Petacchi, 10 e lode. Su Cavendish avevi visto giusto

02.07.2021
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Era il 22 dicembre. E in quei giorni che portavano al Natale, con il pretesto di scambiarci gli auguri, chiedemmo a Petacchi che cosa pensasse del ritorno di Cavendish alla Deceuninck-Quick Step. E lui con grande lucidità scolpì parole che sei mesi dopo si sono rivelate più che profetiche.

«Il Tour, è sempre stato il Tour – disse – Mark pensa solo al Tour. L’ho visto cambiare completamente nel giro di 15 giorni. Presentarsi con un altro sguardo e per giunta dimagrito. Concentratissimo. Se non ha questa motivazione, non vede altro. E forse in quella squadra crede di trovarla. Non credo che il suo sia un problema fisico, quanto piuttosto di testa. Sono due anni che non corre e se ricomincia ad allenarsi bene, magari gli danno la fiducia che poi sta a lui ricambiare. Bisognerà capire se la sua reattività e l’esplosività ci sono ancora. Insomma, non è semplice».

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Petacchi buon profeta

Cavendish è tornato e come lui è tornato anche Alessandro, che ai campionati italiani ha ripreso in mano un microfono della Rai. Perciò, volendo riprendere il discorso, lo abbiamo pizzicato di ritorno dai lavori nella nuova casa, in cui ha sistemato una serie di box in cui sua moglie Chiara accoglie e poi dà in adozione cani che così vengono tolti dalla strada.

Bè, dati i risultati degli ultimi mesi, ci avevi visto giusto…

Credo che l’esempio sia lampante. Tutti quelli che vanno via da lì non rendono più come prima, ma non capitemi male. Io lo posso dire perché ci ho vissuto un anno e mezzo ed è un ambiente fantastico, che ti dà qualcosa in più. Essere sereni in un ciclismo esasperato come quello di oggi è molto importante. Io credo che Mark sia benvoluto. E’ rientrato in una situazione in cui era stato bene e credo che come gli altri sia andato via per soldi e si è accorto a una certa età dell’errore che ha commesso. E si è detto: «Cosa mi serve per tornare? La tranquillità».

Tanti se ne sono andati di lì per offerte giganti.

Tutti vanno via per soldi, come Gaviria ed Elia (Viviani, ndr) probabilmente. Andare via di lì è un po’ da folli. Capisco che ci sono tanti corridori, il budget è quello e Lefevere non si può permettere di tenerli tutti. In quella squadra vanno forte ed è naturale che uno li vada a prendere. Ti convinci che la stessa situazione te la ricrei da un’altra parte, ma non è assolutamente così. Perché chi va lì ha sempre il sorriso, non ha mai problemi coi compagni. E chi non si sente al suo posto, alla fine se ne va da solo. Io la vedo così: quella squadra per me è l’ambiente giusto per fare risultato. E Cavendish poteva solo tornare lì. Gli serviva solo che le cose si mettessero tutte in fila.

In che senso?

Secondo me la volata che ha vinto prima del Tour è stata un segnale importante. Poi Bennett ha avuto quel problema. A volte serve anche una mano dal destino.

Perché la volata del Belgio è stata importante?

Sicuramente quando vince, gli scatta una molla in testa. Per quello che lo conosco io, è un ragazzo che un po’ soffre la pressione. E quando si accorge di poter vincere e si sblocca, diventa incontenibile, perché in quella corsa lì si sente il più forte. Poi magari dopo 10 giorni cambia corsa e ricomincia da capo. Questo è quello che ho capito di lui. Poi comunque il Tour lo sente tanto, l’ha sempre sentito tanto e gli ha dato anche tanto.

Sembra esserci tornato dentro benissimo.

Non voglio immaginare quanto possa aver tribolato in quei due, tre giorni prima del via. Sentendo di essere l’unico velocista della squadra e di potersi giocare le sue carte. E di avere soprattutto i compagni che ha e un ultimo uomo come Morkov, che è un fuoriclasse. Negli ultimi anni è il più forte del mondo per quel tipo di lavoro.

Perché dici che ha tribolato?

