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Con Garzelli sulle strade delle corse valenciane

23.02.2023
6 min
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A volte la storia del ciclismo e dei campioni passa anche per una strada che non ci si aspetta. Una strada che, nel vero senso della parola, si snoda fra campi coltivati a mandarini e arance e che è costantemente teatro di grandi sfide tra i pro’. E’ la gran fondo Stefano Garzelli, che si terrà in Spagna, a Betera, il 2 aprile prossimo.

Il campione varesino da anni vive nella regione di Valencia. Betera dista meno di 20 chilometri a Nord Ovest di Valencia stessa.

Complici il buon clima, una certa tradizione ciclistica e strade bike friendly, è qui che si tengono corse come la Clasica Comunitat Valenciana 1969, la Volta a la Comunitat Valenciana e tanti transiti della Vuelta Espana. Anche quest’anno la quinta e la sesta tappa toccheranno quelle terre.

Colline più spoglie e grandi coltivazioni di arance e mandarini. Questa foto è stata scattata nel giorno della vittoria di Velasco
Colline più spoglie e grandi coltivazioni di arance e mandarini. Questa foto è stata scattata nel giorno della vittoria di Velasco

Nasce la GF Garzelli

A Betera Stefano Garzelli è ormai di casa e ha deciso di lanciare qui la prima edizione della gran fondo a lui dedicata.

«Più che una prima edizione – racconta la maglia rosa 2000 – per me è un po’ un’edizione zero. Immagino che ci saranno molte cose che dovranno poi essere perfezionate nel corso del tempo, ma c’è la voglia di regalare una giornata di sport e divertimento ai ciclisti della zona e non solo. Penso anche agli appassionati italiani».

E, aggiungiamo noi, ai tanti turisti del Nord Europa che vanno a “svernare” in Spagna. E, credeteci, sono tantissimi, specie i cicloturisti tedeschi e belgi. Tanto più che qualche decina di chilometri più a Sud, fra Oliva, Denia, Benidorm, Calpe, tutte le squadre svolgono i loro ritiri invernali.

Stefano Garzelli con i suoi ragazzi sul percorso della gran fondo che si terrà il 2 aprile
Stefano Garzelli con i suoi ragazzi sul percorso della gran fondo che si terrà il 2 aprile

Tracciato per tutti

Ma torniamo all’evento di Garzelli. Dicevamo “edizione zero”, ma idee chiare. Garzelli vuole unire l’aspetto ludico-turistico a quello agonistico. E per questo Stefano stesso ha pensato ad una formula molto interessante.

Il percorso si snoda su un anello di 120 chilometri per un totale di 1.200 metri di dislivello. Si parte e si arriva a Betera. La prima parte (circa 45 chilometri) è un continuo saliscendi che tende a salire. Poi a Casinos, inizia la salita di Alcublas. La seconda parte, invece è più filante.

«La prima parte – spiega il varesino – sarà ad andatura controllata, dietro macchina. Un’andatura che consentirà a tutti di pedalare senza stress e di godersi il paesaggio. Ai piedi della salita di Alcublas, scatterà la gara. La scalata tocca i 950 metri di quota. E’ lunga 7 chilometri e ha una pendenza media che oscilla fra il 6% e il 7%.

«In cima, ci sarà un grande ristoro. Aspetteremo che il gruppo si ricompatterà e una volta che tutti saranno pronti, ripartiremo per la seconda parte del percorso, che farà ritorno a Betera. Di nuovo un tratto di una trentina di chilometri dietro macchina e gli ultimi 20 chilometri, pianeggianti saranno di gara.

«Ho scelto due tratti diversi per la gara in quanto ritenevo giusto dare spazio sia agli scalatori che ai ciclisti che più amano la pianura e sono veloci. In questo modo tutti avranno le loro possibilità. E poi volevo un evento che fosse per tutti: dalla signora che ama godersi la bici, al cicloamatore che vuole “darsi le legnate” con i compagni!».

In questo modo la gran fondo diventa una “micro corsa a tappe”: una frazione per scalatori e una per velocisti, tutti ad armi pari. Se in cima non fosse previsto il ricongiungimento, le ruote veloci sarebbero tagliate fuori. Una formula innovativa e interessante.

Tanto da vedere

«Al netto dell’evento, a cui tengo molto – prosegue Garzelli – mi piaceva ideare questa gran fondo. Credo sia un’opportunità per il territorio e per gli appassionati. Bisogna considerare che nella zona di Valencia c’è molto da vedere, a partire da Valencia stessa, città stupenda. Facile da raggiungere anche via aereo dall’Italia».

Valencia è una delle città europee che più si è evoluta negli ultimi anni. Ha visto una trasformazione architettonica importante, sviluppandosi “sul mare” e alternando la modernità del litorale alla tradizione del centro storico. Basti pensare che vi sono stati disputati dei Gp di Formula 1 (proprio nell’aera litoranea) ed è stata sede dell’America’s Cup, il più importante trofeo velistico al mondo.

Strade per ciclisti

«La cosa bella di questa zona – spiega Garzelli – è anche la cultura della bici che c’è e che ormai vive nei cittadini. Pensate che la legge del metro e mezzo di distanza tra veicoli e ciclista è stata modificata in 2 metri. C’è grande rispetto per il ciclista. Qui, le auto, sono in grado di restare dietro alle bici per più chilometri senza che si attacchino al clacson.

«E anche la segnaletica è “bike friendly”. Sulle salite per esempio ci sono i cartelli che indicano la pendenza del chilometro che si va ad affrontare e quanto manca alla cima. Sono strade ampie con un buon fondo, sicure. Qui ci sono diverse gare, specie ad inizio stagione. Io ci porto i miei ragazzi, gli allievi, a pedalare. E’ da qui per esempio che viene Iker Bonillo, ora alla Green Project Bardiani e sempre qui mi allenavo io».

Un piccolo paradiso per i ciclisti dunque questa zona valenciana. E sempre per restare in tema di tradizioni e cultura, a fine gara, anziché il pasta party, ci sarà il “paella party”! Una gigantesca e gustosa paella valenciana preparata in un mega padellone.

Ma le sorprese non finiscono qui. Perla del villaggio di gara sarà il Trofeo Senza Fine, che Garzelli conquistò nel 2000. E al suo fianco ci sarà anche il tridente della Tirreno-Adriatico del 2010. Ci si potrà fare un selfie indimenticabile, magari con Garzelli stesso e con altri campioni. Anche Ivan Basso e Alejandro Valverde infatti dovrebbero far parte della sfida!

Per tutte le info potete cliccare qui.

Rivoluzione e durezza. Garzelli: «Vuelta spettacolare»

11.01.2023
9 min
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Quando presentammo il Tour 2023 parlammo di rivoluzione, ebbene per la Vuelta non possiamo che ripetere questo termine. Aso, la società che organizza i due grandi Giri, ha stupito ancora. Magari qui in Spagna la rivoluzione è stata un filo meno accentuata per il semplice fatto che da anni si erano fatti degli “esperimenti” sull’anello iberico, ma le novità 2023 ci sono. E non sono piccole.

Stefano Garzelli lo coinvolgiamo spesso, specie quando di mezzo c’è la Spagna, visto che da anni vive lì. Lì ha una squadra, conosce strade e corridori. E soprattutto perché la Vuelta l’ha anche fatta. E anche lui dice: «E’ una Vuelta spettacolare. Molto, molto dura. La più dura degli ultimi 20 anni. Prima, seconda e terza settimana: non ti puoi rilassare mai. Devi stare sempre attento».

Calano i chilometri

Ma quali sono queste novità che ci fanno parlare ancora di rivoluzione? La disposizione delle tappe, in primis. Un arrivo in quota alla terza tappa, poi un altro in salita alla sesta e così via… Tappe decisive che sono molto corte. E poi il finale: l’ultima frazione di montagna tosta è la 17ª. Il che non sarebbe una novità assoluta, se non fosse che alla penultima o ultima frazione in questi casi c’è una crono potenzialmente decisiva. Ma la crono non c’è! Al suo posto una tappa che potrebbe ribaltare tutto.

Insomma, la Vuelta Espana 2023, in programma dal 26 agosto al 17 settembre, propone 21 tappe per un totale di 3.153,8 chilometri con partenza da Barcellona e arrivo a Madrid. Nel mezzo: due crono (una a squadre in apertura e una individuale), 10 frazioni con arrivo in salita, 7 delle quali in montagna.

