Mezz’ora con Wout Van Aert, leader totale

26.11.2022
7 min
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Il capello “ordinatamente disordinato”, una lattina in mano e una gran voglia di parlare, Wout Van Aert è un vero padrone di casa al Service course della Jumbo-Visma. Dopo aver parlato con i giornalisti belgi, il campione si concede alla stampa straniera.

Una lunga chiacchierata a tutto tondo. Il corridore della Jumbo-Visma non è ancora super tiratissimo, ma sembra sulla buona via. Ha il volto disteso di chi ha osservato una (meritata) sosta rigenerativa. Dopo il mondiale è rimasto in Australia con la famiglia. Presto tornerà ad indossare i panni del crossista.

A tutta sulle classiche

I primi obiettivi su strada del 2023 sono le classiche. Le sue classiche, quelle per quali con la squadra ha già iniziato i sopralluoghi. Anche perché sembra esserci una voglia di rivincita rispetto alla passata stagione, quando il Covid gli ha impedito di prendere il via al Giro delle Fiandre.

«Covid a parte – dice Van Aert – la forma fisica era molto buona, la migliore per le classiche di primavera e per il Fiandre. Poi con quella settimana di stop mi sono ritrovato con una buona condizione anche per la Liegi e la Roubaix».

E si toglie un sassolino: «Se avessi saputo che avrei preso il Covid due giorni prima del Fiandre, probabilmente sarei andato ai mondiali di cross negli Stati Uniti. Un po’ di rimorso… Ma mi piace avere un piano ben strutturato. Penso che la stagione scorsa sia stata un ottimo esempio del fatto che non puoi sempre programmare tutto. Devi provare ad essere in buona forma al momento giusto.

«L’anno scorso ho capito come mantenere una buona forma durante le gare. Stavo bene alla Het Nieuwsblad, ma ero ancora più forte ad Harelbeke quasi un mese dopo. E mi sentivo ancora più forte alla Liegi un mese dopo ancora. Mi sono accorto al primo anno da pro’ che si trattava di qualcosa che avrei dovuto capire e penso di esserci riuscito».

Wout Van Aert, in maglia verde, è un vero leader per i compagni (che lo ascoltano moltissimo), per lo staff, per i tifosi
Wout Van Aert, in maglia verde, è un vero leader per i compagni (che lo ascoltano moltissimo), per lo staff, per i tifosi

Leader naturale

Una cosa che abbiamo notato stando “vicino” a Van Aert tra gare e ritiri, ma anche interviste in tv, è il suo essere leader. E lo è nonostante compagni importanti. Lo è per il pubblico, lo è per i tecnici. E allora gli chiediamo apertamente se lui leader si senta.

«Un pochino», replica Wout, compiaciuto. «Ogni tanto parlando con i compagni avverto una sorta di rispetto, il che è molto piacevole ovviamente. Provo sempre a impegnarmi per far sì che tutti si sentano accolti e motivati. Penso che essere leader sia nella mia natura, inoltre mi piace aiutare gli altri.

«So come ci si sente quando qualcuno è grato nei tuoi confronti e penso sia importante che tutti ricevano attenzioni, non vanno date per scontate. Il nostro non è solo un lavoro, ma anche una passione, per questo è fondamentale che tutti siano motivati».

Anche il fatto di restare in Belgio contribuisce ad alimentare questa leadership, questo carisma. Lo scorso anno ai mondiali di Leuven vedemmo dal vivo (e vi raccontammo) cos’è Van Aert per la sua Nazione. Quando è a casa e rientra dagli allenamenti ci sono decine di persone ad attenderlo.

«E ogni tanto – ammette – qualcuno bussa anche alla porta. Fa piacere, è una cosa buona. In Belgio il ciclismo è uno sport popolarissimo ed è anche per questo che faccio bei soldi, mi godo la vita e devo accettare i fans.

«Non ho assolutamente intenzione di lasciare il Belgio. Mi piace vivere vicino alla mia famiglia. L’anno scorso ho dormito più di 200 notti lontano da casa, il 70 per cento dell’anno. Il restante 30 mi piace passarlo a casa».

Ai mondiali, ma non solo, c’era un tifo enorme per Van Aert. E alla vigilia del mondiale, Leuven intonava cori in suo favore
Ai mondiali, ma non solo, c’era un tifo enorme per Van Aert. E alla vigilia del mondiale, Leuven intonava cori in suo favore

I monumenti

E casa sua è Herentals, la stessa cittadina di Rik Van Looy, un gigante del passato e uno dei pochissimi ad aver vinto tutte e cinque le classiche Monumento. Spesso ci si chiede se Van Aert, visto il suo essere eclettico, possa puntare ad un grande Giro. Ma magari prima c’è questo traguardo che non è così meno importante.

«Vincere – dice Wout – tutti e cinque i Monumenti è difficilissimo, ma non impossibile. E’ già difficile prendere parte a tutti e cinque i Monumenti in un anno. Quindi per ora mi focalizzo solo su alcune. Se adesso penso al Lombardia e alla Liegi (le più dure per lui, ndr), so che mi serve comunque un po’ di fortuna. Sono da tre anni nel WorldTour e ho vinto la Sanremo, quindi sarebbe stupido dire ora: “Okay le provo tutte e cinque”. Intanto pensiamo alla seconda, poi vedremo.

«In genere non trovo nulla davvero impossibile. E penso che sia anche questo ad avermi portato qua: altrimenti sarei ancora un corridore di ciclocross. Fare cose nuove mi motiva.

«L’anno scorso, subito dopo il Covid ho chiamato il team e gli ho detto che avrei voluto prolungare le classiche, provare la Liegi. Sarebbe stata l’occasione per capire se facesse per me. E se finisci sul podio senza una preparazione ottimale sai che nel futuro è possibile».

«Per ora il mio obiettivo è vincere: vincere più gare possibili, vincere le classiche e magari indossare la maglia iridata un giorno».

Il podio iridato della crono 2021. Per Wout fu una delusione. E sulla pressione dice: «Difficile dire che mi piaccia, ma mi fa dare il meglio»
Il podio iridato della crono 2021. Per Wout fu una delusione. E sulla pressione dice: «Difficile dire che mi piaccia, ma mi fa dare il meglio»

Su Ganna…

E chissà se tra le sfide impossibili, Van Aert mette anche il record dell’Ora. Secondo il suo compagno Affini se fosse solo una questione di “motore” Wout sarebbe in grado. 

«Cosa penso del Record di Ganna? Che è andato veloce! Non penso di poterlo battere. Lui è uno dei migliori, forse il migliore. Inoltre ha esperienza su pista, il che è molto importante per il record.

«Non sto pensando di provarci. E se non penso di provarci è anche più stupido dire: “Potrei batterlo, ma non lo farò”. Ganna ha portato l’asticella molto in alto e forse potrebbe andare ancora più veloce».

Wout racconta anche che ha seguito il record quando era in vacanza e che sua moglie si era innervosita perché si era sintonizzato sul ciclismo. Insomma anche i campioni hanno gli stessi problemi degli uomini normali! Filippo e Wout si stimano, nonostante la batosta che lo scorso anno Ganna gli ha inflitto a casa sua nella crono iridata.

«Quella in effetti – racconta Van Aert – è stata una delusione. Ho fatto quella crono perché era in Belgio, ma in realtà con il mio allenamento ero focalizzato sulla strada. Ma dopo aver perso solo di 5” ho pensato che sarei potuto andare più veloce se mi ci fossi concentrato davvero. Per questo ero così deluso».

Wout Van Aert, Strade Bianche 2020
Van Aert ha vinto la Strade Bianche nel 2020. Durante l’intervista, non ha chiuso del tutto la porta sulla sua presenza al Giro 2023
Wout Van Aert, Strade Bianche 2020
Van Aert ha vinto la Strade Bianche nel 2020. Durante l’intervista, non ha chiuso del tutto la porta sulla sua presenza al Giro 2023

Wout e l’Italia

Le chiacchiere vanno avanti. Wout non lesina parole e parla senza mezzi termini, con la sicurezza del leader anche in questo caso. Spalle dritte, volto rilassato e mento alto. Sembra che neanche ponderi quello deve dire: è naturale, sincero, soprattutto con se stesso. E dalle chiacchiere che vanno avanti spunta l’Italia. 

