Il complotto ci fu: Pantani aveva ragione

11.01.2023
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Stavamo mangiando la pizza con Vallanzasca nella fioreria di Antonella, la compagna che di lì a poco ne sarebbe diventata moglie. L’idea era venuta a Tonina, nell’estenuante ricerca di verità per suo figlio Marco Pantani, morto ammazzato nel residence di Rimini. Eravamo in giro per la presentazione del libro e il passaggio milanese fu l’occasione perfetta.

Il discorso approdò finalmente alla soffiata in carcere, affinché scommettesse che Pantani non avrebbe vinto il Giro del 1999. C’era il dubbio che fosse una boutade, inserita da Vallanzasca nel suo libro per fare cassetta. Tuttavia, quando ci puntò gli occhi gelidi negli occhi e aprì bocca, i dubbi se ne andarono.

«Se sapeste com’è la vita nelle carceri – disse Vallanzasca a bassa voce, con tono fermissimo – sapreste anche che là dentro a uno come me non si raccontano bugie. E se qualcuno mi disse di fare quella scommessa, che poi non feci, era certo che fosse una buona scommessa. Pantani il Giro non lo avrebbe finito».

Nel giro di pochi mesi, i titoli osannanti virarono verso il linciaggio senza la minima concessione del dubbio
Nel giro di pochi mesi, i titoli osannanti virarono verso il linciaggio senza la minima concessione del dubbio

“Violazioni diverse e gravi”

Fu una conferma. A Campiglio era successo qualcosa di poco chiaro, ma nessuno in quei giorni ritenne di ascoltare Pantani e di dargli fiducia dopo il tanto di bello che aveva donato loro. Nessuno. Zero. Decisero che fosse colpevole. Condannato a mezzo stampa sulla base di un controllo inaffidabile ed eseguito in modo improprio. Perché?

«Grazie all’attività istruttoria compiuta dalla Commissione antimafia ed in particolare dal Comitato coordinato dal Senatore Endrizzi, è stato accertato che numerose anomalie contrassegnarono la vicenda che portò all’esclusione dell’atleta Marco Pantani dal Giro d’Italia a Madonna di Campiglio, il 5 giugno 1999: diverse e gravi furono le violazioni alle regole stabilite affinché i controlli eseguiti sui corridori fossero genuini e il più possibile esenti dal rischio di alterazioni», lo afferma in una nota il Presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra nel presentare il nuovo lavoro appena pubblicato. 

Nicola Morra è il Presidente della Commissione antimafia (foto Fanpage)
Nicola Morra è il Presidente della Commissione antimafia (foto Fanpage)

Quel filo rosso

A forza di insistere, Tonina c’è arrivata. La sua voce è stata affiancata da quella dei media più potenti che hanno sempre creduto in Marco, con Davide De Zan in testa e Le Iene come sponda. La commissione Antimafia non ha fatto altro che mettere in fila tutti gli elementi che a più riprese avevamo già raccontato. E il quadro di colpo si è fatto chiaro anche agli occhi di chi aveva abboccato alle tesi opposte.

La relazione è composta da 48 pagine, prive di elementi di novità. Solo che vedere tutto insieme fa un certo effetto. Vi si parla di Campiglio e di Rimini e, come detto centomila volte, non si esclude più a priori che i due luoghi siano in qualche modo uniti. Quando con Tonina si girava per l’Italia raccontando la storia di Marco, non essendo uomo di spettacolo, ricorrevo sempre allo stesso incipit. Chi c’è capitato magari lo ricorda. «C’è una sottile linea rossa – dicevo – che unisce Rimini a Madonna di Campiglio…».

A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani nel Giro del 1999
A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani nel Giro del 1999

Gli orari corretti

La relazione, stampata su carta intestata del Senato, quella linea rossa la mostra. E anche se è tardi per ridarci Marco e sarà impossibile rendergli quel Giro – semplicemente perché lui quel Giro non l’ha concluso – è il modo per aprire gli occhi e rendersi conto che il suo annaspare per tornare a galla era dettato non già da un delirio, ma dall’impotenza del condannato a morte per un fatto che non ha commesso.

«Nell’effettuare i controlli sugli atleti a Madonna di Campiglio – si legge – non venne rispettato il Protocollo siglato dall’UCI con l’ospedale incaricato di eseguirli. In particolare, dal lavoro della Commissione, è emerso che nell’apporre l’etichetta sulla provetta che conteneva il campione ematico di Marco Pantani non vennero seguite le regole imposte per garantirne l’anonimato, essendo presenti altri soggetti, diversi dall’ispettore dell’UCI che avrebbe dovuto essere l’unico a conoscere il numero che contrassegnava la provetta. 