Mentre è vita dura per i velocisti: solo 5 tappe e in un paio si dovranno sudare l’arrivo allo sprint. Due i classici giorni di riposo: dopo la tappa 9 (prima della crono individuale) e dopo la tappa 15.

E sempre in termini di rivoluzione, il chilometraggio scende parecchio. Dal 2021 la gara spagnola ha perso 264 chilometri (3.417 nel 2021; 3.283 nel 2022 e 3.153 nel 2023). In pratica ben oltre una tappa, quasi due, visto che la distanza media del 2023 è di 150,1 chilometri a frazione.

Dopo il mondiale…

Garzelli palava di attenzione massima. Vedendo i profili delle frazioni non può che essere così, ma anche le planimetrie incideranno. 

«Le tappe di Tarragona e Zaragoza – spiega la maglia rosa del 2000 – sono pianeggianti sì, ma anche molto ventose. In quelle zone il vento non manca quasi mai. A mio avviso è una Vuelta che si può perdere in qualsiasi giorno, regola che vale sempre, ma stavolta più che mai.

«Io credo che il fatto che venga dopo il mondiale abbia spinto gli organizzatori a “metterci dentro” di tutto. Vero che magari questa scelta non riguardava tanto gli uomini di classifica, ma in parte anche loro… se non altro perché qualche momento di respiro c’era.

«Vista la durezza, anche della terza settimana, non credo che chi farà il Tour potrà pensare di fare bene anche alla Vuelta, specie se nel mezzo dovesse partecipare anche al mondiale. Vedo molto più fattibile l’accoppiata con il Giro d’Italia. Si avrebbe il tempo di recuperare e di riprepararsi».

Non solo Angliru e Tourmalet

Ma Vuelta fa rima con salite. Dicevamo di dieci arrivi con la strada che sale.

«Angliru e Tourmalet sono due icone. Il Tourmalet soprattutto. Da quel versante non l’ho fatto in gara, ma lo conosco chiaramente. Ricordo che stavo facendo una ricognizione per la Rai, finimmo alle 22,30 e in cima c’era ancora il sole. Tra l’altro in vetta incontrai anche un bimbo che fa ciclismo nella scuola valenciana. E’ una salita selvaggia teatro da sempre di grandi sfide come quella tra Contador e Schleck. Ma io non penserei solo a queste due scalate».

«Già la terza tappa ad Andorra è durissima. Il finale è parecchio tosto. I corridori conoscono bene quelle strade perché molti ci vivono. L’Alto de Javalambre anche è duro: va su a strappi e sfiora i 2.000 metri di quota.

«Ma soprattutto occhio alla scalata di Xorret de Catì, tappa 8. L’arrivo è 3 chilometri dopo, in discesa, ma ci sono pendenze micidiali. Gli ultimi 3 chilometri di scalata sono al 18 per cento. Se ricordate è la salita in cui Roscioli andava su a zig-zag. Bella anche la tappa 14, ideata da Indurain. Erano le sue terre. Ieri l’hanno presentata con lui e Delgado».

Finale e squadre

Come avevamo anticipato se le grandi salite finiscono con l’Angliru (17ª frazione), le difficoltà no. E forse tutto può rimettersi in gioco.

«E poi – sottolinea Garzelli – c’è la ventesima tappa, quella di Guadarrama: 208 chilometri la più lunga (e unica sopra i 200 chilometri, ndr) con 4.300 metri di dislivello e salite di terza categoria su un circuito da ripetere cinque volte. Una frazione così, se la classifica dovesse essere ancora aperta, rischia di cambiare tutte le carte in tavola. E’ durissima e la squadra conterà molto. Ma dubito che alla ventesima tappa i capitani avranno ancora tutti e sette i compagni.

«Non a caso ieri alla presentazione quando hanno intervistato Mas, Soler e Juan Pedro Lopez tutti sono rimasti impressionati da questa frazione».

Infine un occhio sui favoriti. La squadra conterà moltissimo e in teoria UAE Emirates, Ineos Grenadiers e Jumbo-Visma sarebbero ancora le favorite, ma questa potrebbe essere la volta buona di Enric Mas secondo Garzelli.

«Per me – conclude Stefano – ci sono solo 25 chilometri a crono e immaginando che gli altri grandi siano al Tour, Mas può e deve puntarci molto. Poi alla Movistar non hanno molti leader per un grande Giro e non so chi porterebbero al Tour oltre a Mas. Questa è la sua occasione».

In rassegna i nomi caldi della Vuelta. Garzelli incorona Carapaz

17.08.2022
6 min
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Poco più di 48 ore e sarà Vuelta a Espana! La carovana si riunirà in quel di Utrecht in Olanda per una corsa che si annuncia super combattuta. Una Vuelta piena di domande, di curiosità che poniamo all’attenzione di Stefano Garzelli.

La maglia rosa del 2000 oltre che un grande conoscitore degli atleti è anche un esperto di Spagna visto che ci vive e ha le mani in pasta nel ciclismo giovanile grazie alla sua squadra, lo Stefano Garzelli Team. Pertanto è in grado di capire quali sono i corridori più indicati alla conquista della maglia rossa anche in base al tracciato.

Qualche giorno fa Roglic ha pubblicato questa foto. Ha ritrovato forza e sorriso. Sarà pronto per il poker? (foto Instagram)
Qualche giorno fa Roglic ha pubblicato questa foto. Ha ritrovato forza e sorriso. Sarà pronto per il poker? (foto Instagram)
Stefano, da chi partiamo?

Direi da Roglic, non fosse altro perché ha vinto le ultime tre edizioni. Deve stare tra i favoritissimi. Bisogna vedere come ha recuperato dal ritiro del Tour, ma io credo che il fatto che ci sia vuol dire che questo recupero c’è stato, altrimenti neanche sarebbe partito. Magari non sarà al 100%, ma la forma c’è, e si è visto anche in Francia, vediamo se c’è anche il fisico, la salute.

Che poi Primoz alla Vuelta sembra essere più sicuro di se stesso, più padrone della situazione…

Vero. Ci sta che un corridore abbia più o meno feeling con una corsa. E poi guardate che vincere tre Vuelta di seguito è tanta roba.

Un altro nome, Stefano?

Richard Carapaz. Lui è senza dubbio uno degli avversari maggiori di Roglic. Primo, perché dopo aver perso il Giro vuole la rivincita. Secondo, perché nel 2020 perse proprio dallo sloveno e vorrà togliersi il sassolino dalla scarpa. E poi ha una squadra forte.

Carlos Rodriguez con Sivakov (a destra). Il campione nazionale spagnolo guida la schiera dei giovani della Ineos-Grenadiers
Carlos Rodriguez con Sivakov (a destra). Il campione nazionale spagnolo guida la schiera dei giovani della Ineos-Grenadiers
Che la sua Ineos-Grenadiers sia forte okay, ma sono quasi tutti “bimbi”…

Mah, sapete a fine stagione portare dei “bimbi” può essere un vantaggio. Sono più motivati, magari non hanno fatto nessun grande Giro. Loro ti danno il 110%, un corridore esperto magari ti dà il 90. E poi non c’è un mondiale troppo adatto a loro o agli scalatori, quindi vengono espressamente per la Vuelta.

Un nome lo buttiamo sul piatto noi: Simon Yates…

Lo stavo per dire io! Simon Yates ha già vinto la Vuelta nel 2018 e credo si sia preparato anche piuttosto bene. Ha anche vinto in questo avvicinamento e a Burgos è andato forte… Anche lui deve far vedere quello che vale. Simon combatte con i suoi alti e bassi, perché lui quando ha i bassi perde davvero tanti minuti.

E Hindley?

Sarà della partita ma sinceramente non lo vedo vincitore. Non è facile avere due grandi picchi di forma nella stessa stagione e Jai Hindley al Giro volava. A Burgos andava forte, ma non fortissimo. Poi comunque aver vinto il Giro da una parte ti dà, dall’altra ti toglie e anche mentalmente ritrovare la concentrazione per le tre settimane è molto difficile. Se ci riuscisse sarebbe un fenomeno. E poi il livello del campo partenti è leggermente più alto di quello del Giro.

