La legge di Carapaz, padrone (pacato) del Giro

23.05.2022
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Richard Carapaz parla e si muove da padrone del Giro. Lo stupore di quella prima volta nel 2019 ha ceduto il posto a sguardi sempre sereni, ma anche taglienti. Difficile dire se si tratti di sicurezza o maturazione. Difficile dire se essere parte del team Ineos Grenadiers comporti anche una maggiore consapevolezza del ruolo di leader, ma certo il corridore dell’Ecuador appare molto più solido di qualche tempo fa. Mentre lo sentiamo parlare al termine del primo giorno in maglia rosa, vengono alla memoria le parole aspre contro la federazione del suo Paese a margine della vittoria olimpica, accusata di non averli assistiti. O quelle per chiarire la sua partenza dalla Movistar: lo tacciarono di essere stato sleale, rispose di non voler più stare nell’ombra di nessuno.

Nonostante il lungo sprint e la luce alle spalle di Carapaz, la giuria non gli ha dato i 2″ in cui sperava
Nonostante il lungo sprint e la luce alle spalle di Carapaz, la giuria non gli ha dato i 2″ in cui sperava

Eccezione Torino

Dopo la premiazione ha raggiunto i giornalisti e la sua analisi della corsa è stata lucida.

«E’ stata una tappa abbastanza matta – ha detto rivolgendosi al giorno di Cogne – all’inizio volevano entrare tutti in fuga, così sulla prima salita siamo andati molto forte. Poi abbiamo messo un po’ di ordine. Abbiamo tentato di mantenere la fuga a distanza di sicurezza e alla fine abbiamo fatto un buon lavoro di squadra.

«Ieri la corsa è stata poco gestibile (parlando della tappa di Torino, ndr), perché nel finale il percorso era molto complicato in punti diversi. La prima discesa era molto difficile e la Bora ci ha sorpreso con una corsa così aggressiva, come fosse una classica. A Cogne nel finale c’era ancora molta fatica. Alcune squadre volevano entrare nella fuga in modo da lasciare gli uomini di classifica più tranquilli dietro. Noi davanti abbiamo fatto un buon lavoro».

A dare acqua sul percorso di Cogne c’era anche Rod Ellingworth, tornato alla Ineos dopo un anno in Bahrain
A dare acqua sul percorso di Cogne c’era anche Rod Ellingworth, tornato alla Ineos dopo un anno in Bahrain

Accumulo di fatica

Sembra quasi una battuta di spirito quella di Landa, secondo cui il vero Giro comincerebbe martedì dal Mortirolo. Lo spagnolo viaggia con 59 secondi dal campione olimpico e finora in salita si è sempre staccato. Di certo il suo compito sarà quello di attaccare. Non si offenderà se Carapaz si limiterà a seguirlo. Cercando semmai di approfittarne.

«Il Giro in realtà è cominciato da due settimane – ha sorriso – e questo bisogna considerarlo. Credo che l’ultima settimana sarà decisiva e credo che l’accumulo di fatica si andrà a notare. Noi tenteremo di difenderci e mantenere la maglia che per la squadra è molto importante. 

«Abbiamo davanti tappe abbastanza dure – ha proseguito – alcune le conosco e questo mi dà molto morale. Potrò difendermi molto bene e se potremo guadagnare altro tempo, per noi sarà anche meglio».

A Cogne la Ineos ha fatto il gran lavoro che ci si aspettava
A Cogne la Ineos ha fatto il gran lavoro che ci si aspettava

Ineos davanti

Il Team Ineos finora non ha dato il senso di strapotere di altre occasioni, ma quando si è messo in testa sulle salite verso Cogne, è parso di rivedere l’antica corazzata. Il capitano/scalatore avrà dei validi scudieri, ma forse in qualche momento sarà chiamato a cavarsela da solo.

«Il piano con la squadra – ha detto – è sempre stare davanti. Ci abbiamo provato per tutta l’ultima settimana e quando abbiamo preso la maglia rosa a Torino, è stato motivante per tutti. D’ora in poi sarà meglio difendersi che attaccare. Abbiamo pochi secondi da gestire e tante tappe per aumentare il nostro margine, pensando alla crono finale».

Viviani 2022

Intanto Viviani in Ungheria prepara un grande europeo

14.05.2022
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Alla vigilia della partenza del Giro d’Italia, con Tosatto si era discusso della mancanza di Elia Viviani dal team Ineos Grenadiers al via della corsa rosa. In questi giorni il campione olimpico di Rio 2016 è in Ungheria, proprio da dove il Giro è partito, ma sta gareggiando nella corsa a tappe del Paese magiaro, dove ha sfiorato il successo nella prima tappa.

Con lui abbiamo parlato non solo della sua prestazione al Giro d’Ungheria, ma gettato lo sguardo anche al di là, verso una seconda parte di stagione promettente e verso un Giro che lo vede spettatore quanto mai interessato. Ma partiamo dalle vicende ungheresi: «Nella prima tappa ci sono andato davvero vicino, nella seconda ero con il 54 e quando è stato il momento di cambiare mi è saltata la catena. Nella terza… beh, lasciamo perdere. Devo dire però che la condizione è buona, sono molto contento di come sto andando e di come mi sento».

Viviani Ungheria 2022
Lo sprint della prima tappa al Giro d’Ungheria, con il veneto beffato di un nulla da Kooij
Viviani Ungheria 2022
Lo sprint della prima tappa al Giro d’Ungheria, con il veneto beffato di un nulla da Kooij
Che corsa stai affrontando?

C’ero già stato in Ungheria, ma mi pare che si tratti di una prova di livello più elevato che in passato. Ci sono ben 12 squadre del WorldTour, nelle fughe entrano tutti corridori forti, si vede che i team ci tengono, anche se hanno qui la seconda squadra con i big chi al Giro chi in preparazione per il Tour. Ma per emergere c’è da faticare.

Non ti ha fatto un certo effetto arrivare in Ungheria subito dopo la partenza del Giro d’Italia?

Beh, quando sono arrivato tutto, già dall’aeroporto, parlava del Giro, sembrava tutto rosa… Ma non mi ha fatto un particolare effetto, sapevo già da tempo che non sarei stato al Giro, ero e sono concentrato per vincere, penso solo a star bene e continuare su questa linea che mi pare positiva, seguo i programmi che avevamo stabilito e basta.

Dopo la conclusione di domenica che cosa prevede il tuo programma?

