“Zona 3” o “medio”: la base per costruire una stagione

07.11.2022
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Le vacanze per i corridori stanno lentamente terminando, il periodo di pausa è finito e tra poco si inizierà a parlare della nuova stagione. La ripresa dell’attività è un argomento importante, visto che fin dalle prima fasi della preparazione bisogna lavorare bene per arrivare pronti nel cuore della stagione (nella foto Instagram di apertura Evenepoel in ritiro con la QuickStep Alpha Vinyl nello scorso inverno). L’anno scorso con Michele Bartoli ne avevamo parlato in generale. Questa volta entriamo nello specifico, approfondendo il tema del “medio” o “zona 3”. 

Ad inizio stagione è meglio lavorare sui dati della frequenza cardiaca, sono più affidabili
Ad inizio stagione è meglio lavorare sui dati della frequenza cardiaca, sono più affidabili
Innanzitutto c’è differenza tra frequenza cardiaca e watt?

Sostanzialmente – spiega Bartoli – tra cardio e potenza non dovrebbe esserci alcuna differenza. All’inizio della stagione però, soprattutto alla ripresa dell’attività, è meglio lavorare sulla frequenza cardiaca e non sui watt. 

Come mai?

Perché nelle prime due o tre settimane si ha un affaticamento precoce del fisico. Se si dovesse guardare ai watt, avremmo un avanzamento nelle altre zone di lavoro, come zona 4 o addirittura zona 5. 

Quindi i dati sulla frequenza cardiaca, ad inizio stagione hanno più valore?

Assolutamente, mantenere la zona di medio (o zona 3, ndr) della frequenza cardiaca ci permette di lavorare con più serenità. Anche perché ora al medio mantieni i 200 watt, più vai avanti nella stagione più questo numero aumenta, mantenendo sempre uguale la zona cardiaca. 

Le prime 3-4 settimane di lavoro sono uguali per tutti: tanto volume e meno qualità
Le prime 3-4 settimane di lavoro sono uguali per tutti: tanto volume e meno qualità
Si tratta di costruire una solida base di lavoro…

Il medio alla fine è quel valore che ti permette di lavorarci sopra. Potremmo definirlo come le fondamenta di una casa: più queste sono solide più la casa sta in piedi. Aumentare il volume di lavoro permette poi di aumentare i parametri man mano. Il lavoro in zona 3 permette di lavorare meglio poi quando aumentano i volumi, ovvero si passa a carichi massimali.  

Questo allenamento ha un impatto anche sui picchi di forma? 

Certamente, più base fai più i picchi di forma durano più a lungo. Inizialmente bisogna lavorare sull’equilibrio, una volta trovato si fanno lavori su zone più alte.

Quando si lavora sul fondo si fanno comunque dei lavori specifici o no?

Sì, io faccio fare lavori di forza e di ritmo, rimanendo sempre nella frequenza cardiaca di medio. 

Per i velocisti i lavori specifici iniziano presto: bisogna farsi trovare subito pronti
Per i velocisti i lavori specifici iniziano presto: bisogna farsi trovare subito pronti
Si guarda anche ad altri parametri, come la soglia del lattato?

Fino a qualche anno fa si pensava che la soglia del lattato fosse di 4 millimoli per tutti i corridori, ma non è così. Se si fa una media si rimane intorno a quel valore, ma qualcuno lo ha più alto e qualcuno meno. Il lattato fornisce dei dati sulle condizioni e miglioramenti nei test ma non fornisce altro. Si aggiusta il carico di lavoro in base ai test che si fanno, ad ogni livello di lattato corrisponde un carico di lavoro, tenendo sempre conto dei periodi. Magari a inizio stagione a 3 millimoli si hanno 200 watt, mentre a metà stagione 300. Questi valori sono di per sé dei riferimenti ma non dei dati su cui lavorare. 

E per quanto riguarda la soglia aerobica?

Qui ci sono già più riferimenti da prendere e soprattutto si iniziano a fare più differenziazioni tra i vari corridori. Un atleta che ha come obiettivo le gare a tappe avrà una mole di lavoro maggiore sul medio. Il punto è che tutti lavorano al medio ma lo fanno in maniera differente: chi deve correre a gennaio in Australia ci lavorerà di meno. 

Quando si iniziano a fare le prime differenziazioni?

Il lavoro considerato di “risveglio” è uguale per tutti: le prime tre o quattro settimane per intenderci. Poi ci si allena ognuno secondo il suo campo. 

Chi ha come obiettivo i grandi Giri farà tanto volume, c’è bisogno di benzina per massimizzare i periodi di forma
Chi ha come obiettivo i grandi Giri farà tanto volume, c’è bisogno di benzina per massimizzare i periodi di forma
Gli allenamenti in zona 3 portano benefici anche ad altri parametri?

Sì, lavorando bene in zona 3 si alzano i livelli generali e si portano in alto i limiti. Si migliora la zona 4, la soglia e anche il VO2 max

Il medio è un valore che in gara si riesce ad allenare?

Se si guarda ai file delle gare si nota che o si va a tutta, quindi zona 5, oppure al lento, quindi zona 2. Ci sono dei passaggi al medio, ma sono così brevi che non si massimizzano. In gara si tende a perdere il lavoro fatto al medio, questo perché si tratta di un lavoro “costruttivo” quindi che si fa in allenamento.

Di questi allenamenti si fanno anche dei richiami durante la stagione?

Di medio, per quanto mi riguarda, più se ne fa meglio è. Si cura all’inizio perché è la prima prova di sforzo importante, non si può saltare subito oltre. Non si sarebbe neanche pronti metabolicamente a sopportare zone di lavoro più alte. Si rischierebbe di andare in condizione prima ma sarebbe una “condizione fantasma” che dopo 20 giorni sparisce.

Il potenziamento del crossista. Cucinotta ci spiega…

03.11.2022
4 min
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A Follonica Rebecca Gariboldi ci aveva confidato di aver implementato la parte che riguardava il potenziamento. Già, ma come si fa nel ciclocross? Noi parliamo spesso della forza in ambito stradistico, un crossista invece quando ci lavora? Tutto è un po’ “ruotato” nel corso dell’anno.

Claudio Cucinotta, uno dei coach dell’Astana Qazaqstan, è anche uno dei maggiori esperti di cross e offroad in generale. Il tecnico friulano segue, tra gli altri, i gemelli Braidot nella Mtb e molti crossisti: è il miglior profilo per questo “viaggio”. 

Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana. Segue anche biker e crossisti
Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana. Segue anche biker e crossisti
Claudio, partiamo dal “quando”. Quando un ciclocrossista inizia a lavorare sulla forza?

Inizia d’estate. E poi fa dei richiami settimanali nel corso della stagione. Stagione quella del cross che può sembrare corta, ma che corta non è. Vero, si va da ottobre a gennaio, ma ci sono moltissime gare. Capita anche di farne quattro in una settimana (come è successo giusto in questi giorni, ndr) e in questo caso i richiami non li fai. I richiami si fanno nella “settimana tipo”, quella con la gara da domenica a domenica.

E in questo caso quanti se ne fanno?

Dipende un po’ anche dal punto della stagione e della preparazione in generale, ma solitamente sono due: uno a secco e uno in bici. Anche la gara stessa è un momento di lavoro della forza, non super specifico, ma si cura anche quella.