Per Garzelli è difficilissimo, ma se Hindley dovesse riuscire nella doppietta Giro-Vuelta sarebbe il primo a riuscirci dopo Contador nel 2008
Per Garzelli è difficilissimo, ma se Hindley dovesse riuscire nella doppietta Giro-Vuelta sarebbe il primo a riuscirci dopo Contador nel 2008
Non si può non nominarlo: Mikel Landa. Pellizotti dice che con uno come lui in formazione si parte sempre per vincere…

Il problema è che alla fine non vince mai. E a me Landa piace moltissimo, attenzione. La prima volta che l’ho visto, ma direi che il grande pubblico lo ha visto, eravamo proprio alla Vuelta Burgos. Era il 2011. Nell’ultima tappa Mikel lavorava per Sanchez. Si doveva scalare due volte una salita. Alla prima tirava Landa e restammo in nove. Alla seconda tirava sempre lui, mi staccai quando erano rimasti in cinque. Ad un certo punto Sanchez gli ha detto: «Vai perché io non ce la faccio più». E vinse la tappa. In salita va ancora fortissimo, ma nel complesso gli manca sempre qualcosa.

Di Joao Almeida cosa ci dici? Alla fine lui sul podio di un grande Giro ancora non ci è mai salito…

Questa Vuelta sarà il suo banco di prova. Ha a disposizione una buona squadra e partire essendo tra i favoriti, con la pressione mediatica, quella da capitano in squadra è, come detto, un test veritiero. Senza contare che in  UAE Emirates con Matxin alla guida ci tengono molto alla Vuelta. Se non vince è da podio. E poi ha vinto a Lagunas de Neila a Burgos. Conosco benissimo quella salita e se vinci lì è perché stai bene.

Il portoghese Almeida, dopo il Giro ha vinto due corse: il titolo nazionale (in foto) e l’ultima tappa della Vuelta a Burgos
Il portoghese Almeida, dopo il Giro ha vinto due corse: il titolo nazionale (in foto) e l’ultima tappa della Vuelta a Burgos
Enric Mas?

Mas lo scorso anno fu secondo ed è giusto nominarlo, ma credo che la sua occasione l’abbia avuta proprio un anno fa. Bisogna capire lui e la Movistar soprattutto. Loro sono appesi ad un filo con il discorso dei punti e la tensione c’è. Qui in Spagna se ne parla spesso. Senza contare che hanno avuto sempre grandi problemi di gestione con i loro leader: Quintana, Lopez, Landa, Carapaz. Loro devono vincere e dover vincere quando si è sotto pressione non è mai facile. Uscire dal WorldTour sarebbe una botta pazzesca.

Altri outsider? Quintana per esempio…

Quintana lo vedo per le tappe e non per la classifica. Anche perché si parte dall’Olanda. C’è vento lassù. E’ vero che corre bene, però… In più c’è anche una cronosquadre. E invece di Evenepoel che mi dite?

Remco può fare tutto e il contrario di tutto. Piuttosto oltre a lui ci sarebbe da parlare anche di Juan Ayuso e Carlos Rodriguez. Tre giovanissimi con le stimmate dei campionissimi…

Seguendo il ciclismo giovanile in Spagna conosco bene sia Juan che Carlos. Entrambi hanno una grande opportunità e una grande classe. Io credo che Rodriguez sarà determinante per Carapaz. Lui ha davvero tanta testa. Ayuso è più spregiudicato. Ha una grandissima ambizione. Molto della sua gestione dipenderà da Almeida. Ha 19 anni e per lui sarà interessante capire come reagirà alla terza settimana. E poi c’è Remco. Per come andava a San Sebastian… boh! Può fare tutto! Io credo lui vivrà alla giornata e valuterà strada facendo cosa fare (se puntare alla classifica o alle tappe, ndr).

Quest’anno la Vuelta torna sulle rampe della Sierra Nevada, salita non durissima ma che ha sempre segnato delle belle differenze
Quest’anno la Vuelta torna sulle rampe della Sierra Nevada, salita non durissima ma che ha sempre segnato delle belle differenze
Stefano, in qualche modo hai introdotto anche il discorso del percorso. Questa Vuelta, come da tradizione, si vincerà in salita?

Alla fine credo di sì: penso a Sierra Nevada, a Navacerrada e ai numerosi arrivi inediti, ma credo anche anche la crono individuale di Alicante inciderà moltissimo. E’ una crono totalmente piatta, a forte rischio di vento (una parte è sul mare), poi arriva dopo il giorno di riposo. Corridori forti come Roglic e Almeida possono infliggere anche più di due minuti ai loro avversari.

Rispetto alle ultime Vuelta le tappe sembrano leggermente più lunghe mediamente. Non ce n’è una che supera i 200 chilometri ma ce ne sono parecchie tra i 180 e i 190 chilometri…

Vero, e poi la partenza da fuori, dall’Olanda non è mai facile. Lì una Jumbo Visma già può mettere qualche secondo tra sé e gli altri. Le tappe di rientro nei Paesi Baschi sono insidiose. C’è questa crono di Alicante: 30,9 chilometri super piatti sono parecchi… Nel complesso mi sembra una Vuelta dura, ma non durissima con 10-14 frazioni monster come le altre volte.

Quindi qual è il podio finale di Stefano Garzelli?

Carapaz, Roglic, Almeida.

Il professor Garzelli assegna le pagelle: da 10 a 1 i voti del Tour

27.07.2022
7 min
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Come alla fine di un anno scolastico, anche per il Tour de France è tempo di pagelle. I voti li assegna Stefano Garzelli (in apertura foto Instagram). L’ex maglia rosa e commentatore tecnico Rai, ha avuto l’intera corsa sott’occhio e ha bene in mente la temperatura della situazione.

E’ uno scalare di voti: da dieci a uno. Voti a 360° che non riguardano solo i corridori. Ascoltiamo dunque Stefano Garzelli nella veste del… “professor Garzelli”!

Garzelli assegnerebbe un 10 sia a Wout Van Aert che a Jonas Vingegaard
Garzelli assegnerebbe un 10 sia a Wout Van Aert che a Jonas Vingegaard

10 a Vingegaard

«Il dieci va a Jonas Vingegaard chiaramente. Non posso non darlo al vincitore del Tour. È stato il più forte, il più calmo e più intelligente. Ha saputo sfruttare la squadra più forte. Mi è piaciuto come ha gestito le situazioni. L’unico momento di “panico” lo ha avuto nella tappa del pavè. Penso a quel cambio di bici frettoloso con Van Hooydonck che aveva la sella più alta di 20 centimetri!».

«Jonas avrebbe potuto staccare Pogacar in altre situazioni, ma io sono convinto che lui avesse in testa due punti specifici: il Col du Granon e Hautacam, che sono quelli che infatti ha sfruttato. Quando sui Pirenei ha vinto Pogacar, nel giorno super di McNulty, a mio avviso Jonas poteva andarsene, però è rimasto a ruota: la lucidità, oltre che le gambe, è stata la sua forza».

9 a Van Aert

«Nove a Van Aert solo perché non posso assegnare due dieci! Che spettacolo: un corridore che a memoria non ricordo aver mai visto. Impossibile dire tutto ciò che ha fatto, altrimenti staremmo qui a lungo. Nelle prime tre tappe è arrivato tre volte secondo, ha vinto la quarta e il suo Tour già poteva finire lì. Che bello vedere la maglia gialla davanti su quello strappo e con quell’attacco».

«Tutti i giorni è stato nel vivo della corsa. L’unica cosa che non mi è piaciuta molto è quando ha attaccato da lontano il giorno successivo alla caduta di Roglic. Non puoi fare una corsa così violenta con il tuo capitano che non è al massimo».

Pogacar mai domo, per il “prof Garzelli”ha sbagliato solo sul Galibier
Pogacar mai domo, per il “prof Garzelli”ha sbagliato solo sul Galibier

8 a Pogacar

«Il mio otto va a Tadej Pogacar. Non ha vinto, stavolta ha trovato uno più forte di lui, però non ha mai mollato. Ha sbagliato qualcosa, ma non quando faceva quegli scatti o quelle volatine, perché se fosse stato l’unico a farle okay, ma se gli andavano dietro tutti anche gli altri spendevano tanto. Per me l’errore lo ha fatto nel cadere nel tranello della Jumbo Visma sul Galibier. Lì, doveva lasciare andare Roglic. Doveva controllare solo Vingegaard.

«Ci sono da fare 15 chilometri oltre 2.000 metri, sei da solo, poi mettiamoci anche che ha sbagliato ad alimentarsi in discesa… Non è Robocop! E ha pagato».