«Non so se tornerò alla Tirreno – spiega Van Aert – molto dipenderà dalla preparazione e dal cross. Mi pacerebbe tornare in Italia e non solo per la Sanremo, ma anche per le Strade Bianche. Bellissima. Sul Giro non so: la squadra lo fa. Vedremo…».

Van Aert ci è anche venuto in vacanza in Italia. E più precisamente in Sardegna.

«Mi piace l’Italia, ci ho corso, ci sono stato per allenarmi e ci ho fatto le vacanze. Sono stato in Sardegna. Avevo il matrimonio di un caro amico e spero di poter tornare presto perché è bellissimo. Ci sono i mari più belli che abbia mai visto. Sono stato anche in Puglia, in Costiera Amalfitana, a Firenze. E poi la pasta… Mi piace il vostro modo di mangiare: antipasto, primo, secondo… E’ così perfetto!».

Roglic riparte. Primo obiettivo: essere pronto per il ritiro

25.11.2022
7 min
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S-Hertogenbosch, Service course della Jumbo-Visma. Primoz Roglic si aggira nelle varie sale della sede giallonera come se fosse di casa, ma di fatto lo è. Lo sloveno fa parte di questo team dal 2016. E ne è una colonna portante: è stato lui a portare le prime grandi vittorie.

Quel che più si nota è la sua attenzione verso i nuovi materiali, le proposte dei nuovi sponsor. Fa domande a raffica, Primoz. Vuol sapere ogni dettaglio. Dal vestiario alle bici. Disponibile, affabile… quando è alle corse è molto più concentrato. Scopriamo una versione di lui insolita, ma decisamente piacevole.

Lo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecnici
Lo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecnici

L’infortunio

Lo avevamo lasciato dopo la caduta alla Vuelta. Ancora una volta un po’ la sfortuna e un po’ il suo modo aggressivo di correre, gli avevano presentato un conto salatissimo. L’ennesimo duro colpo alla carriera di questo ragazzo che invece è coriaceo come pochi.

Più volte ha ribadito che la sconfitta del Tour 2020 è alle spalle e se si supera uno shock simile non c’è caduta che possa fermarti. E a proposito di spalle è dalla sua spalla sinistra che ripartiamo. 

«Come va? Adesso bene – racconta Roglic – Inizio ad allenarmi lentamente. Sono passate sei settimane dall’intervento. Ogni settimana va meglio, ma ci vuole del tempo. Finalmente il movimento del braccio – e imita il gesto circolare – è quasi completo».

Primoz si era lussato una spalla già al Tour de France, durante la tappa del pavé. Se l’era rimessa in sede da solo. E poi ci era di nuovo caduto sopra nel finale della 16ª tappa della Vuelta. A quel punto dopo un periodo di stop, verso metà ottobre è stato costretto all’operazione.

Però i dubbi sono tanti. E anche per questo Primoz non si sbilancia su programmi ed obiettivi. Per esempio, i medici gli hanno vietato, di correre a piedi e lui era un habituè del running nella sua preparazione. E non è escluso che dovrà rivedere anche la posizione in bici.

«Sulla posizione in bici – dice – speriamo di non dover cambiare nulla, ma per ora davvero non lo so. Mi hanno tagliato un pezzo di osso, ci hanno messo viti un po’ troppo lunghe che sono uscite dall’altra parte, ma mi dicono che così è ancora più fissa. Lo scoprirò solo quando inizierò a pedalare».

La caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partirà
La caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partirà

Il recupero

Per Roglic si è trattato dunque di rivedere i piani. Da quella caduta sono passati tre mesi. Tre mesi in cui ha rivisto la sua vita. Passare dal dedicare tante ore al giorno alla bici a niente non è facile. Serve anche un certo equilibrio mentale e il supporto di chi ti sta intorno. Ma in questo caso Primoz aveva la sua famiglia, i suoi amici, i suoi impegni. Anche quelli con il Comitato Olimpico sloveno, di cui di fatto è diventato testimone tramite la Fondazione Cerar gestita dallo stesso Comitato.

Nella lunga chiacchierata con lo sloveno si parla chiaramente anche della stagione che verrà. Primoz ipotizza una partenza tranquilla a marzo, complice anche il suo infortunio.

«Ho un’idea sul mio inizio di stagione – dice Roglic – ma tutto dipende da come andrà ora con la ripresa. Per me il prossimo anno è un po’ un mistero. Per ora ho ripreso a fare solo dei piccolissimi giri. La settimana prossima farò un altro controllo e vediamo se mi daranno il semaforo verde per riprendere veramente. Il mio obiettivo per adesso è potermi presentare l’11 dicembre per il ritiro».

«Ma magari tutto ciò serve a qualcosa – la prende con filosofia – magari sarò più fresco in estate. Devo essere fiducioso. Per il momento sono felice così. Non ho dolore. Non riuscivo a nuotare, non riuscivo a dormire…».

Nonostante tutto, nonostante l’operazione e i tre mesi di stop gli facciamo notare che comunque è già molto magro.

«Sono pur sempre uno sportivo – esclama Primoz – devo sempre farmi trovare pronto. E poi è anche nell’interesse della fondazione (la Primoz Roglic Fundacija, ndr) che abbiamo creato con mia moglie Laura, con la quale incoraggiamo e aiutiamo i giovani atleti a condurre stili di vita corretti. Devo essere un esempio».

Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)
Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)

Sui giovani

Tra i top rider Roglic è il più “vecchio”: 33 anni. Si trova a lottare con gente che ne ha dieci meno di lui, vedi Evenepoel. E come sappiamo oggi non è facile. Si tratta di ragazzi che nascono con altri criteri, altri metodi di allenamento e meglio riescono a sfruttare la freschezza e l’esplosività che il fisico consente a quell’età. Vincere insomma è sempre più difficile, anche per uno come lui.

«I ragazzi più giovani – dice Roglic – stanno arrivando, ma questo vale per tutti. Arriverà una generazione che li supererà. Io non ci penso molto a dire il vero, preferisco concentrarmi su me stesso, sulle mie cose e farle nel modo migliore. Non c’è un giovane in particolare che mi ha colpito. Oggi i giovani arrivano e vanno forte in tutti gli sport, non solo nel ciclismo».

Sul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo sloveno
Sul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo sloveno

Il Tour in testa

Primoz racconta che ha sempre cercato di essere il numero uno e faceva le cose al 110% per esserlo. E’ stato così quando era un saltatore con gli sci ed è lo stesso da ciclista. Ma il “problema” emerge quando si è raggiunto il top. Gli obiettivi vanno ricalibrati. Per lui il grosso del focus resta il Tour de France e non necessariamente per vedersi sul gradino più alto del podio. Anche se ammette che quando ha iniziato a pedalare sognava di correre anche il Giro. 

«Se penso che posso ancora vincere il Tour? Non vedo perché no. A fine carriera – spiega Roglic – traccerò una linea e vedrò cosa ho vinto e cosa no. Io voglio continuare ancora e voglio farlo divertendomi. Finché avrò questa scintilla dentro a spingermi andrò avanti.

«Uno dei giorni per me più belli in assoluto è stato quello del Col du Granon. E’ stato bello fare parte della squadra e di quell’azione. Condividere la doccia con i ragazzi, parlarne… Io già sapevo che i miei attacchi sul Galibier servivano solo per aiutare Jonas (Vingegaard, ndr). E alla fine il nostro piano è andato anche meglio di come di quanto probabilmente ci aspettavamo. 

«Poi è stato doloroso essere a casa mentre Jonas e i ragazzi stavano lottando e vincendo il Tour, ma io proprio non potevo andare avanti… altrimenti sarei rimasto in corsa».

Giro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosa
Giro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosa

E il Giro?

Voci di corridoio lo vogliono al via del prossimo Giro d’Italia. Già ci si prepara alla rivincita della Vuelta contro Evenepoel, invece Primoz non si espone. Il percorso con tre cronometro individuali è un invito a nozze per lui. Tra l’altro l’ultima delle crono è sul Monte Lussari, ad un passo dalla sua Slovenia, ed è una zona che conosce bene.

«Ho gareggiato e vinto da quelle parti – racconta Primoz – quando ero un saltatore con gli sci. E poi ci sciavo. Non so se sarò pronto per il Giro, bisognerà vedere come andranno le cose a partire dal controllo della prossima settimana. E dai programmi che decideremo». 

