Il Giro d’Italia di Alessandro De Marchi è già finito, dopo avergli riservato una vera montagna russa di emozioni, prima regalandogli la gioia immensa della maglia rosa vestita per due giorni, poi rendendolo protagonista di una terribile caduta alla tappa numero 12 costatagli il ricovero in ospedale con fratture multiple al costato. Il suo ritiro è stato una grave perdita per la corsa perché il “rosso di Buja” è uno che non passa mai inosservato.
Aiutante alla vigilia per Dan Martin, protagonista alla Israel Start-Up Nation che ha vissuto un Giro finora ben oltre la sufficienza a dispetto dei problemi del suo leader, De Marchi è uno dei più esperti nell’analizzare il ruolo del luogotenente in salita, un ruolo che nella tappa con arrivo all’Alpe di Mera avrà un peso fondamentale: «In tappe come queste il peso specifico di chi è al fianco del capitano è enorme ed è una grande responsabilità».
In sintesi quali sono i suoi compiti?
Dipende molto dalla strategia stabilita dal team e dalle intenzioni del capitano stesso: in certi casi può essere mandato in avanscoperta per fare da punto d’appoggio quando il leader andrà all’attacco, oppure può rimanere al suo fianco e tirarlo fin dove è possibile, facendo il ritmo o rispondendo ad attacchi dei suoi avversari. Può anche essere mandato lui stesso alla ricerca del risultato pieno, per costringere gli avversari a lavorare di più.
De Marchi davanti a Martin: anche in maglia rosa il suo ruolo non era cambiatoDe Marchi a precedere Martin: anche in maglia rosa il suo ruolo non era cambiato
Tra queste eventualità qual è la più faticosa?
Probabilmente la fuga, ma è difficile dirlo in anticipo considerando che dipende molto dalla situazione di gara. Bisogna anche considerare l’altimetria della tappa, se è molto “esigente”…
Il ruolo cambia in base alla classifica?
Certamente, è in base ad essa che si decide se attaccare o difendersi. In quest’ultimo caso avere al fianco il luogotenente è un aspetto fondamentale, la storia del ciclismo è piena di esempi in tal senso.
Conosci le zone di questa tappa?
Personalmente no e mi spiace non averle potute scoprire in sella alla bicicletta. Mi dispiace perché mi ero avvicinato al Giro con la condizione in crescita e credo di averlo dimostrato, ma potevo ancora fare qualcosa d’importante, magari cogliere quel successo di tappa al quale ero andato vicino nel 2012, quando correvo nell’Androni, con meno responsabilità ma più alla garibaldina, con la forza della gioventù. Mi resta però il ricordo di quei due giorni in rosa che nessuno mi toglierà più…
Daniel Martin non è bello da vedere, ma in questi sorrisi mentre racconta la vittoria si riconosce il segno della fatica condotta in porto. Siamo davanti a un corridore che ha comunque vinto la Liegi e il Lombardia, oltre a tappe in giro per tutto il mondo, per questo non ci stupiamo della sua reazione quando gli chiedono se abbia il rammarico di non aver mai vinto un grande Giro.
«Non ho rimpianti nella mia carriera – dice infastidito – sono orgoglioso di aver sempre fatto del mio meglio».
Aver visto la salita gli ha permesso di gestirsi bene quando era da soloAver visto la salita gli ha permesso di gestirsi bene quando era da solo
Da non crederci
Difficile capire se perché glielo abbiano detto alla radio o perché a forza di veder passare macchine e moto abbia pensato che di lì a poco gli sarebbero piombati sul collo, Martin conferma che la sensazione di aver vinto l’ha avuta soltanto quando si è ritrovato dall’altra parte dell’arrivo.
«Finché non l’ho passato – sorride con la finestrella fra gli incisivi – non sono stato certo di niente. Avete visto che ho persino scosso la testa? Avevo deciso fin dal mattino che sarei andato in fuga, perché in quest’ultima settimana ho cominciato ad avere delle buone sensazioni. La mia tattica era chiara: prendere più vantaggio possibile e poi resistere con il mio passo agli attacchi che avrebbero fatto dietro. Per la prima volta quest’anno ero venuto con la chiara idea di vincere una tappa e sono contento di esserci riuscito».
Martin era venuto al Giro per vincere una tappa: missione compiutaMartin era venuto al Giro per vincere una tappa: missione compiuta
Internet non basta
Internet funziona, ma provare le salite funziona di più. Così non è un caso che Martin e Yates prima di lui abbiano raccontato che sia stato decisivo venire a vedere questa salita. Le app spiegano curve e pendenze, ma non c’è niente come la fatica per farti capire la tattica migliore.
«Fare la ricognizione – spiega – è stato molto importante. Sapevo esattamente dove avrei trovato i tratti più duri e sapevo che ai meno 2,5 dall’arrivo un po’ mollava e si poteva fare la velocità che mi ha permesso di respingerli. Non sono mai andato full gas fino a quel momento, prima ho solo tenuto il mio ritmo.
«Ero venuto con Claudio Cozzi dopo il Tour of the Alps e si è creato subito un feeling speciale con questa salita, difficile spiegare perché. Amo le pendenze molto elevate, si prestano a una condotta di gara aggressiva, che è quella che mi viene meglio. Ed è bellissimo aver vinto su un traguardo che avevo provato, perché dà l’idea del lavoro ben fatto. Questo è il motivo per cui sono venuto qui. Sapevo che quella di oggi era una delle mie ultime opportunità e con il tempo supplementare perso a Cortina era possibile che mi lasciassero andare in fuga».
