Pellaud: «Presto rivedrete il corridore che avete conosciuto»

13.08.2022
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Attacchi, fughe, scherzi con la telecamera, l’abbraccio del pubblico… quest’anno non abbiamo visto Simon Pellaud fare tutto ciò. E la sua assenza si è sentita. Il corridore della Trek-Segafredo, amatissimo dai tifosi del ciclismo, ha corso “poco” e nelle gare che ha fatto non è mai stato davvero al top.

«Ma adesso – giura Pellaud – voglio tornare. Dare piacere alla gente fa piacere anche a me. Non voglio più essere un fantasma. Sto passando il momento più difficile della mia carriera. E fra un paio di settimane, e nella prossima stagione, vedrete il corridore che avete conosciuto».

In questa frase c’è riassunta tutta la stagione dello svizzero-colombiano. Una stagione che adesso svisceriamo con Simon stesso, passo dopo passo. 

Nonostante le difficoltà di salute, Pellaud ha inanellato 47 giorni di gara sino ad oggi
Nonostante le difficoltà di salute, Pellaud ha inanellato 47 giorni di gara sino ad oggi
Simon, come è andata la tua stagione? Come stai?

Bene dai, adesso sono più tranquillo. Sto passando un anno complicato. Posso dire di aver avuto un Covid lungo, quasi eterno E appena adesso sto uscendo dai miei problemi.

Sin qui infatti ti abbiamo visto poco…

Anche io non mi sono visto! Sin qui è stata una stagione in bianco. Già è difficile trovare un equilibrio quando cambi squadra, con tutte le novità che il cambio comporta, che tutto si è amplificato con i problemi di salute.

Cosa intendi per equilibrio nella nuova squadra?

Tante volte si pensa che per essere un corridore basta pedalare. Che per vincere basta allenarsi e pedalare forte, la verità invece è che tutto è più complicato. Non si tratta solo di pedalare. A livello mentale devi lavorare tanto e certi cambi richiedono del tempo per essere assimilati. Quando dico equilibrio quindi intendo: nuovi allenamenti, modi di correre, materiali, chi fa cosa in staff enormi… I parametri sono moltissimi.

Modi di correre. Abbiamo anche pensato che il WorldTour ti avesse un po’ tarpato le ali. Poi è chiaro che in una squadra così non puoi più correre come prima all’Androni. Hai un ruolo definito?

Che ho un altro ruolo è sicuro. Come è sicuro che non posso più correre come prima. Sono in un grande team, con grandi campioni e sono tra gli atleti più umili. Ma soprattutto sono un corridore senza un precisa caratteristica. Vado forte in salita, ma non sono uno scalatore. Vado bene in pianura ma non sono un passista. Ho un buono spunto ma non sono un velocista. Ho passato un anno a lavorare, ma sapevo che questo sarebbe stato il mio lavoro. In qualche occasione ci ho provato o avrei potuto provarci, ma senza una buona gamba non puoi fare più di tanto.

Come era normale che fosse Pellaud, passando in una WT, ha svolto anche altri ruoli. Non sempre è potuto essere un battitore libero
Come era normale che fosse Pellaud, passando in una WT, ha svolto anche altri ruoli. Non sempre è potuto essere un battitore libero
E torniamo al discorso della salute. Quando sei stato male?

Esatto. Il Covid mi ha veramente distrutto, sia sul piano mentale che fisico, soprattutto la prima volta che l’ho preso. E’ stato a Natale. Ero ancora in Svizzera, prima di andare Colombia, ed è stato davvero forte. Da lì è stata sempre più difficile e sono andato sempre più giù. Ho avuto una stanchezza mai provata in vita.

Come è stata la tua ripresa?

Ho passato un lungo periodo in Colombia e per la prima volta in questa stagione mi sono allenato ad un livello interessante. Ma oltre al Covid sono stato condizionato da un dolore al sacro-iliaco. E’ un problema che è emerso alla Coppi e Bartali. Probabilmente ho utilizzato delle scarpe troppo grandi. Se non spingo forte è okay, però in gara mi esce e mi limita molto. Ci sto lavorando con il fisioterapista e devo dire che ho sempre meno problemi, ma certo va risolto del tutto.

Guardiamo avanti Simon, quale sarà il tuo calendario di gare? Abbiamo visto che per la Vuelta non ci sei…

Secondo il programma d’inizio anno avrei dovuto fare la Vuelta, ma non la farò. E stare in una WorldTour e non fare neanche un grande Giro è una delusione per me. Però io non ho fatto nulla per dimostrare che meritavo un posto nelle selezione per la Spagna. Spero di rifarmi l’anno prossimo.

Dopo il campionato nazionale svizzero (26 giugno) Simon è volato nella sua Colombia. Si allenato in quota… e in allegria (foto Instagram)
Dopo il campionato nazionale svizzero, Simon è volato nella sua Colombia. Si allenato in quota… e in allegria (foto Instagram)
Quindi farai corse di un giorno?

Sto andando al campionato europeo di Monaco – ci ha detto Pellaud al momento dell’intervista – sto lasciando Andorra perché dopo la Vuelta Burgos sono venuto a trovare il mio grande amico Esteban Chaves. Anche se non sono al top e non era nei programmi, la nazionale svizzera mi ha chiamato. Ci sono un paio di corridori che hanno dato forfait tra malanni di salute e la vicinanza della Vuelta. Li sostituisco.

Beh, in ogni caso è un buona cosa, uno stimolo… 

Essere stato convocato fa piacere. Dopo aver corso a Burgos fare l’europeo è importante per trovare: ritmo, fiducia e continuità. E come si dice, non c’è miglior allenamento della gara e dei suoi stimoli.

Dopo l’europeo cosa farai?

Il Giro di Germania che è il mio obiettivo di fine stagione, spero proprio di essere pronto.

Monaco chiama, Baroncini ritrova azzurro e fiducia

12.08.2022
3 min
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A volte serve un segnale per capire che la sfiga è alle spalle. Così per Baroncini la convocazione in azzurro agli europei di Monaco è diventata il faro da seguire per rilanciare la stagione. Il romagnolo, iridato U23 a Leuven 2021, si è tuffato nel primo anno da pro’ con la baldanza giusta per lasciare il segno. Tuttavia il destino gli ha presentato un conto beffardo. Prima con un risentimento al ginocchio, poi con la caduta all’Algarve e la frattura del radio. Filippo non è tipo che si lasci abbattere e di solito dalle cadute riparte più forte di prima, ma certo moralmente non è stato facile. Ecco perché le belle parole di Luca Guercilena e le attenzioni di Bennati dopo il campionato italiano, chiuso al quinto posto, gli hanno fatto capire che la svolta potrebbe essere vicina.

