo qualcosa di più sul fronte dei grandi Giri. Deve capire cosa vuol fare perché va forte anche nelle corse di un giorno. E Mohoric è un ragazzo di un’intelligenza esagerata. E’ un po’ mancato nelle ultime due stagioni, ma resta un buon corridore…
«Eh sì, ne sono passati di campioni da noi. Cipollini, De Marchi, Caruso… Ma anche buoni corridori, Carlstrom, Bodnar… Ho avuto un centinaio di corridori con i quali abbiamo ottenuto oltre 200 vittorie. E’ stata una bella soddisfazione!».