Montagne russe
E’ il premio a una squadra che non si è arresa alle sfortune e ha saputo portare a casa un bottino comunque considerevole.
«Per noi come squadra – dice – questo Giro è stato una montagna russa. Il primo giorno abbiamo perso Neilands. Poi abbiamo fatto delle tappe davvero buone, abbiamo conquistato qualche podio e proprio sul più bello abbiamo perso De Marchi. E poi ci si è messo anche Dowsett che si è ammalato. Ma il nostro spirito è sempre stato fantastico. Abbiamo avuto un’ottima atmosfera di squadra. Lo ha dimostrato questa mattina il fatto che siamo riusciti a progettare la fuga e a portare a casa la tappa».
Full gas soltanto negli ultimi 2,5 chilometri, per respingere gli inseguitoriFull gas soltanto negli ultimi 2,5 chilometri, per respingere gli inseguitori
La prima volta
Un altro sorriso ed è tempo di andare. Con i suoi 35 anni, l’irlandese della Israel Start-Up Nation è il 23° corridore più anziano a vincere una tappa al Giro. Supponiamo che gliene importi poco, ma l’ultimo pensiero è un bel tributo al Giro.
«Ogni grande Giro è diverso – dice parlando del fatto di aver vinto tappe in ciascuno dei tre – ma il Giro d’Italia è davvero una bella corsa. Ci ero venuto soltanto due volte prima e in una mi ero ritirato. Questa è la prima volta che sono venuto con l’ambizione di vincere una tappa. E devo dire che questa resterà come una delle mie vittorie più belle».
Diego Ulissi stringe i denti. La tappa di Sestola sarebbe stata per lui, ma i problemi al cuore lo hanno costretto a partire in ritardo. C'è da lavorare
Forse stasera De Marchi lascerà l’ospedale e tornerà a casa. Va bene che il Giro va avanti, ma non si lascia indietro chi è caduto. E così qualche giorno fa, parlando con Roberto Bressan (grande capo del CT Friuli), venne fuori che si fosse messo di mezzo proprio lui per riportare in ambulanza il Rosso di Buia da Firenze a Udine. Come si passa dalla gioia della maglia rosa all’incubo dell’ospedale? E dove la trovi la voglia di ripartire da un infortunio, se ti sei appena ripreso da quello precedente?
E così nel giorno di riposo del Giro, dopo le tappe friulane in cui Alessandro avrebbe portato via amore e applausi in quantità impensabile, abbiamo deciso di rompergli un po’ le scatole. Essere tornato a Udine ha già riportato mezzo sorriso, la prospettiva di uscire è come essere nell’ultimo chilometro, con tante curve tolgono la vista del traguardo.
Caduta avvenuta nella tappa di Bagno di Romagna e corsa a CareggiCaduta avvenuta nella tappa di Bagno di Romagna e corsa a Careggi
Come stai?
Bene, ma non benissimo. Il viaggio in ambulanza è stato impegnativo, ma adesso sono a Udine. Ho fatto altri esami. Il polmone ha preso una bella botta, che però si assorbe da sola. La frattura della clavicola è composta e per fortuna non serve operarla. Ci sono tre costole rotte che fanno male e due vertebre incrinate per le quali c’è solo da aspettare. Hanno parlato di sei settimane di stop, spero di scendere a quattro. E spero che magari nel frattempo possa fare rulli o palestra. Insomma, non vorrei proprio fermarmi.
Ti ricordi qualcosa della caduta?
Diciamo che negli ultimi due giorni ho cominciato ad avere ricordi più chiari. Hanno sbagliato due davanti. C’era una “esse”, loro sono entrati troppo larghi e di fatto mi hanno impedito di fare la curva. Mi sono reso conto che stavo arrivando alla curva troppo veloce e che sarei caduto. Il primo ricordo di cui sono sicuro è sull’ambulanza nei minuti successivi.
Ti resta in bocca il buono della maglia rosa?
Il buon sapore c’è ancora, ma più che altro adesso c’è il nervoso di dover ripartire. I tre giorni in Friuli dopo la maglia rosa sarebbero stati ossigeno. Se posso dirlo, sono proprio incazzato. Quando caddi in Francia, ero esausto, ora sono arrabbiato.
La maglia rosa conquistata a Sestola dopo la fuga e l’attacco nel finaleLa maglia rosa conquistata a Sestola dopo la fuga e l’attacco nel finale
Sei settimane significano addio a Tokyo, con quattro forse cambia qualcosa…
Il sogno delle Olimpiadi… lo rimettiamo nel cassetto, ma lo lasciamo aperto. So che avrei dovuto conquistarmi il posto in questi giorni. Conosco Davide (Cassani, ndr), so come ragiona. Cercherò di rientrare e di andare forte, poi si vedrà.
Riesci a seguire il Giro in questi giorni?
Ieri ho dato un’occhiata alla tappa, ma quando capitano certe cose reagisco chiudendo il mondo fuori. Voglio tornare a casa, speriamo sia davvero stasera.
Più messaggi per la maglia rosa o per l’infortunio?