«Con Bennati non avevo mai parlato – dice il corridore della Trek-Segafredo – al di fuori di qualche messaggio. Ho scoperto una persona ragionevole e super disponibile. Sono entrato nel suo progetto e l’italiano è stato la conferma che qualche qualità forse ce l’ho davvero».

L’azzurro lo esalta: lo scorso anno a Leuven, Baroncini ha sbranato la corsa degli U23 con forza e lucidità
L’azzurro lo esalta: lo scorso anno a Leuven, Baroncini ha sbranato la corsa degli U23 con forza e lucidità
Come stai?

Bene, finalmente ho buone sensazioni. Sono un cavallo che non vedeva l’ora di correre. Piano piano va tutto a posto e anche la condizione è arrivata. Sono convinto che senza l’infortunio al braccio, sarebbe stato diverso. Ma adesso la maglia azzurra è una bella soddisfazione, per noi italiani quella maglia è speciale. Le siamo legati. A me dà l’effetto di moltiplicarmi le forze.

E’ stato difficile ripartire?

Non sono uno che si butta giù e ho sempre pensato che sia stato un fatto di sfortuna. Quando è così, mi viene la rabbia e mi motivo di più. Però ugualmente ripartire è duro, conviene non pensarci e lavorare. Cogliere le opportunità come vengono. La parte mentale fa tanto. Quelli che si demoralizzano faticano il doppio.

Al Giro di Grecia, dopo il 3° posto del primo giorno, Baroncini leader dei giovani
Al Giro di Grecia, dopo il 3° posto del primo giorno, Baroncini leader dei giovani
Quando c’è stato nell’anno un Baroncini veramente forte?

Secondo me al Tour d’Occitanie. Avevo una condizione molto buona e quello è stato un vero periodo di rinascita. Le sensazioni buone puoi averle anche in allenamento, ma in corsa è diverso. E là in Francia mi sono sentito forte anche sulle salite. Stavo bene.

Che cosa ti aspetti dagli europei?

Vado per lavorare e per fare il jolly. Farò qualsiasi cosa mi verrà chiesta. Non siamo la nazionale che dovrà tirare, per cui possono esserci anche ruoli diversi. Saremo una nazionale aggressiva, ma se servisse, le gambe per tirare ci sono, fra me, Ganna e Milan.

La crono è uno dei suoi pezzi forti: quest’anno è stato 5° ai campionati italiani
La crono è uno dei suoi pezzi forti: quest’anno è stato 5° ai campionati italiani
Con Bennati hai parlato anche del mondiale?

Qualcosa sì, ma preferisco fare un passo per volta. Perciò dopo gli europei andrò al Poitou Charentes, quindi a Plouay. A quel punto ci sarà da capire per l’Australia e poi si lavorerà per fare un grande settembre.

L’obiettivo resta vincere?

Non mi tiro indietro, soprattutto in questo ciclismo in cui nessuno aspetta nessuno. Bisogna cogliere ogni occasione e non penso di essere il tipo che se la fa addosso. La gamba c’è, altrimenti Bennati non mi avrebbe chiamato per gli europei. 

Un altro Giro per Cicco e il sogno (sfumato) di Ganna

10.08.2022
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«Abbiamo sondato Ganna – spiega Luca Guercilena – per capire se fosse interessato a un ruolo di leader assoluto, non solo per le crono. Gli abbiamo parlato di classiche e di grandi Giri, in cui andare a caccia di tappe senza dover tirare per un capitano. Ma alla fine ha scelto di prolungare il contratto con Ineos. Massimo rispetto per la sua scelta e per chi lo ha messo nelle condizioni di farla».

Il team manager della Trek-Segafredo risponde da Mentone. In questa fase torrida dell’estate, le sue giornate sono fatte un po’ di mare e di telefono sempre acceso, perché come dice sorridendo, la new generation lavora sempre. La voce per cui Ganna sarebbe finito nello squadrone americano con forte matrice italiana aveva cominciato a girare e ci aveva incuriosito. In precedenza, la Trek aveva provato la carta Nibali senza grosse fortune reciproche e il nome Ganna poteva essere un bel modo per rendere più grande l’italianità del team.

La Trek-Segafredo ha provato davvero a ingaggiare Ganna, proponendogli un ruolo da leader
La Trek-Segafredo ha provato davvero a ingaggiare Ganna, proponendogli un ruolo da leader
Sfumata l’occasione Ganna, si può dire che la squadra 2023 sia fatta?

Più o meno sì. Una volta luglio era il mese delle strette di mano e ad agosto si chiudevano gli affari. Adesso si lavora tutto l’anno, perché nessuno vuole rischiare di firmare un contratto dopo il Tour, quando magari una vittoria può far lievitare il valore dell’atleta. Meglio chiudere prima. E poi si sta diffondendo questa abitudine di firmare contratti lunghissimi.

Che cosa vuol dire?

Innanzitutto che c’è stabilità e questo è un bene. Ma sicuramente questo aprirà le porte del mercato, perché non è detto che un corridore si troverà per forza bene per 5-6 anni nella stessa squadra. E a quel punto, essendo tutti contratti con penali prestabilite, si potrebbe tentare di portarne via qualcuno. Di solito questa opportunità viene a crearsi nelle squadre con tanti leader.

Pedersen è alla Trek dal 2017, ha vinto un mondiale e al Tour 2022 la tappa di Saint Etienne
Pedersen è alla Trek dal 2017, ha vinto un mondiale e al Tour 2022 la tappa di Saint Etienne
Alex Carera ha spiegato che il sistema del ranking potrebbe rendere nulli dei contratti.

E’ vero. Nel contratto si scrive che ha validità finché si rimane nel WorldTour. Questo significa che le squadre che retrocedono potrebbero rischiare di sparire e che l’eventuale retrocessione metterà sul mercato tanti corridori che potrebbero non volere seguire il team nella categoria inferiore.

A parte Ganna, non si siete svenati per inseguire un grosso nome, soprattutto per i grandi Giri.