Si è parlato d’estate, ma un crossista puro, cioè che fa del ciclocross la sua prima attività, quando inizia la preparazione vera e propria?

Di solito dalla seconda metà di luglio, massimo i primi di agosto. Poi dipende anche da cosa fa prima, se fa strada o se fa mtb. Arriva ad un certo punto della stagione, di solito fine giugno-inizio luglio, in cui si ferma per un paio di settimane. Stacca. E poi riprende con il lavoro per il cross.

A Follonica rampe corte ma durissime. In questi casi la forza aiuta. Se viene meno emergono le differenze
A Follonica rampe corte ma durissime. In questi casi la forza aiuta. Se viene meno emergono le differenze
Come lavora sulla forza il ciclocrossista?

E’ un lavoro molto simile a quello del biker, prima di tutto perché la durata dello sforzo è simile (un’ora e mezza nella Mtb, un’ora nel cross) e poi anche per le intensità e le modalità in cui la forza è richiamata. Quindi più forza esplosiva, meno forza resistente. Pertanto ci saranno più lavori specifici su: forza massima, forza dinamica, sprint, partenze da fermo… In pratica meno quantità e più intensità.

E nella parte a secco?

Il discorso è lo stesso. Aumentano i carichi e l’intensità: magari meno ripetute ma con più chili o con sforzi più esplosivi rispetto agli stradisti. Il tutto al netto delle differenze che possono esserci tra uno scalatore e un velocista. Quest’ultimo farà esercizi simili a quelli di un crossista.

Gli esercizi sono gli stessi fra strada e cross?

Di base sì: quindi squat, squat jump, ma anche split squat jump in cui si alternano gamba avanti e gamba indietro cambiando arto durante la fase aerea del salto. E poi assume più importanza la parte del core stability: addominali, dorsali, schiena…

Il crossista è chiamato a lavorare anche sulla parte alta del corpo: braccia, dorsali, deltoidi…
Il crossita è chiamato a lavorare anche sulla parte alta del corpo: braccia, dorsali, deltoidi…
Immaginiamo anche che venga data più importanza alla parte superiore del corpo…

Nel ciclocross questa è molto importante, soprattutto pensando che spesso i ragazzi e le ragazze devono portare la bici in spalla correndo a piedi. Magari in questo periodo di secca, in Italia, senza fango è successo poco, solo in corrispondenza degli ostacoli, ma ci sono dei periodi in cui accade molto di più ed è bene essere pronti anche su quell’aspetto.

Hai parlato di corsa a piedi: questa rientra nel discorso del potenziamento e della preparazione: tu come gestisci questo aspetto?

Di certo è qualcosa che si allena. Io faccio fare 20′-30′ ad andatura regolare una volta a settimana, semmai introduco giusto qualche variazione di ritmo. Ma nella parte delle corsa non inserisco lavori specifici, tipo ripetute, salite… E’ più un adattamento al gesto tecnico che altro. Anche perché in gara quando corrono con la bici in spalla non devono fare degli sprint.

Chiaro, è qualcosa che va curato ma sempre pensando che parliamo di piccole percentuali di tempo nel complesso…

La corsa a piedi e il portage (bici in spalla, ndr) si curano durante gli allenamenti specifici della tecnica. Si scende e si sale in continuazione dalla bici, si fanno delle gradinate… e ogni “ripetuta” con la bici in spalla dura dai 10” ai 30”.

L’inverno del corridore, fra camminata e corsa

31.10.2022
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Ecco l’inverno del ciclista ed ecco spuntare le famose attività alternative. In passato abbiamo visto gli atleti cimentarsi anche in sport particolari oppure fare in modo alquanto serio quelle più comuni: su tutte ci viene in mente la maratona di Adam Yates. O il trail notturno di David Gaudu (in apertura foto Geraldine Magnan, ndr) che comunque non sono attività “strane”. Giacomo Notari, uno dei coach dell’Astana Qazaqstan ci accompagna in questo viaggio sulla preparazione del post stacco.

E Notari entra subito nel merito, anche se: «Con il ritorno del Tour Down Under a gennaio, molti hanno già ripreso la preparazione standard, palestra e bici, per essere pronti a gennaio». Lasciando intendere che magari per alcuni professionisti quest’anno c’è stato meno tempo per queste attività alternative.

Attività “esotiche”

Spesso abbiamo parlato di sci di fondo, qualcuno che fa arrampicata, chi scappa in luoghi caldi per andare a surf, chi nuota… ma sono “mosche bianche”. Il nuoto stesso sono relativamente in pochi a praticarlo, perché questo impone una certa tecnica, altrimenti in vasca non si combina nulla.

«C’è anche chi usa i rollerblade – dice Notari – se ben ricordo Tiralongo ne era un sostenitore. Alla Jumbo-Visma, che hanno anche il team di pattinaggio sul ghiaccio di cui in Olanda sono appassionatissimi, vedo che molti pattinatori pedalano. Non mi stupirei se fosse anche il contrario.

«E posso garantire che i pattinatori vanno fortissimo in bici. Una volta a Livigno incontrai Enrico Fabris (che vinse le Olimpiadi di velocità, ndr) e in bici spingeva davvero forte».

Vincenzo Albanese, camminata in montagna 2020
La camminata in montagna è forse l’attività più rilassante e più diffusa tra i pro’. Qui Vincenzo Albanese
Vincenzo Albanese, camminata in montagna 2020
La camminata in montagna è forse l’attività più rilassante e più diffusa tra i pro’. Qui Vincenzo Albanese

Camminate in montagna

Ma quali sono dunque le attività alternative che davvero vengono praticate? 

«Le attività alternative principali – spiega Notari – sono sostanzialmente due: la camminata in montagna e la corsa piedi.

«La camminata preferiamo che sia in montagna (o in collina, ndr) perché c’è del dislivello e in qualche caso anche la quota. Con il fatto che si tratta di un’attività più blanda è preferibile appunto che ci sia del dislivello da fare per questioni cardiovascolari e muscolari. Noi consigliamo dalle due ore di camminata in su, proprio perché l’intensità è bassa».

«Non ce lo hanno chiesto, ma se usano i bastoncini è meglio, perché questi aiutano a fare più dislivello e a muovere un po’ di più la parte alta. Boaro, per esempio, è un ottimo camminatore. E recentemente anche Martinelli ha ripreso con questa attività unendoci anche della corsa lenta. Alla fine emerge “l’animale endurance” proprio del ciclista. A questo “animale” piace soffrire un po’, fare un certo tipo di sforzi che gli danno soddisfazione. Guardiamo Trentin con lo sci di fondo…».

Negli ultimi anni è aumentata la quantità di pro’ che ricorre alla corsa a piedi. qualcuno, come Roglic, anche nel corso della stagione
Negli ultimi anni è aumentata la quantità di pro’ che ricorre alla corsa a piedi. qualcuno, come Roglic, anche nel corso della stagione

Corsa a piedi

C’è poi il capitolo, sempre molto discusso, della corsa a piedi. Ancora oggi c’è chi la demonizza. Una volta si diceva che un corridore dovesse prendere la bici anche per andare a comperare il pane. Non solo non doveva correre ma neanche camminare. Vecchi retaggi.

«Riguardo alla corsa a piedi – riprende Notari – va bene, ma molto dipende dal background dell’atleta stesso con la corsa. Cioè se in passato l’ha fatta. Se non ha problemi di ginocchia e schiena. Dal punto di vista aerobico e cardiovascolare è molto simile al ciclismo e il vantaggio è che con 45′-60′ hai svolto già un buon allenamento».