La verità è che si sono sovrapposti e sono tantissimi. E’ continuato quello che era iniziato a Sestola. Tanto affetto, che è molto gratificante. Significa che hai lasciato un segno, è come riceverne la conferma. Ci sono momenti in cui un atleta ha proprio bisogno di questo. Tutto quello che avrei voluti a quel punto era finire il Giro e godere del bello ricevuto in quei due giorni in Friuli. Ora non vorrei che la caduta nella mia testa restasse l’ultimo ricordo del Giro.
Che cosa vuoi dire?
Non voglio che si cancelli il bello di quei giorni. Vorrei che nella mia mente l’ultimo ricordo del Giro fosse la maglia rosa.
Prenderla è stato bello, come è stato perderla?
Per come sono fatto, mi è dispiaciuto, ma sono pronto a dire che tenerla uno o due giorni di più non avrebbe fatto una grossa differenza. Ho capito immediatamente che stava sfuggendomi. Ho scollinato, indietro. Ho visto che davanti stavamo facendo i ventagli e io non sapevo che ci fosse vento. Eppure ho trovato gente che ha provato ad aiutarmi a rientrare.
Altri corridori?
Peter Sagan, ad esempio. Ci ha provato anche lui a riportarmi in gruppo ed è stato un gesto bellissimo. Si vedono i corridori che vengono da qualche anno prima, dalla vecchia scuola, che hanno vissuto il bello della Liquigas.
Due giorni in maglia rosa, per fare il pieno di amoreDue giorni in maglia rosa, per fare il pieno di amore
Dobbiamo chiedertelo, proprio perché si parla della stessa tappa: ti sei accorto delle rovine del terremoto che avete attraversato? Perché la televisione non le ha mostrate…
Me ne sono reso conto bene. Anche perché quel giorno ero da solo, facendo la discesa in maglia rosa, ma staccato. Ho visto le case distrutte, le macerie. Mi era venuto in mente anche di parlarne nel podcast di Bidon, ma poi ho parlato di altro.
Come si sta in ospedale ai tempi del covid?
Che cosa ve lo dico a fare?! Non possono venirmi a trovare. Anna (sua moglie, ndr) si è affacciata un paio di volte, ma non è stato semplice. Abbiamo avuto due settimane di emozioni molto forti, prima nel bello e poi nel brutto.
Se non altro, dopo l’incidente in Francia, sai come si fa a ripartire…
Infatti sono quasi a mio agio. Conosco tutti i passaggi. Conto di tornare a casa e essere a posto per la Vuelta. A questo punto voglio correre e correre tanto. Non voglio un’altra stagione a metà.
Battistella era sparito ed è ricomparso all'Amstel. Era sul Teide a lavorare per il Giro. Correrà per Vlasov, ma intanto studia come vincere nelle Ardenne
Marginal gains, restrizioni del Covid, aumento della qualità della vita nelle settimane di gara: la sala pranzo mobile ne è una conseguenza. Di cosa parliamo? Del “motorhome” (cucina e sala da pranzo appunto) che usano alcune squadre. I primi ad adottare questa soluzione furono gli Sky, ora Ineos-Grenadiers, ma adesso non sono più soli. Anche la Israel StartUp Nation ne ha uno e il suo “padrone” è Gianpaolo Cabassi, lo chef. Con lui scopriamo questo mezzo.
Fino a dieci posti a sedere, una tv maxischermo, una macchina del caffè, fornelli, forno… Leonilde Tresca, che con la sua ditta (Tresca Transformer) allestisce anche i bus del circus del ciclismo, l’ha dotato di ogni utilità. Ufficialmente questo mezzo si chiama Cellar&Bistrot Restaurant on Tour.
Paolo, parlaci di te prima di tutto. Da quanto tempo segui le gare dei professionisti?
Vengo da Paderno Franciacorta, Brescia, e questo è il mio 34° grande Giro consecutivo:Giro, Tour e Vuelta, uno dietro l’altro, oltre alle altre gare. Ho iniziato ai tempi della Katusha. Ci arrivai tramite un amico, stavano cercando un cuoco. Era il 2010 e da allora non ho più smesso. Ho cucinato per Freire, “Purito” Rodriguez, Paolini…
Gianpaolo Cabassi, chef della Israel Start-Up NationGianpaolo Cabassi, chef della Israel Start-Up Nation
Come è nata l’idea di questo mezzo?
Dal nostro sponsor Vini Fantini, quindi da Valentino Sciotti. E’ lui che ha voluto investire nel motorhome, sia per il discorso del Covid che per una crescita in generale del team. Per me è molto meglio perché c’è più privacy e perché con la pandemia, la bolla e tutto il resto, era sempre più difficile cucinare negli hotel.
E per te quindi è più facile?
E’ più semplice da una parte perché ho tutto a portata di mano, spesa e tutto il resto, ma certo devo avere un occhio di riguardo per la pulizia della cucina e della sala da pranzo.
Come è strutturato?
In due aree principali, la cucina e la sala da pranzo, dove c’è il tavolo per mangiare e il piano del buffet. E’ un camion grande e c’è un autista che lo conduce, mentre io guido il mio furgone dispensa.
Il motorhome: dietro la la sala da pranzo, al centro la cucina, davanti la motriceIl motorhome: dietro la la sala da pranzo, al centro la cucina, davanti la motrice
Paolo, cosa cucini ai ragazzi?