Già da lunedì sarò a Livigno per un altro periodo di allenamenti in altura e vi resterò fino a fine mese, per poi affrontare un giugno impegnativo, partendo da una classica alla quale tengo come la Brussels Classic per arrivare a un’altra prova a tappe, il Giro di Occitania con altre gare nel mezzo. Tutto pensando al campionato italiano che sarà il culmine di quest’altra fascia, a luglio sarò più tranquillo, ma nel frattempo spero di avere chiarezza sugli obiettivi estivi…

Viviani Glasgow 2022
Viviani in Coppa del Mondo a Glasgow dove ha dominato nell’eliminazione
Viviani Glasgow 2022
Viviani in Coppa del Mondo a Glasgow dove ha dominato nell’eliminazione
In che senso?

Devo parlare con Bennati sulla possibilità di affrontare gli europei su strada, vorrei andarci con ambizioni, perché il percorso di Monaco è molto adatto alle mie possibilità. Sono però convinto che uno le proprie aspettative se le debba guadagnare sul campo, per questo voglio parlare col cittì avendo dalla mia risultati. Devo dimostrare di poter essere competitivo.

Quindi a Monaco ti vedremo su strada e non su pista.

L’unificazione degli europei viene a mio svantaggio e non mi piace molto. So che è stato fatto perché il ciclismo fa parte di questa nuova manifestazione polisportiva (gli europei di ciclismo saranno condivisi nello stesso periodo con una decina di altre discipline sportive a cominciare dall’atletica, per andare a formare una piccola sorta di Olimpiade, ndr) ma sinceramente non è qualcosa che mi piace.

Hai 33 anni, hai vinto tanto e hai accumulato una enorme esperienza tenendo sempre un certo equilibrio fra strada e pista: non è che con l’età questo equilibrio pende sempre più a favore della seconda?

Per me è uguale, non è che durante la stagione corra di più su pista. Ho fatto la prima tappa di Coppa del Mondo a Glasgow per poi concentrarmi sulla strada, tornerò alla pista per i mondiali. Il fatto è che la gente giudica in base ai risultati: su pista vinco, su strada faccio secondo, terzo, quarto… Ma non è cambiato niente.

Viviani Europei 2019
Un bel ricordo per Viviani, il titolo europeo 2019 vinto battendo Lampaert
Viviani Europei 2019
Un bel ricordo per Viviani, il titolo europeo 2019 vinto battendo Lampaert
Parlavi di piazzamenti, l’impressione è però che li accogli con un altro spirito…

Sto meglio rispetto agli ultimissimi anni, questo è certo, Io sono contento di come vado, poi non va dimenticato che sono in una squadra senza un vero treno, il che significa che ogni volata va inventata, quindi ne puoi disputare meno. Nella prima tappa c’ero e ho fatto secondo, nelle altre due non c’è stata una reale possibilità di farla. In queste condizioni, quando perdi l’occasione sai che dovrai aspettare per averne un’altra. Con un treno è diverso, ma questo non è un problema solo mio: qui in Ungheria c’è solo la Quick Step che ha un vero treno e Jakobsen domina, ma uno come Groenewegen ad esempio non ha ancora fatto uno sprint.

Sembra quasi un ritorno al passato, quando i treni per i velocisti non c’erano o erano pochissimi. E’ un bene questo?

Non direi, perché ogni volata diventa una guerra. Al Giro in questo momento il più in forma è Gaviria, ma non ha un treno a disposizione, gli sprint si sviluppano nel caos più completo e si sta innervosendo perché non riesce a dimostrarlo. Ci sono Cavendish e Demare che hanno la squadra a disposizione, ma dietro è un disastro. Ho sentito in settimana Consonni che mi ha raccontato di tanto nervosismo nel gruppo. Il lato positivo semmai è un altro.

Demare Gaviria Giro 2022
Demare e Gaviria: due vittorie per il primo, ma Viviani vede il secondo più in forma
Demare Gaviria Giro 2022
Demare e Gaviria: due vittorie per il primo, ma Viviani vede il secondo più in forma
Quale?

Ci sono finalmente squadre che vanno ai grandi giri costruite esclusivamente per i velocisti, proprio come Quick Step e Groupama FDJ al Giro. Questo non avveniva da tempo: le squadre hanno iniziato a capire che non puoi puntare a tutto, devi fare una scelta preventiva su quello che deve essere l’obiettivo, se la classifica o le tappe in fuga o le volate. In questo senso è meglio.

Tu in Ungheria sei senza treno, come interpreti le volate?

Ho Amador che grazie alle sue qualità fa un po’ da jolly della squadra, mi aiuta nelle fasi di avvicinamento a quella finale, poi c’è Turner che cerca di mettermi nella posizione migliore per l’ultimo chilometro, lì devo fare da solo. Ben è bravissimo, lo avete visto nelle classiche, ma è un primo anno e non è certo un ultimo uomo. Sta lavorando benissimo, come tutto il team e vorrei ripagarli con un bel risultato.

Viviani fuori per scelta tecnica. Tosatto mette le cose in chiaro

09.05.2022
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Ieri al Giro d’Italia è andata in scena la prima volata. E tra i protagonisti di questo serrato sprint non c’era Elia Viviani. Il campione veronese infatti non è stato schierato nella corsa rosa dalla sua squadra.

Discorso di cui è parlato spesso in questo primo scorcio di Giro. Il ritorno alla Ineos-Grenadiers doveva siglare il grande rilancio di Viviani dopo due stagioni non superbe alla Cofidis. Non superbe su strada, visto che in pista aveva vinto il mondiale nell’eliminazione.

In ogni caso, abbiamo cercato di fare chiarezza una volta per tutte con Matteo Tosatto, diesse della corazzata di “Sua Maestà”.

Elia Viviani alla Gand. La sua ultima corsa era stata il Circuit Cycliste Sarthe ad inizio aprile
Elia Viviani alla Gand. La sua ultima corsa era stata il Circuit Cycliste Sarthe ad inizio aprile
Matteo, riprendiamo il discorso fatto al Tour of the Alps. Ci avevi detto: «Porteremo una squadra votata per Carapaz». Sei stato di parola e infatti non c’è Viviani…

Una squadra votata tutta per Richard, per cercare di vincere questo Giro. Dispiace per Viviani. Elia è stato nella lista del Giro fino all’ultima ora. Era inserito come prima riserva e alla fine abbiamo deciso così. Massimo supporto per Richard Carapaz. Di sicuro, Elia avrà modo di rifarsi, ma adesso siamo concentrati per il Giro.

Ma Viviani stava bene? Si era preparato per il Giro?

Lui si è preparato, come sempre. Elia è un grande professionista. Si era allenato e in caso di chiamata sarebbe stato pronto. Si sta allenando per il Giro di Ungheria (11-15 maggio, ndr). Come ho detto, dispiace a lui e dispiace a noi che non sia qua. Dispiace come uomo, perché è una persona speciale, un leader, ma abbiamo pensato ad una squadra più per la montagna. 