«In quel momento è crollato e si è trovato di fronte alla sua prima crisi di sempre da gestire. Io, e ormai lo sapete, dico sempre che un grande Giro lo vinci quando riesci a gestire o a superare al meglio il giorno di crisi, ma Pogacar non sapeva cosa fare perché di fatto non aveva mai avuto una crisi».

7 a Thomas

«Seguo il podio e lo assegno a Geraint Thomas: un signore. Già quando mancava una settimana al termine del Tour aveva dichiarato che il suo obiettivo sarebbe stato il podio. Visto quanto andavano forte gli altri due sapeva che quello era il suo obiettivo massimo e si è gestito per raggiungerlo. Ha dosato le forze: si staccava, rientrava, si sfilava nuovamente… Bravo!».

«La sua corsa è stata noiosa? E cos’altro potevo fare… Ragionare dal divano e cosa facile, mentre si pedala è molto più difficile».

Un percorso bello e variegato quello del Tour 2022 sin dalle prime frazioni in Danimarca
Un percorso bello e variegato quello del Tour 2022 sin dalle prime frazioni in Danimarca

6 al percorso

«Il sei lo do al percorso del Tour. Sinceramente gli darei anche un 6,5-7: per come è stato disegnato aveva tutti gli elementi perché fosse spettacolare. C’erano il pavè, l’arrivo durissimo della Planche, tappe alpine stupende, due arrivi tecnici come quello di Losanna e di Mende, una crono lunga…

«Se abbiamo visto delle belle tappe il merito è stato anche del percorso».

5 a Bettiol

«Dico Alberto Bettiol, tanto più che ha mostrato di avere gamba. Ma tatticamente ha sbagliato. E per me ha sbagliato nel giorno in cui ha vinto Cort e non quando ha vinto Matthews. Non puoi partire a 40 chilometri dall’arrivo e portare avanti quell’azione».

«Non ha invece sbagliato la seconda volta, a Mende. C’è qualcosa riguardo alla squadra che non mi convince. Erano in tre della EF Education-EasyPost in fuga quel giorno e inizialmente anche io pensavo che Alberto potesse tirare per Uran e Powless. Però quando ho visto che anche a ridosso dell’arrivo quei due non si sono mossi i conti non mi tornavano. Magari non stavano bene. E allora perché Uran, per esempio, non ha dato una menata per portare Bettiol davanti sotto lo strappo? Gli sarebbe bastato quello per vincere e risparmiare quel po’ di energie. Poi mettiamoci anche Matthews è stato bravissimo.

«Ad Alberto do un due per la tattica e un otto per la forza: la media fa cinque».

Bravo Dainese. Il classe 1998, al debutto al Tour, ha colto un 7° e un 3° posto (foto Instagram)
Bravo Dainese. Il classe 1998, al debutto al Tour, ha colto un 7° e un 3° posto (foto Instagram)

4 agli italiani

«Il quattro va agli italiani, ad esclusione di Alberto Dainese a cui do un sette: lui mi è piaciuto tantissimo. Però per il resto non posso che assegnare questo voto ai nostri. Quelle poche volte che sono andati in fuga si sono staccati».

«A posteriori mi rendo conto che poche volte abbiamo commentato le azioni degli italiani. Sì, ogni tanto Ciccone ma nulla di più.

«Male Caruso, specie per le ambizioni che aveva riposto in questo Tour. Speriamo si possano riprendere al più presto». 

3 a Mas

«Il tre va ad Enric Mas. Dopo la seconda settimana (la peggiore per lui, ndr) se ne esce con delle dichiarazioni forti del tipo: “Sui Pirenei recupero tutti, o quasi, guadagno terreno e al massimo faccio quinto”. Invece poi se ne va a casa».

«Non puoi fare quelle dichiarazioni tanto più visto come sei andato sulle Alpi. Poi magari adesso andrà alla Vuelta e farà bene, ma insomma…».

Mas si è ritirato dal Tour, non è partito alla 19ª tappa. In quel momento era undicesimo
Mas si è ritirato dal Tour, non è partito alla 19ª tappa. In quel momento era undicesimo

2 a Pancani

«Voto due a Francesco Pancani! Perché? Perché durante i trasferimenti in auto non era mai di compagnia. Dormiva sempre. In tre settimane di Tour de France, in giro per mezza Europa, avrà guidato per 17 o 18 chilometri».

1 alla discesa dall’Alpe

«Uno al trasferimento e alla discesa dall’Alpe d’Huez (e in questo non possiamo che confermare al 100%, ndr). Abbiamo impiegato due ore e mezza solo per scendere dalla montagna. Non avevano organizzato il deflusso dall’Alpe. Era tutto bloccato. Per fortuna che sui Pirenei è andata meglio».

«Quella sera ci siamo ritrovati con “mezzo Tour” a mangiare un tramezzino confezionato in autogrill a mezzanotte. Nella nostra condizione molti altri, tra cui Jalabert. A quel punto mancavano oltre 300 chilometri per l’hotel, dove siamo arrivati alle 2,30 di notte».

Non un voto ma un significato: la stretta di mano tra Pogacar e Vingegaard secondo Garzelli
Non un voto ma un significato: la stretta di mano tra Pogacar e Vingegaard secondo Garzelli

E il jolly?

A Garzelli concediamo un ulteriore giudizio che esula magari da un voto. Gli diamo carta bianca per un undicesimo commento.

«Il jolly per me è la stretta di mano tra Pogacar e Vingegaard. Non è un voto ma è un significato. Due grandi duellanti che si attaccano in salita, in discesa, su ogni traguardo e poi si scambiano quel gesto».

«Qualcuno sarà anche critico dicendo che questo non è ciclismo, non è alla base del duello, ma io rispondo che il ciclismo è anche questo.

«Alcune situazioni consentono tali gesti e in quel momento era quasi dovuto. Credo che lo avrebbero fatto anche altri. Poi è chiaro, se la maglia gialla cade a 6 chilometri dall’arrivo con il gruppo lanciato nessuno si ferma o può fermarsi. Ma la cosa bella è che loro due lo hanno fatto senza pensarci».

EDITORIALE / Per raccontare il ciclismo non bastano i social

04.07.2022
7 min
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Diciassette anni di differenza e in mezzo un mondo. Stefano Garzelli, nato nel 1973, Moreno Moser nel 1990. Entrambi professionisti, sia pure con carriere diverse. Entrambi opinionisti televisivi. Garzelli, da più anni, in questi giorni è in Francia con la Rai, assieme a Rizzato e Pancani. Moser, fresco di microfono, è negli studi di Eurosport con Gregorio e Magrini, pure loro impegnati a raccontare il Tour. Entrambi sono piuttosto attivi sui social.

«Ma proprio i social – diceva Garzelli qualche giorno fa – hanno isolato ancora di più i corridori. Mi rendo conto anche io quanto sia diventato difficile parlarci. Per averne qualcuno ospite al Processo alla Tappa, sia pure virtualmente, era ogni giorno un’impresa. Sembra che vivano il confronto col giornalista come una seccatura, preferiscono restare nel loro mondo. Io ero contento dopo la corsa di andarmi a raccontare e spiegare, oggi credono che bastino i social. Con alcuni di loro ne parlo. E gli dico: attenti, perché quando smetteranno di cercarvi, significa che la carriera sarà finita. E allora vi mangerete le mani».

Dopo aver fatto il Giro, Garzelli è al Tour accanto a Stefano Rizzato
Dopo aver fatto il Giro, Garzelli è al Tour accanto a Stefano Rizzato

Campioni e social

Del tema ieri hanno parlato anche gli amici di Eurosport, cercando di capire in che modo si possa rendere il ciclismo attrattivo per gli italiani più giovani. Si parlava della possibile Grand Depart di un Tour dall’Italia e ci si chiedeva se sulle strade vedremo mai la tanta gente che nei giorni scorsi ha orlato le strade danesi. Lassù infatti la popolarità del ciclismo non sembra tema da dibattere, da quando si è fatto della bici uno strumento di vita e benessere quotidiano.

«Una volta – ha detto Moser – avevamo sei canali tivù uguali per tutti. Avevamo tutti gli stessi accessi all’informazione. Oggi ci sono centinaia di app e siti e ciascuno segue quel che più gli piace. C’è il rischio che i più giovani neppure sappiano che cosa sia il Tour e che possa partire dall’Italia. Per cui il modo di rendere attrattivo un evento è che lo siano in primis i campioni. Vincere è importante, ma conta più il modo in cui si vince. Servono campioni in grado di coinvolgere i tifosi anche con i loro social. Il pubblico è tifoso. E per chi investe una delle prime discriminanti è se la persona in oggetto sia davvero forte sui social».