Non c’è una dieta specifica perché cambia di giorno in giorno, ma trasformo il cibo in piatti gourmet, per alleggerire la testa dei ragazzi. Se devono mangiare barbabietole io gli preparo un tortino di barbabietole. L’occhio vuole la sua parte.
Lavori a stretto giro con il nutrizionista?
Sì, ne ho due con cui mi interfaccio. Ci troviamo e traiamo insieme degli spunti. Loro sono la teoria, io la pratica. In più sul tavolo del buffet c’è una bilancia nel caso in cui i corridori vogliano pesare i loro cibi, ma ormai devo dire che quasi tutti si conoscono e la usano molto poco.
Stilate il menù di tappa in tappa…
In realtà ho già pronto il menù per tutto il Giro da prima del via. Ne abbiamo parlato già a gennaio nel primo ritiro e poi lo abbiamo perfezionato in base ai corridori tra marzo e aprile. Il menù è rapportato a quello che prevede la tappa il giorno dopo. A partire dall’integrazione post gara che va fatta subito. Per esempio dopo la frazione di Gorizia sul bus hanno mangiato straccetti di tacchino.
La tavola è pronta e aspetta i corridoriLa tavola è pronta e aspetta i corridori
E poi immaginiamo i soliti riso e pasta…
Sì, ma quelle sono anche scelte individuali. Per esempio al mattino tra coloro che ho qui al Giro solo Cimolai mangia la pasta, mentre Daniel Martin manda giù solo porridge e se c’è una frazione impegnativa ci aggiunge del riso in bianco condito con frutti rossi freschi. Froome invece mangia tanto riso: a pranzo, a cena e a colazione. Riso ed omelette.
E nel tuo motorhome è previsto lo “sgarro” o il dolcetto a fine cena?
Quella è la priorità assoluta. Deve essere diverso tutti i giorni e lo cucino con alimenti non troppo grassi. Preparo mousse, budino di riso, crostata… Si sgarra la sera prima del giorno di riposo. Un pizza e una birretta o un hamburgher. Quello è il solo momento in cui ci si “lascia” andare, anche perché sono pietanze che preparo io con ingredienti meno pesanti e di qualità. La carne, per esempio, la prendo dal mio macellaio di fiducia prima di partire, per il pesce invece mando un’e-mail in hotel e per quel giorno faccio in modo di averlo fresco.
Cabassi delizia i corridori con i suoi piatti gourmetCabassi delizia i corridori con i suoi piatti gourmet
I ragazzi cosa dicono di questo loro “angolo”?
Questo è il primo Giro che ci facciamo e sono molto contenti. Possono parlare con più serenità, c’è maggiore tranquillità. Froome invece ci era abituato. E’ un ambiente importante per loro.
Anche lo staff può mangiarci?
No, il motorhome è esclusivamente per i corridori. Il resto del team mangia in hotel.
Il giorno dopo di Alessandro De Marchi in rosainizia la sera prima in hotel. Il Rosso di Buja è andato via dall’arrivo dopo una lunghissima conferenza stampa e la prima impresa è stata contattare sua moglie Anna, dato che non aveva con sé il telefono. Quando poi è arrivato in hotel, l’accoglienza l’ha fatto commuovere ancora.
Un uomo sensibile
Non dobbiamo meravigliarci per le lacrime, spiega il suo procuratore Raimondo Scimone, che vive a Modena e la maglia rosa con un suo corridore non la vedeva dal 2009 di Menchov.
«Alessandro è un duro – dice – nel senso che addenta la fatica, ma di base è un uomo sensibile. E questa maglia rosa è il premio per una vita di sacrifici a vantaggio degli altri.In squadra sono tutti contenti. Mi dicono che essendo abituato a grandi team, ha attenzioni a dettagli per loro impensabili, ma li sta aiutando a crescere. Non c’è un solo corridore che non ne sia contento. Dovevo passare in hotel a salutare Pozzovivo, ma gli ho mandato un messaggio, dicendogli che non ce la facevo e che sarei passato dal “Dema”. Mi ha risposto che non era un problema e, piuttosto, di fargli i complimenti».
Il gruppo è partito da Modena, in un giorno di sole, davanti all’Accademia MilitareIl gruppo è partito da Modena, in un giorno di sole, davanti all’Accademia Militare
Le… scuse al team
Alessandro racconta alla fine del primo giorno in rosa e scherzando annuncia che toglierà altre curiosità nei prossimi giorni, se ce ne saranno altri in rosa.
«Ieri è stato un giorno storico – dice – il rientro è stato emozionante, avevo tante cose per la testa. Ho fatto subito il giro dello staff, meccanici e massaggiatori. Poi mi sono concesso un’ora di massaggi e alla fine sono andato a cena. Quando ho preso la parola, ho detto ai ragazzi che avevo questo piano già da qualche giorno e mi sono quasi scusato per non averli avvisati, ma non credo che si siano offesi. E’ stata una serata carica di molte cose. E dopo il brindisi noi corridori siamo andati a dormire, mentre il personale è andato avanti a brindare ancora».
Da Ganna a De Marchi, lezioni di guida… in rosaDa Ganna a De Marchi, lezioni di guida… in rosa
La notte bianca
Scordatevi però che una serata così, al termine di un giorno come quello di Sestola, porti con sé una notte di sonno ristoratore: sarebbe stato impossibile.