Per la tensione, per le solite foto che ho visto di lui che sposta i tacchetti dopo l’allenamento, che mette a posto le scarpe, che guarda le misure della bici. Questo è Cav, le stesse cose che faceva al Tour quando c’ero io. Fa parte del suo rituale e alla fine va bene, ci sta tutto. E poi a 36 anni non credo che sia vecchio. Io a 38 anni ho messo la maglia rosa battendo lui. Quindi non mi meraviglio di quello che sta facendo. Lui ha fatto due anni nel posto sbagliato, questo penso.

Si può essere così forti ancora a 36 anni?

Io credo che le qualità a 36 anni ci siano ancora tutte. Sei ancora molto forte, magari quando ti avvicini ai 40 puoi perdere un po’ di esplosività. E’ sicuramente più resistente e ha fatto due anni in cui non ha quasi mai corso. Poi si è rimesso sotto, si è allenato, è andato in ritiro con la squadra giusta, ha fatto chilometri nella maniera giusta, non mi sembra sovrappeso. Ci credeva, lo sapeva che poteva essere il suo anno e poteva ritornare a essere molto vicino al vero Cavendish.

Credi gli sia costato tanto in termini di orgoglio andare a chiedere una maglia a Lefevere?

Alla fine ti rendi conto che sei davanti a un bivio: smetto o cosa faccio? Allora vai lì e gli dici: «Fammi provare un anno, non voglio nulla, dammi il minimo». Tanto lui non ha problemi di soldi, parliamoci chiaro. Voleva solo ritrovarsi e smettere magari fra uno o due anni, ma smettere bene. Un campione deve smettere bene, se può farlo. Invece lui avrebbe smesso male, era andato nel dimenticatoio, lo davano tutti per morto. E conoscendolo, so quello che può aver sofferto.

Quel sorriso in effetti non si vedeva da un pezzo.

Quando ha vinto, io mi sono emozionato, perché da corridore lo so benissimo cosa ha provato. Mi sono calato nei suoi panni ed ero contento. Gli ho anche scritto un messaggio, non mi ha risposto, però mi sono sentito di scrivergli un bel messaggio. Perché fondamentalmente è stato un avversario, un compagno, uno che tiene in alto il nome del ciclismo. Fa bene ai giovani vedere un corridore come lui.

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Hanno detto che ha eguagliato il tuo numero di vittorie.

Io ho vinto 187 corse oppure 179 quante me ne contano. Nei grandi Giri ne ho vinte 53. Io le conto tutte, lo sapete benissimo (il riferimento è alle tappe cancellate per una squalifica cui si è sempre opposto, ndr). Se poi andiamo a vedere quelle che contano, lui ha vinto 32 tappe al Tour e io solo 6. Ecco se ho un rammarico è aver fatto pochi Tour nella mia carriera. Se tornassi indietro, cercherei di farne di più.

Chiudiamo con la maglia verde, che ora indossa proprio Cavendish, ma cui punta anche Colbrelli, e che tu hai vinto nel 2010.

E’ tanto stressante. Dipende anche da come vengono attributi i punti, se ci sono i traguardi intermedi. Non puoi pensare solo al traguardo finale. Magari se l’arrivo è complicato, alla Sagan, Colbrelli può tenere duro e pensare a fare punti. Il problema è quando ti vanno in fuga quelli che sono in classifica. Io ho dovuto lottare con Hushovd che andava in fuga ogni tre per due e mi toccava seguirlo tutti i giorni. Anche nelle tappe di montagna con l’Aubisque. 

La maglia verde riduce la possibilità di vincere tappe?

Secondo me qualcosina perdi in finale. Perché magari un po’ di energie le butti via e quando sei su un traguardo finale, guardi quello più vicino a te e cerchi di passare lui e basta. Vai a punti e magari ti accontenti di un secondo e di un terzo, non sei focalizzato tanto sulla vittoria. Perché se punti a vincere, puoi sbagliare e perdere punti. Se invece prendi come riferimento quello più vicino, sei sicuro di fare i punti che ti servono. Non è facile, è molto stressante. Se però riesci a salire sui Campi Elisi in maglia verde è davvero una gran cosa.