Con questa locandina dedicata ai suoi 4 Moschettieri, Eurosport celebra Magrini, Moser, Belli e Gregorio
Con questa locandina dedicata ai suoi 4 Moschettieri, Eurosport celebra Magrini, Moser, Belli e Gregorio

Il lavoro del giornalista

Il tema è chiaramente complesso e investe ogni ambito della società. Si può fare buona informazione, ma se non si è capaci di condividerla bene sui social, potrebbe restare lettera morta. Al contrario, si può essere forti sui social, ricorrendo a mille sistemi (titoli fake e notizie distorte) e ugualmente non avere niente da dire.

Chiedere a Mozzato, Dainese e con quale spirito si approcciano al Tour o a Fiorelli le motivazioni che lo spingeranno al Sibiu Tour fa sì che davanti ai risultati che seguiranno, il lettore capace di collegare i puntini, avrà un’idea completa e magari potrà capire lo sfogo, l’esultanza, le lacrime e le reazioni in genere.

Il lavoro del giornalista, se fatto bene, è più complesso del semplice mitragliare notizie. Perché se a questo si limita, va in rotta di collisione con il flusso di notizie che arriva dai social. Spesso stringate, al massimo colorite, ma prive di un punto di vista critico che possa inserirle nel contesto più ampio in cui si generi l’approfondimento e si stimoli la conoscenza.

Questione di punti di vista

Gli atleti sono influencer. Parlano di sé, a volte danno opinioni su altro, ma ciascuno col suo device in mano offre del mondo un punto di vista parziale. Il proprio, ovviamente. Alcuni sono particolarmente lucidi e le loro frasi meritano approfondimenti, altri sentenziano e non offrono margini.

Dopo la volata di ieri al Tour, Sagan non ha postato una sola riga sull’insulto gridato a Van Aert. Ha scritto di un’altra tappa veloce e dell’attesa della prossima. Van Aert, cui il terzo piazzamento avrà dato sui nervi, non ha proprio toccato l’argomento.

A farsela bastare, si potrebbe pensare che non sia successo niente, ma si perderebbe l’occasione di intercettare quel che magari succederà la prossima volta.

Nessun cenno sui social di Sagan di questo gesto: giusto stemperare le tensioni
Nessun cenno sui social di Sagan di questo gesto: giusto stemperare le tensioni

Tra fare ed essere

La differenza non la fa l’esplodere dei canali, ma la qualità dell’informazione. Quando i canali e i giornali erano pochi, si poteva sperare che anche la selezione degli addetti ai lavori fosse severa. Fare l’inviato al Tour era motivo di vanto, una cosa per pochi, quasi un punto di arrivo. Ti mandava il direttore, non decidevi di andarci da te. Oggi che basta registrare un dominio per definirsi giornalisti, c’è chi si prende le ferie dal suo lavoro vero e va a fare l’inviato in Francia. E’ la stessa cosa? Oggi che il gruppo è pieno di ragazzini fatti passare per necessità di numero, siamo certi che si possa davvero definirli professionisti?

E’ vero, come dice Garzelli, che i social hanno isolato i corridori. E’ lo stesso meccanismo per cui dopo il COVID milioni di ragazzi al mondo sono diventati isole. Vivono là dentro e pensano che sia tutto, ci sono psicologi che studiano e non se ne viene a capo. Ma è anche vero, tornando al ciclismo, che l’informazione polemica e faziosa li ha resi spesso diffidenti.

E’ molto cambiata anche la composizione della sala stampa del Tour
E’ molto cambiata anche la composizione della sala stampa del Tour

Fra social e media

Solo con i social dei campioni non si vince la battaglia. Certamente, se non ci fossero, mancherebbe comunque un pezzo. Ma il pubblico ha diritto all’approfondimento, che spieghi e renda più attrattivo quello che vede sui social, sulle strade o in televisione.

I corridori forti sui social sono quelli che prima di tutto sono forti sulla strada. Il resto, come certi titoli o l’abitudine di sparare notizie bomba (esponendosi a smentite dai diretti interessati sui social che si cerca di cavalcare), destabilizza il sistema e lo mina alla base. Spinge i corridori a non fidarsi e accentua la deriva di cui hanno parlato con diversi argomenti Garzelli e Moser. Il primo, avendo visto com’era prima. Il secondo, avendone sentito parlare ma senza averlo troppo sperimentato. Non esistono percorsi irreversibili, bisogna essere capaci di starci dentro, con onestà e bontà d’animo, cogliendone le possibilità.

Rizzato al Tour, fra giganti, sogni e lezioni da imparare

23.06.2022
7 min
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«Mi sentirò seduto sulle spalle dei giganti che mi hanno preceduto», poi Rizzato fa una pausa e percepisci il cambio di ritmo. Il telecronista cede il posto al ragazzo e l’emozione diventa palpabile. Chiediamo spesso ai corridori che cosa provino debuttando al Tour, ma è la stessa domanda cui potrebbe rispondere chiunque l’abbia vissuto, a vario titolo e nel suo ambito. Stefano (in apertura sulla moto all’ultimo Giro, foto Mirrormedia) sarà la voce di Rai Sport nella prossima edizione della corsa francese, in un passaggio professionale che non lascerebbe insensibile neppure il più cinico dei cronisti. Figurarsi chi vive lo sport da dentro e con passione.

«Se abbiamo una virtù in un’azienda così storica – riflette – è quella di poter imparare da chi è venuto prima di noi e che poi ci affianca. E’ una grande ricchezza che vale per le grandi e le piccole cose. Chiaro che io ci dovrò mettere del mio, la mia personalità. Ci dovrò mettere la chimica con Stefano Garzelli, che già ho sentito ottima al Delfinato. Stefano è una persona che si prepara tantissimo, che ha un grande entusiasmo…».

E’ stata Alessandra De Stefano, qui con Garzelli al Tour 2016, a volere Rizzato in postazione
E’ stata Alessandra De Stefano, qui con Garzelli al Tour 2016, a volere Rizzato in postazione

Debutto ritardato

Il campionato italiano della crono è alle spalle, l’avventura francese avrà inizio la prossima settimana, ma in realtà è già iniziata da un pezzo. Stefano avrebbe dovuto debuttare alla conduzione alla Freccia Vallone e poi alla Liegi, ma il Covid l’ha costretto in casa.

Il passaggio dalla moto alla postazione non è semplice. Non è solo, come pensa una buona fetta degli appassionati dal divano, prendere un microfono e parlare. Almeno non lo è se vuoi che le parole raccontino, coinvolgano, informino. Dietro quel microfono il più delle volte ci sono persone che studiano e si mettono in gioco, pur sapendo di essere esposte al giudizio spesso frettoloso di chi non ha il tempo e nemmeno il gusto di approfondire.

Intanto la squadra RAI è al lavoro. Giada Borgato e Petacchi in ricognizione sui percorsi del Tour (foto Instagram)
Intanto la squadra RAI è al lavoro. Borgato e Petacchi in ricognizione sui percorsi del Tour (foto Instagram)
Come è successo che dalla moto sei passato alla postazione?

E’ un percorso che mi hanno proposto Alessandra De Stefano e Alessandro Fabretti, con l’idea di affiancare in modo un po’ più stabile Pancani, che poi è fulcro di tutto il progetto. Nel senso che Francesco mi affiancherà in questo percorso, essendo anche lui al Tour a fare lo studio e il coordinatore. Sarà fondamentale averne il supporto e i consigli. Di Tour ne ha seguiti diversi, il mestiere lo fa meglio di tutti e per me l’opportunità vera è quella di poter imparare da lui.

Nessun avvicendamento, insomma?

Questo vorrei che fosse chiaro. Per me non sarà tanto dire di aver messo la bandierina sul Tour de France e aver raggiunto uno dei miei sogni da bambino, ma la grande opportunità professionale e anche umana di fare il Tour imparando da uno che in tutti questi anni l’ha raccontato al meglio. Francesco è il numero uno: non c’è nessun passaggio di consegne, ma piuttosto un bellissimo rapporto fatto di stima profonda e del grande piacere di lavorare insieme.