Il corridore della Jumbo-Visma quando sente parlare dei 71 chilometri contro il tempo non si sofferma solo su quelli. Fa capire apertamente che per lui vanno bene anche gli altri percorsi. Quasi si sentisse ferito nell’orgoglio e ci volesse dire: «Ehi, non sono solo un cronoman».

Se il Tour è il suo pallino, il Giro non è così da meno: sia per una vicinanza geografica con l’Italia, sia perché quest’anno si passa molto vicino casa sua e sia perché è stato il primo grande Giro che ha fatto nel 2016.

Manca dalla corsa dall’edizione del “fattaccio” con Nibali verso Courmayeur che spalancò le porte del paradiso a Carapaz. Nessuno dei due voleva tirare e l’ecuadoriano ne approfittò. Roglic fu comunque terzo. Quel podio, il primo nei grandi Giri, gli diede comunque una grande consapevolezza, tanto che in autunno vinse poi la sua prima Vuelta. Ora forse è pronto per qualcos’altro

Uno di noi in Olanda, nella casa della Jumbo-Visma

24.11.2022
8 min
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Wout Van Aert ci dà il benvenuto quando entriamo nel Service course della Jumbo-Visma. Il Van Aert è ad altezza naturale ed è di cartone! Di fronte a lui subito una serie di trofei e maglie.

Olanda meridionale, circa 80 chilometri a sud di Amsterdam, siamo ad s-Hertongenbosch. «Ma qui la chiamiamo Den Bosch», ci dice subito Ard Bierens, addetto stampa che fa gli onori di casa. «La pronuncia è un po’ complicata e credo che neanche gli olandesi la conoscano col vero nome!».

Sul Col du TJV

Capannoni super moderni in vetro e cemento e costruzioni hi-tech contornano la parte orientale  di “Den Bosch”, quella che divide il centro dalla campagna. Vicino c’è un canale, sul suo margine scorre neanche a dirlo una pista ciclabile. Appena scendiamo dalla macchina, su quella pista passa una serie di ragazzi in bicicletta. Questa immagine con la pianura e una pala eolica in lontananza ci fa pensare: «Okay, l’Olanda in una foto!».

Appena entrati, prima del caffè, lo stesso Ard ci fa fare un tampone. Qui i protocolli ci sono ancora. Sbrighiamo questa pratica in uno degli uffici al piano superiore. Vi si accede con una scala… anzi attraverso un colle!

Se l’Olanda è il cuore dei Paesi Bassi, un motivo ci sarà. Pensate che siamo praticamente a quota zero. Forse un metro sul mare. Quasi come sul Muro di Sormano, nella parte verticale degli scalini ci sono le quote con la variazione di quota… espressa in millimetri! Fino ad arrivare ai ben 4.200 millimetri del Col du TJV (Team Jumbo Visma)! Insomma al piano superiore.

Due piani

La stessa scala, come un po’ dappertutto, è contornata di trofei. Ci sono anche il “nostro” Tridente della Tirreno-Adriatico e qualche maglia rosa qua e là. Ci sentiamo stranamente orgogliosi di quei premi.

«L’edificio ha un anno – ci dice Ard, mentre ci fa da Cicerone – nel tempo siamo cresciuti molto. All’inizio eravamo un piccolo team. Compresi i corridori eravamo una settantina di persone. Ora se ne contano oltre 200.

«Ufficialmente questa è anche la sede della squadra di skating (pattinaggio sul ghiaccio, ndr), ma loro hanno un altro edificio nel Nord dell’Olanda dove questo sport è più praticato».

Nei piani superiori ci sono gli uffici, che però non ricoprono tutta l’aerea dell’edificio. Oltre agli uffici ci sono tre sale presso cui fare meeting e riunioni. Un paio di queste hanno un’ampia vetrata che dà sul resto dell’edifico, quello del “service course” vero e proprio.

Nel piano inferiore una grande area d’accoglienza ci porta nel mondo Jumbo-Visma. Tutto è in ordine, tutto è funzionale. Oltre al desk, ci sono una cucina e una sala mensa. Mentre dall’altra parte del salone ci sono docce e altri ripostigli.

Nel cuore della Jumbo 

Ogni porta ha l’insegna dell’iride e il cartellino che indica a cosa è adibita. Particolari che la dicono lunga. Presto ci rendiamo conto che Van Aert non è da solo. Incontriamo Roglic, Kruijswijk, Gesink… sempre di cartone, sempre a grandezza naturale.

Il magazzino-officina è la porzione più grande, chiaramente. Per i due terzi, forse anche più, c’è questo grande spazio. Al centro un’infinità di Cervélo, i banchi dei meccanici e ai lati, su due piani, ci sono altri magazzini. Ci sono pezzi di ricambio per le bici, altri per la logistica, altri ancora per gli alimenti, i lettini dei massaggiatori… E’ come una piccola città autonoma.

«Questa aerea – dice Bierens – è la più grande, come potete vedere. Qui ci sono le bici, i banchi di lavoro e quello spazio giù in fondo è il garage. Quest’anno abbiamo acquistato un altro bus. Ora siamo a quattro. Non dimentichiamo che abbiamo anche il team development e che la squadra femminile cresce».

Carrelli di bici

Ogni corridore ha il suo spazio per le bici. Ci sono carrelli che sembrano degli appendiabiti: in mezzo il nome del corridore e poi due bici appese su altrettante staffe. Sotto, affinché il meccanico possa spostarli verso il suo banco di lavoro o magari portarli verso l’ammiraglia, ci sono le ruote.

Nella parte bassa questi carrelli hanno una grossa base, sulla quale vengono appoggiate ruote, forcelle, pezzi di ricambio… Un oggetto in comune per tutti è il casco da crono, ben conservato nella custodia.

In molti hanno già la bici nuova, con i nuovi gruppi e alcuni particolari che per questioni di marketing e contratti in essere non si possono ancora far vedere. E ora vi facciamo una domanda? Secondo voi quale corridore aveva più carrelli? Van Aert: per lui ne abbiamo contati almeno quattro. Fra bici da cross, strada, crono e colorazioni speciali, Wout fa lavorare molto i suoi meccanici.

Ogni banco di lavoro è un piccolo paradiso della tecnica. Pulito, con attrezzi di ogni genere. Ai lati di ognuno, ci sono un compressore e un macchinario particolare che serve per il rodaggio dei cuscinetti delle ruote. Sopra, chiaramente, attrezzi e alcuni strumenti specifici. Un particolare che ci ha colpito è stata la quantità di cavi elettronici per i gruppi. Impressionante. Basti pensare che hanno un cesto apposito per il loro smaltimento.

Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour
Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour

Sponsor day

Ed è un vero brulicare di persone, meccanici e, man mano che va avanti la giornata, anche di corridori. E sono proprio questi che scandiscono i tempi di questa efficiente macchina organizzativa. Ognuno ha una tabella da rispettare, ben scritta su un foglio. 

Siamo capitati nel giorno in cui i nuovi sponsor forniscono i materiali. Si va dal dopo corsa ai giubbini refrigeranti, dagli integratori alle scarpe… per finire alle foto… cartolina. Ci sono almeno tre set fotografici in altrettanti parti del Jumbo-Visma service course.

Un corridore va a ritirare il giubbino, l’altro a fare la foto con gli integratori. C’è chi riconsegna il vecchio materiale in eccesso. Kruijswijk, per esempio, aveva un valigia grande piena di maglie ancora avvolte nella plastica. Chi riportava questo vestiario lo metteva in due enormi cesti grigi. Queste divise poi dovrebbero andare in regalo, in premio, in qualche serata di beneficienza… Forse è l’unica cosa in cui in Jumbo-Visma hanno le idee meno chiare!

Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!
Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!

Già in ricognizione

I ragazzi parlano fra loro, tra un caffè e un appuntamento nella loro scaletta. Jonas Vingegaard, re del Tour, ha un grosso cappotto verde militare. Lo avvolge che sembra un bambino. Umilissimo, semplice e già molto magro. Roglic invece indossa una giacca di pelle. Anche lui magrissimo, è super interessato ad ogni aspetto tecnico: scarpe, bici… Foss potrebbe fare l’intrattenitore. Sempre con un bicchiere di the, caffè o cola in mano e sempre ad attaccare bottone con qualcuno.

