La mano rotta, i rulli e la vita di Formolo spiata dal satellite

19.02.2022
6 min
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Un ricordo di Facebook, condiviso il giorno di San Valentino dall’aeroporto di Istanbul, perché quando si tratta di Daniele Tortoli ricordare è d’obbligo. Poi il volo di rientro dalla Turchia. La storia di Rajovic da scrivere per l’indomani. Finché nell’aereo appena atterrato, mentre lentamente si cominciavano a riprendere zaini e pacchetti, la voce di Davide Formolo attraverso una chiamata Whatsapp era il primo bentornato in Italia.

E’ stato il ricordo di Daniele Tortoli su Facebook a mettere in moto questa intervista
E’ stato il ricordo di Tortoli su Facebook a mettere in moto questa intervista

Solo che il veronese si trovava (e ancora si trova) sul Teide. Voleva commentare quella foto del toscano che ebbe il merito di scoprirlo. Dire quanto gli mancasse e aggiungere che oggi confrontarsi con lui gli servirebbe più di allora. Aveva soprattutto voglia di parlare. Perché sul vulcano non puoi fare altro che allenarti e, come ha detto Colbrelli, guardarne la cima. Ma Davide non può neanche pedalare, non su strada. I programmi di cui ci aveva parlato sono congelati. La caduta provocata il 3 gennaio dal cinghiale continua a dargli noia, la microfrattura della mano non è ancora saldata.

C’era però da scendere dall’aereo, recuperare auto e bagagli. Per cui, con la promessa di risentirci presto, ci siamo portati la sua storia nella testa fino a ieri sera.

Come stai?

Bene. Il vulcano è tranquillo. Non è come l’Etna che ogni tanto si scarica. Questo sta zitto dai primi del 900, ma è attivo. Dicono che quando erutterà la prossima volta, ci sarà un’esplosione che farà casini veri. Speriamo di essere andati via per tempo (ride, ndr).

Il 3 gennaio su Instagram, Davide Formolo raccontava con questa foto la caduta: «Un cinghiale voleva mangiarmi!»
Il 3 gennaio su Instagram, Formolo ha scritto: «Un cinghiale voleva mangiarmi!»
E la mano?

Ho la prossima radiografia il primo marzo. Per ora tengo il tutore. Nel controllo fatto prima di venire quassù, l’osso era ancora messo male, mi hanno dato poche possibilità di cominciare a correre come nei programmi. L’unica cosa è tenerla ferma. Dagli esami fatti subito non si vedeva niente, ma il dottore ha detto che le fratture di queste ossa così piccole si vedono dopo un po’. In pratica abbiamo dovuto aspettare che la frattura si aprisse. E intanto devo stare fermo.

E in bici?

In bici non posso andare. Oltre al fatto che le vibrazioni farebbero male, a forza di portare il tutore, anche il polso non mi regge più. Al punto che quando lo toglierò, dovrò anche fare un ciclo di riabilitazione. Dovrei correre Laigueglia il 2 marzo e la Strade Bianche il 5, ma ad ora non so bene cosa sarà di me (sorride, ma si percepisce che sia affranto, ndr).

Nel primo ritiro di Abu Dhabi a novembre 2021, per Formolo risate e programmi (PhotoFizza-UAE)
Nel primo ritiro di Abu Dhabi a novembre 2021, fra risate e programmi (PhotoFizza-UAE)
Il tutore devi portarlo sempre?

Anche quando dormo, per forza. Lo tolgo solo per fare la doccia. E con questa cosa del Covid, non riesco neanche a lavare bene le mani. Devo anche stare attento a non storcermi in bici. Perciò sto qua, faccio rulli e aspetto giorni migliori. Visto Covi come ha iniziato bene? A gennaio abbiamo fatto un bel ritiro e vorrei mettermi in gioco anche io, perché ero al loro livello. Stamattina (ieri per chi legge, ndr) è andato via anche Colbrelli. Per fortuna stare qui mi piace. I benefici dell’altura sono indiscutibili. Perciò vedremo i progressi della mano e semmai aggiusteremo i programmi.

Tortoli i cinghiali li cacciava e poi sua moglie Silvia li cucinava alla grande…

Impossibile da dimenticare. Intorno Monaco ne è pieno, anche nella zona de La Turbie dove domani arriverà il Tour des Alpes Maritimes et du Var (tappa di oggi, vinta da Wellens, ndr). Un giorno ero in bici proprio lassù e ne ho trovato uno che camminava bello tranquillo sulla strada. Anche dai miei a Verona, la stessa cosa. Mi è andata bene che il… mio era piccolino. Ha preso la ruota davanti, mi ha girato il manubrio e sono rotolato per terra.

Perché l’altro giorno hai detto che oggi con Tortoli parleresti meglio di allora?

Con la poca esperienza che avevo, non credo di aver potuto cogliere da lui il massimo. Prima era tanto sopra di me, oggi potrei parlarci alla pari. Prima avevo quasi timore, oggi sarebbe un confronto fra adulti.

Era un altro ciclismo.

Ma la sua saggezza sarebbe attuale anche oggi. Il problema è che dal 10 novembre al 10 ottobre dell’anno successivo, c’è qualcuno che guarda quello che mangiamo, i battiti del nostro cuore, i watt del nostro motore. Ci seguono via satellite con il gps quando siamo in bici, vedono i nostri spostamenti. E’ un mondo in cui non è facile vivere. Quando poi succedono cose come il ripensamento di Dumoulin, non c’è tanto da meravigliarsi. Sono tecnologie utili alle squadre perché noi possiamo migliorare, mentre prima per imparare dovevi fare una cappellata e ragionarci sopra. Oggi non serve. Non hai tempo di sbagliare. Sei così monitorato, che prima ancora che commetti un errore, c’è qualcuno a chilometri di distanza che ti avvisa. E’ difficile farsi plasmare da chi sta così lontano e decide della tua vita.

Nel primo ritiro 2022, pochi giorni dopo la caduta, la mano faceva male (PhotoFizza-UAE)
Nel primo ritiro 2022, pochi giorni dopo la caduta, la mano faceva male (PhotoFizza-UAE)
Tu come fai?