Pertanto Viviani era preparato a questo scenario, non è stato un fulmine a ciel sereno?

Sapeva che non era certo di un posto. Sapeva che poteva entrare, come no. E questa news non gli è piovuta addosso a cinque giorni dal Giro, per dire… Abbiamo parlato insieme e abbiamo deciso insieme.

Una Ineos-Grenadiers progettata per la salita senza “distrazioni” per le volate
Una Ineos-Grenadiers progettata per la salita senza “distrazioni” per le volate
E per te ha capito?

Ma certo. E’ un grande professionista. E già pensa ad altri obiettivi.

Chi è stato l’uomo che ha preso il suo posto?

Non c’è un uomo specifico che ha preso il suo posto. E’ stato fatto un certo tipo di squadra. Abbiamo lasciato fuori anche altri ragazzi che andavano forte. E per di più che andavano forte in salita, come Dunbar per esempio. Le nostre scelte sono state fatte in base soprattutto a questi parametri. Non è che “uno” ha preso il posto di “un altro”. Anche Tao Geoghegan Hart doveva esserci per esempio, ma non stava molto bene e quindi non è qui al Giro. Ed è stato il lizza fino all’ultimo pure lui. 

Insomma è stata una scelta tecnico-tattica: la miglior formazione che potevate schierare per correre in un certo modo?

La formazione migliore che potevamo. Abbiamo scelto un bel gruppo. Un gruppo unito, con corridori forti in pianura e nel misto e in salita, integrati con quelli più in forma attualmente. Speriamo di aver fatto la scelta giusta! Noi siamo pronti.

Tosatto aggiunge che poi Carapaz sta bene. Che nei giorni che precedevano il via, rispetto ad altri che avevano provato il finale della prima tappa e la crono loro se ne erano stati tranquilli. Solo lui aveva fatto un sopralluogo in macchina. Aveva preferito lasciare i suoi ragazzi lontano dal caos, facendoli allenare nei pressi dell’hotel. “Toso” sa bene che la sfida è molto lunga. Che serve pazienza.

Viviani a Livigno nel giorno in cui iniziava il Giro. Rientrerà in gara proprio in Ungheria (foto Instagram – @larsvandenbroek1983)
Viviani a Livigno nel giorno in cui iniziava il Giro. Rientrerà in gara proprio in Ungheria (foto Instagram – @larsvandenbroek1983)

Elia in Ungheria

Infine concedeteci due considerazioni.

La prima: non aver visto il veronese né al Tour of the Alps, né al Romandia è stato un segnale che poteva lasciar pensare che Viviani potesse non essere della partita. E’ vero che è stato impegnato in pista a Glasgow (dove ha anche vinto nell’eliminazione) però correre su strada in certi momenti è ben altra cosa.

La seconda considerazione: Dario Cioni, diesse e preparatore della Ineos-Grenadiers, ci aveva detto già a gennaio che non era così scontato che Elia potesse essere schierato al via del Giro. Questo infatti avrebbe poi comportato una scelta negli uomini da portare. E anche nel caso fosse stato schierato non avrebbe avuto un treno a disposizione per le volate, ma se la sarebbe dovuta cavare da solo, tanto che ci parlò di “volate di rimessa”.

Intanto Viviani, nel giorno in cui iniziava la corsa rosa aveva postato una foto in cui era in allenamento in altura a Livigno. «Sono dove voglio essere per diventare più forte», aveva scritto. La sua classe, anche al di fuori delle corse, e la sua professionalità sono da medaglia d’oro olimpica qual è.

Pidcock mtb 2022

Intanto Pidcock in mtb non ha perso il suo vizio: vincere…

09.05.2022
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Raramente si è visto Tom Pidcock sorridere come dopo la sua vittoria ad Albstadt, nella prima prova europea della Coppa del Mondo di mtb. Il perché non è dato tanto dalla portata pur significativa dell’evento, quanto da quando questa vittoria è arrivata, ossia dopo un periodo di classiche del Nord che per il britannico non è davvero andato come sperava. Per questo, per capire che cosa davvero Tom ha fatto in terra tedesca, non si può non partire da un paio di settimane prima.

Pidcock Albstadt 2022
Abstadt è un posto magico per la mtb, in migliaia ad assistere alle gare (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock Albstadt 2022
Abstadt è un posto magico per la mtb, in migliaia ad assistere alle gare (foto Alessandro Di Donato)

La caduta della Doyenne

Liegi-Bastogne-Liegi. Pidcock cerca il riscatto, dopo una stagione di corse in linea dalla quale si aspettava molto di più. Ha portato a casa il terzo posto alla Dwars door Vlaanderen e il 5° alla Freccia del Brabante, poco rispetto a quanto si attendeva. La sua Doyenne si chiude però a una sessantina di chilometri dal traguardo, in quella maxi caduta costata buona parte della stagione al campione del mondo Alaphilippe e infortuni diffusi a buona parte del gruppo. Anche Pidcock non ne è esente: «Volete sapere una cosa? Ho sacrificato una delle mie nove vite…

«Un corridore della Total Energies (identificato poi in Jeremy Cabot, ndr) ha fatto una mossa da irresponsabile cercando di passare dove non si poteva e questo è il risultato. Io ho riportato forse un dito rotto e posso dirmi fortunato».

Pidcock discesa
Il britannico è rimasto sulle sue per due terzi di gara, ma quando ha forzato, ha chiuso i conti (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock discesa
Il britannico è rimasto sulle sue per due terzi di gara, ma quando ha forzato, ha chiuso i conti (foto Alessandro Di Donato)

Una gara dominata

Alla fine poi quel dito non era fratturato, ma Tom è uscito dal periodo con un diavolo per capello. Tornare alla mtb è stato come riappropriarsi delle sue radici, resettare tutto dopo un periodo che gli ha dato più dolori che gioie. E’ vero, in mtb non si era allenato molto dall’inizio della stagione, non c’era neanche la possibilità, ma sapendo di avere qualche giorno a disposizione per Albstadt si è messo al lavoro con un piglio nuovo, con una rabbia interiore che gli ha dato quel qualcosa in più.

In terra tedesca Pidcock è tornato alle corse fuoristrada dopo la splendida stagione di ciclocross, culminata con il trionfo ai mondiali di Fayetteville, ma in fin dei conti non prendeva in mano una mtb dalla vittoria olimpica di Tokyo. Appena si è rimesso a girare però è come se tutto fosse tornato come in quel magico giorno giapponese. Aveva dominato allora, lo ha fatto anche in Germania.