Mentre non si vedono Van Aert, Laporte, Affini «Sono a fare la ricognizione – ci spiega Bierens – In questi due giorni erano in Belgio. Ieri hanno provato gli ultimi 120 chilometri di E3 Harelbeke e oggi (ieri, ndr) il finale del Fiandre. Ma tra poco saranno qui anche loro». E infatti eccoli spuntare. «Volevamo fare dei test con i nuovi materiali prima dell’inverno», ci dice Edoardo.

Il futuro è ora

Intanto dalla zona dove è parcheggiato il bus arriva un certo rumore. «Stanno preparando – dice Bierens – la festa di domani sera (oggi, ndr). Un party tra di noi, per festeggiare l’ottima annata del team. Ci sarà tutto lo staff. Abbiamo vinto il ranking UCI.

«Ma prima facciamo la riunione. Una riunione importante. Quando siamo nati avevamo l’obiettivo di vincere il Tour entro sette anni. Ci siamo riusciti. E adesso? Cosa vogliamo? Dove vogliamo andare? E’ importante ragionare così e farlo tutti insieme. Perché è in questo modo che crei una solida base, che hai le idee chiare e dai sicurezza agli sponsor che ti sostengono nel lungo periodo».

Questa ultima frase dice tutto della Jumbo-Visma. Nel frattempo è sceso il buio. La pista ciclabile non si vede in più e su Den Bosch scende la pioggia. 

Nel pianeta della crono e dei limiti tecnici con Affini

18.11.2022
6 min
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Tecnologia, potenza, scienza, velocità: un cronoman deve unire tutto ciò. Ma saperlo fare (bene) quando si è a tutta è cosa per pochi. Tra questi pochi c’è sicuramente Edoardo Affini. Il mantovano, da casa sua, dove vi avevamo già portato, ci guida nel mondo della crono. Specialità tanto complessa quanto affascinante. 

Con il corridore della Jumbo-Visma ne parliamo a tutto tondo. La sua crono e quella dei suoi rivali. Sconfinando anche sulla pista e tutto ciò che lega un ciclista che corre contro il cronometro.

A tu per tu con Edoardo Affini (classe 1996)
A tu per tu con Edoardo Affini (classe 1996)
Edoardo sei nel team giusto per essere un cronoman?

Credo proprio di sì. In Jumbo la crono è una filosofia che si ripercuote in tutti i settori. Significa avere attenzione massima ai dettagli e cercare di migliorarsi sempre. Una filosofia che se vogliamo si è vista anche dopo la nostra vittoria al Tour con Vingegaard. Questo era il nostro primo obiettivo da anni e una volta raggiunto ci siamo chiesti: «E adesso”? Cosa si può migliorare?». Nel caso della crono si pensa subito ai materiali. E’ una disciplina in cui contano i secondi, per questo ogni dettaglio è importante. Pensate, Foss, mio compagno, ha vinto il mondiale per appena 3”.

Quali sono per te i campi dove lavorare per migliorare?

Sulla posizione sicuramente, specialmente dopo le misure nate dai nuovi regolamenti. Per quel che mi riguarda potrei alzarmi un po’ con i gomiti e quindi chiudermi un po’ (alla Evenepeol, ndr). L’idea una volta era di schiacciarsi sempre di più e di scendere con la testa, al netto della sicurezza come abbiamo visto con Bernal, adesso invece la tendenza è quella di alzare le mani. E poi credo si possa lavorare molto sui caschi e le loro dimensioni.

Ed è un vantaggio per te?

Sì, ma anche gli altri lo faranno, quindi non credo cambierà moltissimo.

Van Aert… con Van Aert! Il suo manichino a grandezza naturale prodotto dal TUe di Eindhoven per i test in galleria del vento
Van Aert… con Van Aert! Il suo manichino a grandezza naturale prodotto dal TUe di Eindhoven per i test in galleria del vento
Dove fate i test?

Abbiamo una partnership con l’Università di Eindhoven, lì in galleria del vento si svolgono tutti i nostri test. Ci sono dei modelli a grandezza naturale di Roglic e Wout (Van Aert, ndr) ma presto credo anche di Foss e di Vingegaard. L’idea del manichino è ottima, perché se fai dieci prove con l’atleta non saranno mai davvero uguali. E’ difficile che si riposizioni perfettamente allo stesso modo. Con il manichino invece puoi farlo e il test diventa ripetibile.

Hai parlato di dettagli, quali sono quelli che a tuo avviso fanno la maggior differenza?

Per me – ribatte senza indugio Affini – è il mantenimento della posizione. Puoi fare tutti i test che vuoi in galleria del vento. Puoi trovare una posizione eccellente, ma se poi in gara ti scomponi perdi quei vantaggi. Non solo devi trovare una posizione che sia efficiente, ma anche che tu sia in grado di mantenere mentre spingi. Ci si lavora da sempre. Prendiamo appunto il discorso della testa che deve stare “alta”… Adatti il tuo fisico ad una posizione che non è comoda, ma è ideale.

E tu che stato hai raggiunto tra posizione e materiali?

Direi buono. Bisogna sempre migliorarsi e vedremo con la nuova posizione, ma anche con i materiali e le bici (Cervélo, ndr) mi trovo bene: a crono e su strada. Davvero due bici… stabili, non flettono. E se lo dico io che sono grosso!

Il corridore della Jumbo-Visma agli ultimi mondiali a crono è arrivato 13°
Il corridore della Jumbo-Visma agli ultimi mondiali a crono è arrivato 13°
Cambiamo un po’ discorso, Edoardo: come hai seguito il record dell’Ora di Ganna?

Ero in hotel, alla vigilia della Parigi-Tours. Una prestazione incredibile. Uno non ci pensa ma è stato qualcosa d’incredibile: lui e lo studio esagerato che c’era dietro.

Da cronoman come hai vissuto quei 60 minuti? Cosa ti passava nella mente?

L’ho vissuta che avevo il mal di gambe! Sapendo cosa ha fatto Pippo per arrivare a quel momento e cosa gli è servito, c’è solo da togliersi il cappello. In più dopo le polemiche in seguito al mondiale chiaro-scuro a livello psicologico, è stato una grande cosa. Ne ha avute molte di rotture: lo fa, non lo fa, “lascia prima la nazionale per cose sue”… Non è stato facile.

Edoardo Affini con il suo fisico possente ci pensa al record dell’Ora?

Può pensare di farlo – risponde dopo una breve pausa e una smorfia di sorpresa – ma c’è bisogno di un vero piano tecnologico. Di uno studio avanzato. Non è qualcosa che fai da solo. E sul piano fisico bisogna fare uno sforzo che nelle corse normali non si fa. Tanto più che le crono da un’ora non ci sono più. L’ultima crono veramente lunga risale al mondiale dello Yorkshire nel 2019.

Serve dunque un supporto tecnico totale e chi crede in te: la Jumbo Visma sarebbe interessata?

Forse… A livello di materiali sicuramente. Cervélo di certo ne sarebbe attratta, tanto più che loro già hanno una connessione con la pista. E lo stesso vale per gli altri settori, penso alle gomme per esempio. Poi andrebbe pianificata molto bene nell’arco della stagione e non solo per gli impegni, ma anche perché come ha detto Pippo non hai voglia di fare tanti tentativi!

Tra Team Jumbo-Visma e Cervélo c’è grande attenzione ai dettagli: avrebbero le capacità per dare assalto al record dell’Ora (foto Cervélo)
Tra Jumbo-Visma e Cervélo c’è grande attenzione ai dettagli: avrebbero le capacità per il record dell’Ora (foto Cervélo)
In effetti è piuttosto doloroso! Per te chi può battere questo Record?

Potrebbe riuscirci Stefan Kung per la sua struttura e perché gli piacciono le sfide. 

E il tuo compagno Van Aert?

Non so se sia una sua ambizione. Lui ha anche il cross e riuscire ad incastrare tutto sarebbe davvero complicato. Anche per differenza di sforzo.

Tu e Ganna siete cresciuti insieme e lo battevi anche: com’è ritrovarcisi tra i pro’? 

E’ uno stimolo. Abbiamo la stessa età ed è da quando siamo allievi che ci scorniamo, ma per ora lui è il numero uno: c’è poco da girarci intorno. Dal canto mio, sono sempre lì a cercare di migliorarmi.

La differenza è solo nel “motore” o anche nella guida? Nel prologo di Torino per esempio Ganna fece una bella differenza anche nelle curve…

Di sicuro ha rischiato di più, ma certe cose magari le fai anche perché sei più sicuro di te stesso. Insomma, aveva già vinto il mondiale.