Al Giro hai dovuto prendere il suo posto…

Al di là della parte emotiva (il toscano è dovuto correre infatti da sua madre Anna, che si è spenta pochi giorni dopo, ndr), è stato difficile gestire la postazione avendo in testa la moto. E’ un lavoro totalmente diverso. E’ una telecronaca, ma al tempo stesso è come se fosse una conduzione.

Saligari sulla moto al Giro 2022. Al Tour la RAI non avrà moto in corsa (foto Instagram)
Saligari sulla moto al Giro 2022. Al Tour la RAI non avrà moto in corsa (foto Instagram)
Che cosa significa?

Di fatto avevo da interpellare altre sette voci, fra il commento tecnico di Petacchi e Giada (Borgato, ndr), quello sulla storia e le storie con Fabio Genovesi. Poi c’erano il professor Fagnani da Radio Informazioni e le due moto di Saligari e Martini. Altre volte in modo più sporadico c’era un collegamento dall’arrivo, che poteva essere con Antonello Orlando o altri. Se si aggiunge la finestra sul Processo alla Tappa, le voci diventano otto e si capisce che è un lavoro molto particolare.

E’ stato difficile subentrare?

La verità è che la macchina già camminava bene, quindi l’obiettivo fondamentale era di non farla schiantare. Tenerla dritta fino al ritorno del titolare. Le varie voci già dialogavano bene, io ho approfittato di un lavoro che era già stato impostato da Francesco. Ho cercato di farlo innanzitutto con sobrietà, perché comunque non era casa mia. Ero il supplente e quindi aspettavamo tutti che Pancani tornasse.

Il Tour sarà invece casa tua. Come ti sei preparato?

Ho fatto un lavoro grosso sulla storia, sia per i consigli di Alessandra sia per l’idea che mi ero fatto io. Non si può raccontare un Tour senza capire bene cosa c’è alle spalle. Si parla tanto della sua magnitudo come se fosse un terremoto, si parla di tutto quello che c’è intorno e della sua grandeur, ma è importante capire quel che c’è stato prima.

Più bello del Giro, scrive su Instagram c’è tornare a casa dal Giro: l’ultimo è stato impegnativo
Più bello del Giro, scrive su Instagram c’è tornare a casa dal Giro: l’ultimo è stato impegnativo
Come ti sei mosso?

Sono andato a caccia delle fonti migliori e le ho trovate in un cofanetto di tre volumi bellissimi curati da L’Equipe per il centenario. E lì tra foto pazzesche e racconti bellissimi, mi sono veramente perso dentro la storia del Tour. Ne sto uscendo adesso, sto arrivando giusto alla partenza e sento di avere capito meglio il romanzo del Tour de France. Confesso che prima non avevo questa conoscenza così approfondita.

Cosa ti ha colpito?

Avevo sempre sentito dire che il Tour avesse una grande storia, ora ho scoperto che è fatta di un sacco di episodi e di dettagli attraverso cui capisci che sia una corsa anche molto crudele. E’ nata per esserlo, per essere cattiva. E’ un dialogo tra passato e presente che spero di riuscire a portare poi in trasmissione.

Quale dei Tour che hai scoperto ti sarebbe piaciuto raccontare?

Se fossi francese, direi uno di quelli con il duello fra Anquetil e Poulidor. Quando hai due personaggi così, è chiaro che vivi il Tour in modo particolare. Quello che fu definito il Tour dei Tour se non sbaglio fu quello del 1964, con Anquetil che vinse per 55 secondi. Non sarebbe male avere due personaggi così, trovare oggi un duello che sia all’altezza di quello o ci si avvicini anche solo un po’. Adesso c’è un gigante e tutti gli altri che cercano di non arrancare e di unirsi contro di lui. Ma chi può dirlo? Magari vivremo una bella sfida anche quest’anno…

L’avvicinamento di Rizzato è passato per lo studio di questi tre volumi sulla storia del Tour
L’avvicinamento di Rizzato è passato per lo studio di questi tre volumi sulla storia del Tour
Come fa un giornalista, che con la moto è nel gruppo, a raccontare la corsa senza vedere nessuno?

Siamo al cuore del discorso ed è una cosa che ha occupato molti dei miei ragionamenti. Anche se si farà cronaca, l’obiettivo è proprio portare dentro il racconto quello che ho vissuto sulla moto e attraverso tante interviste. Al Tour non abbiamo il supporto degli inviati in gruppo, quindi vorrei portare nella diretta un po’ della strada da cui vengo. Se ci pensate, tutti quelli che mi hanno preceduto, lo stesso Pancani che lo fa ancora, sono passati dalla moto. Ti dà un occhio diverso, più coinvolto. Si può dire davvero che sono un telecronista preso dalla strada.

Prima hai parlato del tuo sogno di bambino…

Io ho cominciato da un sito, Cicloweb. I primissimi passi li ho fatti lì da appassionato di ciclismo. Poi, mano a mano, mi sono avvicinato al giornalismo facendone un mestiere. Mi sono occupato di tante cose diverse che non avevano a che fare con lo sport, fino a quando sono entrato in Rai nel 2016. Quindi è chiaro che il Tour sia la realizzazione di qualcosa di grande e di importante che sognavo da appassionato di sport e di ciclismo. Il percorso è stato tortuoso e particolare come quello di tutti.

Ai cronisti televisivi si rimprovera il fatto di sprecare troppe parole raccontando cose che si vedono già nelle immagini. Si può evitare?

Posso dare due parti della risposta. Una viene proprio da quello che mi ha insegnato la moto, che è fatta per raccontare quello che non si vede. Quell’abitudine è bene non perderla. E poi devo ammettere con grande onestà che avere come guida Alessandra De Stefano e Alessandro Fabretti, che di ciclismo ne hanno visto e raccontato tanto, e avere Francesco Pancani in prima linea, mi aiuterà a non cadere nell’errore.

Anche Pancani, telecronista di punta a Rai Sport, si è fatto le ossa sulla moto al Giro d’Italia
Anche Pancani, telecronista di punta a Rai Sport, si è fatto le ossa sulla moto al Giro d’Italia
Cosa c’è nella borsa di Rizzato per il Tour?

Sempre troppe cose. Sicuramente il computer ce l’ho quasi sempre davanti, ma quella è una deformazione. Adesso ho una divisione abbastanza maniacale tra le cose da consultare sul computer e quelle che invece stampo e tengo in un quadernone. Nel computer guardo più l’aspetto statistico in corso d’opera, tengo sempre un occhio sui social media, perché qualche cosa che sfugge all’occhio nei vari schermi c’è e magari viene captata da un appassionato.

Quando si parte?

Il 28 giugno, martedì prossimo. Ormai manca davvero poco.

E se Vingegaard smette di sorridere? Chiediamo a Garzelli

19.06.2022
5 min
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Il “Garzo” lo intercettiamo a Milano, dove si trova per il commento del Giro del Belgio. In precedenza aveva raccontato con Rizzato il Delfinato da Roma e, con lo stesso giornalista veneto, comporrà la coppia RAI per il Tour de France. E proprio su un aspetto che riguarda il Tour vogliamo punzecchiarlo, perché osservando la Jumbo Visma c’è venuto di pensare che la quiete domestica sia relativa. E che di coppie in crisi negli anni ne abbiamo viste ormai parecchie. Lasciando in pace per una volta Roche e Visentini, basta voltarsi per ricordare Garzelli-Pantani al Giro del 2000, Simoni-Cunego nel 2004, Amstrong-Contador al Tour del 2009 e anche Froome-Wiggins in quello del 2012.

«La mia esperienza fu diversa – ricorda – Marco non doveva correre quel Giro, lo decise 10 giorni prima. Io lo avevo preparato per essere leader, non nascondo che i primi giorni non furono facili. Diciamo che quella fu una situazione estrema. Ma se hai due leader, devi puntare su uno solo. Se ne hai due, rischi di dividere la squadra».

Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
A voi successe…

Marco aveva creato il modo moderno di correre, con la squadra attorno al capitano. E poi gli piaceva correre dietro, per cui io che preferivo stare davanti non ero appoggiato dalla squadra e un po’ soprattutto nelle prime tappe, ne risentii. Finiva che mi appoggiavo a chi lavorava per gli altri. Ma la squadra divisa è un rischio, soprattutto nelle tappe dei ventagli o magari la prossima sul pavé. Cosa succede se Roglic buca? Fermi metà squadra o la fermi tutta? E fermi anche Vingegaard, se è davanti?

