Secondo Elisa Longo Borghini che l’ha concluso al sesto posto, il Tour de France Femmes è stato la corsa meglio organizzata cui abbia partecipato. Per Niewiadoma, terza, si è trattato della corsa più dura, malgrado mancassero clamorosi tapponi di montagna. Per Annemiek Van Vleuten che l’ha vinto, è stato sbalorditivo rendersi conto di quanto pubblico sulle strade abbia seguito la corsa.
Si potrebbe banalizzare e tagliar corto, dicendo che dal Tour non puoi aspettarti niente di diverso. Tuttavia proprio l’intervista di Marianne Vos pubblicata ieri fa capire in che modo il Tour de France affronti le nuove sfide e come tanta bellezza sia frutto di programmazione, studio ed esperienza.
Nove anni di studio
Sono serviti nove anni, durante i quali sono stati ascoltati team, atleti, enti locali, la Federazione francese e quella internazionale e varie altre forze in campo. Poi il progetto è partito, con la guida della corsa affidata a Marion Rousse (in apertura con il capo del Tour Christian Prudhomme), ex atleta e opinionista tivù.
Avere alle spalle la logistica della gara degli uomini ovviamente aiuta, così come aiuta aver trovato un grande sponsor come Zwift, ma sarebbe riduttivo pensare che attaccando otto giorni di corsa al Giro d’Italia dei professionisti si avrebbe un risultato identico. Certo la logistica e le strutture sarebbero superiori a quelle che capita di incontrare al Giro d’Italia Donne, ma il richiamo di pubblico, il racconto e il supporto per la corsa non potrebbero essere all’altezza di chi ha iniziato a ragionarci da così tanto tempo.
Per quanto evento di un solo giorno, la precedente La Course by Le Tour veniva sostenuta, annunciata e proposta al pari di una grande classica WorldTour maschile, con adeguata copertura televisiva e sinergie pazzesche fra l’organizzatore ASO, la televisione francese e l’Equipe che traina il mondo del ciclismo francese con uno spiegamento di forze a volte impressionante.
Grandeur Equipe
Quando nei giorni del Tour Davide Cassani ha fatto su Facebook l’elenco dei motivi per cui seguire un Tour sia così diverso dal seguire un Giro, ha incluso nel discorso anche la decina di pagine che il quotidiano sportivo francese dedicava alla gara. Osservare ogni giorno gli inviati de L’Equipe dava l’esatta dimensione dello spiegamento, dell’investimento e di quale sia l’importanza dell’evento Tour per i media francesi. Allo stesso modo in cui rendersi conto che la Gazzetta dello Sport abbia seguito il Giro d’Italia con un solo inviato, per (si dice) una serie di tensioni interne fra RCS Sport e la Gazzetta dello Sport, offre la chiara percezione di quanto neppure la corsa di casa riesca a fare breccia nel giornale che un tempo la organizzava.
Il Giro Donne
Sarà vero che il Giro d’Italia voglia subentrare dall’oggi al domani nella gestione del Giro Donne? Alcuni uomini dell’organizzazione sono stati presenti in corsa, ma ci sarebbero dietro il ragionamento, l’investimento e l’amore per l’evento che permetterebbe di renderlo davvero speciale? Oppure si tratterebbe di uno scatto per rincorrere il Tour senza la certezza di tenerne le ruote sino al traguardo?
Che la corsa italiana abbia diritto a qualcosa di migliore è stato lampante agli occhi degli inviati che hanno seguito e raccontato la vittoria di Annemiek Van Vleuten, anche se curiosamente anche in questo caso è parsa più qualificata la presenza dei media stranieri rispetto agli italiani. I grandi giornali hanno infatti ritenuto di non seguirla affatto e questo chiaramente diventa un freno al suo sviluppo. Non si discute la buona volontà di chi anche quest’anno ha messo in strada il Giro Donne, ma il livello tecnico a fronte di una corsa WorldTour che adesso non è più sola e deve necessariamente confrontarsi con la nuova arrivata francese.
La grande storia
Sia chiaro: neppure i francesi organizzano gare per passione e basta e neanche loro sono infallibili. La struttura del Tour produce utili che vengono certamente divisi, ma anche reinvestiti in nuovi eventi. Eppure quando sei là capisci che alla base c’è una spinta culturale importante. Il Presidente della Repubblica in carovana. L’accoglienza nelle sedi di tappa. La ricercatezza dei dettagli che rendono il viaggio bello quanto l’approdo. Il questionario una settimana dopo per chiederti come ti sei trovato e che cosa cambieresti. Tutto questo, unito al senso tutto francese di dover mantenere grande un evento che appartiene alla storia, richiama sulle strade fiumi di persone. A fronte di un Giro d’Italia che quanto a storia e percorsi non ha nulla da invidiare a nessuno, ma in certi momenti appare senz’anima e la gente fa sempre più fatica a distinguere fra il bello che racconta e il fastidio che genera.