«Prima – ride – ho cercato di fare un po’ d’ordine nei messaggi whatsapp, ma credo che ne verrò a capo forse per la fine del Giro. Poi sono andato avanti a pensare e ripensare. Mi sono addormentato tardi e mi sono svegliato presto. Dire quale messaggio abbia apprezzato di più sarebbe ingiusto. Ma devo dire che quel che più mi ha fatto piacere è stato ricevere gli attestati di stima degli altri corridori, ex compagni, giornalisti, addetti di Rcs. E’ stato davvero molto gratificante».
Tappe in diretta integrale, l’elicottero è già lìTappe in diretta integrale, l’elicottero è già lì
Il test di domani
La tappa di domani si annuncia come un test piuttosto severo. Dombrowski è uscito malconcio a causa della caduta e quindi magari non sarà lui la minaccia più concreta del giorno, ma il dislivello stesso potrebbe diventare un avversario ostico.
«Dovrò lottare fino alla cima – dice – evitare che entri in fuga qualcuno troppo vicino a me in classifica. Continuo ad avere una strana sensazione di vertigine, di essere in un posto che non mi appartiene. Non ci sono abituato e forse questo accadrà, quando dovrò cedere la maglia. Per questo sto cercando di godermela il più possibile. Non so dire che sapore abbia, ma di certo non è amaro. E’ una maglia impegnativa, un peso. Ma un peso leggero».
Una maglia magica, capace di raddoppiare le forze. Scimone ne è sicuro, De Marchi lo scoprirà domani, attraversando le montagne marchigiane. E pescando la forza dalle terre terremotate che gli ricorderanno le sue. Quando la terra trema, non ci sono confini.
Valentino Sciotti che gli corre intorno e gli grida che ce l’ha. Alessandro De Marchi che precipita fra le sue braccia. Che lo guarda. Che poi si butta sul manubrio, con la faccia fra le mani. Piove, ma nessuno sembra farci caso. Sciotti che continua a strattonarlo e abbracciarlo, mentre uno dopo l’altro arrivano gli altri componenti della Israel StartUp Nation. Il Rosso di Buja ha conquistato la maglia rosa. Non riesce a parlare. Pensiamo a Bressan e Boscolo a Udine, a quante bottiglie stapperanno stasera.
Un viaggio profondo
Il suo racconto è un viaggio profondo. Lo vedi che non si rende conto e che ha dentro qualcosa che lo scuote, ma non sa nemmeno lui con esattezza che cosa sia. Così parla, dando vita a un percorso interiore che sarà a volte perplesso, altre volte commosso.
«Per il modo di correre che ho io – dice – la percentuale dei tentativi che vanno a buon fine è sempre minore di quelli che riescono. Non credo di aver sbagliato o fatto delle scelte sbagliate in questi 11 anni, però è così. La generosità che ho sempre dimostrato era quasi scontato che finisse un po’ così, come ho detto anche altre volte. Alla fine però non bisogna mollare, perché le cose grandi a volte succedono anche a quelli come me».
Da soli non si beve, ma un brindisi a se stesso ci sta davvero tuttoDa soli non si beve, ma un brindisi a se stesso ci sta davvero tutto
Quelli come me?
Non lo so, una sensazione. Mi fa piacere che la gente possa essere contenta per la mia maglia rosa. Vuol dire che ho seminato bene in questi anni (trattiene a stento le lacrime, ndr). Forse questa cosa è ancora più gratificante della vittoria, dei risultati, magari addirittura più di questa maglia. Sapere che tante persone sono contente per quello che hai fatto e le cose che hai raggiunto… vuol dire che qualcosa di buono sono riuscito a fare».
Da bambino l’hai mai sognata?
In questi anni non avevo mai sfiorato e neanche mi era venuto in mente di pensarci. E’ un simbolo che quando un bambino inizia a pedalare è lì in alto. Non so esattamente perché, ma due giorni fa mi è venuta questa idea. E alla fine con una crono e due tappe in gruppo, siamo arrivati a oggi. Quello che ha fatto subito la differenza è stato capire nei primi chilometri che c’era battaglia. Non era una fuga a perdere, con la giusta situazione poteva crearsi questa opportunità.
Dombrowski lo attacca, Alessandro lo controlla: l’idea rosa prende corpoDombrowski lo attacca, Alessandro lo controlla: l’idea rosa prende corpo
Quando l’hai capito?
Alla fine. Primo ero concentrato su Oliveira e ovviamente sul riacchiappare i due fuggitivi. Nel momento in cui questo si stava sistemando, dalla macchina mi hanno detto di fare attenzione anche a Dombrowski, perché non potevo permettermi di farlo allontanare troppo. E quindi fino alla fine è stata una via di mezzo: ce l’ho, non ce l’ho. Una volta arrivato ho visto Valentino Sciotti che mi correva incontro e dalla faccia che mi ha fatto, ho capito che ero la nuova maglia rosa.
Cercavi qualcosa da dedicare a Silvia Piccini, la ragazza morta sulla strada poche settimane fa…
Sono pronto a portare qualcosa alla famiglia. Sarà un piccolissimo pensiero, ma è quello che possiamo fare noi, ora che lei non c’è più. Ho già risposto a tante domande, è il problema più vecchio del mondo. Siamo a volte molto incivili, non riusciamo ad avere il minimo rispetto per gli altri e ormai sulla strada questo è evidente. Silvia è l’ultima, ma purtroppo non lo resterà a lungo.