«So di molti corridori che corrono a piedi d’inverno. Noi in Astana per esempio abbiamo i kazaki che la usano molto. Da loro in questo periodo fa freddo, c’è la neve e allenarsi in bici è impossibile. Così corrono. Gidich per esempio ci va spesso».

Miguel Angel Lopez è un vero esperto di Mtb. Nel post lock down il colombiano prese parte anche a delle gare di Xc in Sud America
Miguel Angel Lopez è un vero esperto di Mtb. Nel post lock down il colombiano prese parte anche a delle gare di Xc in Sud America

E la mtb?

Il discorso è un po’ diverso per quanto riguardo la mtb. Questa infatti non fa solo parte delle “altre attività” in attesa della ripresa vera e propria, ma in certi periodi è ormai integrata nella preparazione.

«Noi – dice Notari – la inseriamo anche nel primo periodo della preparazione invernale, quando fanno palestra e bici. A piacimento dei ragazzi, la parte di bici può essere fatta con la mtb. Lopez per esempio ci va molto. Ma anche a Dombrowsky piace. Idem a Lutsenko. Per non parlare di Velasco che è un ex biker e che è anche elbano. Lui gira spesso (al Capoliveri Bike Park, ndr) anche durante la stagione in mtb.

«Nell’off season, cioè in quelle tre-quattro settimane di stacco fra l’autunno e l’inverno, preferiamo che facciano altro, non la mtb. Quando invece si riprende e si deve alternare la bici con la palestra siamo quasi più contenti che usino la “ruote grasse”, perché c’è una maggiore componete di forza che si attiva. Senza contare che in mtb imparano a spingere e a tirare (anche con il manubrio, ndr) e gli torna utile la componente tecnica per la guida in discesa».

Notari continua il discorso dicendo poi che per l’inverno ai ragazzi non vengono dati programmi, né le durate di queste attività, ma vengono appositamente lasciati liberi.

«Liberi di gestirsi – conclude – tutto l’anno devono rispettare tabelle e parametri, dargli dei programmi anche in questa fase sarebbe riportarli ad un obbligo, ad uno stress. Quindi meglio che in quelle tre-quattro settimane di lontananza dalla bici facciano ciò che vogliono e come vogliono».

Le 42 ore di Bagioli tra Gran Piemonte e Lombardia

08.10.2022
5 min
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Tra la fine del Gran Piemonte e la partenza del Giro di Lombardia ci sono 42 ore precise. La gara piemontese si è conclusa alle 16:10 di giovedì e la “Corsa delle foglie morte” scatta questa mattina alle 10:10. Un lasso di tempo che i corridori hanno gestito tra routine e quel po’ di tensione per l’ultima classica monumento dell’anno. Andrea Bagioli è uno degli atleti che prende parte ad entrambe le prove.

Il corridore della Quick Step-Alpha Vinyl l’altro ieri ha concluso in ottava posizione e oggi potrebbe essere ancora tra i protagonisti. L’operazione recupero era scattata appena tagliata la linea di arrivo a Beinasco. Le prime sorsate di bevande ad hoc e poi via sul sul bus per il trasferimento che avrebbe portato lui e i suoi compagni al Lombardia.

Appena finito il Gran Piemonte la Quick Step è partita per il Lombardia. I ragazzi di Bramati avevano fatto il sopralluogo già il martedì
Appena finito il Gran Piemonte la Quick Step è partita per il Lombardia. I ragazzi di Bramati avevano fatto il sopralluogo già il martedì
Andrea, il Gran Piemonte era finito da poco e già eravate in “modalità” Lombardia?

Dopo il Gran Piemonte ci siamo trasferiti verso Bergamo, dove avevamo l’hotel del Lombardia. Sono state due ore di viaggio. Siamo arrivati verso le 19:30 e poco dopo abbiamo cenato. E sì, eravamo già con la testa al Lombardia tanto che sul bus Bramati ci ha parlato dei punti critici, discutevamo del percorso.

Obiettivo recupero dunque: quanto è stato dispendioso il Gran Piemonte?

Ho bruciato 3.600 calorie e fatto 210 watt medi (Bagioli pesa 62 chili, ndr) in 4 ore e 20′ di gara. Al termine della corsa ho preso subito uno shake di proteine e un po’ di riso. Ma poco davvero perché volevo arrivare con un po’ di fame a cena.

La sera del Gran Piemonte cosa hai mangiato a cena?

Pasta e carne rossa, visto che il giorno dopo non avevo molto da fare, giusto una sgambata. Era una giornata di recupero.

Nella mattina di ieri tra sveglia e cibo come ti sei regolato?

Sveglia libera e molto comoda, perché siamo usciti alle 11. Ho iniziato il carico di carboidrati in vista del Lombardia. E per questo ho mangiato del porridge, del pane, un pezzo di crostata, un’omelette e un avocado per introdurre qualche grasso. Da bere, come mia abitudine un paio di bicchieri d’acqua al risveglio, e un caffè.

Lo scorso anno al Lombardia Andrea fu 70°, aveva lavorato per i compagni
Lo scorso anno al Lombardia Bagioli fu 70°, aveva lavorato per i compagni
E poi sei uscito… Cosa hai fatto in bici?

Io che avevo corso il giorno prima ho fatto davvero un giretto facile, facile… Un’oretta o poco più, giusto per rientrare per l’ora di pranzo. Non è mancata la pausa caffè al bar. Chi non aveva corso ha fatto qualcosina in più, piccoli lavori di attivazione.

Quando un pro’ fa una sgambata simile, come va, tutto di 39?

No, 53… cioè 54 ormai: 54×23-21 a 90-95 rpm.

Quindi ecco il pranzo…

A pranzo ho mangiato della pasta, del pesce bianco leggero non del salmone o simili. Questo per variare un po’ la parte proteica e perché a cena avrei ripreso della carne bianca. Verdure poche, perché prima delle corse non sono indicatissime. E le ho prese più “colorate”, tipo barbabietole, carote… che hanno qualche fibra in meno.

Bagioli preferisce verdure colorate prima degli appuntamenti importanti
Bagioli preferisce verdure colorate prima degli appuntamenti importanti
Come hai passato il pomeriggio?

Relax. Una mezz’oretta di sonno dopo pranzo. In attesa del massaggio, mi sono distratto con un film, un po’ di musica. Sono stato al telefono con la mia ragazza. E prima di cena ho fatto un po’ di stretching.

Niente merenda?

Una banana. In alternativa in queste situazioni prendo una galletta di riso e del latte vegetale con un po’ di muesli.

A cena?

Ho preso una porzione di pasta. Come dicevo, non è mancata una fetta di carne bianca e, sempre pensando ai carboidrati, una fetta di crostata.

Niente proteine aggiuntive prima di andare a dormire?

Io non le prendo, ma c’è chi si fa uno shake o mangia uno yogurt prima di andare a letto, cosa che avviene attorno alle 22:30.

Tante volte il momento più duro tra una gara e l’altra è far passare il tempo nell’ennesimo hotel (foto Wout Beel)
Tante volte il momento più duro tra una gara e l’altra è far passare il tempo nell’ennesimo hotel (foto Wout Beel)
Quindi eccoci al mattino che precede il via. Cosa mangi a colazione e a che ora suona la sveglia?