Voi cronoman vi confrontate mai sulle scelte tecniche prima di una gara?

Sì, qualche commento lo facciamo, ma non ci facciamo influenzare. Fatta una scelta, quella è. E poi più o meno sappiamo cosa useremo. Al massimo uno può usare una ruota da 55 millimetri e un altro una da 60, per dire, ma siamo lì. I rapporti per esempio sono quelli: di solito è il 58.

Per Affini non sarebbe facile inserirsi al 100% nei quartetti di Marco Villa
Per Affini non sarebbe facile inserirsi al 100% nei quartetti di Marco Villa
Sappiamo che non è facile rispondere ma ti piacerebbe provare un’altra bici da crono? Ce n’è qualcuna che ti incuriosisce?

Come ho detto, con Cervélo mi trovo bene, la nostra bici da crono è ottima e non la cambierei. Ma se proprio dovessi sceglierne un’altra, a questo punto direi la Pinarello di Pippo.

Restiamo sempre in ambito aero e crono: pensi mai che potresti essere nel quartetto? Gente come te, Ganna, Milan… siete tutti “bestioni”. E tu hai fatto pista in passato.

Adesso credo che non sia sensato né possibile entrare a far parte di quel gruppo così affiatato. Oltre a loro ci sono dentro già i ragazzi juniores e under 23 in quel movimento, come è giusto che sia. E sinceramente non credo sia il mio posto. In più il mio ultimo quartetto l’ho fatto da junior.

Però tecnicamente potresti starci?

Fosse solo per una questione tecnica o mentale, ci potrei anche stare: ho un’idea di cosa mi aspetterebbe. Però non so se sarei in grado di esprimermi al 100%. Dovrei organizzare bene gli impegni con la strada. Poi è anche vero che ti ricordi di Viviani, che è stato il primo a dimostrare che se bene calibrati, si possono conciliare gli impegni dell’una e dell’altra specialità. Ma la doppia attività non è per tutti.

Jumbo campione: il ranking e il senso di squadra

24.10.2022
5 min
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Ranking Uci: spesso ne abbiamo parlato nel corso di questa stagione. E lo abbiamo fatto soprattutto in relazione al discorso dei punti e delle retrocessioni. Ma c’è anche chi, questa classifica, questo ranking appunto, lo ha vinto ed è la Jumbo-Visma.

Lo squadrone giallonero è stato il più costante in tutto l’arco dell’anno. Ha messo nel sacco 48 vittorie con 12 corridori diversi. La prima vittoria il 12 gennaio, il campionato nazionale australiano a crono a firma di Rohan Dennis, e l’ultima il 4 ottobre, la Binche-Chimay-Binche, a firma di Christophe Laporte. Nel mezzo anche il Tour de France.

Ard Bierens pronto ad assistere Van Aert (qui con Ganna) al termine dell’ennesima gara
Ard Bierens pronto ad assistere Van Aert al termine dell’ennesima gara

A braccia alzate

Ard Bierens è l’addetto stampa della corazzata olandese e ci racconta di come è stato perseguito questo obiettivo.

«Vincere un ranking – spiega con il suo ottimo italiano – è sempre bello, ma siamo sinceri: preferiamo vincere quando arriviamo a braccia alzate sul traguardo. E’ un altro livello di adrenalina. Chiaramente siamo felici di essere stati i numeri uno quest’anno e anche nell’arco delle tre stagioni».

Bierens si riferisce appunto al ranking a squadre dell’Uci che ha decretato le squadre retrocesse che, per onor di cronaca, sono state la Israel Premier Tech e la Lotto Soudal.

«La voglia di vincere questa classifica c’è comunque stata. Un anno fa praticamente, cioè all’inizio della stagione, ci siamo dati un target preciso e cioè vincere. Vincere tante gare e vincere il Tour. Il ranking non era una priorità in tal senso, ma volevamo conquistarlo con le vittorie».

Il logo da campioni

Non sarà stata una priorità, però la gioia non è mancata. Quel senso di appartenenza è emerso alla lunga. E’ chiaro che l’adrenalina del momento è diversa. La scarica di emozioni che può dare il tagliare un traguardo in testa, vincere una volata o ancora di più una cronosquadre è un’altra cosa. Si parla di qualcosa di tangibile. 

Marco Pinotti qualche mese fa ci disse che nel ciclismo non c’è niente di più forte che la vittoria di una cronosquadre per rafforzare il gruppo.

«Chiaramente – riprende Bierens – siamo stati felici di questo successo. E’ frutto di un grande lavoro da parte di tutti. Giusto qualche giorno fa l’Uci ci ha inviato i loghi di miglior team da mettere sulle ammiraglie e sulle maglie. E in più abbiamo ricevuto un trofeo per il triennio 2020-2022. Credo che a fine novembre quando ci ritroveremo tutti insieme in ritiro faremo una bella festa».

Uno per tutti

La cosa bella di un ranking a squadre è che tutti possono contribuire. E’ come una grande corsa a tappe. Contribuisce chi tira, chi vince, chi si piazza e porta punti alla causa. Il senso di appartenenza aumenta.

«Credo – spiega Bierens – che che la voglia di vincere questa classifica sia stata uguale per tutti: dagli atleti ai direttori sportivi».

E quando in squadra hai un certo Wout Van Aert che da solo ha portato il 30% dei punti vuol dire tanto. Vuol dire che un atleta così è una certezza e anche gli altri possono stare più tranquilli.

«Wout è il miglior esempio di uomo squadra. E il ciclismo è un “team sport”, non è uno sport individuale, specialmente oggi. Wout vince, conquista la maglia verde, è importante per Vingegaard e per Roglic».

E ci sentiamo di aggiungere che decide anche a chi spetta la gloria quel giorno. Ci riferiamo all’esempio di Laporte al Tour.

Quel giorno, visto anche il finale che poteva essere favorevole al passistone francese, Van Aert dopo aver scortato Vingegaard ai -3 chilometri della neutralizzazione, ha agevolato anche Laporte e poi si è fatto da parte. Se non è squadra questa?

Pensate che stimoli che poteva avere Christophe il giorno dopo. Avrebbe dato il 110% per i suoi compagni. 

Infine Bierens chiude con una frase semplice ma che dice tutto.

«Pogacar da solo è difficile da battere, ma noi tutti insieme, come una squadra, sappiamo che possiamo batterlo».

Christophe Laporte: un grande anno verso Parigi 2024

18.10.2022
5 min
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E’ un po’ il destino dei mondiali di ciclismo. Passano i giorni e ci si ricorda del vincitore, molto meno di chi lo ha accompagnato sul podio. Il fatto è che quello di Christophe Laporte è un secondo posto di spessore, definirlo il “primo dei battuti” come storicamente si fa nell’ambiente sarebbe riduttivo se non addirittura errato. Perché quel secondo posto, seppur lontano dal dominante Evenepoel, ha grandi significati che sfociano nel passato e nel futuro.

Il francese della Jumbo-Visma, approdato quest’anno nella corazzata olandese, è stato una delle grandi sorprese dell’anno, innanzitutto perché ha portato a casa qualcosa come 5 vittorie, poi perché ha saputo ritagliarsi uno spazio importante in una formazione, quella piena di big, che non era scontato. Nell’anno delle sfortune e delle difficoltà dell’ex iridato Alaphilippe, il quasi trentenne di La Seyne sur Mer si è sostituito al popolare LouLou mantenendo il ciclismo transalpino in prima pagina. Chiusa la stagione con la Parigi-Tours, Laporte si è sottoposto di buon grado alle nostre domande.

L’ultima vittoria della stagione, al Memorial Vandenbroucke. Per lui 5 successi e 12 Top 10
L’ultima vittoria della stagione, al Memorial Vandenbroucke. Per lui 5 successi e 12 Top 10
Come giudichi questo tuo primo anno alla Jumbo-Visma?

Decisamente positivo, oltre le mie aspettative. Ci sono stati molti momenti davvero speciali, credo di poter dire di aver lasciato il segno in generale in una stagione eccezionale per il mio team.

Molti pensavano al tuo arrivo che avresti fatto da supporto ai capitani, invece hai recitato un ruolo primario, soprattutto nelle corse in linea. Con che spirito sei entrato in squadra e che accoglienza hai trovato?

