E alla fine, un po’ te l’aspetti e un po’ non più, salta fuori la velata domanda sul doping. Viene da una giornalista francese de L’Equipe, che la prende alla larga. Pogacar ha appena finito di dire che la sua squadra è forte ed è stato orgoglioso di poter dimostrare a tutti che così fosse, quando lei gli chiede se questa puntigliosità gli sia sempre appartenuta. Lui risponde di sì. Che fin da bambino, se qualcuno non gli credeva, si metteva d’impegno per dimostrargli che si sbagliava. Che non è una persona orgogliosa a prescindere, ma su certi punti sì. E a questo punto, lei cala la domanda: che cosa diresti a chi nutre dei sospetti sulle tue prestazioni?
«A chi ha dei sospetti – risponde Pogacar – dico che ci sono tanti controlli a provare che si sbagliano. Solo ieri ne ho fatti tre: due prima della tappa e uno dopo».
Zoom conference
La conferenza stampa di Pogacar del giorno di riposo si svolge su Zoom. Il covid sarà pure mezzo debellato, ma le squadre non ne vogliono ancora sapere di riaprire le porte e non voglia Dio che l’andazzo proseguirà anche quando la pandemia sarà definitivamente alle spalle. Nella schermata c’è un bel numero di giornalisti, compresi quelli che non hanno ancora spento il microfono e ci propongono spaccati di vita domestica. C’è anche David Walsh, quello che in un giorno di tanti anni fa prese di petto Armstrong.
Numeri in ordine
Pogacar ha la solita faccia angelica, seduto di tre quarti in una stanza con le pareti in legno, con il back drop del Team Uae Emirates a ricordarci tutti gli sponsor.
«Sono contento della mia forma – dice – vedo i miei numeri. Questo Tour sta costando a tutti tante energie ed è già una fortuna non essere incappati in cadute. Io ne ho avuta solo una molto piccola il primo giorno e mi basta quella. Il giorno in cui sono stato meglio finora è stato quello de Le Grand Bornand. Non era freddissimo come sabato».
Le storie del Ventoux
Chissà se gli azzurri del calcio che vanno a giocare a Wembley, sia pure nello stadio ricostruito, sanno che cosa significhi quel posto nella storia del pallone. La domanda arriva anche a Pogacar, quando gli viene chiesto se conosca le vicende del Mont Ventoux, che il Tour affronterà per due volte mercoledì.
«E’ una salita storica – risponde il giovane sloveno, che nel giorno di Pantani contro Armstrong aveva un anno e mezzo – so qualcosa, ma non troppo. Ho fatto la ricognizione, posso parlare di come sia fatta e voglio vincere, ma non per lasciare il segno nella storia».
Il tempo che passa. E se al Giro d’Italia scoprimmo che Gino Mader non sapeva nulla di Bartali, come pretendere che Pogacar sappia di Simpson e di Merckx? Sospetti che certi nomi li conosca, non ti meravigli del contrario. E’ forte, è un bravo ragazzo, ha la faccia d’angelo, qualche difetto dovrà pur averlo. Cosa sanno i nostri figli di Piazza Fontana?
Il suo recupero
La conferenza va avanti con una sorta di conto alla rovescia: scaduto il tempo in lingua inglese, toccherà agli sloveni e a quel punto potremo anche dire addio. Si parla dunque di recupero: del suo portentoso e quello degli altri un po’ meno.
«Quando ero più piccolo – sorride – non conoscevo i miei dati. Sapevo solo che se c’erano corse in serie, stavo meglio nell’ultima che nella prima. Le corse a tappe ho cominciato a farle da junior e lì mi sono reso conto che non avevo mai grossi cali. Sapevo di poter avere ogni giorno lo stesso livello. Ho avuto molti allenatori e tutti mi dicevano la stessa cosa».
Il suo orgoglio
Ma quando si diventa grandi e si arriva al Tour, quelle stesse caratteristiche le trovi anche in altri. E’ l’elite del ciclismo mondiale. I migliori talenti si ritrovano nello stesso posto, portando le loro doti allo scontro finale.
«E io che l’anno scorso l’ho vinto solo grazie alla crono finale – dice – ho avuto per un anno la motivazione di tornare e dimostrare che non fu per caso. Volevo provarlo al mondo e a me stesso. Per questo in ogni corsa ho fatto del mio meglio. Per questo la mia squadra fa ogni giorno del suo meglio. Siamo tra i più forti di questo Tour e lo rivendico con orgoglio. Stanno correndo al 100 per cento in mio aiuto, mentre nel 2020 semplicemente fummo sfortunati. Quest’anno qualche caduta c’è stata, ma siamo tutti qui per difendere la maglia gialla. Dopo le critiche di venerdì, sabato abbiamo voluto prendere in mano la corsa per dimostrarlo».
Il Tour riparte
E qui ci riallacciamo alla scena iniziale di questo articolo. L’orgoglio è sul tappeto. E quando l’addetto stampa Luke McGuire passa la parola alla bionda giornalista francese, il discorso va come vi abbiamo già raccontato. Il sorriso ineffabile di lei, davanti al sorriso ineffabile di lui. I sospetti di lei, la calma di lui.
Inizia oggi la seconda settimana del Tour. Pogacar indossa la maglia gialla con 2’01” su O’Connor e 5’18” su Uran. Alle loro spalle tutti i più forti. Con la sensazione che presto il racconto diventerà una raccolta di episodi sulla via di Parigi, avendo il Tour già un vincitore e una lunga schiera di vinti. Ma siccome la storia insegna che nulla nel ciclismo è mai sicuro, ci accingiamo al viaggio con altre pagine bianche da scrivere.