«Contrariamente a quanto affermato in sede giudiziaria, l’ipotesi della manomissione del campione ematico, oltre che fornire una valida spiegazione scientifica agli esiti degli esami ematologici, risulta compatibile con il dato temporale accertato dall’inchiesta della Commissione: collocando correttamente l’orario del prelievo a Marco Pantani alle ore 7,46, quindi più di un’ora prima rispetto a quanto sino ad oggi ritenuto, risulta possibile un intervento di manipolazione della provetta.

«Tale ipotesi – prosegue Morra – è inoltre ancor più plausibile alla luce delle informazioni fornite da Renato Vallanzasca – confermate dagli altri elementi acquisiti dall’organismo di inchiesta parlamentare – che rivelano i forti interessi della camorra sull’evento sportivo, oggetto di scommesse clandestine, e l’intervento della stessa per ribaltarne il risultato tramite l’esclusione di Marco Pantani, del quale era ormai pressoché certa la vittoria». 

Ai funerali di Marco a Cesenatico, la grande prova dell’amore dei suoi tifosi
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Superficiali e frettolosi

Dissero che non ci sarebbe stato il tempo per manomettere la provetta, invece il tempo c’era, eccome. E allo stesso modo in cui non rispettarono i protocolli a Madonna di Campiglio, l’operato degli investigatori a Rimini risultò altrettanto superficiale e inspiegabilmente frettoloso. Lo scrivemmo. Lo dicemmo. Ma se ne fecero ugualmente un baffo.

«Diverse – dice la relazione – sono le scelte e i comportamenti posti in essere dagli inquirenti che appaiono discutibili. Innanzitutto, la frettolosa conclusione che la morte di Marco Pantani fosse accidentale o addirittura conseguenza di un suicidio, cui si pervenne anche sul presupposto che egli fosse rimasto isolato per diversi giorni fino a quello della sua morte, con la conseguente esclusione di responsabilità di terzi».

«Resta aperto l’interrogativo – si legge – che da anni la famiglia del corridore pone: è davvero certo che Marco Pantani sia morto per assunzione volontaria o accidentale di dosi letali di cocaina, connessa all’assunzione anche di psicofarmaci? 

«Gli elementi emersi dall’istruttoria svolta da questa Commissione parlamentare consentono di affermare che una diversa ricostruzione delle cause della morte dell’atleta non costituisca una “mera possibilità astratta che possa essere ipotizzata in letteratura e in articoli di cronaca giornalistica” e devono indurre chi indaga a scrutare ogni aspetto della vicenda senza tralasciare l’eventualità che non tutto sia stato doverosamente approfondito, ricercandone, eventualmente le ragioni».

A Marco, scrivemmo anni fa, negarono la fiducia anche nel momento della morte. Le intercettazioni telefoniche fra i pentiti di camorra aggiungono elementi a un quadro già chiaro. Ogni tentativo di deviare, insabbiare, raccontare il falso come fosse vero fu l’ennesima coltellata.

Marco riposa nella tomba di famiglia, meta di tifosi che in lui hanno sempre creduto
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La dea bendata

Lo stesso schema, a Campiglio come a Rimini: la stessa vittima, un quadro probatorio confuso e reso ancor più illegibile dalla negligenza o dalla complicità di chi avrebbe dovuto fare chiarezza, il sostegno a senso unico di certa stampa e la condanna popolare dettata dalla disinformazione.

La storia di Marco Pantani dal 5 giugno 1999 al 14 febbraio del 2004 fu soprattutto questo, in un Paese popolato da ombre e fantasmi, che dopo 40 ann riapre il caso di Emanuela Orlandi. Anche nel suo caso domina la sensazione che ci sia in giro chi conosce la verità e finora è rimasto accucciato all’ombra di chi ha avuto convenienza nel proteggerlo.

Per chi ci ha sempre creduto, questa storia sarà per sempre causa di una rabbia che non passa. Ci consola il fatto che in un modo o nell’altro, tutto questo sarà servito per restituire a Marco la sua dignità e a Tonina un po’ di pace.

«La Procura di Rimini – conclude la relazione – ha riaperto le indagini; auspichiamo che anche per quanto riguarda i fatti di Madonna di Campiglio si voglia e si possa andare in fondo, qualunque sia lo scenario che verrà a dipanarsi e chiunque sia coinvolto. Perché la Giustizia sia, come nelle immagini che la rappresentano, una dea bendata capace di assolvere al suo compito, chiunque abbia di fronte».