L’Astana di Armstrong e Contador era divisa a metà…

Armstrong era al rientro, Contador era ambizioso. Bruyneel, il tecnico, sapeva che Contador potesse vincere, ma era dalla parte di Lance. Chissà le tensioni! Fra Simoni e Cunego fu ancora diverso. Io ero loro avversario ed era chiaro che in partenza fossero tutti per Gilberto. Poi però fu la strada a dire chi fosse il più forte. Ci fu la spaccatura eclatante a Bormio, quando volarono parole, ma a quel punto il Giro era già deciso. Bisogna che chi guida la squadra abbia le idee chiare. E Bisogna che abbia carisma. Gli episodi di cui abbiamo parlato, soprattutto quelli con Marco, Armstrong e Contador riguardano personaggi con più personalità dei loro direttori.

Nel momento in cui ci fosse tensione in casa Jumbo, sarebbe lo stesso Tour a dare spessore ad entrambi, no?

Vero anche questo. Vingegaard ha dimostrato che ora è più forte. Nell’ultima tappa al Delfinato lo ha proprio aspettato e non so se Roglic abbia avuto una crisi di fame. Sono d’accordo con Malori sul fatto che Roglic punti tutto sul Tour, perché potrebbe essere l’ultimo a un certo livello, ma non dimentichiamo che l’altro nel 2021 è arrivato secondo. E il Tour è la corsa pià difficile da gestire. Caldo. Stress. Tutti che vogliono vincere. Devono partire con le idee chiare.

Anche perché, si parte dalla Danimarca…

Per Vingegaard una spinta pazzesca. Poi c’è la tappa del pavé. Se io fossi il diesse e Roglic buca, non fermerei Vingegaard e viceversa. L’importante è come hai costruito la squadra e quello che sei in grado di far passare. Va detto chiaramente davanti a tutti quello che si farà in determinate circostanze. Se da un lato penso che avere due capitani sia un ostacolo, quando hai davanti uno come Pogacar è bene portarne due, perché sai che nel testa a testa sono tutti perdenti. E in tappe come quella del pavé, male non fa. E’ la tappa che tutti temono…

Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Nibali ci vinse il Tour.

Ebbe dei compagni perfetti come Boom e Fuglsang e mentalmente crebbe.

Può esistere il rischio che la squadra si spacchi per simpatie verso uno o l’altro?

Non credo, sono professionisti. Non accadde con Armstrong, tanto che vinsero il Tour con Contador e anche Alberto ha il suo bel carattere. E nemmeno con Marco, che per noi era un idolo. Per lui davamo l’anima.

Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Tu lavori tanto con i giovani, si può lavorare su questi aspetti con loro?

Ci provo, ma non è semplice, perché ci sono di mezzo i genitori che credono di sapere tutto. Però a volte capitano episodi da pelle d’oca, come quando si mettono spontaneamente a lavorare per quello di loro che sta meglio. Senza radiolina né altro. Succede con gli allievi e anche con gli juniores, nonostante io sia molto preoccupato. Da qualche anno ci facciamo del male da soli. La mentalità di passare a tutti i costi non va. Quelli che passano precoci, non hanno la struttura per reggere la pressione e magari smettono perché non sono attrezzati a sopportare il mal di gambe. Quelli che non passano, si demoralizzano e non si sentono all’altezza. Continuando così, in un modo o nell’altro, il ciclismo perde.

Verso il Blockhaus. Per Garzelli sarà (quasi) decisivo. E Carapaz…

14.05.2022
5 min
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Si avvicina sempre di più il Blockhaus. La dura scalata abruzzese appare più minacciosa del previsto. Potrebbe essere quasi decisiva ai fini del Giro d’Italia. E non lo diciamo noi, lo sostiene chi un Giro lo ha vinto: Stefano Garzelli.

Domani sulle rampe della Majella che corsa dobbiamo attenderci? Chi potranno essere i favoriti? Ne parliamo proprio con la maglia rosa del 2000, che su quelle strade è stato protagonista in corsa e in allenamento.

Giro del Centenario, quello del 2009. Vinse Pellizotti e volata serrata tra Garzelli (in maglia verde) e Di Luca. Il varesino fu secondo

Trittico “cattivo”

«Per me – dice Garzelli – è la seconda tappa più dura del Giro e una di quelle decisive. La più dura credo sarà quella della Marmolada, perché arriva dopo altre salite mitiche come Pordoi, che è anche Cima Coppi, e San Pellegrino, perché è un arrivo difficile e perché arriva alla penultima tappa. Entrambe comunque presentano molte difficoltà».

«Per me questa frazione abruzzese non va presa in considerazione da sola, ma come termine di un trittico molto tosto. Ieri c’è stata la tappa di Potenza e oggi quella di Napoli. Quella campana è una frazione particolare. Una frazione che vivrà molto su quel che vuol fare Van der Poel e se lui si muoverà qualcuno lo seguirà. Quindi è un trittico difficile: duro il primo giorno, nervoso il secondo, super tosto il terzo».

Isernia – Blockhaus: 187 chilometri e 5.000 metri di dislivello
Isernia – Blockhaus: 187 chilometri e 5.000 metri di dislivello

Stanchezza docet

Poche frasi per capire come il corridore da corse a tappe non ragiona mai per singola frazione, ma nel suo insieme. Un grande Giro è come un campionato di calcio, in cui a volte bisogna anche sapersi accontentare di un pareggio o mettere fieno in cascina per la partita successiva. Tradotto: se non si è al top bisogna fare di tutto per difendersi.

«Alla luce di queste due frazioni – riprende Garzelli – i corridori arriveranno stanchi alla salita finale. La tappa del Blockhaus misura 5.000 metri di dislivello. Io il Blockhaus lo feci in corsa, ma salivamo da Passo Lanciano. Vinse Pellizotti e io feci secondo battendo Di Luca in volata, loro lo scaleranno da un versante ancora più duro».

«Quelle strade le conosco abbastanza bene in quanto spesso ci pedalavo ai tempi dell’Acqua e Sapone e sentivo Di Luca, i Masciarelli, gli abruzzesi insomma, che parlavano di questo versante. “Mamma mia quanto è duro il Blockhaus da Roccamorice”».

La parte alta della Majella è scoperta. E così la scalata: nel bosco nella prima parte, esposta al sole (e al vento) nella seconda
La parte alta della Majella è scoperta. E così la scalata: nel bosco nella prima parte, esposta al sole (e al vento) nella seconda

Carapaz favorito?

I girini arriveranno all’imbocco dell’erta finale con 3.500 metri di dislivello. E nella tre giorni ne dovranno superare un qualcosa come 11.700 metri: Everest più Gran Sasso, tanto per restare in Abruzzo!

«Tremilacinquecento metri: è molto dura dunque, per questo dico che per me è uno spartiacque importante per il Giro. Saliranno dal versante dove vinse Quintana, ma quella volta, se ben ricordo, la tappa prima della scalata finale non presentava chissà quali difficoltà. Idem quando la facemmo noi».

«Io vedo molto bene Richard Carapaz. L’altro giorno sull’Etna l’ho visto pedalare con grande facilità. Mi aspetto che la sua Ineos-Grenadiers possa fare il forcing sul primo passaggio, cioè Passo Lanciano e che poi lui possa attaccare sulla salita finale.

«Chi altri vedo bene? Bardet. Non so come possa andare nell’ultima settimana, ma sin qui terrà botta. Vedo bene Landa, Yates e anche Ciccone. Giusto qualche giorno fa ho parlato con Giulio e gli ho detto di ragionare. Di non partire troppo da lontano, di non lasciarsi prendere dalla foga perché corre in casa».

«Chi vedo male invece non saprei dire. Però chi becca una “giornata no” da queste parti rischia di perdere un quarto d’ora. Con una giornata di crisi in una tappa del genere non ti salvi.

«Inoltre si chiude la prima parte di Giro quindi tireranno. Poi c’è il riposo. La settimana successiva, la seconda, non è durissima. Io ho fatto la ricognizione delle frazioni di Torino e Cogne: sì, sono impegnative ma non impossibili. E poi la terza, vabbé… lasciamo stare!».

Versante duro

Il Blockhaus, cioè la Majella, presenta diversi versanti. Il Giro ne scalerà due: quello da Roccamontepiano e quello da Roccamorice. Entrambi portano a Passo Lanciano, solo che la seconda volta in cima si continuerà a salire.