Due o tre anni fa facemmo la scelta di puntare su corridori U25, che col tempo avremmo selezionato ulteriormente. Pedersen e Stuyven sono i primi frutti di questa politica, come Simmons e Ciccone, che non è giovanissimo, ma fa parte comunque di un processo di formazione. Detto questo, i leader più forti sono già blindati e non conviene strapagarne uno che magari arriva nei primi cinque. Soprattutto se vuoi avere il controllo del budget.

Stuyven è alla Trek dal 2014. Lo scorso anno ha vinto la Sanremo
Stuyven è alla Trek dal 2014. Lo scorso anno ha vinto la Sanremo
C’era Carapaz sul mercato e andrà alla EF-Easy Post…

Carapaz è un atleta forte, ma rientra nella categoria precedente. Per cui, avendo sposato la politica dei giovani, non aveva senso puntare su un atleta di 30 anni che avrebbe impegnato una grande fetta di risorse.

Nel frattempo ci sono degli stagisti molto interessanti.

Abbiamo Vacek e Thibau Nys, ma ci sono in arrivo anche altri nomi da team professional di cui ancora non posso parlare.

Il 2022 ha insegnato qualcosa di più su Ciccone?

Giulio ha dimostrato di poter vincere tappe nei grandi Giri, ma sono convinto che debba fare ancora un tentativo per la classifica. Serve la salute e lui non ne ha avuta molta. Voglio ancora un tentativo tenendo conto delle sue caratteristiche. Quindi senza limitarlo, perché la sua arma potrebbe essere l’imprevedibilità.

Baroncini ha tutto per essere un leader: ha 21 anni, non serve avere fretta
Baroncini ha tutto per essere un leader: ha 21 anni, non serve avere fretta
E intanto Bennati ha convocato Baroncini per gli europei.

Dal mio punto di vista, “Baro” è l’italiano che può guadagnarsi una posizione di assoluto rilievo. Ha fisico e testa. Può diventare un grande leader, sta a lui riuscirci.

Si può dire che il Covid abbia danneggiato anche il 2022?

Assolutamente! E sarà così anche nel 2023. Anche se non ci sono effetti pesanti sulla salute, tanti corridori hanno il sistema immunitario non ancora a posto. Inoltre si tornerà a 30 corridori e questo li metterà ancor più sotto pressione. Però non sono più a favore delle super restrizioni. Bisogna tornare a spingere come nel 2019 e chi sta male resta a casa.

Guercilena, al Giro con l’addetto stampa Paolo Barbieri, è manager della Trek-Segafredo
Guercilena, al Giro con l’addetto stampa Paolo Barbieri, è manager della Trek-Segafredo
Torniamo per un attimo a Ganna, per lui saresti tornato allenatore? Sarebbe stato stimolante dopo Cancellara…

Ci avevo pensato, sarebbe stato perfetto nella nostra squadra. Sono ambizioso, lo siamo tutti e penso che non sarebbe stato male. Però lo capisco, Ineos è uno squadrone. Se ne andrà a 31 anni, la sua carriera ormai ha quei colori.

Paternoster all’australiana. Letizia alla BikeExchange…

06.08.2022
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Per lei sarà quasi come correre per la squadra di casa. L’annuncio di Letizia Paternoster (in apertura foto Cavalli) alla BikeExchange-Jayco è qualcosa che va oltre alla semplice trattativa di ciclo-mercato.

A partire dal 2023 la ventitreenne trentina passerà nella formazione australiana dopo quattro stagioni alla Trek-Segafredo, vissute con più ombre che luci nonostante un bel primo anno. Nel 2019 infatti esordì con un successo al Tour Down Under e quindi inanellò una serie di buoni risultati, tra cui il titolo europeo U23 su strada ad Alkmaar. Poi arrivarono i momenti difficili.

Ora però Letizia ha ritrovato veramente il sorriso e ce lo mostra mentre la incontriamo alla Sei Giorni delle Rose a Fiorenzuola. L’iridata dell’eliminazione ha appena vinto la madison in coppia con Martina Fidanza (iridata dello scratch) e con lei approfondiamo il suo trasferimento, cercando di fare un piccolo bilancio.

Come è nato il contatto con la tua futura squadra?

Un po’ per caso e un po’ voluto. Ho Manuel Quinziato come procuratore e conosce bene la BikeExchange-Jayco. Sapeva che loro cercavano nuove figure e da lì è arrivata la proposta. Ho firmato per due anni e per me è come un bel raggio di sole. Lui mi dice che è una bella realtà con un un ambiente speciale. Come una famiglia. Ed è così che voglio interpretare l’inizio con loro. E poi c’è una componente affettiva, chiamiamola così

Quale?

Sono italo-australiana con doppio passaporto. Mia nonna è australiana e mio padre è nato a Fairfield, a circa venti chilometri da Sydney, dove poi è cresciuto. E già mio nonno, dopo che si era trasferito laggiù, aveva contribuito alla costruzione del Sydney Harbour Bridge, uno dei ponti più famosi della città. Quindi capirete che mi faccia davvero piacere poter correre con loro.

Avete già parlato di programmi?

Sì, anche se ancora non in maniera approfondita. Loro mi hanno detto subito che credono in me e questo mi ha dato subito tanto entusiasmo. Il nostro obiettivo condiviso è quello di crescere assieme. Loro vogliono farmi fare tante gare, cosa che finora non ho fatto, specie se andiamo a vedere i numeri negli ultimi anni. E’ vero che sono al quinto anno elite ma, tra Covid e vari problemi anche di natura fisica, come esperienza è come se fossi al primo. Correre su strada mi farà crescere tanto e, volente o nolente, mi darà un livello migliore. Voglio conoscere bene le compagne, sperando poi di creare un gruppo affiatato. Sono pronta e non vedo l’ora di iniziare.

Che anni sono stati quelli in Trek-Segafredo?

Sono state stagioni stupende. La mia prima vittoria con loro l’ho fatta proprio in Australia. Devo dire un infinito grazie a Luca Guercilena e a tutta la squadra, una seconda famiglia. Sono tutte persone speciali, a cui devo dire addio a malincuore. Ci tengo a spendere belle parole per loro. Gli auguro davvero il meglio. A fine anno, quando correrò l’ultima corsa, pubblicherò qualcosa di particolare e sentito. Questo cambio di squadra lo faccio soprattutto per me stessa, per avere nuovi stimoli.

Quali diventano i tuoi nuovi obiettivi?