Sveglia alle 6:50, colazione alle 7. Ho proseguito con il carico di carboidrati, ma al posto della pasta preferisco il riso prima della corsa perché è un po’ più leggero. Poi uova, pane e qualche zucchero semplice tipo miele o marmellata da mettere sul pane. Da bere come sempre acqua e caffè. E il solito avocado per i grassi.

E si va alla partenza! In queste fasi, in queste 42 ore nello specifico, cosa ti piace di più e cosa di meno?

Di meno, il far passare il tempo nel pomeriggio che precede la corsa, quando sei in stanza. Invece mi piace l’atmosfera prima della gara sul bus. I momenti in cui si arriva al via, ci si cambia, c’è silenzio, vedi i tifosi che cominciano ad arrivare… si avverte la tensione. Mi piace!

Quei 4′ finali su strada che tanto piacciono al pistard

05.10.2022
6 min
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Tre chilometri all’arrivo. Il gruppo è lanciato sul filo dei 60 all’ora. C’è tensione. Si gomita per prendere la posizione che si reputa migliore: chi deve fare il treno, chi l’apripista, chi la volata, chi magari deve proteggere un compagno davanti. E in quei frangenti il dispendio energetico è massimo. Ma è lì che il pistard è avvantaggiato.

Jonathan Milan, l’altro giorno raccontandoci con lucidità i finali delle sue vittorie in volata alla CRO Race, disse che c’era molto della sua attività in pista. «Quei 4′ oltre il limite sul parquet te li ritrovi tantissimo su strada».

E qualche mese prima Paolo Alberati parlando di Fiorelli ci disse come il dispendio energetico massimale incidesse sulla prestazione. Lo stare a ruota. Il limare. E, sempre parlando di Fiorelli, ci disse come il suo atleta di volate negli ultimi due chilometri ne “facesse tre”. Troppe. Per dire che basta un spendere un po’ di più e tutto va a monte.

Paolo Artuso, è uno dei preparatori della Bahrain Victorious
Paolo Artuso, è uno dei preparatori della Bahrain Victorious

Base aerobica…

Paolo Artuso, che di Milan è il coach alla Bahrain-Victorious, ci aiuta a comprendere meglio cosa volesse dire Jonathan e perché avesse ragione.

«Tutto vero – spiega Artuso – ma prima ancora del finale di corsa farei un passo indietro. Per fare quei wattaggi massimali nel finale devi arrivarci fresco. E ci si arriva con due punti primari: l’efficienza di pedalata e l’efficienza lipidica. Devi avere una base aerobica super. Prendendo l’esempio di Milan lui ha vinto dopo 5 ore e mezza di corsa (prima tappa) e dopo 4 ore e passa (la seconda)».

Quando Artuso parla di efficienza di pedalata non si riferisce tanto allo stare ben messi in sella, quanto alla pedalata vera e propria, al rendimento e al dispendio energetico. C’è chi per fare cento pedalate spende “cinque” e chi spende “due”. 

«E per questo ci si lavora, tanto più per un corridore alto (1,94 metri, ndr) come Milan. Una volta si faceva la ruota fissa. Jonathan raggiunge questa efficienza con il lavoro in pista».

«Quando invece parlo di efficienza lipidica, intendo la capacità di utilizzare la benzina dei grassi. Noi abbiamo il serbatoio lipidico che è enorme e quello degli zuccheri che molto più piccolo. Più abituo il fisico ad utilizzare il serbatoio dei grassi e più zuccheri avrò a disposizione nel finale.

«E come mi abituo a bruciare i grassi? Facendo parecchia base aerobica anche “intensa”, quindi Z2 e Z3».

Grazie anche all’agilità un pistard come Milan se l’è cavata in salita
Grazie anche all’agilità un pistard come Milan se l’è cavata in salita

Quell’agilità

«C’è un terzo elemento – continua Artuso – ed è l’agilità. Milan non è arrivato là davanti su percorsi del tutto piatti, ma superando anche delle asperità. Tra l’altro, faccio un inciso, nel giorno in cui ha perso la maglia mi hanno detto che sulla salita di 17 chilometri hanno fatto fatica a staccarlo. E le ha superate bene, senza spendere troppo, grazie all’agilità».

«A 60 rpm una pedalata dura un secondo, a 90 rpm dura 0,66”. La contrazione muscolare quindi più breve e ciò consente maggior ossigenazione ai muscoli. Questa resistenza alle alte cadenza sulle salite di 8′-12′ (oltre all’efficienza lipidica e di pedalata) ha fatto sì che Milan potesse arrivare fresco nel finale e sfruttare le sue doti di pistard».

Gli allenamenti in pista permettono di lavorare meglio sulla forza e le alte intensità
Gli allenamenti in pista permettono di lavorare meglio sulla forza e le alte intensità

Pista e lattato

Ed è qui, che emerge appunto il pistard. Quando lo sforzo è massimo e si va in asfissia.

«A questo punto – va avanti Artuso – subentrano i lavori lattacidi e la pista in tal senso dà una grossa mano, in quanto si fa un lavoro di forza ad elevatissima intensità.

«Nello specifico, prima della CRO Race, in pista Milan ha lavorato su ogni tipo di forza e di resistenza lattacida: partenze da fermo da 125 metri, 250 metri… E lavori da 2.500 metri e fino ai 4.000 metri. Nel complesso un volume “piccolo” ma ad alta intensità. E se si fa un buon recupero succede che vince anche su strada».

«In questo modo per me è più facile allenare un Milan: devo fargli fare “solo” la base aerobica e poi in pista fa i lavori intensi. Ma quando si ha sottomano un atleta così potente e di una certa stazza bisogna stare attenti anche alla parte aerobica. Sapete cosa vuol dire far fare un’ora di medio a Milan? Significa che per 60′ deve fare 430-450 watt. Lì fa, ma fisiologicamente è devastante. Di conseguenza certi carichi devi ridurli un po’. Altrimenti il giorno dopo è stanco e salta tutto. 

«Serve consistenza nell’allenamento. E per consistenza intendo l’allenarsi oggi, più domani, più dopodomani… Non è solo alternare carico e scarico. E’ dare continuità ai lavori».

Una fase calda che precede la volata tra chi cerca di portare fuori il proprio leader e chi sgomita alla sua ruota
Una fase calda che precede la volata tra chi cerca di portare fuori il proprio leader e chi sgomita alla sua ruota

Quattro minuti

E torniamo al punto iniziale: quanto dà una specialità come quella dell’inseguimento (ma non solo) su pista alla strada. Mediamente un inseguimento dura 4′, un po’ meno se a squadra, un filo di più se individuale. Bisogna “dare del tu” all’acido lattico. Conviverci.

«La tolleranza al lattato – dice Artuso – è la capacità dell’atleta di mantenere una situazione non equilibrata (accumulo di acido, ndr) per il maggior tempo possibile. Lavorare sulla tolleranza fa sì che si migliori quando si è a tutta. Sostanzialmente si smaltisce meglio l’acido lattico.

«Come? Facendo alta intensità. Per esempio: 3 serie da 10′ di 30”-30”. Alla fine porti a casa 15′ di fuori soglia. Oppure 3×3′ a tutta in pianura».