Pidcock tecnica
Nuova forcella? Un’evoluzione elettronica della Suntour usata a Tokyo? (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock tecnica
Nuova forcella? Un’evoluzione elettronica della Suntour usata a Tokyo? (foto Alessandro Di Donato)

Poco allenamento in mtb

In Germania, in quel che è considerato ormai un tempio della mtb, Pidcock inizialmente ha lasciato fare agli specialisti, con un folto gruppo in testa guidato dal vincitore della passata edizione, quel Victor Koretzky, francese, che ha scelto la stessa via del britannico dedicandosi quest’anno più alla strada correndo nella B&B. Più volte era Nino Schurter, il pluricampione del mondo svizzero a provare a fare selezione, senza però riuscirci.

«Quando ho visto che le acque non si smuovevano ho provato io a fare qualcosa – ha raccontato Pidcock alla fine della gara – e ho visto che si era creato un divario, anche più facilmente di quanto immaginassi. Vi posso assicurare che è stata più dura di quel che si è visto, proprio perché in mtb mi sono allenato poco, ma d’altronde il principio di base è sempre vero: quando impari ad andare in bici, poi non lo dimentichi più…».

Pidcock arrivo
Impennata per salutare il pubblico, dopo un ultimo giro senza spingere (foto Alessandro Di Donato)
Pidcock arrivo
Impennata per salutare il pubblico, dopo un ultimo giro senza spingere (foto Alessandro Di Donato)

In Coppa sempre più stradisti

Effettivamente il britannico della Ineos Grenadiers ha scavato un solco fra lui e gli altri ben più grande di quel che i risultati finali dicono, perché l’ultimo giro si è trasformato in una passerella per lui, che salutava il pubblico e dava spettacolo sulla sua bici, mentre gli avversari si dannavano per le posizioni di rincalzo, ha ricordato molto quel che si era visto a Fayetteville, con quel volo d’angelo sul traguardo del quale tanto si è discusso.

Guardando la classifica di Albstadt, si nota come la commistione fra strada e mtb stia diventando sempre più abituale nell’offroad. Detto di Koretzky, andato in verità spegnendosi nel corso della gara, c’è stato l’ottavo posto di Filippo Colombo, lo svizzero sempre più coinvolto dalle gare su strada e del quale vi abbiamo già raccontato. 20° è stato Ondrej Cink, 31enne tornato alla Mtb dopo un’esperienza poco rimarchevole alla Bahrain. Solo 41° invece Samuel Gaze, neozelandese dell’Alpecin Fenix che due giorni prima però aveva fatto saltare il banco nello short track, la gara breve che da quest’anno ha una vita propria nella mtb, con un proprio circuito di coppa del mondo (anche se continua ad assegnare i posti principali in griglia di partenza alla domenica) e avrà anche la sua prova ai mondiali.

Gaze Albstadt
Nel giorno del trionfo rosa di VDP, Gaze esalta l’Alpecin Fenix anche ad Albstadt (foto Alessandro Di Donato)
Gaze Albstadt
Nel giorno del trionfo rosa di VDP, Gaze esalta l’Alpecin Fenix anche ad Albstadt (foto Alessandro Di Donato)

Un kiwi alla corte di VDP

Gaze era considerato un grande talento fin dalle categorie giovanili con due titoli mondiali U23 al suo attivo, ma su di lui ha poggiato gli occhi la sfortuna, che lo ha martoriato. Basti pensare che quest’anno, dopo che si era messo in luce al Tour of Antalya con una Top 10, si è dovuto fermare per un’operazione a entrambe le ginocchia. Nel 2019 aveva deciso di provare la strada, era entrato a far parte della Deceuninck Quick Step, ma dopo un anno la sua parabola sembrava già conclusa.

Conoscendolo da vicino, Mathieu Van Der Poel ha invece deciso di prenderlo sotto la sua ala, convincendo i dirigenti dell’Alpecin Fenix a dargli una possibilità, per condividere gli sforzi sia su strada che nella mtb. In fin dei conti ha ancora 26 anni e può dare molto, soprattutto è pronto a fare di tutto per il suo capitano olandese, che nel suo sogno di vincere tre titoli mondiali in tre discipline diverse, avrà bisogno di un sostegno anche al di fuori della nazionale orange.

Geoghegan Hart 2022

Quando rivedremo il Geoghegan Hart del Giro 2020?

07.05.2022
4 min
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Sembra passata un’eternità, eppure solo un anno e mezzo fa (l’anno del Giro d’Italia forzatamente autunnale) vivevamo l’emozionante testa a testa finale fra Jai Hindley e Tao Geoghegan Hart, che si giocavano la maglia rosa all’ultima tappa. La vinse quest’ultimo, ma quella è stata l’ultima vittoria in carriera. E’ vero, a 27 anni puoi avere ancora molto da dire, ma trovare un vincitore di un grande giro al 346° posto nel ranking Uci fa venire in mente tante perplessità.

Dario Cioni conosce bene il britannico, non solo perché è nello staff della Ineos Grenadiers. Lo ha allenato fino all’anno della conquista rosa, il fatto che senza di lui i risultati siano venuti a mancare potrebbe voler dire qualcosa, ma il tecnico anglotoscano resta invece fedele alla linea del team e si erge a suo difensore: «So che molti lo criticano, ma quanti che hanno fatto e fanno questo mestiere ambivano a una vittoria simile e non ci sono riusciti? Lui lo ha fatto, era la sua grande ambizione e questo non glielo toglierà nessuno».

Hart Milano 2020
Geoghegan Hart vinse il Giro 2020 all’ultima tappa, con 39″ su Hindley e 1’29” su Kelderman
Hart Milano 2020
Geoghegan Hart vinse il Giro 2020 all’ultima tappa, con 39″ su Hindley e 1’29” su Kelderman
E’ vero, ma il rischio è che quella vittoria lo abbia un po’ schiacciato, si sia rivelata un boomerang…

E’ chiaro che tutti si aspettano il massimo da uno che vince un Giro d’Italia, vorrebbero che ne vincesse un altro o che fosse sempre a quel livello. Ma si tratta di pressioni esterne, io so che Tao non si cura di quel che succede intorno, procede per la sua strada.

In questo frattempo, dalla vittoria di Verona lo hai trovato cambiato?

No, è rimasto quello di allora, sempre molto professionale. Certo, anno dopo anno tutti cambiano, soprattutto cambiano le priorità e i ruoli. Geoghegan Hart però ha continuato a gareggiare mettendosi sempre al servizio del team, la sua parte l’ha sempre svolta.