Tutto è nato al primo approccio con i dirigenti del team. Avevo chiesto espressamente se dovevo entrare come un semplice gregario o avrei avuto anche i miei spazi, era un fattore importante per la mia scelta considerando che non sono un ragazzino e ogni decisione non è detto abbia margini di cambiamenti. Questi spazi mi erano stati garantiti e alla fine mi sono stati dati anche oltre le mie speranze, ho avuto un ruolo centrale sia come finalizzatore, ma anche, anzi soprattutto in supporto ai capitani. Era importante per me poter puntare con decisione alle classiche e la squadra mi ha supportato nella maniera migliore.

Il francese con Vingegaard e Van Aert. Il clima nel team è per lui l’arma in più
Il francese con Vingegaard e Van Aert. Il clima nel team è per lui l’arma in più
Visti i risultati di questa stagione, hai mai pensato che in un altro team avresti avuto maggiore libertà, soprattutto nei grandi giri?

No, ho potuto avere le mie possibilità ma soprattutto ho potuto gioire dei successi dei compagni. Abbiamo lavorato bene tutti insieme. Poi vincere una tappa al Tour de France per un francese vale tantissimo.

Laporte è un grande interprete delle classiche, ma ha le caratteristiche per poter far bene anche nelle corse a tappe?

Stando alla Jumbo Visma non è un problema, le mie caratteristiche sono quelle di un corridore da corse di un giorno, abbiamo molti capitani per le gare a tappe come Roglic, Vingegaard, anche Van Aert, alla classifica pensano loro e io posso dare loro un aiuto, ma io sono contento degli spazi che mi sono ritagliato. Ci potranno anche essere occasioni per far bene, al Giro di Danimarca credo di averlo dimostrato, certamente non può essere il Tour de France, almeno non per la classifica. Credo comunque che posso ancora crescere e impratichirmi nella gestione del team per una breve corsa a tappe. Il mio obiettivo restano però le classiche. 

L’abbraccio con Van Aert all’arrivo di Cahors, Tour ’22. Una vittoria in “stile Laporte”
L’abbraccio con Van Aert all’arrivo di Cahors, Tour ’22. Una vittoria in “stile Laporte”
Torniamo a Wollongong: l’argento mondiale lo vedi come una medaglia guadagnata o un’occasione perduta?

Su questo non ho dubbi, una medaglia d’argento è una medaglia conquistata. Quando sali sul palco significa che hai vinto qualche cosa, al mondiale essere sul podio è un grande risultato, c’è stato solo un corridore che ha fatto meglio, tutto qua. Alla fine ero contento e credo che si sia visto.

Visti i tuoi risultati, ora molti in Francia sognano un tuo trionfo a Parigi 2024. Alle Olimpiadi ci stai pensando e che valore hanno per te?

Assolutamente sì, sono un obiettivo primario. Partecipare alle Olimpiadi è il sogno di tutti, figuriamoci poterlo fare a Parigi per un francese come me. Ci sto pensando e so che posso far bene. Per ora il mio pensiero è guadagnarmi la selezione, ma poi certamente partirò con un preciso obiettivo in mente, trasformare un sogno in realtà, perché è quella corsa che può contraddistinguere un’intera carriera, è la più importante di tutte.

Laporte con Evenepoel e Matthews. Ai mondiali ha vinto lo sprint dei battuti a 2’21” da Remco
Laporte con Evenepoel e Matthews. Ai mondiali ha vinto lo sprint dei battuti a 2’21” da Remco
La Francia ha vissuto nel ciclismo su strada una lunghissima crisi, ora con te, Alaphilippe e molti altri è tornata protagonista: che cosa è cambiato?

Non parlerei proprio di crisi nel ciclismo su strada perché nel corso degli anni ci sono sempre stati corridori molto buoni. Forse non siamo il Belgio che vive di ciclismo, ma se guardate bene ora abbiamo una bella generazione di campioni. Molti però vedono solo il fatto che siamo tutti orientati verso le classiche e non ci sono grandi specialisti per i giri di tre settimane. Il Tour de France manca ai nostri corridori da decenni e questo pesa. Le cose però sono convinto che stiano cambiando, dagli junior stanno uscendo fuori autentici talenti per le corse a tappe e quindi il ricambio non mancherà. Il ciclismo francese ha davanti a sé un gran bel futuro e io nonostante i miei 29 anni voglio farne parte.

Affini, pensieri e parole di un giorno da leader

23.08.2022
5 min
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Sono passati sette anni da quando Aru vestì per l’ultima volta la maglia rossa della Vuelta e quest’anno ancora nessun italiano era mai stato leader fra Giro e Tour. Saranno piccole cose, ma si capisce bene perché sul podio della Vuelta a Breda, due giorni fa, Edoardo Affini avesse un sorriso pieno di orgoglio e soddisfazione. L’ultima volta che aveva indossato una maglia di leader fu al Giro d’Italia U23 del 2018, quando vinse il prologo e conquistò la rosa. Oppure la maglia dei giovani al Giro di Norvegia del 2019. Al Giro del 2020 dice scherzando, ha avuto la ciclamino in prestito da Ganna, che aveva preso la rosa.

«Penso che sia una cosa che non capita tutti i giorni – dice il mantovano della Jumbo Visma – è ovvio che essere leader in uno dei tre grandi Giri sia motivo di orgoglio. E’ stato bello finché è durato, anche se per un solo giorno. Anzi no, sono stato leader anche nel giorno di riposo (ieri, ndr), anche se la maglia non l’ho messa per allenarmi. Mi sarebbe sembrato troppo da convintone…».

Roglic a sorpresa

Sull’arrivo di oggi a Laguardia il primato è passato sulle spalle di capitan Roglic. E se la staffetta della leadership fra gli uomini del team olandese finora era stata concordata, il primato dello sloveno è capitato, ma non era stato progettato. La giornata è stata durissima. Prima ora oltre i 47 di media. Temperatura fra 33 e 35 gradi, mentre ieri il cielo era velato e la temperatura più gradevole. Bilancio giornaliero (per Affini) di 4.500 calorie e 14’13” di ritardo. Edoardo è un tipo spiritoso, capace di una bella ironia. Il suo racconto è coinvolgente…

Una giornata niente affatto banale, insomma…

Neanche un po’. C’erano strappi duri e il mio compito era portare la testa del gruppo ai piedi della salita ai meno 20 dall’arrivo. Poi ho potuto rialzarmi e mi sono goduto i tifosi. Nei Paesi Baschi sono belli… motivati, per cui anche se ero staccato, sentivo che mi indicavano e parlavano del leader.

E’ vero che il passaggio della maglia fra compagni di squadra è stato organizzato?

A Utrecht, avevamo deciso che se avessimo vinto la crono, sarebbe passato per primo Robert (Gesink, ndr). Il giorno dopo ha fatto la volata Mike Teunissen e l’ha presa lui. E a Breda mi hanno detto che se ci fossero state le condizioni, sarebbe toccato a me.

Così adesso toccherà a Kuss come si è scherzato nelle interviste?

Ho qualche dubbio che, avendola Roglic, ora sia così facile da passare. Ma non si può mai dire (ride, ndr).

Dopo il podio della maglia rossa, l’abbraccio della compagna olandese Lisa (foto Bram Berkien)
Dopo il podio della maglia rossa, l’abbraccio della compagna olandese Lisa (foto Bram Berkien)
Cosa cambia ad andare alle partenze da leader?

Senti più persone che ti chiamano e ti cercano per un autografo. E poi la cosa curiosa di stamattina alla partenza è che il corridore con la maglia a pois schierato accanto a me, Julius Van den Berg, è stato mio compagno di squadra da U23 alla Seg Academy Racing. Ci siamo guardati e ci siamo detti che alla fine qualcosa di buono siamo riusciti a farla. Poi è vero che tutti e due abbiamo perso la nostra maglia, ma la soddisfazione resta.

Che effetto ha fatto essere presentato come leader al foglio firma?

Basta considerare il fatto che abbiamo in squadra uno che l’ha vinta tre volte e quindi l’entusiasmo e le aspettative sono altissime? Un gran bell’effetto, niente da dire…

Dicevi che oggi non era nei piani la maglia per Roglic.

Non era nostra intenzione tirare a quel modo. Bisognerebbe chiedere alla Bora perché si siano messi a fare quell’andatura. Forse volevano gli abbuoni del traguardo volante? Ognuno fa le sue scelte, bisognerebbe chiedere a Fabbro perché si siano mossi così. Comunque abbiamo messo uno davanti e li abbiamo aiutati.