L’iridato Viviani nell’eliminazione: è importante essere lucidi quando l’acido lattico avvolge ogni muscolo del corpo
L’iridato Viviani nell’eliminazione: è importante essere lucidi quando l’acido lattico avvolge ogni muscolo del corpo

Ossigeno al cervello

In più c’è una cosa che Paolo Artuso conferma. Nei finali serve freschezza anche mentale e il pistard, che è abituato a limare o nel caso dell’inseguimento a tenere la linea migliore, ne ha da vendere.

«Di certo il pistard è avvantaggiato anche dal punto mentale e della lucidità. Tante volte vediamo delle cadute in discesa: ma perché? Perché “vedono doppio”. Non sono lucidi. Sono meno abituati alle punte di acido lattico e hanno meno ossigeno al cervello. Ne guadagna la guidabilità.

«Concludendo con Milan, il giorno in cui ha fatto la volata di quasi 400 metri non solo è stato bravo a tenerla, ma è stato bravo a tenere la posizione prima del via e a valutare la situazione (Mohoric, suo compagno era davanti e il gruppo rimontava, ndr)».

Eppure Baroncini ha vinto il mondiale U23 senza una WorldTour

27.09.2022
5 min
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Come ci ha detto anche Marino Amadori: non è facile competere a livello mondiale e di nazionale contro chi fa attività nel WorldTour. E lo stesso Amadori ha aggiunto che lo scorso anno ha vinto sì, ma perché Baroncini è un talento e riuscirono a programmare bene l’avvicinamento.

Sostanzialmente abbiamo posto questo tema anche a Filippo Baroncini, che tra l’altro in questi giorni è pronto a tornare in bici dopo la doppia frattura (clavicola e polso) di fine agosto.

Nel 2021 a Leuven ci deliziò con un’azione spettacolare, mix tra potenza e acume tattico. E anche quello scatto alla vigilia fu esemplare. Fece le prove di quel che poi realizzò alla lettera in corsa. Gestì la pressione da veterano. All’epoca correva nella Colpack-Ballan (team continental), non era ancora nelle fila della Trek-Segafredo (team WorldTour) e non fece gare da stagista.

Sia dopo il Giro U23 che dopo l’Avenir Baroncini è andato in altura (foto Instagram)
Sia dopo il Giro U23 che dopo l’Avenir Baroncini è andato in altura (foto Instagram)
Filippo, quanto è importante fare attività WorldTour in ottica di gare internazionali per un under 23? E quanto ha inciso la Vuelta per Fedorov?

E’ fondamentale fare una stagione nel WorldTour, ma poi credo anche dipenda molto dalla persona. Magari nessuno si aspettava la vittoria di un kazako. Se Vacek avesse fatto un’intera stagione come Fedorov non avrebbe fatto secondo. Si è visto proprio che nel finale non aveva gamba. Che era più stanco.

Non se lo aspettavano ma ha vinto…

Il concetto è proprio quello. Ha sorpreso tutti. E’ uscito alla grande dalla Vuelta. Poi se l’è anche giocata bene uscendo in anticipo, mentre altri, vedi Kooij (della Jumbo Visma, ndr), sono stati troppo a ruota. L’olandese ha corso tanto, ma non credo abbia fatto un grande Giro. Perché è quello che ti dà una marcia in più. Anche io lo scorso anno avevo fatto delle corse a tappe. E l’Avenir era stato la mia Vuelta prima del mondiale.

Ecco, parliamo del tuo cammino iridato dello scorso anno. Qual era il programma senza un grande Giro ma con attività da U23?

Partiamo dal presupposto che mi ero focalizzato molto sul mondiale. Ero tornato nuovamente a Livigno prima dell’Avenir e sapevo che in Francia non avrei avuto una super gamba, altrimenti una tappa sarei riuscito a portarla a casa. Ho sfruttato la corsa per prepararmi e crescere al meglio. Ho rinunciato al risultato in quel momento per avere una marcia in più dopo. Ed è quello che ha fatto Fedorov.

Una delle poche foto di Baroncini in maglia iridata, conquistata in una continental dalla vocazione U23, il Team Colpack (foto Instagram)
Una delle poche foto di Baroncini in maglia iridata, conquistata in una continental dalla vocazione U23, il Team Colpack (foto Instagram)
E nella finestra tra Avenir e mondiale?

Dopo l’Avenir siamo andati diretti al Sestriere e lì nella prima settimana ho fatto completamente scarico. Nella prima settimana sarò uscito due volte. Nella seconda ho fatto qualche lavoretto di attivazione. Mai uscite troppo lunghe, ma mirate. In 15 giorni – ride Baroncini – feci solo due distanze.

Perché ridi?

Perché ricordo che Amadori era preoccupato. Mi chiedeva: «Allora, oggi che fai?». E io: «Riposo». Il giorno dopo: «Oggi esci?». E io: «No, riposo…». Mi vergognavo quasi ogni volta a rispondergli così, ma alla fine è stata una carta vincente. Il recupero ha lo stesso peso di alimentazione e allenamento.

Dopo il Sestriere?

Sono andato al Giro del Friuli (tre tappe, ndr) e poi a casa dove ho fatto qualità. Dietro motore, tanta bici da crono: dopo tanta altura serve. In più avevo scelto un percorso con caratteristiche simili al mondiale con salite non troppo lunghe e strappi per abituarmi al ritmo. E poi sono andato agli europei.

E a Trento facesti secondo: come andò la gamba?

Nella gara a crono non avevo carburato ancora al massimo. Le cose sono cambiate dopo la prova in linea. E anche in quella all’inizio ero preoccupato, sentivo che non avevo il ritmo dei migliori, anche in ricognizione. Non avevo idea di quel che poteva fare Ayuso e di quel che potevo fare io. Poi invece è andata bene e lì mi sono tranquillizzato. Ho capito che mi ero sbloccato, che potevo vincere il mondiale… E per fortuna che ho fatto secondo, così a Leuven avevo della rabbia in più!

Baroncini in azzurro davanti a Moscon nella Coppa Sabatini. Alternare gare U23 con quelle dei pro’ è il mix ideale per crescere
Baroncini in azzurro davanti a Moscon nella Coppa Sabatini. Alternare gare U23 con quelle dei pro’ è il mix ideale per crescere
Restiamo sul tema della preparazione. Tra l’europeo e il mondiale cosa hai fatto?

Corsi alla Sabatini con la nazionale dei pro’. Fu il test finale una decina di giorni prima della gara iridata. A quel punto ero davvero pronto. Ricordo che c’era Cassani e la sera nella riunione Davide davanti a tutti quei campioni disse che si puntava anche su di me. E io tra me e me pensavo: “Ma che dice questo?”. Invece poi in corsa ebbi sensazioni ottime e Cassani aveva ragione. Feci quarto. La responsabilità però un po’ la sentivo.

E ai fini della responsabilità, l’esperienza della Sabatini ti ha aiutato per Leuven? Prendere in mano la squadra, essere un leader…

Sicuramente. Mi ha fatto sentire più uomo, più consapevole dei miei mezzi e anche più tranquillo.

Insomma Filippo, anche con un’attività ben ponderata tra gli “under 23 moderni”, cioè con gare importanti e qualche puntatina con i pro’, pensi si possa ancora vincere un mondiale?

Io penso si possa vincere ancora. Certo però che se si fanno solo solo corse in Italia, solo corse di un giorno tra gli under 23 allora no, non va bene.

