Ettore Giovannelli, occhi curiosi sulle strade del Tour

27.07.2022
7 min
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Alpe d’Huez, un caldo bestiale. La curva degli olandesi è alle spalle. Hanno battuto sugli sportelli e gridato frasi incomprensibili. Non hanno nemmeno offerto da bere, che sarebbe stato il solo pretesto per fermarsi. E mentre lentamente continuiamo la nostra scalata, dietro la curva riconosciamo Ettore Giovannelli della RAI. Ha fermato l’auto e sta tornando indietro al piccolo trotto, col solito sorriso e il suo microfono, per immergersi nella bolgia arancione e alcolica.

Questa è la celebre curva degli olandesi, che si aprono per i corridori e bloccano il resto del traffico
Questa è la celebre curva degli olandesi, che si aprono per i corridori e bloccano il resto del traffico

Il Tour di Ettore

Il Tour di Ettore è stato un racconto di strada. Nel viaggio attraverso la Francia, i suoi contributi nelle dirette della RAI hanno fatto la differenza. Interviste alla partenza e agli arrivi, ma soprattutto gli interventi in diretta per mostrare personaggi e luoghi che solo chi è al Tour può raccontare. Per questo ci è venuto in mente di sentire ancora la sua voce, che per anni ci ha raccontato le imprese di Michael Schumacher parlando con lui in tedesco e traducendolo da sé.

Giovannelli è un pescarese classe 1964 e nel ciclismo c’è arrivato quando la RAI non è più riuscita a riprendere i diritti della Formula Uno, in cui era una delle voci di riferimento. Dopo un po’ che ci parli, ti rendi conto di avere di fronte davvero una brava persona. Del resto certi servizi non verrebbero così bene senza avere addosso l’umanità necessaria.

«E così adesso – sorride – lavoro come gregario, per dare una mano a Rizzato, Pancani e Garzelli soprattutto con i corridori stranieri. Ho cominciato facendo un po’ di gare, poi qualche Giro e questo è stato il quarto Tour. Due li ho divisi con un collega, questo è il secondo che faccio per intero. Abbiamo cercato di dare qualche tocco di attualità e di vita vissuta. Questo almeno è quello che ho provato a fare io, che sono un giornalista di strada. E questo Tour con le prime riaperture dopo il Covid è stato decisamente un’altra cosa».

Con la collega Stella Bruno nell’autodromo di Abu Dhabi
Con la collega Stella Bruno nell’autodromo di Abu Dhabi
Cosa hai pensato quando hai capito che la Formula Uno avrebbe cambiato canale?

Eravamo tutti dispiaciuti, perché era qualcosa di prestigioso. Era molto seguita, faceva ottimi ascolti. Invece per vari motivi e per scelte soprattutto economiche, perché i diritti erano aumentati tantissimo, non l’hanno più presa. E quindi i miei vent’anni di Formula Uno sono rimasti lì. Era il mio mondo, avevo una rendita di posizione. Conoscevo tutti, invece mi sono dovuto rimettere in gioco. Ho fatto un po’ di sci d’inverno, sempre per il fatto che lì parlano quasi solo tedesco, e alla fine sono arrivato al ciclismo.

Tedesco nella Formula Uno fa pensare a Schumacher… 

Infatti ho cominciato nel 1999 con lui e ho seguito i 5 titoli mondiali e tutto quello che ha fatto. Ho avuto la fortuna di entrare al momento giusto, dopo anni in cui la Ferrari non vinceva più. Ho conosciuto bene Michael, ero praticamente la sua ombra. Stavo sempre con lui e a quel tempo facevamo davvero tantissimo, perché il prodotto tirava.

Altro ambiente rispetto al ciclismo?

Non c’erano solo i piloti, ma anche politici, cantanti, attori. Era una miniera ed era figo sentire di farne parte. Ma se proprio devo dire, la Formula Uno è una torre d’avorio, un mondo a sé. Invece il ciclismo è la vita vera, che va per strada e fra la gente.

I tuoi interventi sulle strade del Tour erano programmati o improvvisati?

Entrambe le cose. Alcuni li devi programmare, come ad esempio l’incontro con Monsieur Route, che spazzolava la strada e buttava acqua per raffreddare l’asfalto. Il diavolo invece l’ho incontrato casualmente. Molte cose le abbiamo organizzate, per esempio il fatto del gilet di Thomas. Ho dovuto fargli la corte. Ho insistito, dicendo che poteva essere una cosa interessante e lui alla fine me l’ha dato (in apertura, Giovannelli, Pancani e il gilet). Sono andato a prenderlo da questi tifosi, ho fatto un po’ di scenette e l’ho portato all’arrivo. Poteva essere clamoroso, pensate se avesse perso il Tour per quei 20 secondi…

Si è capito a cosa porterà questa staffetta del gilet?