Non dico in quale disciplina perché non vorrei gufarmela, ma il mio grande sogno è quello di riuscire a vincere un oro olimpico. Penso già a Parigi 2024, ma anche dopo. Questo è per ciò che riguarda la pista. In strada invece devo crescere ma sogno in grande lo stesso. Vorrei diventare una delle migliori sprinter del panorama internazionale. Vincere è la motivazione più grande che ho dentro di me.

Letizia a giugno è tornata al Tour de Suisse dopo due mesi senza gare. Poi a luglio ha ottenuto un buon terzo posto al Baloise Tour
Paternoster a giugno è tornata al Tour de Suisse e a luglio ha ottenuto un buon terzo posto al Baloise Tour
Il finale di stagione come sarà?

Dovrei fare gli europei in pista a Monaco di Baviera (dall’11 al 16 agosto, ndr) e poi su strada il Simac Ladies Tour in Olanda dal 30 agosto al 4 settembre. Spero di guadagnarmi la convocazione per i mondiali su pista mentre il programma delle ultime gare con la Trek-Segafredo è ancora da definire. Ho ancora tanti impegni con loro e voglio tutti onorarli al meglio. Cerchiamo di finire bene questa annata poi, solo allora, proietterò la mente alla nuova avventura che mi aspetta.

La cultura del lavoro, nella classe (istrionica) di Simmons

06.08.2022
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Istrionico, potente, a volte “barbuto”, sorprendente. Stiamo parlando di Quinn Simmons, corridore statunitense della Trek-Segafredo. Un’immagine di lui che probabilmente non scorderemo mai risale a questa primavera. Che poi parlare di primavera in quel contesto climatico è un parolone. 

Eravamo nel gelo di Carpegna, alla Tirreno, e prima della seconda scalata al Cippo, Quinn, in lotta per la maglia dei Gpm, una volta ripreso e staccato da Pogacar e gli altri big, si era fermato per mettersi i gambali e una maglia lunga. Questo tanto per inquadrare il personaggio! 

Sempre quel giorno, mentre lo intervistavamo dietro al palco ecco partire la banda ad un metro da noi. Baccano infernale. Lui imitò il gesto della tromba. 

Quinn Simmons durante la scalata al Carpegna alla Tirreno 2022
Quinn Simmons durante la scalata al Carpegna alla Tirreno 2022

Parla De Jongh

Ma oltre ai ricordi, chi è davvero questo ragazzo classe 2001 del Colorado? A farci un identikit tecnico di Simmons è Steven De Jongh, direttore sportivo della Trek-Segafredo nonché preparatore di Simmons.

«Lavoro con Simmons dal 2019 – dice De Jongh – un mio collega che lo seguiva già prima me lo segnalò, poi è toccato a me. Vinse subito tre corse e la classifica generale in una corsa a tappe negli juniores. Ciò che ha fatto in quella stagione è stato incredibile. Vinse il titolo mondiale juniores ad Harrogate a fine stagione».

A quel punto la Trek-Segafredo si assicura il ragazzo. L’inizio è buono, ma è anche il 2020… l’anno della pandemia. Così tutto è rimandato all’estate. E per poco in quell’estate Simmons non fece subito il colpaccio. Fu Attila Valter, nella sua Ungheria, a togliergli la gioia della prima vittoria da pro’.

Steven De Jongh, oggi diesse e coach, è stato un pro’ dal 1995 al 2009 (foto Twitter)
Steven De Jongh, oggi diesse e coach, è stato un pro’ dal 1995 al 2009 (foto Twitter)

Classiche e non solo

Quinn è un “ragazzo grande”, ma va forte anche in salita: che tipo di corridore è dunque? Oggi vediamo questi giovani che vincono un po’ ovunque. Anche Simmons potrà fare così? 

«Beh – continua De Jongh – per me Quinn deve ancora scoprirlo. Che sia adatto alle corse di un giorno, penso sia sicuro. Ma lo vedo di più per un’Amstel che per un Fiandre o una Roubaix, perché può fare meglio la differenza in salita che sul pavè.

«Ma ripeto, è giovane e può migliorare ancora. Magari nelle gare a tappe di una settimana, potrà avere un ruolo importante, ma in quel caso dovrebbe ricominciare a lavorare sulla cronometro».

Simmons (maglia rosa) in allenamento all’alba con dei suoi amici (immagine Instagram)
Simmons (maglia rosa) in allenamento all’alba con dei suoi amici (immagine Instagram)

La cultura del lavoro

Ma non solo madre natura ci ha messo lo zampino. Se Simmons va forte è merito anche del suo impegno. De Jongh ci parla di un ragazzo che fa del lavoro uno dei suoi punti di forza.

«A Quinn – dice il tecnico olandese – piace davvero allenarsi e lavorare sodo. Come tutti preferisce i lavori di resistenza a quelli brevi e intensi, perché sono dannatamente difficili! 

«Penso che quest’anno abbia fatto davvero un bel passo avanti. Ora si sta prendendo anche un po’ di riposo, in vista del finale di stagione. Negli ultimi anni si è impegnato tanto. Ha accumulato una grande mole di ore di lavoro e forse anche per questo a volte ha perso freschezza. Ma la sua etica del lavoro è veramente buona». 

E questa cultura dell’impegno è particolarmente apprezzata da De Jongh. «Mi piace la sua mentalità perché se ha qualcosa in testa, lo fa davvero. Quando Quinn vuole raggiungere qualcosa, lo punta e lo raggiunge. Un suo obiettivo è crescere gradualmente e lo ha dimostrato dall’anno scorso».

Dal Tour al gravel

Questa crescita lo ha portato da vittorie come il Tour de Wallonie del 2021, certamente importanti ma non di primissimo piano, ad eccellere anche su palcoscenici di primo ordine, come la conquista della maglia di miglior scalatore alla Tirreno o essere un brillante protagonista del Tour de France.

«In effetti – continua De Jongh – ci aspettavamo che Quinn andasse forte in Francia. L’anno scorso aveva dimostrato di essere ad un buon livello alla Vuelta (il suo primo grande Giro, ndr) e così abbiamo preparato, e bene, il Tour. L’attenzione era rivolta soprattutto sulla seconda parte (seconda e terza settimana, ndr), per essere competitivo quando c’erano le fughe. 