Gruppo performance: il progetto per i successi azzurri

25.09.2022
5 min
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Dal Centro Studi al Gruppo Performance (in apertura foto Fci): è una delle rivoluzioni della Federazione ciclistica italiana. Un cambio firmato Diego Bragato. Si tratta di una struttura che molto può dare e sta dando, in tempi in cui l’asticella si è alzata parecchio.

Oggi si parla di multidisciplinarietà. In questo caso si dovrebbe parlare anche di tecnici “multidisciplinari”. Alla base del Gruppo Performance, che tra l’altro come vedremo non è solo, c’è una grande condivisione di conoscenze e d’informazioni con tecnici e atleti.

Bragato (a destra) con Elisabetta Borgia e Federico Ventura del freestyle. Lo scambio d’informazioni è centrale in questo progetto
Bragato con Elisabetta Borgia, lo scambio d’informazioni è centrale in questo progetto
Diego, cerchiamo di capire meglio questo interessante cambiamento. In precedenza c’era il Centro Studi. E adesso?

In pratica il Centro Studi è stato sostituito da due gruppi: la Scuola dei tecnici, di cui fa parte tra gli altri anche Paolo Slongo, e il Gruppo Performance di cui faccio parte e ne sono il responsabile. Sono stato io a chiedere a  Roberto Amadio (team manager delle squadre nazionali della Fci, ndr) un gruppo a parte. La Scuola dei tecnici resta aggiornata sulla parte scientifica, gli studi, le evoluzioni delle preparazioni. Noi del Gruppo Performance invece curiamo la parte pratica di questi studi.

Qual è la funzione del Gruppo Performance?

Lavoriamo per i vari commissari tecnici e le loro nazionali. In quest’ottica ho chiesto un gruppo di persone al nostro supporto per poter collaborare appunto con i vari cittì. E per questo abbiamo indetto una selezione per titoli e colloquio con il fine di individuare altre figure. Si sono presentate 80 persone, ne abbiamo prese quattro

Chi sono i tecnici presenti?

Ci sono Marco Compri, che è esperto in termini di palestra, forza. C’è Mattia Michelusi che in passato faceva parte del Centro Studi e successivamente ha avuto delle esperienze con dei team WorldTour. Mattia è un esperto nell’analisi dei file, dei dati e delle prestazioni. Si passa poi a Luca Festa, la new entry. Oltre alle sue lauree in Scienze Motorie e dello Sport, è anche un ricercatore e vanta persino delle pubblicazioni. Anche lui ha avuto esperienze in squadre di club. E’ molto bravo in quella che è la fisiologia dell’esercizio, nel monitoraggio dei carichi di lavoro, nella programmazione a lungo raggio e per questo è importante nel lavoro con i giovani. Marco Decet invece è un esperto dei test e delle valutazioni funzionali. Inoltre lui viene dal mondo dell’offroad, gravity ed era importante una presenza di questo genere, per tornare a curare bene quel settore.

Le videonalisi sono importanti. Di questi aspetti se ne occupa Fabbioni
Le videonalisi sono importanti. Di questi aspetti se ne occupa Fabbioni
Una bella squadra…

E non vanno dimenticate altre due figure fondamentali. Fausto Fabbioni, che cura la parte logistica, i video, i software… Ed Elisabetta Borgia, alla quale è affidata l’area psicologica, che fa parte a tutti gli effetti della prestazione.

Qual è il’obiettivodel Gruppo Perfomance?

Affiancare i commissari tecnici in base alle loro richieste e dare loro un servizio di supporto. Faccio un esempio. Due anni fa il cittì della downhill ci aveva richiesto una figura per gestire lo stress degli atleti. E quindi ecco che abbiamo coinvolto la Borgia. Serviva qualcuno per la palestra ed è stato chiamato Compri.

Insomma il Gruppo Perfomance è un po’ come il settore tecnico di una squadra WorldTour?

L’idea è proprio quella, ma con molta più flessibilità verso tecnici e atleti. Noi infatti non abbiamo a disposizione i corridori tutto l’anno.

Nulla è lasciato al caso. Qui i test a crono a Monza. Dati preziosi per il Gruppo Performance e per i cittì (immagine Instagram)
Nulla è lasciato al caso. Qui i test a crono a Monza. Dati preziosi per il Gruppo Performance e per i cittì (immagine Instagram)
Lo scambio d’informazioni è vitale in questo progetto. Come fate?

Recentemente abbiamo fatto una due giorni a Montichiari. Siamo stati tutti insieme. Ho voluto coinvolgere tutti i tecnici per condividere il modus operandi, conoscere i loro punti di vista. I pareri esterni, derivanti da esperienze diverse, sono ben accetti. Compri per esempio non è mai andato in bici, viene dalla pesistica e dalla pallavolo, eppure il suo metodo e il suo approccio di lavoro hanno dato ottimi frutti. Sono stati un valore aggiunto.

Vi vedete online, avete una chat?

Chiaramente abbiamo una chat nostra. E ne fa parte anche Josè Dantas, il responsabile del reparto scientifico, proprio per fare da ponte con la Scuola dei tecnici. Passiamo poi molto tempo al telefono. Siamo un gruppo unito e ciò che voglio è avere idee lineari.

E infatti proprio di quest’ultimo aspetto ti avremmo chiesto. Con tanti tecnici di provenienza differente è importante individuare una direttrice, una “lingua comune”. Bisogna incanalare tutte queste teorie e per farlo serve un “collettore”…

Ed è proprio questo il mio ruolo. Mi devo assicurare che il gruppo vada nella stessa direzione ed anche per questo io non voglio ruoli etichettati o predefiniti: deve esserci interscambio. Ho detto di Compri tra bmx e pista, ma questo deve avvenire anche con altre discipline.

Bragato, autore della foto, durante la due giorni del Gruppo Performance a Montichiari
Bragato, autore della foto, durante la due giorni del Gruppo Performance a Montichiari
Come nasce questa idea del Gruppo Performance? Ed è una tua idea?

Sì, è una mia idea. Negli anni passati in Federazione vedevo che c’era un grande potenziale degli atleti e dei tecnici in tutte le discipline, ma mancava qualcosa per fare il salto di qualità. Mancava qualcosa da un punto di vista scientifico che desse ai ragazzi una base solida. Non volevo che le prestazioni o le vittorie fossero frutto di un exploit del talento dell’atleta o del tecnico. No, volevo che fossero frutto di un sistema. Una volta che quel tecnico o quel corridore lasciano, poi salta tutto. Quindi ho creato questa struttura, questo staff lineare e trasversale al tempo stesso. Uno staff che vorrei fosse abile anche nello scovare talenti.

E’ importante avere nuovi ricambi e allargare la base…

Faccio l’esempio di quanto accaduto fra pista e mtb: questo è stato possibile perché c’erano occhi su entrambe le discipline. Analizzando i dati, i test, abbiamo visto che alcuni atleti potevano andare bene anche per l’altra disciplina. Dobbiamo capire la disciplina più adatta ai ragazzi. E monitorarli è importante. Si lega anche alla loro crescita. 

La chiave, Diego, è tutta in quella frase: “Bisogna vincere non per il talento, ma per il sistema”…

Io sono convinto che si possa fare bene e che passo dopo passo si possa andare parecchio avanti. Serve continuità. Per ora Amadio e la Federazione ci hanno dato fiducia.