I risultati che stiamo ottenendo sono dovuti proprio a questa supervisione. La gente non dovrebbe stupirsene. Però per fortuna c’è un’ottima intesa fra noi e questo era anche alla base del metodo di Daniele, che ci faceva crescere con le dinamiche del gruppo. In UAE Team Emirates c’è lo stile italiano e nonostante tanta tecnologia, è la squadra che fa la differenza. Quando fisicamente sei al 99,9 per cento, lo step successivo lo fanno la testa e le parole giuste. Anche un rimprovero va fatto nel modo giusto e per fortuna qui si può parlare, perché ci sono brave persone nei posti giusti. Ognuno è libero di dire la sua.

Quando scendi dal Teide?

Il 28 febbraio, ancora dieci giorni.

Anche tu passi il tempo guardando il vulcano?

Le giornate passano in fretta. La mattina sei sui rulli, il pomeriggio doccia, riposo. Poi la prima videochiamata a casa. Mia figlia mangia alle 19 ora italiana, quindi le 18 di qui. Parlo con loro e poi vado a cena anche io, in modo da risentirle dopo aver mangiato. Inizialmente dovevano venire qua anche loro, ma la nonna di mia moglie non sta benissimo e così sono venuto da solo.

Consigli dalla… regia: un caffè e un sorriso per lo sponsor Mokador (PhotoFizza-UAE)
Consigli dalla… regia: un caffè e un sorriso per lo sponsor Mokador (PhotoFizza-UAE)
Ti va anche bene, all’inizio l’hotel era molto più spartano…

Me lo hanno detto, invece ultimamente hanno investito. Mi piace lo spirito di Tenerife, sono persone alla buona ma si danno da fare.

Quante possibilità ti dai di iniziare a Laigueglia?

Il dottore ha parlato di un 20 per cento, la vedo complicata, ma per fortuna la stagione è lunga. Quest’anno si punta sul Giro, niente Liegi. Voglio vincere una tappa, è passato troppo tempo dalla vittoria di La Spezia del 2015. Nel frattempo sono diventato padre, speriamo di vincere la prossima prima di diventare nonno (ride, ndr). Quel giorno dopo la caduta ero così contento di non essermi rotto niente di grande, da aver sottovalutato quell’ossicino. E invece guardate come sono messo…

Le mie classiche. Trentin già aspetta Sanremo e Fiandre

17.02.2022
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Matteo Trentin è nel vivo della stagione. Lui più di altri, perché i suoi grandi obiettivi sono concentrati nella primavera e in particolare nella prima parte. Il corridore del UAE Team Emirates è uno degli italiani sui quali sono investite più responsabilità e attese da parte dei tifosi e… non solo, chiaramente. 

Ormai è un veterano del circus, aggettivo che gli possiamo affibbiare non tanto per l’età (ha 32 anni), ma per l’esperienza e il carisma di cui gode in gruppo.

Matteo Trentin (classe 1989) è alla sua 12ª stagione da pro’
Matteo Trentin (classe 1989) è alla sua 12ª stagione da pro’
Matteo sei nel clou della tua prima parte di stagione, come vivi questo periodo di avvicinamento a questi grandi obiettivi?

Ormai ci sono abituato e a livello di testa non mi agito più. Invece da un punto di vista fisico devo dire che la gamba per ora risponde abbastanza bene. Anche oggi (ieri per chi legge: Matteo è in gara alla Ruda del Sol, ndr) è andata bene, nonostante il percorso non fosse proprio per me. Diciamo solo che ci manca una “vittorietta” per il morale e per dire a me stesso che sono sulla buona strada.

I tre “monumenti” in vista per te sono Sanremo, Fiandre e Roubaix. Qual è quello che senti di più?

Quello che vivo più da vicino è la Sanremo. Sarà che abitando a Montercarlo quasi tutti i giorni si percorre il finale della Classicissima. Ormai quelle strade è come fossero le strade di casa. Poi certo, un Fiandre… è un Fiandre. La Ronde, specie con il pubblico, è una gran cosa. Ci sono davvero poche gare così. Le sensazioni che puoi avere quando passi sul Kwaremont pieno di gente sono da fuori di testa. E noi non ci siamo abituati. Non siamo in uno stadio in cui il pubblico urla tutto il tempo. Tutto ciò non succede spesso nel ciclismo.

La Sanremo la senti di più: come vivi l’approccio, la vigilia?

Tranquillissimo. Ormai la situazione è collaudata. Il mercoledì, quasi per tradizione, andiamo (a Montecarlo vivono molti pro’ che spesso escono insieme, ndr) a provare il finale… come se servisse a qualcosa! Sono circa quattro ore di uscita. Andiamo fin oltre la Cipressa e torniamo indietro. Il giovedì si parte per Milano, il venerdì la sgambata e il sabato la corsa.

Trentin all’attacco in fondo alla discesa del Poggio nella Sanremo del 2019
Trentin all’attacco in fondo alla discesa del Poggio nella Sanremo del 2019
Qual è “il tuo momento” della Sanremo?

Ah, bella domanda! Cambia sempre. Oggi la Cipressa è più “usata” per fare la corsa dura dalle squadre che hanno questo interesse. Ma poi dal Poggio in avanti ogni momento può essere quello buono. Soprattutto dal falsopiano: può andare via un gruppetto, un corridore che azzarda. Si può aspettare la volata o partire in fondo alla discesa… E oggi è sempre più difficile perché tutti vanno forte e le possibilità sono le stesse per molti più corridori.

Passiamo ad aspetti un po’ più tecnici, Matteo. Siamo a metà febbraio e hai già otto giorni di corsa. Non sono pochi…

In passato ne ho avuti anche di più. Quando c’era il Down Under arrivavo a fine febbraio che ne avevo anche 20. Però è anche vero che col passare degli anni si va sempre più forte e per trovare la condizione bisogna fare il giusto, altrimenti si rischia di fare troppo. Le corse vanno dosate.

Sul piano della preparazione hai cambiato qualcosa?

Io cerco sempre di fare qualcosa di diverso. L’anno scorso ho lavorato molto sugli intervalli brevi, quest’anno ho fatto delle ripetute più lunghe. Tra novembre e i primi di dicembre ho fatto parecchia mountain bike e poi mi sono fatto i miei bei dieci giorni di sci di fondo. E devo dire quest’anno è andata molto meglio dell’anno scorso perché la neve era migliore. Essendo nevicato meno, era più compatta e ho potuto svolgere un lavoro molto produttivo. Successivamente in ritiro e in quel periodo ho fatto molto volume e man mano che sono arrivate le prime gare ho fatto lavori più “corti”. Da adesso in poi solo gare, niente altura, è così che voglio trovare il massimo della condizione.