«Certo, essere così tante volte in fuga, penso che sia stato un po’ inaspettato anche per lui. Ma recuperava bene e ogni giorno aveva le gambe per entrarci e per provare. E’ stato bello vederlo così».

Dopo aver recuperato le fatiche del Tour, Simmons prenderà parte alle corse americane. Inizierà però dall’Europa, in Danimarca, poi correrà in Maryland, farà le due prove canadesi (Quebec e Montreal) e successivamente tornerà in Europa per l’ultimo blocco di corse: Binck Bank Tour, Paris-Tours…

«E forse – conclude De Jongh – chiuderà la stagione in Italia con la gara gravel ad ottobre».

E come poteva mancare un po’ di vero “made in Usa” per Simmons? Lui viene da Durango, una delle culle della mountain bike, è anche un grande ex biker… la gravel è il suo terreno naturale!

Confronto Giro-Tour. Ce li racconta Longo Borghini

05.08.2022
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«Noi in pratica abbiamo corso la quarta settimana del Tour de France. E’ stato fantastico». Elisa Longo Borghini ce lo dice a metà della nostra chiacchierata mentre, toccando tanti argomenti, ci offre diversi spunti su cui riflettere. D’altronde l’accoppiata Giro-Tour è un tema che tiene sempre banco ed ora anche nel femminile si possono fare confronti.

La trentenne della Trek-Segafredo ha disputato entrambe le gare, chiuse rispettivamente al quarto e sesto posto. E con lei abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti e differenze che apparivano lampanti.

L’arrivo di Longo Borghini a La Super Planche des Belles Filles: anche lassù non è mancato il pubblico per il gran finale
L’arrivo di Longo Borghini a La Super Planche des Belles Filles: anche lassù non è mancato il pubblico per il gran finale
Elisa partiamo dal percorso. Cosa hai notato?

Devo dire che ho trovato delle analogie. A parte la crono iniziale del Giro, entrambe le gare hanno avuto tappe che erano posizionate in modo simile. Ed il loro svolgimento è stato progressivo. Dopo le occasioni per le velociste, al Giro la tappa di Cesena rappresentava la prima difficoltà mentre in Francia c’era la frazione degli sterrati. Poi ci sono state alla fine le due tappe ravvicinate di montagna che hanno definito la classifica generale.

Ti è piaciuta questa distribuzione?

Sì, penso che sia stata una buona scelta di entrambi gli organizzatori. Così facendo hanno dato la possibilità di far vestire le maglie di leader a più corridori e, soprattutto al Giro, lasciare spazio alle squadre più piccole di andare in fuga e farsi vedere nelle tappe interlocutorie. Al Tour invece ogni giorno si correva come se fosse una classica e spazio per le formazioni minori ce n’era un po’ meno.

Passiamo all’organizzazione in generale. Sulla sicurezza cos’hai visto?

Abbiamo sempre corso in sicurezza. Diciamo che in Francia hanno curato di più i dettagli e devo fare un plauso a loro. Ad esempio lassù i restringimenti o le isole pedonali erano tutte contrassegnate da una vernice rosa, bella accesa. Addirittura i tombini erano stati messi con gli scoli per l’acqua in senso perpendicolare alla nostra marcia. Mai vista una cosa del genere. Inoltre c’erano i pannelli luminosi che ci indicavano alcuni pericoli o le curve a gomito. Robe che si vedono alle grandi gare maschili e basta. Per quanto riguarda l’assistenza in corsa tutto uguale e regolare sia al Giro che al Tour.

Altri particolari?

Le interviste erano tutte ordinate nella mixed-zone, dove passavamo tutte. Talvolta erano già prenotate un giorno per l’altro attraverso la nostra addetta stampa. La presentazione al podio-firma al mattino avveniva sempre con l’ordine dei nostri dorsali. Le maglie di leader c’erano di diverse taglie, con le maniche corte o lunghe, smanicate, leggere ed estive o più pesanti. Ogni giorno ci davano i numeri di dorsale nuovi. Anche queste ultime due cose non le avevo mai viste prima alle nostre corse.

A livello logistico?

Al Tour abbiamo sempre avuto standard alti per gli hotel. E tutti rigorosamente con l’aria condizionata. Solo in una occasione al Giro non ce l’avevamo e abbiamo sofferto, però il livello è stato quasi sempre buono. In entrambe le gare non abbiamo mai dovuto fare trasferimenti troppo lunghi, né per andare alla partenza né dopo l’arrivo. Massimo un’ora e tre quarti, e questo significa molto. Al Giro ad esempio abbiamo tutti apprezzato il giorno di riposo dopo le tappe in Sardegna quando in realtà magari ci poteva stare una tappa corta.

Parliamo ora del pubblico ed interesse attorno alla corsa…

E’ un confronto impari. Non c’è proprio paragone, Tour batte Giro trenta a zero. Gli organizzatori francesi hanno proprio fatto una vera e propria operazione di marketing partita da lontano. Dal 2014 fino all’anno scorso organizzavano La Course by Tour de France, corsa di un giorno sul percorso degli uomini e con arrivo prima del loro. Le prime tre edizioni si sono fatte sui Campi Elisi in occasione dell’ultima tappa del Tour, proprio come quest’anno per la nostra prima frazione.

Hanno fatto delle prove in pratica.

Esattamente, per loro sono stati dei test. Hanno avuto sempre feedback importanti, investendo sempre più forte ogni anno. Poi quando hanno avuto tutto chiaro, hanno creato il Tour de France Femmes sfruttando il brand maschile. Anche noi, per dire, avevamo la carovana pubblicitaria. Agli sprint intermedi il pubblico era vestito di verde, ai Gpm con la maglia a pois. Uguale alla corsa maschile. E per la corsa femminile hanno fatto anche di più.

Cosa intendi?

Molte settimane prima dell’inizio della gara, ASO (la società organizzatrice dei due Tour, ndr) ha mandato a casa delle atlete più rappresentative una loro troupe per far conoscere meglio le protagoniste. Poi mandava questi filmati sulla loro rete nazionale più volte durante la giornata. Infatti quando passavamo, il pubblico ci riconosceva. Inoltre in ogni sede di tappa, c’era uno striscione ed un cippo celebrativo riguardante alla nostra corsa. C’erano eventi collaterali nei giorni vicini. Insomma tutto simile a quello che vediamo da noi per il Giro d’Italia maschile.

Si riuscirà a ridurre questo gap?

