Circa un anno fa, l’8 agosto del 2021, si chiuse in modo goffo e inelegante la pagina di Cassani nella Federazione (in apertura Davide con il presidente Dagnoni). L’aggettivo goffo non è per caso, tantomeno quello inelegante. Per far sapere al mondo del ciclismo che Davide avesse ormai le ore contate, si scelse la Gazzetta dello Sport, facendo capire fra le righe che né agli europei di Trento e tantomeno ai mondiali di Leuven sull’ammiraglia azzurra sarebbe salito il romagnolo. Peraltro rispedito a casa prima del tempo dalle Olimpiadi di Tokyo con motivazioni tutt’altro che convincenti.
Per fortuna si mise di mezzo il Coni. Cassani guidò Colbrelli alla vittoria degli europei e rimase alla guida degli azzurri anche per i mondiali. Anche allora stigmatizzammo lo stile, tacciati di parlare sempre delle stesse cose, ma trovammo per contro che fosse comprensibile il desiderio di cambiare i nomi per dare un segno di discontinuità. Chi vince fa le sue scelte e poi semmai se ne prenderà la responsabilità.
Neanche un euro
Al cittì romagnolo venivano mosse diverse contestazioni. L’eccessiva esposizione. E soprattutto il fatto di avere le mani in pasta fra sponsor e organizzazioni. Non si muoveva nulla, dicevano, senza il suo avallo: sembrava quasi che ne avessero soggezione. Ma consapevoli dei suoi mezzi, gli proposero un incarico ancora indecifrato, che permettesse tuttavia di mantenerne gli agganci.
«Non ho mai fatto l’organizzatore – ci disse Davide alla vigilia della sfida di Leuven – con il Giro d’Italia Under 23 ho trovato due amici molto bravi (Marco Selleri e Marco Pavarini, ndr) che hanno fatto crescere il movimento dei giovani in Italia. Con Extra Giro è ripartito il ciclismo dopo il Covid. I mondiali di Imola sono stati un incontro tra forze diverse e sono costati un settimo di questi in Belgio. E quanto agli sponsor, non ho mai preso un euro. Tutto quello che è entrato, l’ho riversato sull’attività. Sono nate corse e ne vado molto orgoglioso».
Quello che è successo negli ultimi 12 mesi merita forse una rilettura. Non necessariamente per infierire su una dirigenza in evidente difficoltà dopo il caso delle sponsorizzazioni irlandesi, le dimissioni di Norma Gimondi e tutto quello che verosimilmente ne conseguirà, ma per sottolineare un paio di punti.
Assoluta trasparenza
Il primo. Quando si lavora per la Federazione Ciclistica Italiana si dovrebbe avere a cuore l’assoluta trasparenza. Ricordate questo termine? Lo leggerete spesso. Non devono esserci dubbi, non deve esserci ombra alcuna sull’etica di chi la amministra.
Nei giorni scorsi abbiamo avuto occasione di parlare con i manager di alcune squadre continental, sfiniti dall’aumento del costo dei punteggi degli atleti e del contributo da versare ai comitati regionali. Con quale faccia si va a imporre loro di stare alle regole, se per primi si cercano scorciatoie senza provare la benché minima necessità di chiarire cosa è successo? I giorni passati dalla prima denuncia sono stati lunghi come la più lenta delle agonie, ma nulla è emerso e nulla è stato chiarito. Si dovrà farlo davvero davanti a un giudice? Aspettiamo fiduciosi.
Gli sponsor di Cassani
Il secondo. Quando Cassani venne nominato alla guida della nazionale, si prodigò per non costare nulla o comunque il meno possibile alla Federazione. Portò gli sponsor di cui si è parlato, a cominciare da Enervit. Trovò gli alberghi dove far svolgere i ritiri. Propiziò il cambio del parco ammiraglie e poi bisognerebbe chiedere a lui cos’altro fece senza per questo arricchirsi. Non è un mistero che in quel periodo la FCI non avesse un ufficio marketing all’altezza, tuttavia le conoscenze di Cassani colmarono il gap. L’attività venne finanziata e alla fine in cassa rimase anche qualcosa.
Nazionali e WorldTour
Quando venne eletto, il presidente Dagnoni annunciò di voler cambiare passo, puntando su marketing e comunicazione e allineando la gestione della nazionale a quella di un team WorldTour. Per questo è stato ingaggiato Roberto Amadio, per questo i tecnici federali sono diventati come direttori sportivi, che proprio in questo momento stanno lavorando, come fanno da mesi, probabilmente chiedendosi cosa ci sia di vero in tutte queste storie. Il dubbio legittimo a questo punto, nell’attesa che tutto il castello venga spiegato, è che della gestione di un team si siano prese anche le cattive abitudini di un tempo. Quelle usanze tutt’altro che trasparenti con cui i manager facevano cassa e che negli anni sono state più o meno abbandonate.
Qual è il senso di quei 106 mila euro? Qual è il senso delle spiegazioni rincorse nei giorni successivi? Dov’è la trasparenza nella gestione?
Una pagina tutta rosa
Non si può pretendere di piacere a tutti. Solo che a suo tempo colpì la denuncia ai danni di Marco Selleri, organizzatore del Giro d’Italia U23, accusato di aver parlato male della Federazione in un’intervista in cui sostanzialmente non diceva niente. Colpirono anche alcuni passaggi improntati alla ripicca con cui furono accolti articoli come questo, scritti per capire e semmai far luce. Colpirono i modi da squadra di calcio per cui le voci sgradite sarebbero state messe ai margini. Lo stesso poi accaduto, stando al suo racconto, a Norma Gimondi.
Vivendo da sempre in Italia, siamo curiosi di vedere come finirà la storia. Davvero il Coni metterà mano alla vicenda? Lo faranno le procure? Oppure saranno le azioni legali intentate dalla FCi ad avere ragione? Non lo sappiamo. La sola certezza, in questo momento di ciclismo che conduce ai mondiali e in piena Vuelta, è che sulla Gazzetta dello Sport di oggi il ciclismo si è guadagnato una pagina intera. Lo stesso su altri giornali altrettanto importanti. Ma non si parla di corse, si parla di scandali. Presto si andrà ai mondiali e ci saranno prima le convocazioni: per allora sarà tutto spiegato? Oppure le domande verteranno su questa vicenda? Come già detto ieri, il nostro sport e la gente che quotidianamente lo onora con il suo lavoro non lo meritano affatto.