Hart Cioni 2020
Il britannico con Pinarello e Cioni: l’addio al tecnico è una delle cause del suo calo?
Hart Cioni 2020
Il britannico con Pinarello e Cioni: l’addio al tecnico è una delle cause del suo calo?
L’impressione però è che, se dopo la sua vittoria la Ineos lo vedeva come un possibile leader, col passare dei mesi il britannico sia retrocesso nelle gerarchie del team e ora sia un aiutante…

Alla Ineos non si ragiona così, ve lo posso assicurare. Quel che conta è lo stato di forma di ognuno, si valuta che può essere l’uomo giusto per la classifica e si corre in funzione di quello: le gerarchie scritte sulla carta a settimane dalla gara restano lì, sulla carta. Se Geoghegan Hart sarà in una condizione tale da poter puntare a qualcosa di importante correrà in quella funzione, altrimenti aiuterà, quel che conta è essere consci che l’interesse primario è legato alla squadra.

Perché non è al Giro? Il percorso era adatto alle sue caratteristiche?

Diciamo che quello del Tour, che ha più chilometri a cronometro e una distribuzione più calibrata degli sforzi, è più conforme al suo tipo di corridore. Da quel che ho visto la corsa francese richiede un corridore completo, che sappia emergere sia in montagna che sul passo e Geoghegan Hart risponde perfettamente a queste caratteristiche. Ma la ragione per cui non c’è non è solo questa.

Hart Tirreno 2022
L’unica Top 10 2022 per Geoghegan Hart è arrivata alla Tirreno-Adriatico, ma è arrivata anche l’influenza…
Hart Tirreno 2022
L’unica Top 10 2022 per Geoghegan Hart è arrivata alla Tirreno-Adriatico, ma è arrivata anche l’influenza…
Di che si tratta allora?

Inizialmente avevamo pensato a riportarlo al Giro, ma la sua prima parte dell’anno è stata difficile. Alla Tirreno-Adriatico stava iniziando a emergere, a mettere a frutto il gran lavoro invernale, infatti a Bellante ha chiuso 6°, ma poi ha preso l’influenza come tanti altri e si è dovuto fermare, quindi abbiamo dovuto rivedere tutto il suo programma, per lui come per altri del team.

C’è qualcosa su cui deve migliorare?

Ogni corridore sa che ha dei punti di forza come anche dei punti di debolezza e deve migliorare per ridurli sempre di più. Tao non è diverso, ci lavora molto e si mette sempre in discussione. Non so se riuscirà a rivincere un grande giro, questo non può saperlo nessuno, ma sono sicuro che non lo ha vinto per caso e tornerà presto a farsi vedere nei quartieri alti di qualche corsa importante.

Puccio è pronto, Carapaz anche. Come si muoveranno?

06.05.2022
5 min
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Poche ore al via del Giro d’Italia numero 105. Nell’assolata Budapest si sistemano le ultime cose, ma la città è ben pronta ad accogliere la corsa rosa. Così come è pronto Salvatore Puccio. Il decano della Ineos-Grenadiers la scorsa sera era fuggito con la squadra dopo la presentazione dei team.

Avevano fatto tardi e li attendevano i fotografi per le foto di rito, che in teoria avrebbero dovuto fare prima di salire sul palco. Inconvenienti della diretta! Ieri però, alla vigilia, il siciliano trapiantato in Umbria ci ha dedicato il suo tempo, gli ultimi attimi relax prima della bagarre.

La Ineos-Grenadiers appena scesa dal palco di Budapest. Puccio al centro tra Sivakov (a destra) e Porte (a sinistra)
La Ineos-Grenadiers appena scesa dal palco di Budapest. Puccio al centro tra Sivakov (a destra) e Porte (a sinistra)
Salvatore, come arrivi a questo Giro?

Adesso bene. L’inizio di stagione è stato piuttosto travagliato, tra Covid, cadute… però bene dai. Qualche giorno fa ho temuto un po’, perché si erano fatti risentire dei piccoli problemi intestinali, ma tutto è rientrato.

E’ il tuo Giro d’Italia numero…

Li contavamo giusto poco fa con Swift, è il nono. Ma c’è sempre un pizzico di emozione prima di un grande Giro. E’ un altro effetto rispetto ad una corsa di un giorno o di una settimana. E’ un viaggio. Sei fuori quasi un mese alla fine, riguardi il percorso e vedi che è duro. Non c’è mai relax.

Che Giro vi e ti aspetta? Due anni fa sei andato anche all’attacco, quest’anno potrai avere i tuoi spazi?

Quel Giro fu un po’ particolare. Fu diverso perché dopo tre giorni di gara perdemmo il nostro leader, Thomas, e questo cambiò il nostro modo di correre, sempre all’attacco. In più venivamo dal Tour, era il 2020 quando si fece prima del Giro, in cui andammo piano e così, correndo in quel modo, ci portammo a casa ben sette tappe.

Sette tappe e la maglia rosa…

Esatto, sette tappe e la maglia rosa. Alla classifica generale iniziammo a crederci negli ultimi giorni. «Pero, si può fare», ci dicemmo. E a quel punto facemmo quadrato intorno a Tao (Geoghegan Hart).

E quest’anno?

Beh, speriamo di non perdere il leader subito! E’ giusto che Carapaz possa giocarsi le sue carte. Noi siamo tutti qui per lui – Puccio fa una breve pausa – Anche Porte che è un grande campione.

Com’è lavorare per Carapaz?

Sinceramente ci ho corso poco. Con Richard ho fatto qualche tappa l’anno scorso alla Vuelta, prima del suo ritiro, però da quel che ho visto è un ragazzo in gamba. Se la cava anche da solo. Se la corsa s’infiamma e resta  con pochi uomini al suo fianco, lui è davanti con i migliori. Sa leggere le gare. Per il resto vedo un ragazzo tranquillo, che dice sempre grazie e quando è così è un piacere lavorare per un capitano.

Carapaz saluta la folla ungherese. Anche lui come Bernal eredita il numero uno dal compagno in maglia rosa l’anno prima
Carapaz saluta la folla ungherese. Anche lui come Bernal eredita il numero uno dal compagno in maglia rosa l’anno prima
Eri in squadra anche nel Giro di Bernal dello scorso anno: che differenze ci sono tra i due?

Le differenze sono soprattutto di carattere. Forse “Richie” è un po’ meno tranquillo, mentre Egan parlando meglio l’inglese riesce a fare più gruppo, ad integrarsi meglio. Ma entrambi sono dei veri talenti. Corridori affermati. Carapaz ha già nel sacco un Giro e un’Olimpiade, non è l’ultimo arrivato!

In tanti anni ne hai portati “a spasso” di capitani e ognuno magari ha esigenze diverse, come ci si adatta?