Non so quanto tempo ci vorrà al Giro Donne per arrivare a quel livello. E’ ovvio che non possiamo pensare che lo sarà già l’anno prossimo. Chiunque sarà l’organizzatore (si vocifera Rcs Sport, ndr) non sarà tutto uguale alla Francia. In Italia non dobbiamo pensare di organizzare solo una gara ciclistica ma un evento molto più ampio. Il Tour Femmes lo hanno pubblicizzato proprio così, in modo trasversale. Va detto che loro hanno avuto un bel supporto economico da un grosso marchio come Zwift. Però conta molto anche l’aspetto culturale del Paese stesso. Il Giro sposta milioni di appassionati, il Tour muove tutta una Nazione. La differenza è quella.

Una soluzione potrebbe essere spostare le date del Giro femminile?

Per me sì, andrebbe messo a ridosso della fine del Giro maschile, anche se poi si andrebbe ad accavallare ad altre corse WT come il Women’s Tour. Bisogna parlare con l’UCI. Lasciandolo nella fascia attuale rischi che diventi secondario e che le squadre più importanti mandino solo le giovani e non le capitane. Mi dispiacerebbe molto se il Giro Donne perdesse valore, ci sono molto affezionata. E con questo voglio ribadire il mio totale appoggio agli organizzatori. Se ci mettiamo d’impegno sappiamo fare grandi cose anche noi italiani.

Alla ricerca del freddo. Ghiaccio ovunque per i corridori

24.07.2022
5 min
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Caldo estremo e corridori sempre più alla ricerca del freddo. Del ghiaccio in particolare. Okay, fa caldo e si va a cercare acqua fresca e ghiaccio, appunto, per rinfrescarsi un po’. Sembra una cosa banale e magari lo è anche, ma cosa succede al nostro organismo? Perché il ghiaccio addosso?

Ne parliamo con Nino Daniele, medico della Trek–Segafredo. Da anni nel settore, Daniele ha esperienza anche in questo campo e ci illustra le pratiche più usate dai pro’ che hanno a che fare con il ghiaccio.

Gaetano “Nino” Daniele è il medico della Trek-Segafredo. Eccolo con Lopez al Giro 2022 (foto Instagram)
Gaetano “Nino” Daniele è il medico della Trek-Segafredo. Eccolo con Lopez al Giro 2022 (foto Instagram)
Dottor Daniele, fa caldo e si mette il ghiaccio, ma cosa succede al corpo umano?

Il ghiaccio serve ad abbassare la temperatura del corpo. Questa si alza con l’esercizio fisico e con le alte temperature, come quelle che stiamo vivendo. La temperatura eccessiva del corpo umano crea delle microlesioni a livello muscolare e per questo si usa il ghiaccio.

Obiettivo quindi abbassare la temperatura…

E’ scientificamente dimostrato che la crioterapia riduce questa risposta infiammatoria del muscolo, riduce anche il dolore e il muscolo stesso è più rilassato. E tutto ciò accelera il recupero. Ci sono studi che evidenziano come si “ricarichino” i mitocondri, che sono un po’ la “centralina del muscolo” nell’erogare l’energia. Ma qui entriamo nel delicato settore della biochimica della contrazione muscolare.

Quando si ricorre al ghiaccio?

Noi vi ricorriamo quando la temperatura supera i 25°C-27°C. Per esempio già al Giro, dove ha fatto molto caldo, ma non così tanto, siamo ricorsi 4-5 volte alle “ice bath”, le vasche di ghiaccio.

Thomas, dopo la tappa un po’ di defaticamento e vasca pronta: obiettivo recupero (foto Twitter)
Thomas, dopo la tappa un po’ di defaticamento e vasca pronta: obiettivo recupero (foto Twitter)
Anche al Tour abbiamo visto che la Quick Step-Alpha Vinyl per esempio aveva un mezzo apposito…

Sì, possono esserci dei mezzi appositi, questo dipende anche dai budget o se si hanno degli sponsor, ma di base basta una piscina gonfiabile con acqua fredda e ghiaccio. Moltissimi team le usano. Noi al Giro per esempio avevamo un normale furgone da ghiaccio per trasporto alimentare con queste “piscinette” all’interno. Se ben ricordo siamo partiti con 400 chili di ghiaccio e altri 300 ne abbiamo ripresi a Pescara. Non ho i dati, ma sono quasi certo che al Tour ne abbiano usati molti di più. Vanno considerati anche i chili che consumano i massaggiatori, per le borracce, i pacchetti che si mettono dietro al collo…

Ci parli di queste vasche…

Ci si sta solo con le gambe per 10 o al massimo 15 minuti. La temperatura poi non è così bassa come si può pensare, è intorno a 16°C. E poi spesso si fa in più di una persona e diventa anche un momento di svago. Sarebbe bene farle il prima possibile dopo lo sforzo, ma tante volte con il trasferimento non si può e allora magari si usano delle apposite calze con del ghiaccio intorno. Sono fatte di un materiale particolare, tipo silicone.

Ecco, hai parlato dei pacchetti dietro al collo. Si usano molto prima del via, ma anche in corsa e non solo per il recupero. E anche i gilet appositi con gli spazi per il ghiaccio…

E’ il pre-cooling e rientra sempre nello stesso discorso del recupero e dell’abbassamento della temperatura, chiaramente. Una volta questa pratica si usava prettamente per le cronometro durante il riscaldamento, adesso viste le alte temperature che ci sono, si usano anche prima delle tappe in linea.

Che poi sembra un controsenso, ci si scalda sui rulli, ma si cerca il freddo…

Ragazzi, con la febbre si sta male. E l’aumento della temperatura come detto non fa bene. Sui rulli si scaldano i muscoli, ma al tempo stesso con i gilet e i ventilatori si cerca di tenere bassa la temperatura corporea. Si cerca uno stato di benessere generale.

La pratica delle vasche di ghiaccio è valida anche in atletica, ecco Farah (campione di mezzofondo)
La pratica delle vasche di ghiaccio è valida anche in atletica, ecco Farah (campione di mezzofondo)
Si quanto si abbassa la temperatura con il ghiaccio dietro al collo e i gilet specifici?

Difficile da valutare, ma credo due, forse tre gradi. Più che altro i corridori lo gradiscono e hanno una sensazione di benessere, come accennavo, di fresco. Lo vediamo anche con l’acqua. Oggi i corridori se la schizzano dappertutto molto più che in passato. 