«Il primo versante – spiega Garzelli – è duro e lungo. Parliamo di una salita superiore ai 10 chilometri, che non molla mai. E questa è la sua caratteristica principale. Non si sale mai con pendenze impossibili, sempre 7-8%, ma non c’è pausa.

«Mentre la seconda scalata è più dura. Ci sono tratti al 14% e nelle gambe anche la fatica della scalata precedente. Anche per questo mi aspetto il lavoro di una Ineos (o di una Bahrain-Victorious?, ndr) che vogliono sfiancare gli avversari».

Infine a Stefano abbiamo chiesto di Almeida. Il portoghese è nostra curiosità e al tempo stesso incognita.

«Almeida? Beh, l’altro giorno è andato a prendersi un piccolo abbuono in volata ad un traguardo volante, segno che ci tiene. Difficile da dire, a volte certe azioni le fai perché non sei sicuro o magari perché stai davvero bene. Per me però l’ultima scalata al Blockhaus è un po’ troppo dura per lui. E farà parte di chi dovrà difendersi». 

Bettini e Garzelli ricordano la Liegi del 2002: la doppietta Mapei

24.04.2022
6 min
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Alla Liegi-Bastogne-Liegi del 2002, sul traguardo di Ans, ci fu uno degli arrivi più iconici della storia del ciclismo: la doppietta storica della Mapei, con protagonisti Bettini e Garzelli. In quella che viene definita come la “Classica degli italiani” e mai nome fu più azzeccato. Se allarghiamo l’occhio sull’ordine di arrivo si nota come nei primi 5 posti sventoli la bandiera tricolore. Dietro al duo della Mapei si piazzarono: Ivan Basso, Mirko Celestino e Massimo Codol.

Sono proprio Stefano e Paolo, che a vent’anni di distanza, ricordano quella giornata. I giorni precedenti, gli scherzi, i pensieri della sera prima e l’emozione di aver scritto un pezzo di storia, nella terra che ha accolto tanti migranti dal nostro Paese. Che nelle miniere del Belgio hanno lottato e sofferto, e per un giorno, si sono presi una gran bella rivincita: quella di vedere il Belgio inchinarsi alla forza del ciclismo italiano.

Paolo Bettini sul podio della Liegi in mezzo a Garzelli a sinistra e Basso a destra
Paolo Bettini e Stefano Garzelli sul podio della Liegi 2002

Il ricordo del “Grillo” 

«La Liegi è sempre stata una corsa speciale per me – racconta Bettini – da quando l’ho vinta per la prima volta nel 2000. Lì ho capito che avrei potuto fare grandi cose nel ciclismo, e così è stato. Nel 2002 siamo arrivati con un progetto di squadra ben preciso, Io ero l’uomo deputato a vincere, mentre “Garzo” (Stefano Garzelli, ndr) era venuto a supportarmi. Anche perché proprio lì sarebbe arrivata la seconda tappa del Giro d’Italia (tappa vinta proprio da Stefano, ndr)».

«Già dai giorni precedenti alla corsa – riprende Paolo – si respirava un’aria particolare. Durante la ricognizione del venerdì eravamo arrivati all’attacco del San Nicolas, nel pieno del quartiere degli italiani. Curva a destra, comincia la salita, e ci tuffiamo nel cuore della comunità italiana in Belgio, era pieno di bandiere tricolori, uno spettacolo immenso. Si respirava proprio la voglia di rivincita, del legame profondo che quelle persone avevano con la loro terra di origine».

22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia
22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia

E quelli del “Garzo”

Non è raro fare progetti la sera prima di una corsa così importante, un po’ per stemperare la tensione, un po’ perché sognare non costa nulla. E mai come prima di quella Liegi le parole avevano anticipato la realtà.

«La sera prima in hotel – dice Garzelli – immaginavamo la corsa, pensavamo dove attaccare e che sarebbe stato bello arrivare insieme sul traguardo. Se ci penso mi viene la pelle d’oca, un conto è sognarlo ma realizzarlo…

«Quando correvamo, la sera prima della gara si passavano tanti bei momenti insieme, si scherzava e si rideva di tutto. Capitava di parlare della corsa e di come sarebbe stata o di come speravamo potesse andare, ricordo che quella sera c’era qualcosa di magico nell’aria e così è stato».

Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003, poi ha continuato con la QuickStep fino al ritiro, avvenuto nel 2008
Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003

La corsa

«Il nostro atteggiamento in gara è stato azzardato – confessa il due volte campione del mondo –  avevamo visto che ad 80 chilometri dall’arrivo il gruppo era ancora folto. Così Stefano ed io, sulla Cote du Rosier, ci siamo guardati e abbiamo detto “meniamo!”. Abbiamo tirato fuori il primo gruppo, in cui c’erano già tanti italiani, su 30 corridori eravamo in 15. 

«Sul San Nicolas – spiega Paolo – avevo paura che Garzelli potesse saltare e che mi mettessero in mezzo. Abbiamo voluto tastare il polso dei nostri avversari e ho detto a Stefano di allungare, nessuno lo ha seguito e così ho capito che erano tutti cotti. Allora con un’azione di potenza ho deciso di riportarmi sotto, consapevole che se mi avessero seguito avrei dovuto rallentare e far lavorare gli altri. Invece, nessuno ci ha seguito e una volta insieme abbiamo “menato” fino agli ultimi 600 metri».

«In 18 anni di carriera non sono mai andato così forte come quel giorno – riprende con un entusiasmo ancora vivo Stefano – su 70 chilometri di attacco ne ho passati 40 davanti a fare l’andatura. Sulla Redoute ho fatto un bel forcing e ho scremato ancor di più il gruppetto. Sul San Nicolas, Paolo ha fatto qualcosa di davvero intelligente dal punto vista tattico. Mi ha fatto allungare e poi, visto che si sentiva ancora bene, ha allungato anche lui rientrando in solitaria». 

Tutti per uno ed uno per tutti

«In Mapei – racconta Bettini – non si sarebbero mai permessi di dirci chi doveva vincere o meno. Per questo la considero una vittoria tripla: per Stefano, la Mapei e per me. Se guardate bene le immagini si nota che io mi tolgo l’auricolare della radiolina per la parte finale, guardo Stefano e lo ringrazio con un cenno».

«Ricordo che all’ultimo chilometro – replica Garzelli – il direttore sportivo ci ha fatto i complimenti e poi ci ha detto di giocarcela. Io ero stanco e più lento in volata di Paolo, lui poi era il capitano unico di giornata e meritava la vittoria. Ho dato il cento per cento per la squadra e la mia condizione mi ha permesso di conquistare il secondo posto. Non mi sono mai tirato indietro nel lavorare per un compagno ed un amico come Paolo, questo è il vero spirito di squadra».

Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002
Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002

Un movimento cambiato

A 20 anni di distanza la Liegi ha smesso di essere la classica degli italiani, l’ultima vittoria risale al 2007 con Di Luca. Qualche piazzamento nelle ultime edizioni (il secondo posto di Nibali e Formolo rispettivamente nel 2012 e nel 2019 e poi nulla).  

«E’ un po’ la sindrome del ciclismo italiano – dice Garzelli – la generazione mia e di Bettini aveva un’abbondanza incredibile di talenti. Ora facciamo più fatica, ma non lo reputo un fatto generazionale, semmai “evolutivo”. Il ciclismo in Italia non è cresciuto di pari passo rispetto a quello estero rimanendo ancorato a certe tradizioni. La mancanza di una squadra WorldTour sicuramente ha contribuito al declino del movimento».

Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici
Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici

«Se ci pensate – prosegue – i ragazzi italiani vanno forte da junior e under e quando passano professionisti si perdono. Forse in queste categorie si spremono troppo i corridori e si cerca subito il risultato perché gli sponsor vogliono questo. Io sono passato professionista a 23 anni, ora se non passi a 20 sei considerato scarso, i ragazzi, soprattutto così giovani, sentono la pressione. La mia impressione è che la categoria under 23, in Italia, non esista più. Ora i team fanno le squadre Development, non è una novità, la Mapei l’aveva fatta 20 anni prima. Però in queste squadre i ragazzi sono seguiti con l’obiettivo, e la sicurezza di lavorare per entrare nella squadra WorldTour dopo un bel percorso di crescita. Da noi si lavora per il tutto e subito e così i ragazzi li bruci».