La ricetta di Visconti: «La tecnologia protegge dagli eccessi»

05.09.2022
7 min
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Si era nel pieno del Lunigiana, concluso ieri con la vittoria del portoghese Morgado, quando con Giovanni Visconti abbiamo iniziato a ragionare sul ciclismo degli juniores e anche quello degli allievi.

Il tema è sul tappeto. I nostri si allenano forte, ma pagano qualcosa agli stranieri. Il siciliano di San Baronto era reduce da una serata di festa, in cui i dirigenti del Velo Club Empoli lo avevano presentato alle famiglie dei ragazzi nella sua nuova veste. Un incarico inatteso, che Giovanni ha preso con passione. Non come direttore sportivo, per cui deve ancora completare la formazione, più come preparatore, motivatore e maestro di vita. Una sorta di “picconatore 2.0”, con l’idea di mantenere il ciclismo vicino alle sue origini, avvicinandolo alla modernità e allontanandolo dalle ricette superate in cui sono spesso intrappolate squadre e atleti.

Nella serata del 2 settembre, nel corso di una serata a Empoli, Visconti è stato presentato ufficialmente
Nella serata del 2 settembre, nel corso di una serata a Empoli, Visconti è stato presentato ufficialmente
Come è cominciato?

Mi hanno cercato un mese dopo che avevo smesso e inizialmente l’avevo presa così, alla leggera. Mi dissero di volermi proporre qualcosa, così andai nella loro sede vicino Empoli, ad Avane. Avevo qualche dubbio, ma entrando in quel posto, con le coppe e le bici appese, sono rimasto sorpreso positivamente. Mazzoni, il presidente, tratta bene i ragazzini e non gli fa mancare nulla (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). Mi ha ricordato i miei tempi. E soprattutto mi è piaciuto che nonostante fossero così legati alla tradizione, volessero investire per dare una svolta. Non è da tutti, non tutte le squadre pensano di farlo. Mi hanno sorpreso.

Perché sorpreso?

Il problema da noi è che si va avanti con il vecchio stile e si prende quel che viene. Così abbiamo parlato. Ci siamo scambiati messaggi. Ci siamo rivisti. E mi hanno chiesto di seguirli, di dare qualche consiglio agli allievi e a qualche junior. Hanno visto un miglioramento netto. Non perché gli abbia dato delle tabelle, semplicemente perché ho cercato di gestirli emotivamente. Ho creato un gruppo whatsapp con i ragazzi, scriviamo continuamente, cerco di parlare la loro lingua. Hanno visto il salto di qualità soprattutto a livello di sicurezza e poi sono arrivati anche i risultati. Hanno vinto il campionato toscano allievi con Migheli, ma non perché sia arrivato io. C’è stato un cambio negli stimoli e così mi hanno chiesto di prendere ufficialmente questa via. Di seguire gli allievi come avevo fatto fino a quel momento e per il prossimo anno anche gli juniores. Ufficializzare la mia immagine di preparatore atletico e jolly nella società. E nella cena di venerdì mi hanno presentato.

Dopo il ritiro dalle gare, Visconti è diventato testimonial per le aziende del Gruppo Zecchetto
Dopo il ritiro dalle gare, Visconti è diventato testimonial per le aziende del Gruppo Zecchetto
Come è andata?

Eravamo d’accordo di fare una serata come quella. Una cena in cui hanno premiato i ragazzini che hanno vinto qualche maglia e hanno sfruttato l’occasione per presentare il progetto Visconti alle famiglie. Hanno allievi, juniores e anche gli esordienti, con cui però non lavorerò direttamente. Non mi sento assolutamente di fare delle tabelle già agli esordienti, in cui il ciclismo deve essere ancora un gioco.

In cosa consiste il progetto Visconti?

Un metodo in linea con l’era moderna. Il ciclismo va avanti come tutto nella vita e chi sta dietro alla tecnologia e alla scienza sicuramente è avvantaggiato rispetto a chi non lo fa. Però vorrei creare un ponte tra il passato e il futuro. Nel ciclismo di ora si è velocizzato tutto e non ti aspetta più nessuno. Devi fare le cose bene sin da subito, però tanta scienza va unita alla voglia di fare sacrifici, all’umiltà, allo stare insieme. Provo a ricordarmi i miei tempi da junior e allievo, il modo in cui ci divertivamo. Ecco, io vorrei unire queste due cose e riuscire a portare nel gruppo la mentalità giusta, non avere ragazzi che si parlano solo attraverso whatsapp o TikTok. Non è facilissimo da spiegare, però non voglio che i ragazzi siano delle macchinette.

Fabio Del Medico ha vinto 4 titoli regionali in pista a San Vincenzo: inseguimento, velocità, keirin e omnium
Fabio Del Medico ha vinto 4 titoli regionali in pista a San Vincenzo: inseguimento, velocità, keirin e omnium
A cosa serve la scienza?

Per misurare la fatica. Sto cominciando a guardare come lavorano e non so se sia solamente un problema della Toscana. A dire di voler preservare i ragazzi sono spesso direttori sportivi e accompagnatori di una volta, che rifiutano il cardio o il misuratore di potenza. Poi però li portano su strada sempre a tutta. Fanno 120 chilometri a gennaio, vanno sul Monte Serra, girano in doppia fila, fanno distanze assurde. Credono di preservarli, invece li fanno lavorare senza sapere chi hanno tra le mani. Non solo il metodo è sbagliato, ma sono sempre fuori giri.

Questo cosa comporta?

Sapete quanti ne ho trovati spossati, stanchi e svogliati? Lavorano tantissimo, non ottengono niente, logorano solamente il loro corpo e la testa. Trovi già quello che ha paura di non correre il prossimo anno, di non trovare la squadra. Hanno lavorato tantissimo, ma nel modo sbagliato. Nel mio provare ad aiutarli, gli ho proposto di allenarsi meno e con più di qualità. Magari con più intensità nel breve tempo, quello che serve ai giovani. Alla fine gli allievi fanno un’ora e 40 di gara, a cosa serve che si allenino per 4-5 ore? Idem gli juniores, a cosa gli serve fare 6 ore?

Ti alleni con loro?

Abito vicino, quindi ho la possibilità di andare a vedere qualche gara o qualche allenamento. Siamo usciti insieme in bici per vedere come si fanno i lavori.

Il mondo dei preparatori è piuttosto affollato, a cosa ti ispiri?

Alla mia esperienza. Ho vissuto diverse generazioni di ciclismo. Quello che ho lasciato magari a me personalmente non piaceva, perché ero a fine carriera e avevo tanti anni alle spalle, però il giovane di oggi deve crescere con il giusto metodo di lavoro. C’è la freddezza delle preparazioni da unire alla voglia di fare le cose con più familiarità, più dialogo. Lo scopo non è che facciano ora i lavori dei professionisti, in modo che migliorino subito. Si deve crescere per gradini perché altrimenti, lavorando senza pazienza, trovi ragazzi che fanno un mese di picco di condizione, ottengono grandi risultati e poi spariscono. Invece devono crescere un gradino alla volta. E questi gradini abbiamo la possibilità di misurarli, abbiamo il metodo per misurare la fatica e non strafare. La tecnologia li protegge.