Il tifo sul Kwaremont al Giro delle Fiandre: un’emozione anche per i corridori
Il tifo sul Kwaremont al Giro delle Fiandre: un’emozione anche per i corridori
Quali farai?

Adesso sto correndo alla Ruta del Sol, poi farò l’apertura in Belgio e arriverò alla Sanremo dalla Parigi-Nizza, quindi di nuovo Belgio.

E la palestra? In tanti hanno aumentato molto il lavoro “a secco”…

Io quella l’ho sempre fatta. Diciamo che sono tornato ai livelli pre-Covid, con un lavoro ben strutturato, cosa che stando a casa non si poteva fare. Ho lavorato sia sulle gambe e che sulla parte alta.

Invece sul piano tecnico, hai fatto dei cambiamenti?

No, sono cambiate solo le gomme. Siamo passati da Vittoria a Pirelli. Siamo ancora in una fase di test e di prove. Io per ora sto utilizzando dei tubeless da 25 millimetri e devo dire che le sensazioni sono buone. Non saprei dire cosa nello specifico, ma parlo del feeling di guida in generale.

Il trentino non è mai stato troppo fortunato alla Roubaix, anche l’anno scorso l’ha corsa con i postumi della caduta al mondiale (foto Instagram)
Il trentino non è mai stato troppo fortunato alla Roubaix, anche l’anno scorso l’ha corsa con i postumi della caduta al mondiale (foto Instagram)
Facciamo un passo indietro, Matteo, non ci hai parlato della Roubaix: come mai?

Perché tra tutte le classiche la Roubaix è quella che mi è sempre rimasta un po’ indigesta. Anche per questo è quella sulla quale sono meno focalizzato. Penso più all’Amstel Gold Race e sì che l’ho fatta solo tre volte. La prima neanche dovevo farla e ho bucato a mezzo giro dalla fine. Una volta mi hanno ripreso a quattro chilometri dall’arrivo, forse anche tre. 

Questa non ce l’aspettavamo. E’ anche vero che l’Amstel è particolare: è stata vinta da pseudo-velocisti, ma anche da corridori più “scalatori”…

Mi si addice abbastanza, non è una Liegi e neanche una Roubaix, ma devi saper limare, stare davanti, andare forte in salita, ma al tempo stesso essere veloce.

Classiche e Matteo Trentin: senti il “peso”, la responsabilità di essere uno dei pochissimi italiani a poter fare bene?

No, non ci penso. Penso solo a fare bene. E poi alla fine della fiera parlano i risultati.

In queste sfide c’è un compagno che hai o che vorresti avere sempre al tuo fianco?

Essendo il UAE Team Emirates un grande team, con un programma ampio c’è sempre una grande rotazione di atleti. Questo discorso riguarda più i velocisti con il loro treno. Noi dobbiamo essere bravi ad adattarci alle situazioni e ad integrarci.

E venne finalmente (a Murcia) il giorno di Covi

13.02.2022
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Masticare la sconfitta non gli era mai piaciuto, sin da piccolino, eppure in alcuni momenti gli era toccato farlo e l’aveva trovato insopportabile. Poi Alessandro Covi è passato professionista e ha pensato che su di lui si fosse abbattuta una maledizione. Dalle sconfitte si impara, aiutano a crescere, ma alla fine lasciano sempre un segno. Ma ieri nella Vuelta Murcia, nella città di Valverde che ha atteso invano il suo beniamino (la Movistar ha partecipato in formazione rimaneggiata per un caso Covid al suo interno, impedendo ad Alejandro di partecipare per l’ultima volta alla corsa di casa) la maledizione è stata spazzata via.

Covi e Trentin hanno parlato molto in gara e alla fine l’intesa è stata perfetta
Covi e Trentin hanno parlato molto in gara e alla fine l’intesa è stata perfetta

La sfiga non esiste

Primo, per un solo secondo sull’amico Trentin. Che alle spalle lo ha protetto vincendo la volata del gruppo. Fu un secondo anche quello che lo divise da Mauro Schmid l’anno scorso a Montalcino, nel giorno che più degli altri gli parve amaro.

«La sfiga non esiste – disse lo scorso inverno, commentandolo – qualche errore l’avrò fatto. Quel giorno a Montalcino mi venne il panico. Era bello essere lì a giocarsi la tappa, ma non ero convinto di me stesso e non conoscevo lui. Occasioni di giocarmi corse importanti con una volata a due non ne avevo avute tante, quindi di sicuro l’abitudine e la freddezza l’avevo persa. Sul momento mi è scocciato, ora se ci penso mi dico che poteva cambiarmi la carriera. Il secondo non se lo fila nessuno…».

Fra i vari movimenti di giornata, anche l’attacco di Brandon McNulty
Fra i vari movimenti di giornata, anche l’attacco di Brandon McNulty

Primo e secondo

Ieri non ha aspettato la volata, ma eseguito alla grande gli ordini di scuderia. Attaccare nell’ultimo chilometro, dopo aver mandato prima in avanscoperta McNulty. E poi semmai Trentin avrebbe vinto la volata.

«Sono contentissimo della vittoria – ha detto a caldo – e della gara che abbiamo fatto. Abbiamo seguito tutti i piani. Abbiamo attaccato con Brandon, poi in caso di volata c’era Matteo. Io dovevo anticipare lo sprint, così abbiamo fatto e così è arrivata la vittoria. Credo che abbiamo corso benissimo, abbiamo preso la responsabilità della gara sin da subito. Abbiamo tirato noi e alla fine abbiamo colto il miglior risultato possibile. Primo e secondo è un ottimo risultato direi…».

Anche Trentin è entrato in un’azione, poi si è messo a guardia del finale
Anche Trentin è entrato in un’azione, poi si è messo a guardia del finale

La consapevolezza

Se Montalcino poteva cambiargli la carriera, chissà che la corsa di Murcia non possa dare una spallata a quella sorte, rimettendo in pari la bilancia.

«Anche da under 23 – ha già detto più volte – capitava che ne vincessi una e poi le altre arrivassero in fila. Nel 2018 non mi riusciva di sbloccarmi, poi feci centro in Spagna e in Italia ne vinsi tre di fila, fra cui la Coppa Cicogna. Vincere porta più consapevolezza, piazzarsi tanto significava comunque la possibilità di giocarmi le corse. Ci ho messo sempre il massimo impegno, poi con l’esperienza e la maturazione fisica le cose stanno venendo meglio da sé».

