«Oggi in bici ho avuto un giorno di down – dice Viviani – abbiamo fatto 50 minuti in pista per provare i rapporti della madison, ma non ne avrei avuto per fare di più».
E’ il pomeriggio dopo l’eccezionale accoppiata fra la prova su strada e l’oro europeo nell’eliminazione. Viviani parla con tono sereno e ancora rimugina sul settimo posto nella volata di Monaco. Il prossimo impegno è l’americana di oggi con Scartezzini, ma la curiosità sulla domenica di Elia è ancora tanta. Soprattutto in relazione a come abbia fatto per recuperare dopo le 4 ore e mezza su strada, prima di scendere finalmente in pista.
Pane, Nutella e thè
«Il giorno prima della corsa su strada – racconta Viviani – ho chiesto a Diego Bragato (responsabile azzurro della performance, ndr) se fosse fisiologicamente possibile sostenere il doppio impegno. Quando mi ha detto di sì, è scattato il piano. Perciò finita la corsa, abbiamo fatto il debriefing sul pullman e in quelle fasi, invece di mangiare come si fa dopo una corsa, ho bevuto acqua e zuccheri. Poi sono salito in macchina con Amadio e sono andato nell’hotel vicino alla pista. Siamo partiti alle 16 e arrivati alle 16,30. Massaggio alle 17, per cui in quella mezz’ora, ho mangiato quel che ho trovato. Un toast. Una fetta di pane e Nutella e due biscotti. E ho bevuto del thè».
Da Montichiari a Monaco
Bragato si aggancia al discorso e spiega perché abbia risposto di sì alla domanda di Elia sulla fattibilità del doppio impegno. Dimostrando che spesso al dato oggettivo si debba sommare la personalità dell’atleta.
«La settimana scorsa – dice – avendo saputo che Elia non avrebbe corso su strada, a Montichiari abbiamo lavorato per l’eliminazione. Abbiamo ricreato le situazioni di gara, lui in bici e io in moto. Soprattutto abbiamo simulato le dinamiche di corsa. L’eliminazione non è il computo dei watt medi, ma il modo in cui si ottengono. E’ molto particolare da allenare, per questo si studiano i dati. E devo dire che Elia stava molto bene. Tanto che quando mi ha chiamato Bennati, per chiedermi se fosse in condizione per correre su strada, io gli ho risposto che era pronto.
«Da quel momento, Viviani si è concentrato sulla strada, mettendo l’eliminazione nel cassetto. Solo il giorno prima, come ha detto, ha cominciato a pensare all’accoppiata. Gli ho detto che se la corsa su strada non fosse stata particolarmente dura, piena di scatti e di attacchi, allora avrebbe avuto il tempo per recuperare. Una situazione che in qualche modo mi ha ricordato quello che si fa nei turni fra un quartetto e l’altro. Fisiologicamente l’eliminazione non era da fare. Ma quando uno così si mette in testa di volerlo fare, tutto diventa possibile. Il campione è fatto così!».
Le cosce doloranti
Elia prosegue nel racconto, facendo sembrare appunto assolutamente normale quel che al pubblico e agli addetti ai lavori è parso davvero sorprendente.
«Aver fatto quella settimana in pista – racconta – è stato decisivo, ma sono certo che se non fosse stata l’eliminazione, ma ad esempio la madison, probabilmente non avrei corso. L’eliminazione è una gara breve, era forse l’ultima occasione di mettere la maglia iridata e sarebbe stata la prima maglia di campione europeo per l’Italia in questa edizione.
«Per cui, dopo aver mangiato, sono andato ai massaggi. Sentivo di avere in particolare le cosce affaticate, per cui ho chiesto che con il massaggio si lavorasse di più lì, confidando nel fatto che poi avrei avuto i rulli per sciogliere. E intanto ho riguardato per dieci volte la volata, massacrandomi per capire che cosa avremmo potuto fare di diverso. Alle 18,30-18,40 sono arrivato in pista».
L’incubo dei primi giri
Bragato lo ha lasciato in hotel mentre iniziava a reintegrare, con la raccomandazione di darci dentro con i carboidrati. Non era il pasto di uno che deve recuperare, ma la base di uno che doveva correre ancora.
«E’ arrivato in pista un’oretta prima di correre – spiega il tecnico veneto – anche per vedere la pista, che non aveva mai provato. Si è vestito, è salito sui rulli e a quel punto ha iniziato a fare mente locale sulla gara, perché fino a quel momento aveva continuato a parlare della corsa su strada. Di sicuro era stanco, le gambe erano provate. Gli ho detto che avrebbe dovuto tenere duro nei primi 10-15 giri. Ed ero convinto che se fosse riuscito a… scollinarli, avrebbe potuto vincere. I primi giri, anche quelli a vuoto, sono così veloci che possono diventare una trappola. Se Elia aveva la gamba, con quella motivazione non c’era nulla che in pista potesse fermarlo.
«Ma confermo che aver girato in pista la settimana prima lo abbia aiutato per abituarsi al colpo di pedale e al rapporto della pista. A parti invertite, cioè uno stradista messo in pista senza preparazione specifica, non avrebbe tirato insieme nulla. I lavori specifici hanno pagato. E anche se nei primi giri non ci ha capito molto, aver fatto il punto con Villa sugli avversari è stato utile. Senza contare che nell’eliminazione erano gli altri a doversi preoccupare di lui».
Le scale di corsa
Viviani completa il racconto. E’ ormai nel velodromo e ha indossato il body. Le gambe fanno ancora un po’ male e sono il grosso punto interrogativo.
«Prima di salire sui rulli – racconta – dovevo andare al bagno e c’erano le scale. Le ho fatte di corsa per capire le mie sensazioni. Poi sono salito sui rulli e ho fatto 30 minuti di riattivazione e lavoro sulla cadenza. Non ho mangiato niente di più. Trattandosi di uno sforzo di 10 minuti, ho preferito arrivarci leggermente vuoto. Così ho preso un gel prima di iniziare a girare sui rulli e uno 15 minuti prima di correre.
«Nei primi giri, più che la fatica, mi sono sentito confuso dallo stare in pista. Ho rischiato a girare in basso, ma ho risparmiato tante energie. Ho corso con il 60×16 e sicuramente sono riuscito ad adattarmi grazie ai lavori fatti prima a Montichiari. E alla fine è andata bene. Avrei preferito vincere su strada, ma siamo contenti lo stesso. Pronti per la madison e poi per Amburgo».
Un settembre caldissimo
La classica tedesca è saltata nelle ultime due edizioni a causa della pandemia e Viviani ne è stato il vincitore nelle tre stagioni precedenti.
«Mi piacerebbe che fosse la corsa del ritorno a un certo livello – sorride – poi andrò a Plouay, anche se è un po’ dura. E poi c’è da capire se andrò al Tour of Britain. Quello per noi della Ineos Grenadiers è come il Tour de France, il posto bisogna guadagnarselo. Per cui il programma di settembre sarà da vedere. Andrò là oppure farò le classiche italiane e magari anche il mondiale. E soprattutto farò ancora tanta pista. A ottobre ci sono i mondiali, un altro momento molto caldo della mia stagione…».