«Sono un padre, per questo mi espongo sulle questioni di diritto. Corro per Giulio Regeni»«Sono un padre, mi espongo sulle questioni di diritto. Corro per Giulio Regeni»
Ci hai sempre messo la faccia…
Mi sono sempre espresso su temi che stanno al di sopra di ogni colore e schieramento. I diritti fondamentali, i diritti civili, cose che non hanno colore e non possono essere strumentalizzate. Più di qualcuno, anche persone care, mi hanno criticato su questo. Però prima che ciclista – ormai sono stufo di ripeterlo – sono un marito, un papà, un cittadino. Quindi domani vestirò ancora il braccialetto giallo per Giulio Regeni e parlerò ancora di sicurezza sulle strade, senza problemi. Non cambierò idea.
Resterai fedele anche al tuo modo di vedere il ciclismo?
Ho un modo di fare più romantico di quello che ti viene richiesto nel ciclismo attuale. Mi è sempre stato insegnato così, sin da quando sono passato professionista con il buon Gianni Savio. Forse c’è molto di quello stampo nel mio modo di fare. E’ anche vero però che il ciclismo va avanti e anche io mi devo scontrare con questo cambio di stile. Anche io devo fare attenzione a mangiare nel modo giusto, ad avere i vestiti giusti, a usare il body, ad avere il casco aerodinamico, ad avere una bicicletta leggera e veloce… Sono tutte cose che fanno parte delle regole del gioco di adesso. Probabilmente questo stile non è il più redditizio, utile a fare risultati e aumentare il numero di vittorie. Però…
Però?
Ci sono state tappe in cui ho passato la giornata in fuga e sono stato ripreso, in cui ero più soddisfatto di quando ho fatto un piazzamento. Io cercherò di continuare a interpretare il ciclismo in questo modo, fino a quando potrò farlo.
Taglia il traguardo, ma ancora non si rende conto dell’impresaTaglia il traguardo, ma ancora non si rende conto dell’impresa
E intanto sei il faro per i ragazzi del Ct Friuli.
Sono stato il primo a sfruttare quello che è diventato un sistema e una squadra che non hanno niente da invidiare ai team professionistici. Lo dobbiamo a Roberto Bressan, Renzo Boscolo e ora Andrea Fusaz, Alessio Mattiussi e Fabio Baronti. Queste sono le persone che hanno dato il via a quella bellissima realtà che è il Cycling Team Friuli. E i ragazzi che arrivano adesso nel mondo del professionismo stanno sfruttando appieno questa squadra. Milan, Fabbro, Aleotti, Venchiarutti, i fratelli Bais. Ormai siamo in tanti ed è giusto che il mondo dei professionisti guardi sempre di più a questa realtà.
Non sarebbe male chiudere in Italia…
A parte i primi anni qua, ho subito intuito che purtroppo in Italia era difficile continuare a stare ad un certo livello. Sono felice di aver capito subito la necessità di partire. Ma è il segno che il mondo va in questa direzione, non possiamo essere troppo chiusi su di noi e le nostre piccole realtà. Ormai siamo interconnessi, siamo globali in tutto e anche il lavoro deve essere così. Spero di insegnare questo a mio figlio. Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre avuto un occhio verso lidi diversi, mondi un po’ più lontani. Mio fratello vive in Nuova Zelanda da tanti anni ed è una cosa di cui i miei genitori vanno fieri, nonostante ci siano migliaia di chilometri. Avere sperimentato squadre di Paesi diversi è stimolante, ma sarebbe bello anche ritrovare una squadra italiana nel WorldTour in cui magari finire la carriera.
Lo sguardo di chi su quel palco rosa non c’è mai stato: che cosa mi aspetta?Lo sguardo di chi su quel palco rosa non c’è mai stato: che cosa mi aspetta?
Ha raccontato. Si è commosso. Non ha avuto paura di mostrare le sue emozioni. Prima di lui, forse, soltanto Simoni era riuscito a entrare nel cuore della sua gente per la stessa cocciuta coerenza. Stasera si farà festa, magari con il vino dello sponsor. Da domani però il Rosso di Buja sarà sulla strada per difendere il suo sogno rosa e cercherà di portarlo il più avanti possibile. Ganna è passato con l’espressione sfinita ed è sfilato verso il pullman. Da stasera il Giro ha trovato un’altra storia da raccontare.
Alessandro De Marchi è stato a casa di Silvia Piccini, la ragazza uccisa in strada il 24 aprile, e ha incontrato la sua famiglia. Un giorno davvero toccante
Daniel Martin progetta e porta a termine la fuga con una vittoria. Un'idea nata ad aprile con il sopralluogo a Sega di Ala. Il premio a un team sfortunato
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Avrà sempre mezza testa a casa e non potrà farci niente. “Cimo” è lì che riempie la valigia, mentre Alessia, la sua compagna, conta i giorni che mancano all’arrivo della prima figlia. Restano due settimane, per bene che gli vada Davide la conoscerà quando il Giro arriverà a Sacile, a due passi da casa. La storia è piena di casi del genere, però un conto è sentirli raccontare e un altro trovarcisi dentro. In certi momenti la vita del corridore si fa spigolosa, fra ritiri e settimane al fronte, con la valigia, lo smartphone e la bici. Cimolai lo sa bene.