Con Froome era tutto programmato. Chris prendeva in mano la situazione dal chilometro zero all’arrivo. Impartiva gli ordini, richiamava gli uomini, decideva chi tirava e chi invece doveva staccarsi per risparmiare energie per il giorno dopo… Per questo ha una testa fuori dal comune, diversa da tutti gli altri leader. E la sua forza sta proprio nella testa, riusciva nello stesso tempo a pensare alle tattiche degli avversari, alla nostra e ad andare forte nel finale. Gestiva la squadra in modo esemplare. E’ così che ha ottenuto i suoi grandi risultati. E poi chiaramente perché andava forte, come quando al Giro attaccò ad 80 chilometri dall’arrivo. Carapaz invece è diverso, parla meno, fa più in autonomia. Io guardo anche le gare in tv e lo vedo sempre che è al posto giusto. Lui difficilmente perde un ventaglio, per fare un esempio.

E la tua preparazione, Salvatore, cambia un po’ in base al capitano per cui devi lavorare?

No, la preparazione è la stessa, semmai cambia il ruolo in base ai compagni, in base alla squadra schierata. In questo Giro per esempio sarò chiamato a lavorare soprattutto in pianura, saremo io e Swift. Alla Vuelta 2017 invece, quando c’erano ancora nove corridori e non otto, ero il terzo o quarto uomo. Prima di me c’erano altri due o tre passisti e quindi io entravo in scena per la salita, o poco prima. E poi anche in base alle caratteristiche del percorso si gestiscono i vari ruoli. Più che altro devi essere bravo a farti trovare pronto. Se devo tirare i primi sei chilometri di quella salita, mi devo organizzare per arrivare in quel punto con le energie necessarie.

Vuelta 2021: Puccio in testa e a ruota Bernal e Carapaz
Vuelta 2021: Puccio in testa e a ruota Bernal e Carapaz
E serve esperienza…

Serve esperienza. Io adesso vado in automatico, prima invece dovevo sempre calcolare tutto, ma è anche importante arrivare bene agli appuntamenti. Se hai fatto l’altura, stai bene con il peso e tutto il resto sei anche più sicuro di te stesso.

Tu stai bene e sei sicuro di te e Caparaz? Lui come sta? Tosatto ci ha detto che è stato lui a voler venire al Giro…

Io lo vedo concentratissimo. Anche lui ha avuto i suoi bei problemi col Covid, si è ritirato dalla Tirreno per problemi intestinali, qualche noia ad un ginocchio. E’ magro. E’ convinto di fare bene. Vuole vincere. Dai dati che ha e dai test effettuati sappiamo che sta bene. E questo conta tanto. Significa che non parti con la paura. Sai che sei pronto ad eventuali attacchi, puoi risparmiare qualche energia. E poi lui è un attaccante vero.

Carapaz, ma anche tutti voi, conosce le salite? Sei andato a vederne qualcuna tu stesso?

Un po’ le conosciamo e un po’ con il Garmin oggi vediamo tutto. Non solo, ma segnando i punti sulla mappa e caricandoli sul computerino, sappiamo quando ci sono determinate curve, una strettoia… ci appare un messaggio che ce lo dice. Sappiamo le pendenze dei chilometri successivi. In tal senso la tecnologia aiuta e fa la differenza.

Quei due anni di Martinez a San Baronto. Scinto racconta

30.04.2022
6 min
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Quel pugno stretto alla volta di Bernal sulla salita verso Sega di Ala. La vittoria al Delfinato 2020 e poi la tappa a Pas de Peyrol nel Tour dello stesso anno. I Paesi Baschi poche settimane fa. Quando pensiamo a Dani Martinez, che dallo scorso anno è passato dalla EF Pro Cycling alla Ineos Grenadiers, abbiamo davanti agli occhi l’armatura inscalfibile che solitamente si associa ai corridori del team britannico. Eppure c’è stato un periodo in cui il colombiano è stato un ragazzino da scoprire, arrivato in Italia senza sapere che cosa sarebbe diventato da grande.

Base a San Baronto

Il suo procuratore Acquadro infatti lo consegnò fra le mani di Luca Scinto, in quella fucina di ottimi corridori che è stato a lungo San Baronto. Arrivò in un giorno di gennaio del 2015, con la valigia e un mondo tutto nuovo da scoprire.

«Ci proposero lui e altri ragazzini – ricorda il tecnico toscano – Amezqueta, Rodriguez e l’anno dopo anche Florez. Di Martinez parlavano già tutti un gran bene. Aveva il contratto con il Team Colombia di Claudio Corti, che però chiuse. Quando andai a prenderlo all’aeroporto, mi trovai davanti un bambino di 19 anni, con l’apparecchio ai denti. Lo sistemammo nell’hotel di San Baronto, con cui avevamo fatto una convenzione, e lo affidammo per la preparazione a Michele Bartoli. Fu lui dopo i primi test a confermare che fosse fortissimo. Che aveva da crescere, ma non aveva numeri tanto comuni…».

E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
Vi fu dato perché lo faceste maturare?

Si fece un programma di crescita graduale. Però lo portai in entrambi gli anni al Giro d’Italia. Era giovane, ma qualche sprazzo lo fece vedere nelle crono. Tirò quasi tutto lui nella cronosquadre della Coppi e Bartali che chiudemmo al quarto posto. Stessa cosa al Giro del Trentino, ottavi. In salita invece stava nei gruppetti, ma ci stava perché era tanto giovane. Nel 2016 arrivò fino a Milano, il secondo anno lo fermammo dopo la tappa di Bormio vinta da Nibali, quella di Dumoulin con il mal di pancia, in cui lui arrivò a 23 minuti. Il dottore voleva farlo fermare sullo Stelvio. Era andato in crisi, ebbe un calo di zuccheri. Però fu cocciuto e arrivò al traguardo. A fine stagione avemmo la conferma che avesse davvero qualcosa di più…

Vale a dire?

Arrivò nei primi dieci alla Tre Valli Varesine e alla Milano-Torino. Quarto nella generale, con un terzo di tappa al Giro di Turchia. Con noi c’era il contratto in scadenza, arrivò la EF e se lo portò via. Non potevamo trattenerlo. Se fossimo stati cinici, lo avremmo fatto firmare al Giro, ma sarebbe stato ingiusto trattenerlo contro voglia e davanti a una WorldTour.

Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Pensi che quei due anni gli siano serviti?

Fu tutelato, come è giusto che sia per un ragazzino di 19 anni. Dopo il Giro lo scorso anno venne a San Baronto (foto di apertura, con Scinto e il diesse Tomas Gil, ndr) e mi disse che un po’ di scuola di Scinto servirebbe a tanti giovani. Lui si è costruito da solo, gli dicevo di essere partecipe della propria crescita e lo è sempre stato. Gli stranieri non sono mammoni come gli italiani, noi abbiamo proprio un’altra struttura mentale. Questo partì a 19 anni dalla Colombia per venire in Italia, si capisce che la voglia di sfondare fosse tanta.