Un bel cambio di rotta per Visconti…

E’ vero. Ho detto più di una volta che fino ai dilettanti si dovesse andare avanti con le sensazioni: ora non lo direi più. Il mondo è cambiato. Scienza e tecnologia servono, ma non sarebbe male insegnargli a mediare le due cose. Glielo ripeto in continuazione: non dovete diventare degli oggetti, dovete imparare a gestirvi e capirvi. Se pensi che un allenamento sia sbagliato, giri e vai a casa. Non siamo macchinette. Uno dei problemi grossi del ciclismo di oggi è quello che i giovani sono sfruttati tanto e male e non ottengono nulla.

E a 18 anni diventano professionisti.

Per questo almeno il metodo glielo devi insegnare, senza però farli lavorare da giovani con l’intensità dei professionisti. La vera svolta ci sarà quando si capirà la necessità di un ricambio in chi gestisce i ragazzi. Bisogna ringiovanire anche lì, la vita va avanti. Sono brave persone, ci mancherebbe, volenterosi. Però cosa gli insegna un settantenne a un allievo o a uno junior? Che deve mangiare poco, che deve andare a letto alle 9 e che deve fare tanti chilometri? Che se ieri non s’è allenato, oggi fa il doppio? Si va avanti così, senza sapere niente di che valori hanno. Le cose sono come dicono loro e basta. Bocciano quello che non capiscono. Nel mio piccolo, vorrei superare questo scoglio. Salire un altro gradino.

Mazzoleni: «Lavoro graduale, Garofoli può tornare a correre»

29.08.2022
5 min
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Gianmarco Garofoli è di nuovo in sella! E lo è nel vero senso della parola stavolta. E Maurizio Mazzoleni deve tornare ad aggiungerlo alla lista degli atleti da seguire. Il talento marchigiano dell’Astana Qazaqstan Development Team ha ripreso la preparazione dopo il problema avuto con il cuore a primavera.

Un malore, quasi certamente la cui causa è da legare al Covid, lo aveva messo kappao. Noi stessi vi raccontammo delle sue lunghe giornate a casa, senza poter assolutamente fare nulla. Del Giro U23 “visto dal divano”, ma anche della grande voglia di riprendere nei giorni in cui fece un allenamento allo sfinimento su ordine del dottor Corsetti per verificare che tutto fosse okay.

Garofoli (a destra) con Velasco sullo Stelvio. Erano entrambi in altura a Livigno
Garofoli (a destra) con Velasco sullo Stelvio. Erano entrambi in altura a Livigno

Altura concordata

Chiudemmo l’intervista con Garofoli scrivendo: «Se mi daranno l’okay, farò le valigie e me ne andrò subito in altura». E’ stato di parola!

«Quando ha avuto il via libera dopo la miocardite – spiega Mazzoleni – Gianmarco ha seguito l’iter (il protocollo sanitario previsto per il rientro, ndr), poi è andato in altura. Questa scelta è stata concordata con lo staff sanitario del dottor Corsetti e il nostro, guidato dal dottor Emilio Magni. E una volta fatti questi step e ottenuto l’okay, ha potuto riprendere la preparazione atletica vera e propria. Ma va detto che già nel mese precedente aveva già ripreso a pedalare. Insomma non ci è andato da zero, ma aveva una base. In altura aveva poi un livello climatico più congeniale, tanto più in questa estate molto calda».

Maini a suo tempo ci aveva accennato alla necessità che il marchigiano ripartisse con estrema calma e Mazzoleni, ci spiega come questa estrema calma, diciamo così, è stata messa in atto. Il coach lombardo ci spiega che il lavoro è stato impostato con la massima gradualità.

«E posso assicurarvi che andare graduali con Gianmarco e il suo entusiasmo non è facile! Lui vorrebbe fare sempre meglio, sempre qualcosa in più. Ma devo dire che è stato molto bravo a rispettare il programma».

Il lavoro di Mazzoleni questa volta è stato più calibrato che mai. Ed è andato di pari passo, come ci spiega lui stesso, con le tempistiche e le necessità dettate dal controllo del dottor Magni.

Gianmarco Garofoli in azzurro agli europei di Trentino 2021. Il marchigiano ha un ottimo feeling con Amadori
Gianmarco Garofoli in azzurro agli europei di Trentino 2021. Il marchigiano ha un ottimo feeling con Amadori

Rientro azzurro

Talmente bravo che per Garofoli è stata individuata una time line per il suo rientro: sarà nel trittico del Giro di Puglia Challenge a metà settembre. Il commissario tecnico, Marino Amadori, gli ha già inviato i percorsi e Garofoli se li sta studiando.

Questo rientro è importantissimo, non tanto per questa stagione, quanto per la prossima. Significa ripartire “alla pari” con gli altri. Significa passare un inverno ben più sereno. Un po’ quel che si diceva di Bernal con Slongo: prima bisogna recuperare il corridore, poi il campione.

«Gianmarco – dice Mazzoleni – scenderà dall’altura fra pochi giorni e poi rientrerà alle corse nel trittico pugliese. E lo farà con la nazionale U23, che tiene molto a lui. Sono contento che rientri con la maglia azzurra. Per lui sarà uno stimolo in più.

«Da lì, fatto quel primo step, definiremo il calendario con la nostra squadra Development e se tutto andrà bene valuteremo di inserirlo in qualche gara del calendario italiano dei pro’, visto che c’è questa bella possibilità d’interagire tra il vivaio e la prima squadra. E penso un bel premio anche per lui dopo un anno così tribolato».

Garofoli (classe 2002) quest’anno ha corso anche la Coppi e Bartali, sua penultima gara prima dello stop (foto Instagram – Getty)
Garofoli (classe 2002) quest’anno ha corso anche la Coppi e Bartali, sua penultima gara prima dello stop (foto Instagram – Getty)

Determinazione Garofoli

A Livigno Garofoli si allenato anche con alcuni colleghi della WordlTour. Un giorno per esempio era in bici con Simone Velasco, il quale parlando con noi al telefono ci disse: «Ohi, ho il fiatone. Garofoli mi sta tirando il collo!».

 «Come abbiamo visto Gianmarco è un ragazzo molto determinato – dice Mazzoleni – e questo è un aspetto molto positivo, sia per l’età che ha, sia per la voglia di raggiungere gli obiettivi che ha in testa, i quali sono molto chiari.

«Sta a noi accompagnarlo in questo viaggio. A me, come allenatore, a Martinelli e Maini come direttori sportivi che hanno grande esperienza con i giovani talenti. Sapranno consigliarlo al meglio». 

Neanche il maltempo ha fermato il marchigiano. Corridore tosto come il suo conterraneo Scarponi
Neanche il maltempo ha fermato il marchigiano. Corridore tosto come il suo conterraneo Scarponi

Nel segno di Scarponi

«Da parte sua – continua a raccontare con passione Mazzoleni – Garofoli ha molta fiducia in noi e anche per questo ha fatto questa scelta di venire in Astana. Ma anche noi lo conoscevamo sin dalle categorie inferiori e c’era già un bel rapporto.

«Pensate, che qualche anno fa, parlando tra noi, “Scarpa” (Michele Scarponi, ndr) ci diceva che conosceva nella sua zona un ragazzino che prometteva bene. E che quando avrebbe smesso di correre, gli sarebbe piaciuto lavorare per far crescere dei talenti… e Gianmarco sarebbe stato uno di quelli. E quindi anche per questo Maini, “Martino” ed io, siamo orgogliosi di portare avanti questa “mission” che si era prefissato Scarpa».