«Certo che ho il magone – dice – e anche tanto. Ma quest’anno scade il contratto e mi piacerebbe garantire un futuro alla famiglia».
Con la compagna Alessia che a breve lo renderà padre (foto Paolo Mazzara)Con la compagna Alessia che a breve lo renderà padre (foto Paolo Mazzara)
Viva la vita
Ci starebbe bene una vittoria, questa volta per fare festa. Davide non vince dalla tappa di Verviers al Giro di Vallonia del 2019 (foto di apertura) e fu una volata di resurrezione.
«In questa vittoria, in questa foto – scrisse allora “Cimo” su Instagram – c’è tutto me stesso. Riprendere la bici dopo il Giro d’Italia mi sembrava impossibile, difficile immaginare e spiegare quello che ho passato, provato e sofferto. A voi amici dedico questa vittoria perché mi siete stati vicini nel periodo più brutto della mia vita».
La sua vita aveva subito un duro colpo durante il Giro d’Italia e la stessa corsa si era trasformata in un inferno. Ma Davide riuscì a voltare pagina e la sua nuova vita e l’idea stessa di un figlio in arrivo sono state la miglior risposta. E’ inimmaginabile la carica emotiva che lo accompagnerà. Viva la vita!
«Il quadro perfetto adesso – conferma – sarebbe portare a casa una tappa e poi aiutare Martin nell’ultima settimana. La squadra avrà sei corridori per aiutare Daniel, mentre io potrò fare le mie volate. Se va bene, avrò Bevin per darmi una mano».
E’ andato al Turchia per rifinire la condizione in vista del GiroE’ andato al Turchia per rifinire la condizione in vista del Giro
Le volate e la moto
Non è semplice, tuttavia, partire per un Giro d’Italia da velocista senza treno e “Cimo” lo sa. Ugualmente sta facendo tutto come si deve.
«Sono tornato dalla Turchia – spiega – sereno per la condizione che ho raggiunto. Ho fatto due richiami in palestra per settimana, perché alle corse perdi forza. E altre due volte ho fatto dietro moto con mio papà. Lui ormai mi conosce. Mi chiede cosa voglio fare e alla fine sa dirmi come sto, se sono stanco o se ho lavorato bene. Facciamo anche delle volate, che fra le tante che puoi fare in allenamento sono le più veritiere. Con il rapporto lungo o più agile, perché in corsa si presentano davvero mille situazioni diverse».
Le volate a casa sono lunghe oppure brevi, cercando di simulare le situazioni di corsa, con il riferimento del potenziometro e le sensazioni che cambiano se la volata la fai dopo un’ora o al termine di un lungo di sei.
Su strada oppure in pista, il lavoro dietro moto per “Cimo” non manca maiSu strada o in pista, il dietro moto per “Cimo” non manca mai
I treni degli altri
Poi ci sono gli avversari, che ogni professionista segue grazie ai mille siti e i social dedicati, per farsi un’idea se non è riuscito a corrergli accanto.
«Se non hai un treno – dice – sprechi un sacco di energie a livello mentale. Perciò le prime tappe serviranno per vedere chi avrà il treno più forte. Non ho visto con quale squadra verrà Groenewegen, ma di certo saranno forti quelle di Caleb Ewan e di Viviani. Nizzolo avrà un paio di uomini, Sagan si arrangia e Gaviria ci sarà de vederlo. Manca il treno della Deceuninck-Quick Step che punterà tutto sulla classifica. Il mio scopo sarà infilarmi a ruota dei più forti, con tanta tensione e stando attenti alle cadute. La cosa migliore sarebbe pescare la ruota giusta all’ultimo momento, perché sgomitare per tre chilometri è snervante. Per fortuna dovrei avere per me Dowsett e Brandle, che sono due grandi cronoman e potrebbero portarmi al finale senza correre rischi».
Sanremo 2021, al traguardo con il gruppo di BennettSanremo 2021, al traguardo con il gruppo di Bennett
Opzione fuga
La squadra punterà su Martin per la classifica: l’irlandese già da qualche settimana va ripetendo di non aver mai avuto una condizione così buona. Le occasioni per arrivare in volata non sono invece così numerose. Novara (2ª tappa), Cattolica (5ª tappa), Termoli (7ª tappa), Foligno (10ª tappa), Verona (13ª tappa), Gorizia (15ª tappa).
«Se una tappa è piatta – dice – sai che si tratterà di scaricare tutta la forza che hai e magari chi ne ha di più, riesce a vincere. Ma capisci che la condizione è vincente quando con il passare dei giorni, superi bene le salite. Per uno come me andrebbero bene anche le tappe con qualche muro, in realtà, ma c’è un doppio problema. Le squadre dei velocisti puri non tirano e quelli di classifica nemmeno. Così va via la fuga e di solito arriva. Perciò vedremo che piega prenderà la corsa, ma non escludo nemmeno di buttarmi a mia volta nelle fughe. Come nell’ultima tappa del Turchia. Era andata via quella buona e se la Androni non avesse tirato, magari saremmo arrivati. Sarà un Giro da interpretare, prima si possono fare tutti i discorsi del mondo».