Dicevi che con lui arrivarono Amezqueta e Rodriguez…

Gli altri non erano al suo livello, ma anche con loro avemmo pazienza e alla fine sono venuti fuori dei corridori dignitosi (Amezqueta corre dal 2018 alla Caja Rural, Cristian Rodriguez è al secondo anno con la TotalEnergies, mentre Florez è al secondo anno con la Arkea-Samsic, ndr). Buoni corridori, non fenomeni, che sono cosa rara ma ci sono sempre stati. Come Saronni che vinse il Giro a 21 anni. Tutti vogliono diventare corridori subito e l’ambiente li spinge ad aver fretta.

Perché dici questo?

Perché un giovane non capisce ed è normale che voglia bruciare le tappe. E se alle corse di allievi e juniores, vedi quasi più procuratori che genitori, il ragazzino magari potrebbe pensare di essere un fenomeno.

Il primo Martinez non era tirato come adesso, la crescita ha fatto la sua parte…

Non era grosso, ma ha avuto seri problemi di allergia. Tanto che, prima con il dottor Gianmattei e poi tramite Bartoli, andammo per risolverla e per fortuna se ne venne a capo. Sapevamo che fosse un corridore vero e per quello facemmo il possibile per aiutarlo. I test continuavano a dire questo e a crono ha sempre avuto dei numeri incredibili. Se quest’anno avessero deciso di portarlo al Giro, parlo da tecnico e da tifoso, al 90 per cento sarebbe salito sul podio. Al Tour sarà diverso, troverà avversari di un livello superiore.

Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Cosa si prova a vederlo così forte?

Ho sempre detto che fosse un talento e sarebbe diventato un corridore. Qualcuno rideva. Ricordo di aver fatto questo discorso con Pancani. Quando fai una squadra con dei corridori giovani, devi avere pazienza. Poi arriva la WorldTour e te li porta via: è la legge del gruppo. Potresti farli firmare per cinque anni, ma non sarebbe giusto. Sarebbe da prevedere un riconoscimento, questo sì. L’ho tenuto qua, ho pagato vitto e alloggio, aveva lo stipendio un po’ sopra al minimo, gli ho insegnato un mestiere. L’UCI potrebbe prevedere qualcosa…

Con questo Scinto è sempre un piacere ragionare, ritrovando in lui il lampo dei primi tempi. Il professionismo lo ha messo da parte e lui ha scelto di ripartire dagli juniores. Eppure nel vivaio di una squadra importante, la sua passione e la capacità di coinvolgere i ragazzi sarebbero ancora un prezioso valore aggiunto. Quegli anni magici di San Baronto – tra Visconti, Gatto e Giordani – non si dimenticano. Su tutto il resto, probabilmente s’è avuta troppa fretta di appendere responsabilità.

Wiggins 2012

Il Tour di Wiggins, quando nacque l’epopea Sky

26.04.2022
5 min
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Dieci anni fa. Quello che ricorrerà quest’estate non è un anniversario qualsiasi. Probabilmente allora non ce ne accorgemmo, ma la vittoria di Bradley Wiggins al Tour de France avrebbe avuto un peso enorme sull’evoluzione del ciclismo. Era iniziata l’epopea della scuola britannica (in quel Tour arrivarono ben 7 vittorie albioniche), ma soprattutto era iniziata l’epopea del Team Sky. Ancora oggi, con il nuovo nome Ineos Grenadiers, ci facciamo i conti e le ultime settimane, fra Martinez, Kwiatkowski e altri lo hanno detto a chiare lettere.

Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix
Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix

Come una rockstar

Quel Tour ha lasciato enormi strascichi anche nei suoi protagonisti. Sembra strano, ma forse Wiggins (nella foto di apertura con l’allora bimbo Ben, oggi corridore guidato dal padre di Pidcock) ha “digerito” quel successo solo negli ultimi anni, tanto è vero che tempo fa ha ammesso di aver vissuto quel trionfo nella maniera sbagliata.

«Mi sentivo come una rockstar – ha detto – alla quale tutto era dovuto. Oggi, guardando indietro, posso dire che ero polemico e volgare, veramente assurdo e infantile. Questo ha avuto un impatto sulle relazioni intorno a me».

Il suo rapporto con il Team Sky andò incrinandosi fino all’addio nel 2015 e il distacco avvenne in maniera davvero dolorosa. E oggi che Wiggins opera nell’ambiente come commentatore per Eurosport ammette che la responsabilità è stata sua.

Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen
Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen

Una squadra padrona

Per capire da che cosa nacquero i dissidi bisogna tornare indietro nel tempo, raccontare un Tour che venne gestito dai ragazzi del Team Sky come volevano e come avrebbero fatto negli anni successivi, fino all’avvento di un certo Pogacar. Nel cronoprologo Wiggins finisce a soli 7” da Cancellara, che chiaramente non è un fattore per la classifica.

Fino alla settima tappa non avviene nulla di eclatante. Lì, sull’ascesa di Planche des Belles Filles si palesa il dominio britannico, con Chris Froome che vince con 2” su Wiggins che prende la maglia gialla, con 10” su Evans.

Wiggins chiaramente sfrutta al meglio le sue doti di passista, di grande specialista delle prove contro il tempo. Nella crono di Besançon accumula altri 35” su Froome che sale al terzo posto in classifica a 2’07” dal connazionale, in mezzo Cadel Evans a 1’53”. L’australiano due tappe dopo cederà, mentre intanto si affaccia sul podio Vincenzo Nibali. Si arriva così alla 17ª tappa, quella con arrivo a Peyragudes, quella del “fattaccio”.

Attacca Alejandro Valverde, che vive una delle sue tante giornate epiche. Ma l’Embatido non ha velleità di classifica. Dietro i due britannici fanno il vuoto e restano soli all’inseguimento. A un paio di chilometri dalla conclusione, dopo un tornante, Froome stacca Wiggins e inizia a guadagnare.

Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca
Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca

Il rapporto va in pezzi

Valverde è davanti, ma neanche troppo lontano, potrebbe prenderlo. Dall’auricolare il manager Dave Brailsford urla a Froome: «Fermati!», Wiggins fa lo stesso, ma con quel poco fiato che ha è quasi un’invocazione: «Aspettami». Froome obbedisce, Valverde vince la tappa, Froome si dovrà accontentare della seconda piazza in classifica e anche nella crono finale.

Nelle dichiarazioni del dopo tappa c’è un fair play che maschera il dissidio. Wiggins ammette che «Chris voleva vincere la tappa, me lo ha chiesto e ho risposto sì. Ma poi ho perso la concentrazione, ero arrivato al limite e la mente non c’era più».