Sul podio, oltre a Covi e Trentin, il francese Louvel dell’Arkea
Sul podio, oltre a Covi e Trentin, il francese Louvel dell’Arkea

Più leggero

Ora Alessandro dice di sentirsi più leggero e che la vittoria ieri proprio non se la aspettava.

«Non credevo di avere già la condizione per vincere – sorride – ma come mi hanno detto tutti, la vittoria arriva quando meno te la aspetti. Bene così, la condizione verrà con le corse, ma siccome non è detto che sarà garanzia di vittoria, prendiamoci questa è guardiamo avanti. E anche la teoria delle quattro corse di seguito, tutto sommato… Stiamo cauti! Oggi corro ad Almeria, poi Andalucia, l’apertura al Nord e Laigueglia. Ci voleva proprio…».

Alle sue spalle Trentin ha dimostrato ancora una volta di essere un eccellente uomo squadra. Uno che avrebbe avuto bisogno come il pane di una vittoria, ma ha saputo attenersi agli ordini del team, guardando le spalle al più giovane compagno. Se c’è giustizia nel mondo delle corse, presto gesti come questo saranno ripagati e per il grande trentino arriverà l’acuto che merita. Lui la volata l’ha vinta a mani basse…

Bora Ultra WTO 45, le ruote da Oscar di Campagnolo

10.02.2022
3 min
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Nei giorni scorsi Campagnolo ha comunicato con un giustificato orgoglio di aver vinto il Design & Innovation Award 2022 nella categoria Componenti Road. Il prestigioso riconoscimento è andato alle ruote Bora Ultra WTO 45.

Il Design & Innovation Award è da molti ritenuto come l’Oscar della Bike Industry, e nelle intenzioni della giuria chiamata ad assegnare i vari premi è considerato più di un semplice conferimento di titoli o un riconoscimento per i marchi premiati. A comporre la giuria sono giornalisti internazionali selezionati, test rider professionisti ed esperti del settore. Alla fine sono state oltre 6.000 le ore necessarie per arrivare alla selezione dei prodotti da premiare nelle singole categorie previste.

Il peso delle Bora Ultra WTO 45 è di 1.425 grammi
Il peso delle Bora Ultra WTO 45 è di 1.425 grammi

L’essenza di Campagnolo

Le ruote Bora Ultra WTO sono l’ennesimo step evolutivo di un prodotto, le ruote Bora, in grado di rappresentare al meglio la tecnologia Campagnolo: la massima espressione dell’impiego del carbonio, gli studi di ricerca e sviluppo strutturali ed aerodinamici, la maniacale cura del dettaglio, anche sotto l’aspetto dell’estetica.

Ecco di seguito il commento della giuria che ha assegnato a Campagnolo il Design & Innovation Award 2022 per la categoria Componenti Road.

Il canale interno delle Campagnolo Bora Ultra WTO 45 è di 19 mm
Il canale interno delle Campagnolo Bora Ultra WTO 45 è di 19 mm

«Le ruote Campagnolo Bora Ultra WTO 45 sono all’avanguardia nella produzione di ruote in carbonio! La maggior parte dei produttori può solo sognare cerchi così eleganti e puliti: gli alloggiamenti dei nippli sono integrati nel cerchio durante la produzione, consentendo di utilizzare i nippli interni per una migliore aerodinamica, a cui è ancora possibile accedere dall’esterno. Senza fori per nippli nel letto del cerchio, il cerchio non richiede nastro tubeless e può essere installato tubeless senza troppi problemi. L’unico foro rimasto è quello per la valvola. Tutto ciò sottolinea l’attenzione ai dettagli e l’attenzione all’aerodinamica con un peso ridotto.

«Le ruote 45 mm pesano solo 1.425 g e se vuoi sfruttare al meglio il potenziale aerodinamico delle ruote, i cerchi sono stati ottimizzati per pneumatici da 25 mm. Inoltre, si dice che i cuscinetti in ceramica funzionino 5,5 volte più agevolmente dei tradizionali cuscinetti in acciaio, perfetti per gli eroi dell’alta velocità! Oltre a tutta quella finezza tecnica, anche il look non è stato trascurato. Senza alcuna vernice per coprire il layup di carbonio, la lavorazione di altissima qualità viene in primo piano. L’efficienza della velocità unita alla perfezione artigianale: un meritato premio!»

Le Campagnolo Bora Ultra WTO hanno aiutato Pogacar a conquistare l’ultimo Tour de France
Le Campagnolo Bora Ultra WTO hanno aiutato Pogacar a conquistare l’ultimo Tour de France

Sempre in gruppo

Anche per questa stagione Campagnolo sarà protagonista del grande ciclismo affiancando ben tre team WorldTour. Stiamo parlando di AG2R Citroen, Cofidis e UAE Team Emirates. Soprattutto da quest’ultimo team sono arrivate le soddisfazioni maggiori grazie ai successi ottenuti da Tadej Pogacar. Lo sloveno ha permesso a Campagnolo di conquistare gli ultimi due Tour de France.

Anche per il 2022 gli atleti di AG2R Citroen, Cofidis e UAE Team Emirates potranno contare sul meglio di Campagnolo: le ruote Bora Ultra WTO 45 e il gruppo Super Record Eps.

Campagnolo

Faccia a faccia con Ulissi: la carriera, il futuro (e Covi)

10.02.2022
6 min
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Ad un certo punto arriva un momento della carriera in cui ti volti e ti accorgi che non sei più un ragazzino. Diego Ulissi, l’enfant prodige del ciclismo italiano, che si è sempre portato dietro l’impronta del corridore giovane.

Eppure da quel 6 febbraio 2010 ne è passata di acqua sotto ai ponti. Quel plumbeo giorno d’inverno il corridore della UAE Team Emirates disputò la sua prima gara tra i pro’: il Gp degli Etruschi. Corse quasi in casa. Vinse Petacchi, tanto per dire chi c’era ancora in gruppo.