Nella tappa da leader, Affini ha tirato come se nulla fosse
Nella tappa da leader, Affini ha tirato come se nulla fosse
Il fatto che fossi leader ha cambiato il tuo ruolo in corsa?

Non è cambiato niente. Se non avesse tirato la Bora, saremmo stati davanti in due. Invece, come dicevo, abbiamo messo Teunissen e sono riuscito a salvarmi per un po’ e per fare il lavoro che avrei dovuto fare.

Hai mai pensato di poterla tenere?

Impossibile (ride, ndr). Dovevo lavorare, il percorso era duro ed è stata comunque una bella giornata. Ma siamo alla quarta tappa della Vuelta, sarà lunga e avrò da lavorare, soprattutto adesso che la maglia l’ha presa Primoz.

Qualcuno si è lamentato che le strade olandesi siano state pericolose…

Ho letto le interviste. Partendo dal presupposto che in Olanda le strade sono piene di infrastrutture e che per far passare la Vuelta abbiano tolto rotonde, attraversamenti e spartitraffico, poteva andare molto peggio. Ci sono stati dei passaggi particolari, i paesi pagano per avere la corsa e non si può pretendere di andare sempre sugli stradoni. Diciamo che non sono stati giorni semplici. Il vento non ha influito, ma appena c’era un soffietto, erano tutti davanti, immaginando di fare chissà cosa…

A Laguardia vince Roglic, quarto corridore Jumbo Visma in rosso
A Laguardia vince Roglic, quarto corridore Jumbo Visma in rosso
Santini ha realizzato una maglia rossa per l’Olanda e una per il resto della Vuelta: quale ti piace di più?

La rossa classica, quella olandese però era perfetta per quel tipo di evento.

Ora che la maglia è andata, cosa ti resta nella valigia?

Mi resta la maglia, anzi le maglie, perché sono l’unico ad aver avuto entrambi i tipi. E quelle non me le tocca nessuno. Poi c’è qualche pupazzetto, ma so già che mi toccherà regalarli. Così alla fine, ciò che resta davvero è un’esperienza impagabile. Quella continuerò a portarmela dentro a lungo.

Dennis, le mille facce di un campione complicato

20.08.2022
5 min
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La carriera di Rohan Dennis è come una gimkana, piena di svolte. L’ultima risale a pochissime settimane fa: l’australiano aveva appena vinto la medaglia d’oro ai Giochi del Commonwealth (foto di apertura Getty Images) e quella di Birmingham non era stata una vittoria qualsiasi.

«Ho sempre amato tutto quello che riguarda i “Giochi” – aveva detto – ero già salito sul podio nel 2014 e avevo anche conquistato una medaglia alle Olimpiadi, ma mai avevo vinto l’oro in una manifestazione plurisportiva e per me ha un valore prezioso».

Pochi giorni dopo, Dennis disertava la gara in linea, venendo ricoverato in ospedale perché accusava un non meglio identificato malore. Poi, è notizia di ieri, ha preso il via alla Vuelta, come colonna per la Jumbo Visma al servizio di Roglic a caccia del poker e che ha pilotato il team alla vittoria nella cronosquadre di apertura.

Dennis Vuelta 2022
L’abbraccio con Affini al termine della cronosquadre della Vuelta, vinta con 13″ sulla Ineos
Dennis Vuelta 2022
L’abbraccio con Affini al termine della cronosquadre della Vuelta, vinta con 13″ sulla Ineos

Un nuotatore mancato

C’è da perderci la testa, ma a ben guardare è sempre stato così, sin dagli inizi. D’altronde Rohan il ciclista neanche lo voleva fare. Da ragazzino il suo mito era Kieren Perkins, doppio oro sui 1.500 stile libero di nuoto. Voleva assolutamente seguire le sue orme, ma a scuola erano di parere diverso. Bisogna sapere che ogni ragazzino australiano viene sottoposto al Talent Identification Program, in cui attraverso una serie di test si stabilisce quale sia la disciplina sportiva più adatta e nel suo caso risultò il ciclismo. Rohan, diffidente per natura, era poco propenso ad accettare di cambiare. «Vabbé, io mi alleno e verrà buono per il nuoto» pensava. Dopo tre mesi era talmente coinvolto che al nuoto non ci pensava più…

Dennis non ha un carattere facile, lo ammette lui stesso. Un giorno ammise sinceramente: «Non so davvero come faccia la mia ragazza a starmi accanto. Quando perdo, quando anche la più piccola cosa non va come dico io mi butto giù e lei mi ammazzerebbe… Mi ricorda sempre tutto quello che ho vinto, quello che ho fatto, mi fa vedere l’altro piatto della bilancia». Non si tratta d’altro canto di una donna qualsiasi, ma di Melissa Hoskins, oro iridato con il quartetto nel 2015.

Melissa Hopkins 2019
La moglie di Dennis, l’ex iridata d’inseguimento a squadre Melissa Hoskins con il figlio Oliver
Melissa Hopkins 2019
La moglie di Dennis, l’ex iridata d’inseguimento a squadre Melissa Hoskins con il figlio Oliver

Odia dire: «Te l’avevo detto…»

Molto, nella sua evoluzione, è dipeso e dipende dall’ambiente. A dir la verità non ce n’è stato uno che gli si sia adattato come un vestito su misura, ha sempre trovato qualcosa che alla fine ha corroso i rapporti. Un giorno, intervistato da Procycling, dette una spiegazione a tutto ciò: «Non sono i problemi grossi che mi infastidiscono, ma le piccole cose, quelle che con un pizzico di attenzione e di cura eviteresti. Non sopporto di dire “te l’avevo detto”, ma tante volte non vengo ascoltato ed ecco che poi saltano fuori le magagne».

Tanti hanno provato a dirgli di prendere tutto più alla leggera, ma non è da lui: «Non riesco a girare intorno alle cose, se c’è un problema devo risolverlo e ci sbatto la testa finché non l’ho fatto, il resto passa tutto in second’ordine».

Dennis Bahrain 2019
Dennis affranto esce dal pullman della Bahrain: il Tour 2019 si è chiuso anzitempo e malamente
Dennis Bahrain 2019
Dennis affranto esce dal pullman della Bahrain: il Tour 2019 si è chiuso anzitempo e malamente

Il misterioso Tour 2019

Un esempio classico è quanto avvenuto al Tour 2019. Al tempo Dennis corre per la Bahrain-Merida. Ha puntato tutto sulla 13ª tappa, la crono di Pau, per questo ha anche evitato di guardare alla classifica, per non disperdere energie. Il giorno prima, alla Tolosa-Bagneres de Bigorre, arriva al chilometro numero 80, scende dalla bici e sale sull’ammiraglia. Non una parola, non una spiegazione. Ai diesse che chiedono risponde lapidario: «Non ne voglio parlare». Arriva al bus posto al traguardo, entra e scoppia in un pianto dirotto. I giornalisti assediano il bus, chiedono spiegazioni, ma nessuno ne ha. L’unica risposta ufficiale è in un laconico comunicato nel quale, oltre ai classici ringraziamenti, Dennis dice che ritirarsi è stata la cosa giusta perché il suo stato d’animo non era dei migliori.

A tal proposito è molto interessante rileggere il resoconto di quelle difficili settimane che lo psicologo David Spindler ha raccontato a Cyclingtips. Spindler, molto esperto nel mondo del ciclismo professionistico, andò a prenderlo direttamente a Pau per riportarlo ad Andorra e iniziò a lavorare con lui in profondità. Innanzitutto gli azzerò i social, perché era solito leggere i commenti e deprimersi per quelli avversi. Poi lo spinse a vivere più in profondità in famiglia.

Famiglia della quale per due settimane entrò a far parte anche lui: dava una mano a Melissa nelle faccende domestiche e nell’accudire il bambino e al contempo ascoltava i suoi sfoghi. Addirittura si metteva sullo scooter per seguire i suoi allenamenti e spesso fargli fare dietro motori: «Doveva sentire la presenza di chi gli era più caro». Un lavoro che sembrava una goccia cinese, tale da scalfire la sua diffidenza e il suo pessimismo, finché un giorno si risvegliò col sorriso. Dieci giorni dopo avrebbe vinto il titolo mondiale…

Dennis Birmingham 2022
L’australiano alla conquista dell’oro ai Giochi del Commonwealth 2022 (foto Getty Images)
Dennis Birmingham 2022
L’australiano alla conquista dell’oro ai Giochi del Commonwealth 2022 (foto Getty Images)

Per la Ineos parole pesanti

Il divorzio dal team era scontato e imminente, sarebbe arrivato un paio di mesi dopo, al termine dei mondiali. «Non era l’ambiente giusto per me e il mio malessere stava condizionando anche la mia situazione familiare, cosa intollerabile. Dovevo cambiare».