Froome davanti ai taccuini dei giornalisti rilascia frasi di circostanza improntate al successo di squadra (seguendo sempre gli ordini superiori) intanto però la fidanzata (e poi moglie) Michelle Cound twitta: «All’improvviso non sono più dell’umore di andare a Parigi. Che presa in giro…».

La realtà si saprà solo molto tempo dopo. Nel chiuso del pullman Sky Wiggins e Froome litigano di brutto e di fatto chiudono i rapporti. Solo molto tempo dopo, quando anche l’anglokenyano avrà lasciato la Ineos, i due avranno modo di chiarirsi e riappacificarsi.

Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins (alle sue spalle)
Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins

Dopo allora, niente più Tour

Wiggins il Tour, dopo quella vittoria non lo correrà più, continuerà a gareggiare fino al 2016, ma era già un’altra persona. A ben guardare, quella vittoria fu un po’ un controsenso del quale sono capaci solo i grandi campioni, perché Wiggins era un pistard prestato alla strada. Per vincere la maglia gialla, per un anno si concentrò solo sulle corse su strada, ma la pista restava padrona del suo cuore (5 titoli olimpici e 6 mondiali per 19 medaglie complessive, bastano questi dati per chiarire il concetto…).

Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015
Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015

Tutto per i Giochi

Anche recentemente Sir Bradley conferma quella scelta, senza il minimo pentimento: «I Giochi sono famosi in tutto il mondo, si disputano ogni quattro anni, quando vinci è come se entrassi in una famiglia privilegiata, ma enorme. Io ho vinto in 5 edizioni diverse, quando avvenne a Sydney 2000 erano pochissimi gli sportivi britannici che riuscirono in una simile impresa, a Rio 2016 eravamo una delle nazioni più medagliate. No, per me non è la stessa cosa».

Resta però il fatto che da quel Tour iniziò un modo diverso di correre, più “di squadra”. Dipendeva molto anche da come il Team Sky era costruito, dal fatto che puntava quasi tutto sulle tre settimane in terra francese. Ora le cose sono cambiate: per volontà e per necessità, la squadra sta mutando pelle. E forse un Bradley Wiggins oggi farebbe ancora comodo.

ESCLUSIVO / Incontro con Bernal prima del ritorno in Europa

26.04.2022
5 min
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Gli esseri umani di solito ottengono il meglio di se stessi nelle situazioni più estreme. Ed Egan Bernal non è stato solo un’eccezione. E’ anche la testimonianza che puoi essere un campione sotto tutti gli aspetti, senza che questo dipenda dal palmares o dai traguardi raggiunti in una carriera sportiva. Egan, che per camminare ancora si appoggia a un bastone e nonostante ciò ha iniziato a fare lavori di fondo sulla bicicletta, racconta con lucidità la creazione del suo EB Project (anche in un video), le finalità e perché è nato.

Alla presentazione, Bernal assieme alla sua compagna Maria Fernanda Motas
Alla presentazione, Bernal assieme alla sua compagna Maria Fernanda Motas

Un’opera sociale e sportiva

L’opera socio-sportiva è venuta alla luce nel mezzo del suo ricovero in terapia intensiva. La sua mente ha iniziato a vagare tra la voglia di lasciare l’ospedale e, a sua volta, iniziare a fare qualcosa di importante per trasferire le sue esperienze in altre persone e cambiare le loro vite. L’idea c’era sempre stata, ma a causa dei suoi innumerevoli impegni non era stato in grado di realizzarla. Finalmente il momento è arrivato e, grazie alla pianificazione del suo gruppo di lavoro, è ora una realtà con 18 tesserati delle categorie allievi, juniores e U23.

«In terapia intensiva – ha detto – pensavo che a volte rinunciamo a fare le cose pensando che le faremo dopo. Volevo fare qualcosa, un progetto, ma volevo farlo dopo… Una Gran Fondo, un marchio di abbigliamento o qualcosa del genere. E dicevo sempre: “Lo farò più avanti”. Invece era quasi troppo tardi, stavo per morire senza aver combinato niente», ha detto Egan riflettendo sulle conseguenze che il tragico incidente dello scorso 24 gennaio avrebbe potuto avere.

Appuntamento a Bogotà

«Quando mi sono sentito così fragile in quel reparto di ospedale, mi sono detto: “Voglio che il mio primo progetto sia qualcosa in cui contribuisco in un certo modo alla società. Deve essere qualcosa di sociale e sportivo, che aiuti a cambiare la vita delle persone“», racconta l’ultimo vincitore del Giro d’Italia. Così, accompagnato dai suoi genitori, Flor e Germán, dalla sua fidanzata María Fernanda, dal suo entourage più stretto e da un grande conglomerato di uomini d’affari e dirigenti, ha presentato sua iniziativa nel Capitale della Colombia. Prima di tornare in Europa per un ritiro e continuare la sua ripresa nelle mani degli specialisti della Ineos Grenadiers.

Ritorno in Europa

«Stavo aspettando questo progetto. Ho detto loro (i suoi direttori, ndr) che non volevo andarmene senza fare prima la presentazione. Così – prosegue Egan sorridente – mi hanno dato il permesso, hanno avuto pazienza. Quindi penso che la prossima settimana tornerò in Europa per riprendere gli allenamenti e continuare con il recupero». Ancora non ha una data precisa per riattaccare il numero, ma nel pieno di uno dei momenti più difficili della sua vita, non ha mai dubitato per un solo momento di tornare a competere contro i migliori del mondo.

Una Colombia migliore

Di fatto, la giornata di sabato è stata, a causa dei suoi molteplici impegni legati al lancio di EB Project, l’unica senza bicicletta dal 27 marzo, quando rese pubblico il suo primo contatto con la strada. Ora la data sottolineata sarà quella del 23 aprile, il giorno in cui ha finalmente potuto dare il via alla sua opera socio-sportiva. Sarà diretta da Jhon Sergio Avellaneda (l’allenatore con cui ha vinto le sue due medaglie ai mondiali di MTB) e destinata a cambiare vita di coloro che ne fanno parte. «Voglio un Paese migliore», ha detto Bernal, che ha già chiari i suoi prossimi obiettivi prima di rientrare nel mondo delle gare.

Fra i progetti immediati di Egan c’è anche camminare senza bastone
Fra i progetti immediati di Egan c’è anche camminare senza bastone

Senza bastone

«Vorrei camminare senza bastone, anche se mi piace e sembra quasi elegante (sorride, ndr), ma sarebbe bello camminare senza. E poter stare sui pedali senza alcun disagio. Penso che queste due cose sarebbero molto buone», conclude il campione di Cundinamarca, che probabilmente avrà la città di Monaco come quartier generale per i suoi allenamenti.