Ulissi debuttò tra i pro’ nel febbraio 2010. Sul finire di quella stagione anche la prima vittoria: il GP Industria e Commercio
Ulissi debuttò tra i pro’ nel febbraio 2010. Sul finire di quella stagione anche la prima vittoria: il GP Industria e Commercio
Diego, dicevamo: non sei più un ragazzino…

Bene, significa che ne ho fatta tanta di strada ed è segno buono se sono ancora qui! Quest’anno compio 33 anni e questa è la mia 13ª stagione da professionista. Sembra ieri che sono passato pro’. Ma devo dire che mi sento bene, le motivazioni sono ancora tantissime e si lotta come quando avevo 20 anni. Su ogni cosa, in ogni corsa.

Lo scorso anno hai avuto dei grossi problemi di salute, al cuore per la precisione (miocardite). E’ più la noia per non aver potuto fare di più, del “tempo perso”, o la fortuna di essersene accorti proprio perché grazie alla bici hai fatto più visite?

Fondamentalmente io non mi ero accorto di nulla e per me aver scoperto questa cosa lo scorso anno è stata una sorpresa. E lo stesso è stato per chi mi seguiva da tanti anni. Che dire: sono ancora più contento di quanto fatto sin qui e di quanto ho vinto nella mia carriera: 42-43 corse, otto tappe al Giro, l’Emilia, la Milano-Torino… Mi rendo conto di quanto si sia appesi ad un filo. Alla fine il mio problema poteva essere molto grande. Col senno del poi, posso dire di aver rischiato di non passare professionista.

Cioè?

Il mio problema sembra essere derivato da un virus preso all’età di 17-18 anni e questo mi fa capire quanto sia stato fortunato. No, non ho nessun rimpianto e mi ritengo fortunato che posso continuare a correre.

Ulissi in appoggio a Pogacar al Lombardia 2021. Tadej fa parte di quella schiera che ha contribuito ad alzare il livello
Ulissi in appoggio a Pogacar al Lombardia 2021
E come prosegue questa tua avventura? Cosa ci possiamo aspettare dal 2022 di Ulissi?

Cercherò di fare una stagione costante nei risultati e nel rendimento, cosa che adesso è ancora più importante per fare i punteggi necessari ai team. Ogni gara è da affrontare al massimo. Se avrò la possibilità di alzare le braccia al cielo sfrutterò l’occasione. Ma oggi vincere è sempre più difficile, ogni gara è più difficile. Il livello è molto alto. I giovani passano e alzano l’asticella. Sono poche le gare in cui dici: vado per prepararmi. E già nelle prime corse in Francia (Ulissi ha preso parte all’Etoile de Besseges, ndr) si è visto come andavano.

Hai parlato dei punteggi: secondo te questo inciderà sull’andamento tattico delle corse?

Secondo me sì. Come dicevo, non ci sono più le corse dove vai per prepararti per questa classica o quel Giro. I ritmi sono talmente alti che non è possibile. Tutti vogliono fare bene proprio per andare a caccia dei punti, quindi sei costretto ad essere competitivo. In più c’è il discorso dei giovani: quando sono passato io avevano bisogno di 3-4 anni per competere in certe gare, adesso non è così. Adesso vanno e hanno subito la mentalità per provare a vincere.

In UAE Team Emirates ormai siete tantissimi campioni. E’ più difficile trovare spazio?

Più la squadra è forte meglio è. Più difficile trovare spazio? Io dico che negli ultimi anni in squadra sono sempre stato il secondo per punteggio, nonostante il nostro livello sia altissimo. Per me non ci sono problemi, la cosa importante è che a rotazione tutti possiamo andare forte e toglierci delle soddisfazioni. Poi so benissimo che se c’è il numero uno al mondo (il riferimento è chiaramente a Pogacar, ndr) ci si mette a sua disposizione.

Con Covi un rapporto di amicizia e anche una certa somiglianza tecnica
Con Covi un rapporto di amicizia e anche una certa somiglianza tecnica
Pogacar è forte davvero…

Me ne accorsi al primo ritiro che fece da pro’ con noi. Mostrò subito di avere qualcosa in più. Ma non solo nelle gambe, anche nella testa. Lui nei momenti difficili si esalta, rende di più, trova forze.

Raccontaci…

Eravamo nei pressi di Barcellona nel ritiro di dicembre e Tadej fu inserito nel mio gruppo. Io dovevo andare in Australia e chi deve andare laggiù va già abbastanza forte. Il ritmo era intenso e il livello della condizione abbastanza alto. E vedevo questo ragazzino che mi stava dietro e non lo staccavo e io spingevo… “Maremma impestata” se spingevo! Pensavo: o non vado nulla io o questo è un fenomeno. Ne parlai subito con i direttori sportivi. Gli dissi: «Questo ragazzo ha delle qualità che in 12 anni da pro’ ancora non ho mai visto».

A proposito di giovani, ma di Covi che ci dici? Avete un bel rapporto…

Ah, ah, ah – ride Ulissi – Alessandro mi tiene giovane! Oltre che un ragazzo bravissimo è anche molto divertente (gustatevi questa gag, ndr) e l’ho preso in simpatia. Ha catturato la mia attenzione perché mi somiglia tantissimo. Ha le mie caratteristiche. In corsa, in gruppo… mi sembra di rivedere me stesso. Anche se gliel’ho detto: Ulissi al primo anno da pro’ vinse subito!

Giro 2011: Ulissi (maglia Lampre) nella discussa volata di Tirano contro Visconti e Lastras
Giro 2011: Ulissi (maglia Lampre) nella discussa volata di Tirano contro Visconti e Lastras
Diamo a Cesare quel che è di Cesare!

Covi è sveglio, corre bene e presto arriverà questa vittoria. Io cerco di insegnarli ad essere un po’ più freddo in certi momenti, perché lui è forte davvero. Non gli manca niente dal punto di vista fisico e tecnico. Ripenso a Montalcino l’anno scorso: qualche cosina l’ha sbagliata nel finale. Ma è un giovane e non è facile trovarsi in quelle situazioni. Mi è venuto in mente e gli ho raccontato di quando vinsi la mia prima tappa al Giro su Visconti.

Che aneddoti… Ti riferisci alla frazione di Tirano al Giro 2011?

Quel giorno ero in fuga con gente forte. C’erano “Visco”, Lastras… E io feci un po’ il furbo per essere più fresco nel finale. Sì, sì Covi è “a mia immagine e somiglianza”! Sono convinto che presto verrà fuori il grande corridore che è. In più è un ragazzo rispettoso e che sa ascoltare.

Diego, chiudiamo con una domanda più semplice: cosa prevede il tuo calendario?