Con la Ineos Grenadiers, dov’è rimasto per tre anni abbondanti, le cose non sono andate poi molto diversamente, anche se dalle sue parole al momento dell’addio non traspare astio. Ma critiche sì, neanche tenere.

«Si sono un po’ accontentati di dove si trovavano e quel che hanno fatto. Sono stati in cima per una decade abbondante e per certi versi si sono un po’ cullati sugli allori. Uae Team Emirates e Jumbo Visma nel frattempo hanno costruito il loro castello mattone su mattone. Negli ultimi due anni i corridori di valore c’erano, eccome, ma ci si chiedeva perché non si vinceva come prima. Ma i corridori non bastano. La Ineos per anni è stata la punta della piramide tecnologica, ma ora il predominio ce l’abbiamo noi alla Jumbo Visma, mai stato in una squadra come questa». Per quanto la penserà ancora così?

Malori: «La Jumbo-Visma ha corso in modo rivoluzionario»

29.07.2022
5 min
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Quando squilla il telefono ed è Adriano Malori, si può stare certi che le considerazioni che ha in “canna” non sono banali. E infatti il discorso sulle tattiche di squadra che fa il parmense ha riscontri più che fondati.

E non c’è niente da fare, quando a parlare è il corridore, il corridore moderno, magicamente tutto appare più chiaro. Tutto ha un senso. Perché va detto: anche se Malori non corre più, resta un corridore dentro!

Negli anni d’oro la Sky metteva tutti in fila e specie nelle tappe di salita, imponeva ritmi infernali per bloccare gli attacchi
Negli anni d’oro, Sky metteva tutti in fila e specie nelle tappe di salita, imponeva ritmi infernali per bloccare gli attacchi

Nuove tattiche

Il tema riguarda le squadre, come detto. E a conti fatti si è assistito ad una corsa, il Tour de France, parecchio diversa dal solito. Con corridori importanti in fuga, più sparpaglìo e andamenti meno lineari.

«Per la prima volta – dice Malori – abbiamo visto una squadra dominare e comportarsi in maniera diversa rispetto a chi vinceva. Mi spiego.

«Venti anni fa c’era la Us Postal di Armstrong che tirava tutto il giorno, metteva tutti in fila e quando c’era la salita finale a 5-6 chilometri dall’arrivo l’americano se ne andava.

«Poi è venuta la Sky (oggi Ineos, ndr) che ha corso sulla falsariga della Us Postal. Metteva quella sfilza di gregari a tirare a 6-6.2 watt/chilo, finché non ne restavano pochissimi, due o tre corridori, e ad un chilometro e mezzo dalla fine scattava il leader. Questo è stato lo schema adottato per Wiggins, Froome, Thomas e se vogliamo anche per Bernal, solo che in quel Tour Egan ne ha fatto uno di attacco.

«La Jumbo-Visma invece ha corso in modo palesemente diverso, nonostante avesse più frecce al proprio arco, almeno inizialmente. Ne mandava sempre uno in fuga. E’ stato così con Van Aert, Laporte, Benoot, Van Hooydonck… persino Roglic sul Galibier. Hanno scelto di non far lavorare tutti gli uomini e io sposo questa tattica».

Laporte ha vinto a Cahors su via libera della sua squadra
Laporte ha vinto a Cahors su via libera della sua squadra

Gregario felice

E qui esce il corridore che è in Malori. Adriano è stato un leader e anche un gregario. Ha corso i grandi Giri con chi lottava per la generale e sa come funzionano le cose.

«Sposo questo modo di correre – spiega Malori – perché per i gregari è meno frustrante. Io gregario so che se servo, faccio il mio lavoro, altrimenti posso anche risparmiare un po’ e il giorno dopo posso andare in fuga. Magari posso anche giocarmi la tappa. E credetemi, questa cosa conta moltissimo.

«Io ho corso un Tour con Quintana e ricordo che eravamo tutti bloccati. Si doveva entrare in fuga solo se queste erano composte da più di venti corridori. A livello mentale è pesante. Tu magari quel giorno avresti avuto anche la gamba per fare qualcosa e invece dovevi restare fermo in gruppo».

«Non limitare un gregario è tanta roba. Pensiamo a Laporte. Dopo la sua vittoria ha dichiarato: “Oggi Van Aert mi ha detto che sarebbe stata la mia tappa”. Ebbene, pensate che cosa avrebbe potuto fare Laporte il giorno dopo. Se gli dicevano: “Prendi un cannone e spara sugli avversari”, lo avrebbe fatto!».

Sepp Kuss è stato l’unico della Jumbo a non muoversi in quanto doveva stare vicino a Vingegaard in salita
Sepp Kuss è stato l’unico della Jumbo a non muoversi in quanto doveva stare vicino a Vingegaard in salita

Si risparmia…

Non solo testa. Questa tattica riesce anche a far risparmiare qualcosa in termini di energia agli uomini del team, magari a rotazione. Anche se poi c’è l’eccezione Van Aert, ma quello è un altro conto, mica parliamo di un corridore qualsiasi.

«Loro – riprende Malori – i Jumbo, venivano da due Tour persi in malo modo e così hanno provato a fare diversamente. Mandando sempre un uomo in fuga anche nelle tappe di salita, erano certi di avere sempre qualcuno davanti. Magari quello in fuga tirava poco e poteva affrontare le salite con il suo passo anziché stare in gruppo e farle a tutta per non staccarsi. L’atleta si può gestire.

«Così facendo, se a fine tappa vedi che hai ancora l’uomo davanti e che il capitano ne ha uno vicino, ti puoi permettere di far staccare altri uomini del gruppo sulla salita finale e quindi di farli risparmiare. Pensiamo a Kuss. Dopo che se ne è andato via Roglic ha dovuto lavorare di più. E infatti nel giorno di Peyragudes non è stato super. Quello è stato il solo caso in cui Vingegaard non aveva davanti un uomo che lo aspettava».

La tappa del Galibier è stato forse l’emblema di questo modo di correre della Jumbo-Visma. Come Van Aert ad Hautacam in apertura
La tappa del Galibier è stato forse l’emblema di questo modo di correre della Jumbo-Visma. Come Van Aert ad Hautacam in apertura

Verissimo. Quel giorno il super lavoro di McNulty aveva isolato i Jumbo-Visma, guarda caso nell’unica volta che erano rimasti compatti. E infatti nella tappa successiva sono ritornati immediatamente sulla tattica dell’uomo in fuga.

Ma si rischia

Però questo modo più “garibaldino” di correre è anche più rischioso. E Malori infatti lo ammette. E’ più rischioso perché la corsa resta inevitabilmente più aperta. E’ più rischioso perché se il capitano resta solo e in difficoltà perde del tempo prima di ritrovare il suo compagno davanti. E poi servono i corridori per farlo. Corridori che devono stare bene.

Ma in questo caso la Jumbo proprio non aveva problemi, nonostante la perdita di alti portacolori del calibro di Roglic e Kruijswijk.

Peyragudes: nell’unico giorno in cui la Jumbo-Visma è rimasta compatta, Pogacar li ha battuti in volata
Peyragudes: nell’unico giorno in cui la Jumbo-Visma è rimasta compatta, Pogacar li ha battuti in volata

Lavoro mirato

Ma non è tutto. E pensando proprio a questo Tour e ai valori in campo delle squadre con la UAE Emirates incerottata e una Jumbo-Visma esplosiva, se i gialloneri si fossero messi a tirare tutti in fila in stile Sky avrebbero lavorato anche per lo stesso Pogacar.

«E qui – dice Malori – mi riallaccio in parte al discorso dei Tour persi. Con un Pogacar in agguato, la squadra olandese è stata costretta a rivoluzionare la sua tattica. Se tiri costantemente, Pogacar non lo metti in difficoltà. Anzi, con i suoi finali ti batteva in volata. Come succedeva con Roglic nel 2020».