Ancora non so, ma sicuramente raggranellerà un po’ di soldini per la sua causa. A un certo punto ha capito di non poter tornare indietro e si è inventato questa attività interessante per i tifosi.

Questa l’intervista con André Bancala, il Monsieur Route del Tour (immagini Rai Sport)
Questa l’intervista con André Bancala, il Monsieur Route del Tour (immagini Rai Sport)
Come è andata con gli olandesi?

Mi sono fermato e abbiamo girato tutto il casino che c’era. Ho parlato con un po’ di gente. Mi hanno detto che in Olanda sanno che se al Tour c’è l’Alpe, si fa questa cosa qui. E quindi c’è gente che si sposta per andare in quel punto e ballare, cantare e bere birra. Quest’anno è stato di nuovo un Tour di quelli veri, di luglio. Con le famiglie e i bambini. E questo è stato davvero molto bello, perché ti rendi conto che per loro è un’istituzione. Il nostro Giro sarà sicuramente più suggestivo per i paesaggi e forse più duro, ma il Tour per loro è una cosa fondamentale.

Parliamo di corridori…

Mi ha colpito Rafal Maika. L’ho beccato una volta alla Planche des Belles Filles, quando Pogacar aveva vinto e ha fatto un’intervista davvero bella. Si vedeva che oltre al fatto di essere nella stessa squadra, c’era una grandissima intesa. Poi quando si è fatto male e non riusciva più a pedalare, l’ho ribeccato al pullman. E’ sceso e ha voluto parlare. E’ stato gentile. Un altro invece è Uran. Lui è una bomba, comunque vada. Abbiamo parlato dopo la tappa in cui aveva attaccato per poi essere staccato e mi ha detto che davanti o dietro lui comunque si diverte sempre. Al Tour si percepisce un’intensità che al Giro non c’è. La fuga sembra una questione di vita o morte. Sono tutti tiratissimi e questo è una cosa che ti colpisce la mattina. E’ stato bello anche che per i primi dieci giorni ci abbiano permesso l’accesso ai bus prima del via, mentre dopo l’arrivo è rimasto possibile sino a Parigi. 

Bettiol è uno dei corridori italiani che gli offrono più spunti
Bettiol è uno dei corridori italiani che gli offrono più spunti
Corridori e piloti…

Io mi muovevo benissimo, però la Formula Uno è diventata peggio del calcio. Per arrivare al pilota, anche se è un amico e lo conosci da 10 anni, devi passare dall’addetto stampa e i tempi si dilatano. Io restavo il pomeriggio fino a tardi e poi dietro ai camion… per caso incontravo quello che dovevo intervistare. Il ciclismo è meno strutturato e quindi il contatto è più facile. C’è sempre chi ama parlare e chi no. Ad esempio tra gli italiani c’è Bettiol che, poveretto, ha perso la tappa di Mende. Lui con me è sempre molto disponibile e molto acuto. Ti dà tutta ciccia (modo da giornalista per dire che offre materiale di buona sostanza, ndr) e ti permette di lavorare bene.

Altri?

Altri li ho conosciuti quest’anno, come Mozzato e Dainese e li vedi già con la testa giusta. Poi Caruso e Ciccone, ma si vedeva che non stavano bene. Invece chi è un gran figo è Van Aert. Lui oltre a essere fortissimo, ti ascolta e risponde sempre nel tema, non solo con belgi e olandesi anche con noi. Ti dà sempre la sua interpretazione.

Un salto al Giro: Giovannelli aspetta Pozovivo al Block Haus
Un salto al Giro: Giovannelli aspetta Pozovivo al Block Haus
E se la RAI dovesse riprendere la Formula Uno?

Ci dovrei pensare. Fino a un paio d’anni fa, mi sentivo in stand by. Adesso sono tanti anni che manco, ma se dovesse tornare ci farei un pensierino molto serio. Però questa cosa del contatto con la gente mi sta prendendo più di quanto immaginassi. Intanto siamo qua a portare le borracce. Gli altri ne sanno molto più di me. Perciò se c’è una cosa tecnica, cerco di farla al mio meglio. Qualcuno però dice che a forza di occuparmi di servizi di colore, non faccio più il giornalista, ma il pittore.