Gli obiettivi principali di questa stagione sono le classiche di primavera. Diciamo che gli eventi che puntellano la prima parte dell’anno sono la Sanremo, la Freccia, la Liegi e il Giro d’Italia.

Manubri più stretti: corridori alla ricerca dell’aerodinamica

04.02.2022
5 min
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Non troppi giorni fa con Davide Guntri, di Deda Elementi, avevamo parlato dei manubri dei velocisti. Da quell’articolo era emerso come le pieghe, anche un po’ inaspettatamente, si stessero stringendo. I manubri stretti stavano dilagando in gruppo… e non solo per i velocisti.


Stavolta, sempre con Guntri, vogliamo approfondire il discorso che riguarda questa tendenza. Capirne le motivazioni che spingono atleti, neanche tanto piccoli, a ricercare questa specifica.

Auyuso con la curva Superzero: drop da 75 millimetri, reach da 130, come l’Alanera che sta aspettando
Auyuso con la curva Superzero: drop da 75 millimetri, reach da 130, come l’Alanera che sta aspettando



Primi pezzi alla UAE

Un discorso che è ancora molto in fase embrionale. Anche per i produttori stessi.


«Per questioni logistiche – dice Guntri – non siamo riusciti ancora a fornire le nuove Alanera da 40 centimetri. Ricordo che da noi tale misura è presa sull’esterno, quindi si tratta di un 38 centro-centro. I pezzi per ora sono molto pochi e sono per la UAE Team Emirates. Sono dei prodotti nuovissimi.

«Giuseppe Archetti (meccanico del team, ndr) per adesso ha montato il manubrio stretto a Juan Ayuso e Pascal Ackermann. Non si tratta dell’Alanera, il nostro manubrio integrato, ma della piega Superzero».

«Il Superzero è un manubrio la cui curva ha lo stesso disegno dell’Alanera. Anche il reach e il drop sono gli stessi. Ciò che cambia è la parte alta. L’Alanera è più aero, la Superzero più tradizionale. Ma quello che davvero importava a noi in questo caso non era tanto il disegno, specie nella parte alta della piega, quanto appunto la larghezza. Stanno provando questa taglia per vedere come ci si trovano».

La Superzero dello spagnolo è larga 40 “centimetri Deda”, vale a dire 38 nella misura centro-centro standard
La Superzero dello spagnolo è larga 40 “centimetri Deda”, vale a dire 38 nella misura centro-centro standard



Feedback positivi

E in effetti è quello che interessa anche a noi. Perché ci si stringe così tanto? La scorsa volta avevamo parlato di vantaggi aerodinamici, ma anche di svantaggi nella guida della bici.


«In effetti non è un qualcosa di facilmente concepibile – ammette Guntri – I professionisti sono alla ricerca di prodotti sempre più aerodinamici, e può anche starci, ma in quanto a respirazione e guida non so quanto possano avvantaggiarsene.

«Io non lo vedo un prodotto alla portata degli amatori. E’ troppo specifico per chi fa della bici il proprio mestiere. Loro che sono dei professionisti possono anche utilizzarlo alla grande, sono molto preparati e possono trarne dei vantaggi. Ackermann e Ayuso per esempio hanno rilasciato dei feedback positivi. Entrambi hanno detto che si trovano molto bene. Respirano normalmente e la guida non ne risente».

Nel disegno c’è una Mtb, ma il concetto non cambia: col manubrio stretto si è più aero, ma cassa toracica e rachide sono più schiacciati
Nel disegno c’è una Mtb, ma il concetto non cambia: col manubrio stretto si è più aero, ma cassa toracica e rachide sono più schiacciati



Leve, pieghe e aerodinamica

«Se si va a vedere – continua Guntri – frontalmente ormai sembra che i corridori siano sulle bici da cronometro. Quando impugnano la piega sulle leve la posizione non è così tanto diversa».



A questo punto, chiediamo a Guntri quanto la regola che ha bloccato la posizione con gli avambracci sulla piega, stile crono appunto, abbia inciso sulla svolta verso i manubri più stretti.
«Ah – risponde con passione il tecnico di Deda – Non ha inciso tanto, ha inciso tantissimo! Non potendo più schiacciarsi in avanti, i corridori hanno cercato di stringersi il più possibile per essere aerodinamici. Posso solo dirvi che atleti alti 190 centimetri mi hanno già richiesto la nostra piega da 40 (esterno-esterno)».



«Non solo, ma adesso di pari passo al manubrio più stretto ci sono le leve ruotate verso l’interno, questo sempre per potersi distendere, per essere aerodinamici, e per avere di fatto un appoggio in più con il polso».


«Il primo ad utilizzare questa soluzione è stato Romain Bardet. Quando vidi quelle leve così ruotate sull’Alanera la sera stessa lo chiamai. Lui mi spiegò il perché. Mi disse del discorso dei polsi. Così anch’io, come faccio sempre, eseguii il mio test personale. Lo feci con la bici di McNulty (per una questione di misure supponiamo, ndr) ed in effetti si ha un appoggio ulteriore».

Il manubrio super stretto di Ewan (al centro). Da notare la differenza con quello di Bonifazio (a sinistra) e Laas (a destra)
Il manubrio super stretto di Ewan (al centro). Da notare la differenza con quello di Bonifazio (a sinistra)


Produzione ad hoc

«Noi abbiamo creduto fortemente nel lavoro con la UAE Team Emirates. E’ la nostra squadra faro e non solo per le due vittorie al Tour con Pogacar, ma anche per lo sviluppo dei prodotti, per l’esperienza di Archetti. Posso garantire che è uno sforzo enorme anche per noi seguirli con prodotti sempre più specifici.
«Da quando c’è il biomeccanico all’interno dei team molte cose sono cambiate. Non so se sia un bene o un male, non spetta a me dirlo, però posso dire di gente che va dal biomeccanico una volta ogni 15 giorni. E mi chiedo: quali adattamenti possono maturare in un periodo così breve? A noi però nel frattempo chiedono nuovi prodotti, nuovi pezzi. Li produciamo e poi magari dopo 3-4 mesi li abbandonano».



Per ora la tendenza è quella dei manubri ristretti. È un qualcosa che riguarda non solo i corridori che utilizzano i prodotti Deda, ma anche gli altri. Il manubrio moderno è stretto e possibilmente con profili aerodinamici, meglio ancora se integrato così da essere anche molto rigido.
«In UAE Team Emirates, al momento – conclude Guntri – mi hanno chiesto l’Alanera da 40 centimeti 12-13 corridori, vale a dire poco meno della metà della rosa».