Ci sono dei corridori che gradiscono particolarmente queste vasche di ghiaccio?

Diciamo che i corridori del Nord Europa sono molto più propensi di quelli mediterranei.

E quelle “bare di freddo”? Quelle con temperature anche di -110°, -130°?

Sono molto costose e meno pratiche da usare. In più nel ciclismo non si usano anche perché serve soprattutto per le gambe e non per tutto il corpo. E comunque anche il metodo più artigianale delle vasche di ghiaccio non è meno efficiente.

Brambilla incontra Masnada e… Distanza a sorpresa!

20.07.2022
5 min
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Un’uscita quasi inaspettata e tanto divertimento. Per Gianluca Brambilla l’ultimo allenamento fatto a Livigno non è stato solo un giorno di lavoro. Il corridore della Trek-Segafredo ha incontrato Fausto Masnada e insieme sono partiti alla volta del “giro della morte”.

Tra ironia e aspetti tecnici, “Brambi” ci racconta questo giorno di… ordinaria amministrazione ad alta quota. Un racconto che lascia magari anche qualche spunto su come un pro’ di alto livello imposta la distanza.

I numeri e il percorso del “giro della morte” di Brambilla e Masnada (da Instagram)

Toh, c’è Fausto

Brambilla è tornato a casa proprio ad inizio settimana. Per lui si è trattato quasi più di una “vacanza ad alta quota” (vacanza con due virgolette grosse così), più che di un’altura vera e propria. E proprio per questo, forse, questa storia forse assume più valore.

«Qualche giorno in montagna con la famiglia – racconta Brambilla – per sfuggire al caldo e anche per questo non avevo in programma nessun lavoro specifico.

«Il giorno che abbiamo fatto quella distanza è andata così. Dovevo fare 4 ore tranquille. Avevo in programma il giro con Bernina e Albula, di circa 120 chilometri. E visto che ero da solo sono uscito alle 9, che per gli orari di Livigno è anche presto.

«Ma 200 metri dopo essere partito incontro Masnada, che usciva dal garage del suo appartamento. Mi fermo a salutarlo e Fausto mi fa: vieni con me. Devo fare sei ore».

 

«Mi spiega il suo percorso: Forcola, Bernina, Stelvio e Foscagno. E’ quello che io chiamo il giro della morte Soprattutto adesso che non si può più fare la galleria di rientro dalla Svizzera in bici, ma serve la navetta. Quindi bisogna per forza scalare lo Stelvio da Santa Maria, che è la mia salita preferita.

«Un bel giro, ma tosto. Allora dico a Fausto: se nel piano di Saint Moritz non c’è vento contro vengo te. Il vento non c’era e… ho proseguito con lui!».

Allo Svizzera prima di ritirarsi per Covid, Gianluca era andato molto bene. Sarà pronto per il finale di stagione
Allo Svizzera prima di ritirarsi per Covid, Gianluca era andato molto bene. Sarà pronto per il finale di stagione

Regolari sì, ma da pro’!

Brambilla e Masnada vanno regolari. Procedono di buon passo. Il corridore della Quick Step-Alpha Vinyl deve fare anche dei lavori specifici, mentre Brambilla, come detto, deve andare “easy”. E infatti sta più spesso a ruota e nelle salite magari si stacca anche, salvo poi ricompattarsi in cima.

«Siamo andati con un buon ritmo – racconta Brambilla – ci siamo coordinati bene. In cima ci si fermava giusto per mettere la mantellina e poi via in discesa. Abbiamo fatto qualche sosta alle fontane per riempire la borraccia, anche lassù faceva caldo». 

Da come parla Brambilla, sembra più un appassionato che un pro’. Anche se i ritmi sono da campioni. Alla fine si sono sciroppati oltre 170 chilometri e quasi 4.000 metri di dislivello in meno di sei ore!

«Non che sia stata tanto diversa da una distanza che si fa in un vero ritiro in quota, almeno per me – spiega Brambilla – non ci siamo fermati a fare le foto al panorama… per dire.

«Di solito in questi casi le salite si fanno al medio, stavolta le ho fatto al medio basso. Quindi se solitamente nel mio medio oscillo tra i 270 e i 310 watt, stavolta mi attestavo sui 270-280 che, visto il mio peso di 58-59 chili, è circa 5 watt/chilo, poco meno.

«Cercavo di essere agile, molto agile. Salivo sempre sulle 90 anche 95 pedalate. Stimolare la cadenza in quota è importante. I rapporti? Dipendeva dalla pendenza chiaramente, ma credo di aver usato soprattutto il 39×24-27 e il 30 in qualche passaggio».

Passando anche in Valtellina non si poteva non prendere un panino con la bresaola
Passando anche in Valtellina non si poteva non prendere un panino con la bresaola

Incontri e racconti

Però “la sosta Coca Cola” non è mancata. «Assolutamente no. Non può mancare in una vera distanza – continua Brambilla – e l’abbiamo fatta a Valdidentro, scendendo dallo Stelvio. Siamo stati lì una ventina di minuti abbondanti. Una Coca per entrambi e un panino con formaggio e bresaola, per me, senza formaggio per Fausto».

Gianluca e Fausto in quel bar hanno anche incontrato Annemiek Van Vleuten, che aveva appena vinto il Giro Donne. Qualche battuta con lei prima di ripartire per il Foscagno e risbucare a Livigno.

Come si passa il tempo in sei ore? Beh, parlando! Anche per i corridori, le migliori chiacchierate sono quelle che si fanno in bici. E anche se Fausto e Gianluca sono stati compagni solo in azzurro, gli argomenti e il feeling non sono mancati.

«Ho parlato “da vecchio” ormai!», scherza Brambilla. «“Mi hai fatto passare bene la giornata”, mi ha detto Fausto a fine giro. Di cosa si parlava? Del Tour, discorsi generali, di quanto è cambiato il ciclismo… Per esempio, l’altro giorno ho acceso la tv e Soler era staccato. Vedete, oggi è un attimo a prendere una “botta”. Questo sport è sempre duro. E non è mancato qualche aneddoto di corse passate. Proprio Fausto mi ha detto di quanto avessi spinto forte su una salita dello Svizzera.

«Dai, abbiamo portato a termine un’ottima giornata di lavoro. E ci siamo divertiti! E anche se ho sforato di due ore rispetto al mio programma è andata bene lo stesso».