E intanto, Caleb Ewan (anche nella foto di apertura) procede spedito con la sua “mini piega”. Il velocista della Lotto-Soudal sta correndo con un manubrio da 38 centimetri, che nelle misure Deda significa 36 centimetri centro-centro. E leve ruotate all’interno…

Gli scalatori come scelgono le ruote ? Ce lo spiega Filippo Rinaldi

03.02.2022
4 min
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Dopo aver scoperto come scelgono i manubri i velocisti ci siamo chiesti: come sceglierà le ruote uno scalatore? Risponde Filippo Rinaldi, fondatore di Pippowheels, una voce di grande esperienza e di grandi conoscenze tecniche. La storia e lo studio dei prodotti negli anni hanno portato a determinate scelte, che come avremo modo di vedere, non sempre tendono all’efficienza o alla comodità.

Negli anni 90 e primi anni 2000 le ruote erano in alluminio e per alleggerire il peso si usavano profili minimi
Negli anni 90 e primi anni 2000 le ruote erano in alluminio e per alleggerire il peso si usavano profili minimi

Gli scalatori del passato

«C’è da fare una premessa fondamentale – ci dice Filippo Rinaldi – anni fa le ruote erano assemblate dai meccanici e quindi c’era una maggior possibilità di variazione. I raggi, per esempio, erano 20,24,28 o 32 ed il numero da montare sulla ruota era una scelta del corridore. Gli scalatori preferivano ruote da 20 raggi all’anteriore e di 24 al posteriore intrecciate in seconda. La scelta era dovuta al fatto che sulla ruota posteriore si scarica la potenza e quindi serve una ruota più rigida.

«Ora come ora il mercato non offre particolari scelte, le ruote vengono studiate ed assemblate in laboratorio. I corridori non possono più apportare modifiche, anche se hanno una vasta possibilità di scelta».

Molti scalatori tra cui Yates usano tubeless per questioni di marketing
Molti scalatori tra cui Yates usano tubeless per questioni di marketing
La scelta di base qual è?

Ovviamente la leggerezza, lo scalatore sceglie sempre la ruota più leggera. Gli aspetti che fanno maggiormente la differenza sono il cerchio e la scelta del copertoncino. Un risparmio di 15 grammi su questa parte della ruota incide tre volte di più rispetto ad elementi statici.

Partendo dal copertone, gli scalatori non usano il tubeless…

Esattamente, per il momento la tecnologia non offre un prodotto leggero come il tubolare, anche perché i cerchi del tubeless pesano di più e questo fa già la differenza.

Romain Bardet ruote nuove Shimano
Con l’avvento delle ruote in carbonio i corridori posso usare profili maggiori a parità di peso
Romain Bardet ruote nuove Shimano
Con l’avvento delle ruote in carbonio i corridori posso usare profili maggiori a parità di peso
Però i cerchi degli scalatori una volta erano con profili da 20 millimetri, ora sono da 50 millimetri.

E’ una questione di tecnologia e di sviluppo. Prima i cerchi erano in alluminio, una lega di peso maggiore rispetto al carbonio. Di conseguenza gli scalatori tendevano ad alleggerire il più possibile il cerchio. Il carbonio permette di creare prodotti con lo stesso peso e si sa che un cerchio più alto offre una maggiore efficienza aerodinamica, che nell’economia della corsa offre maggiori vantaggi.

Prima i copertoni erano anche da 19 millimetri, ora la tendenza è quella di usare quelli da 25.

Anche qui per un discorso di studio e sviluppo. Si è visto che il 25 millimetri offre un’ottima scorrevolezza in proporzione alle pressioni di gonfiaggio. Sono dell’idea che usando copertoni più larghi e di conseguenza cerchi più larghi e rigidi tra un po’ di tempo torneremo a vedere profili più bassi: 30-35 millimetri.

I freni a disco

Un altro grande cambiamento è avvenuto con i freni a disco, anche se in particolari occasioni qualcuno tende a non usarli. Al Giro di Lombardia, vinto da Pogacar, lo sloveno ha usato freni tradizionali, come nelle tappe più impegnative del Tour de France.

Carapaz (Ineos) e Pogacar (UAE Team Emirates) montano ruote con freni tradizionali mentre Vingegaard (Jumbo-Visma) usa i freni a disco
Carapaz (Ineos) e Pogacar (UAE) montano ruote con freni tradizionali mentre Vingegaard (Jumbo) usa i freni a disco

«Quella dei freni a disco è una scelta principalmente dettata dal mercato – continua Filippo – i pro’ sono la vetrina per sponsorizzare nuovi prodotti e quindi alcune squadre usano quel che il produttore vuole. Il team Jumbo-Visma aveva pubblicato uno studio nel quale diceva che il guadagno aerodinamico dei freni a disco era più importante di quello legato al peso dei freni tradizionali. Dichiarazione vera a metà, infatti Ineos e Pinarello, che sono più restii al passaggio, hanno sempre usato i freni tradizionali».

Il freno a disco ha cambiato il tipo di incrocio dei raggi?

Sì. Su ruote che montano freni a disco, i raggi hanno bisogno di una maggiore rigidità. Questo perché usando incroci in seconda e spostando il peso della frenata sul mozzo si aveva l’effetto, pinzando i freni, che il cerchio continuasse a girare. Si è dunque adoperato l’intreccio tangente, per avere una maggiore rigidità dei raggi e riuscire così a trasferire prontamente l’effetto della frenata su tutta la ruota.

Richeze dice basta, ma prima c’è ancora una cosa da fare

01.02.2022
5 min
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Sembrava stesse davvero per finire così, un po’ all’ombra, in sordina, la carriera di Maximiliano Richeze. Poi un giorno, uno dei primi dell’anno, squilla il telefono. E’ Matxin e quella che era una proposta verbale diventa realtà. «Max – dice il team manager – correrai con noi fino al Giro d’Italia».

Max Richeze, dall’Argentina, professione velocista, 39 anni a marzo, correrà con il UAE Team Emirates ancora per questa manciata di mesi, poi dirà stop alla sua, lunga, e ottima carriera.

San Juan 2020, Richeze ricercatissimo tra i suoi tifosi, tanto più che vestiva la maglia di campione nazionale
San Juan 2020, Richeze ricercatissimo tra i suoi tifosi, tanto più che vestiva la maglia di campione nazionale

Chiusura con stile

«Ero in scadenza di contratto – dice Richeze – ma volevo continuare a correre. Ero in parola con il team, ma ancora non si era concluso nulla. Io avrei voluto chiudere alla Vuelta San Juan, nella mia Argentina.

«Ma poi la corsa è stata fermata per il Covid. Ci tenevo però a fare qualcosa e anche loro del team non volevano finisse così. L’infortunio di Alvaro (Hodeg, ndr) ha accelerato le cose. Mi ha chiamato Matxin e mi ha detto che avrei gareggiato fino al Giro».

Max racconta tutto con passione e con la sua proverbiale educazione, anche se è indaffaratissimo mentre sta per arrivare nel suo hotel al Saudi Tour, che inizia proprio oggi.

«Credo sarà proprio bello chiudere la carriera in Italia. Il Giro è stato il mio primo grand tour e sarà anche l’ultimo».

Gaviria ha lasciato la Quick Step prima di Max, ma nel 2020 i due si sono ritrovati alla UAE Team Emirates
Gaviria ha lasciato la Quick Step prima di Max, ma nel 2020 i due si sono ritrovati alla UAE Team Emirates

Allenamenti al top

«In questo inverno – racconta l’argentino – mi sono allenato come se avessi avuto un contratto. L’idea era di fare delle belle gare al San Juan, di arrivarci in forma e di chiudere al meglio. Ero stato ad allenarmi sia a San Juan che a San Luis. Soprattutto qui ho potuto fare delle belle salite.

«Ve le ricordate? El Filo, il Mirador… fino a 2.100 metri di quota, si facevano quando c’era il San Luis al posto del San Juan. Il clima è buono e fa caldo il giusto. 

«E prima ancora, a novembre, mi ero allenato in Italia a Bassano». 

Bassano del Grappa è la seconda casa di Richeze. Lo avevamo visto nello sfondo di una storia postata da Brambilla. I due stavano lavorando in una palestra. Ognuno si allenava con le divise del proprio team. La cosa un po’ ci colpì.

«Gli stimoli? Tanti! – racconta Max – Lo sono sempre stati per questa ultima preparazione invernale della mia carriera, ma dopo la telefonata di Matxin lo sono stati ancora di più. Era l’ultima stagione e volevo dare il massimo per finire al meglio».

Tour de Langkawi: 3 febbraio 2006, prima gara da pro’ e prima vittoria per Richeze
Tour de Langkawi: 3 febbraio 2006, prima gara da pro’ e prima vittoria per Richeze

Dall’Argentina…

Papa Francesco quando fu eletto disse: «Vengo dai confini del mondo». Ma chi è dunque Max Richeze? Anche lui viene dai confini del mondo. Noi sappiamo che è diventato professionista nel 2006 alla Ceramica Panaria, che ha tante volate, due tappe al Giro, i Giochi Panamericani, il titolo nazionale e che è stato un apripista ricercatissimo, merito dei passati da pistard.

«Sinceramente non mi aspettavo di avere un carriera così lunga quando ho iniziato – dice Richeze –  Già era stato tanto diventare pro’.

«E’ vero, vengo dall’altra parte del mondo e per come siamo messi in Argentina con il ciclismo è stato davvero un bel salto. Sono contento ed orgoglioso di quello che ho fatto. Ho sempre dato il massimo cercando di essere preciso negli allenamenti e se sono arrivato a questa età è perché ho fatto una buona vita».

Nella presentazione dei team di ieri al Saudi Tour, Richeze già guidava il UAE Team Emirates
Nella presentazione dei team di ieri al Saudi Tour, Richeze già guidava il UAE Team Emirates

Richeze l’italiano

Prima abbiamo detto che era a Bassano, in Veneto. Ma perché? La sua storia è questa. 

«Ho iniziato a 12 anni – racconta Max – insieme a mio fratello Roberto. Seguivamo papà che correva. Andavamo alle gare con lui e volevamo gareggiare anche noi. Ma papà ci diceva di no, di aspettare, che semmai avremmo pedalato più in là. Non voleva che perdessimo l’età del gioco. 

«Io infatti giocavo a pallone. Poi attorno ai 12-13 anni, come detto, sono salito in bici».

«Sono di Buenos Aires e lì non ci sono salite. Ho fatto tanta pianura e tanta pista. E infatti quando sono arrivato da voi in Italia è stata dura. Ero “cicciottello”, pesavo 10 chili di più, mi staccavo sui cavalcavia! Insomma, è stato uno shock. In pratica ho ricominciato da capo».

«Sono arrivato a Bassano tramite i fratelli Curuchet e Mirko Rossato, da poco diesse del Team Parolin. Loro gli avevano già mandato Ruben Bongiorno.

«Mirko mi vide girare in pista e mi disse: se hai voglia dì ai Curuchet di chiamarmi e così è andata. Ci sarei andato subito, ma all’epoca c’era una regola per cui gli under 23 di primo anno non potevano lasciare il Paese. Potevano andare solo dal terzo anno. Ho dovuto aspettare un bel po’».

Con la sua esperienza, Max (qui in seconda ruota) sarà il road capitan al Giro, non solo l’apripista di Gaviria
Con la sua esperienza, Max (qui in seconda ruota) sarà il road capitan al Giro, non solo l’apripista di Gaviria

Road capitan al Giro

Argentina e Italia. Il legame profondo fra queste due Nazioni si rinnova ancora. E se non ha chiuso nella sua Argentina è giusto che Richeze chiuda da noi. Al Giro però non verrà per “portare a spasso” la bici. Da vero pro’ qual è Richeze ha un ruolo ben definito.

«Devo ancora parlare con Matxin per i dettagli. Di solito è lui che decide queste cose, ma aiuterò Fernando Gaviria nelle volate. Fernando è un vero amico e lo faccio prima per questo che in quanto compagno di squadra. Anche qui in Arabia Saudita sono in camera con lui».

«E poi – conclude Richeze – aiuterò Almeida nelle tappe di pianura. A posizionarlo bene, a tenerlo al sicuro. Avrò le chiavi della squadra? Beh, di sicuro sono il più esperto e per me è davvero un piacere questo ruolo. Poi qui conosco tutti. Molti sono del vecchio gruppo Lampre, in cui ero già stato».