Ganna inventa e Pedersen conclude nell’afa di Saint Etienne…

15.07.2022
6 min
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A fugare il dubbio che Pedersen abbia fatto una furbata ad attaccare mentre cercava di prendere qualcosa dalla tasca ha pensato lo stesso Ganna, abituato a dire le cose come stanno.

«Volevamo andare in fuga anche oggi – dice il piemontese dopo l’arrivo – e fare una bella cosa per il secondo giorno consecutivo dopo la vittoria di Pidcock. Per questo sono partito, ma quando Pedersen ha attaccato, non ne avevo più tanta. Al momento del suo scatto avevo la mano in tasca per prendere un gel, ma non credo che se l’avessi avuta sul manubrio, sarei riuscito a stargli dietro».

Pippo che tira per i suoi leader alla Ineos Grenadiers. Pippo che manda giù la crono sfumata e si infila nelle fughe. Poi Pippo che punta all’ultima crono, ma forse non gli basta. Infine Pippo che nel primo Tour prende le misure e porta via la fuga con la stessa sicurezza con cui fino a ieri l’ha fatto Van Aert. Pippo che ancora non ha detto tutto.

Un Tour incredibile

E così Mads Pedersen, corridore di 26 anni in maglia Trek-Segafredo, fa sventolare la bandiera danese sul traguardo del Tour, unendosi alla maglia gialla Vingegaard. Lo fa con un’azione che ci ha ricordato i mondiali di Harrogate. Ma mentre in quell’occasione si nascose e puntò sull’effetto sorpresa, questa volta ha indossato i panni del favorito. Ha scremato la fuga. Ha rintuzzato gli allunghi di Houle e Wright e poi li ha staccati in volata. A conferma che gli arrivi ristretti sono il suo forte. Come imparammo a spese di Trentin (e anche nostre, avendoci creduto tanto) in quel mondiale fradicio di tre anni fa.

«E’ un Tour incredibile – dice il vincitore – e vincere questa tappa lo è di più. Sapevo di essere in buona forma e di aver perso alcune opportunità nella prima settimana. Non c’erano molte altre opportunità, per questo è davvero bello essere sul gradino più alto. Non solo per me, ma anche per tutta la squadra. Siamo venuti qui solo con cacciatori di tappe e ora ci siamo riusciti».

La Trek family

La squadra è il filo conduttore. Per questo nei giorni scorsi l’annuncio del rinnovo del contratto è stato celebrato quasi come una vittoria.

«Questa squadra – ha detto nei giorni scorsi – mi ha dato l’opportunità di salire al livello WorldTour. Questo è il mio sesto anno con la Trek-Segafredo e ne ho aggiunti altri tre. Stare con una squadra per nove anni è speciale e questa per me è una seconda famiglia. Ecco perché sono voluto restare. Il nostro gruppo per le classiche si rafforza ogni anno. Aiutare la squadra a migliorare è per me importante».

Partendo da Copenhagen, era lecito aspettarsi che Pedersen pensasse di lasciare il segno. Tuttavia la cifra del Tour 2022 è la follia di certi giorni e di certe andature e occasioni per lui non si sono presentate.

Ganna e Kung, due dei motori più potenti del Tour hanno portato via la fuga
Ganna e Kung, due dei motori più potenti del Tour hanno portato via la fuga

La scelta giusta

Oggi Pedersen ha approfittato del grande forcing di Ganna e Kung, poi ha chiesto a Quinn Simmons di farsi portare nel tentativo e di tirare fino a che ne avesse. E quando il ragazzone di Durango si è spento sull’ultima salita che ha tagliato definitivamente fuori le chance dei velocisti, Pedersen si è ricordato d’essere stato campione del mondo e ha fatto da sé.

«Se la fuga fosse stata composta da più di quattro persone – ha spiegato – il piano era che ci fossimo anche noi. Che ci fossi io. Non sapevamo come le altre squadre avrebbero affrontato l’ultima salita a 45 chilometri dal traguardo e se fossi stato nel gruppo con gli altri velocisti, magari sarei rimasto staccato. Per parecchi chilometri ho pensato che fosse un errore essere in fuga, perché avevamo solo due minuti, ma alla fine si è rivelata la scelta giusta».

La resa di Caleb

I poveri velocisti infatti hanno alzato presto bandiera bianca. Il solo che avrebbe potuto tenere era Caleb Ewan, che però è caduto.

«In realtà oggi mi sentivo davvero bene – dice dopo l’arrivo – avevamo mandato avanti due uomini per controllare la fuga. Poi non so cosa sia successo in quella curva. Non ho potuto evitare la caduta, quindi adesso mi fanno male il ginocchio e la spalla. Ho capito subito che non ce l’avrei fatta. Finora ci sono stati solo due sprint di gruppo, non è sicuramente un buon Tour per i velocisti. In più metteteci la sfortuna! Sono certo che mi riprenderò e speriamo che il vento cambi».

Ewan è caduto e affranto: il Tour non sorride agli uomini veloci
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La voce del padrone

Il colpo di grazia agli altri due Pedersen l’ha dato prima attaccando e poi nella volata, anche se Trentin da casa con un messaggio in risposta al nostro ha sottolineato che gli altri due non lo abbiano attaccato davvero a fondo. Forse è vero, forse semplicemente non ne avevano più.

«Non volevo arrivare con troppi corridori – dice – perché altrimenti sarebbe stato troppo difficile controllarli, quindi ho provato ad attaccare e per fortuna il gruppo di testa si è spezzato. Eppure non sono stato sicuro di vincere finché non ho tagliato la linea».

Per Pedersen all’arrivo anche il numero rosso di più combattivo
Per Pedersen all’arrivo anche il numero rosso di più combattivo

Nel segno di Jaja

E mentre nei 31 gradi di Saint Etienne si festeggia un velocista nel giorno in cui i velocisti sono usciti di scena, gli sguardi degli uomini di classifica sono puntati sulla tappa di domani, piena zeppa di salite. Con questo caldo che squaglia l’asfalto e fa scappare le ruote e dopo le fatiche alpine, il giorno di Mende promette di fare male. In quei 3 chilometri al 10 per cento di pendenza media, su cui il 14 luglio del 1995 si impose Laurent Jalabert, l’esplosività di Pogacar potrebbe vedere la prima rivincita su Vingegaard. Anche domani, ragazzi, ci sarà ben più di un motivo per seguire la Grande Boucle.