Battistella era sparito ed è ricomparso all'Amstel. Era sul Teide a lavorare per il Giro. Correrà per Vlasov, ma intanto studia come vincere nelle Ardenne
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C’era una volta la distanza, quel giorno senza limiti in cui il corridore passava più ore in sella che dentro casa. C’era una volta la distanza, ora non c’è più. Ne parliamo con Alessandro De Marchi, corridore della Israel Start Up Nation, che ha nelle gambe tanti chilometri, 13 stagioni di professionismo e abitudini che con gli anni sono andate via via cambiando. Nel nome della qualità, la quantità è andata scemando e anche il giorno più lungo, appunto quello della distanza, pur mantenendo un discreto numero di ore, ha cambiato faccia.
Alessandro è in Friuli, in quel buco di tempo fra il Tour of the Alps e il Giro d’Italia in cui si cerca di far stare tutto ciò che si è perso prima e che si perderà poi. E’ un privilegio avere questi minuti, scavati nei trasferimenti in auto tra una faccenda e l’altra.
«Distanza – dice – è il vecchio concetto di allenamento lungo, che però negli anni si è evoluto. Ora raramente si fanno tutti quei chilometri, ma si tende a metterci dentro tante cose. La distanza ora ha tante sfumature, che nel mio caso si possono suddividere in due tipologie. La distanza low carb, cioè un allenamento lungo senza apporto di carboidrati. Oppure un allenamento lungo con una serie di simulazioni, in cui i lavori specifici vengono inseriti nella seconda parte dell’allenamento, per mettere il corpo nelle condizioni di stress che vivrà in gara».
Può capitare in corsa di trovarsi in debito di zuccheri: le distanze low carb educano il corpo a questoTrovarsi in debito di zuccheri: le distanze low carb educano il corpo a questo
La distanza low carb
Siamo già nel vivo, affondiamo i denti incuriositi. Partiamo dalla distanza low carb, con più di qualche curiosità.
A cosa serve?
A insegnare al corpo a utilizzare le risorse di cui dispone, senza apporto di carburante dall’esterno. Per cui nella prima parte della giornata l’alimentazione sarà sbilanciata verso proteine e grassi. I carboidrati non a zero, ma in quota riadattata.
Si comincia dal mattino o dalla sera prima?
Tendo a fare una cena normale, mentre a colazione mangio omelette, affettato, bresaola. Niente avena né fette biscottate. Yogurt greco, noci, cioccolata con cacao all’85 per cento con pochi carboidrati. E in bici privilegio borracce con proteine e barrette proteiche, in linea con quello che ho mangiato al mattino.
La colazione senza carboidrati prevede anche un’omeletteLa colazione senza carboidrati prevede anche un’omelette
Fa pensare alla dieta dissociata: come reagisce il corpo?
Dopo un paio d’ore che pedalo, ho la sensazione di essere molto… piatto, di poter continuare a lungo, ma senza i soliti picchi di rendimento. E’ un regime difficile da mantenere. Gli atleti evoluti riescono a durare così per 5-6 ore, ma le prime volte non riuscivo ad andare oltre le 3 ore e mezza. Adesso arrivo a 5 ore, ma è stato un adattamento graduale.
Riesci ad andare forte o si tratta di allenamenti lenti?
Dipende dalla giornata. Le prime volte era difficile fare grandi intensità, perché costringi il corpo a usare un carburante diverso rispetto agli zuccheri.
Quando torni a casa sei distrutto?
Non è detto. Le prime volte sei in sofferenza, perché il corpo non è abituato, ma col tempo si adatta. Il pranzo comunque è ancora privo di carboidrati, mentre la cena di solito è libera. Completamente free per recuperare.
La distanza per De Marchi (a casa) vuol dire uscire da solo e fare il suo lavoro
Le strade del suo Friuli, prima di iniziare l’avventura del Giro
A casa De Marchi ha tutti i riferimenti, compreso il CTF Lab di Andrea Fusaz
La distanza (a casa) è sinonimo di solitudine
Le strade del suo Friuli, prima Giro
A casa i suoi riferimenti, tra cui il CTF Lab
Si riesce a fare anche del lavoro specifico durante queste uscite?
No, non ci riuscirei. Quando si va in questo modo, puoi allenare al massimo la resistenza. I lavori specifici richiedono gli zuccheri. E’ il motivo per cui allenamenti low carb come questi ne faccio al massimo uno a settimana.
La simulazione di gara
Lavori specifici si affrontano invece nell’altro tipo di distanza, quella in cui si cerca di proporre al corpo il carico di lavoro e di stress che incontrerà in gara.
Un altro tipo di lavoro…
Esatto, si tratta di un lungo con altri obiettivi, fare cose simili alla gara ovviamente con l’intensità che varia in base al periodo dell’anno. Più sei vicino alle corse e più cresci l’intensità.
Lavori specifici e dietro moto?
Se sono in fase di carico, il dietro moto lo faccio nella seconda metà dell’allenamento oppure in finale. Se sono vicino alla corsa, capita di fare dietro moto anche per 5 ore, sin da subito.
Che tipi di lavori specifici si fanno?
Tanto volume, per cui le classiche Sfr, interval training, lavoro intermittente. Tutto ciò che può dare al corpo lo stimolo della corsa.
Al rientro dopo il lungo “simulazione”, borraccia di proteine, poi riso e verdureAl rientro dopo il lungo “simulazione”, borraccia di proteine, poi riso e verdure
In questi casi come varia l’alimentazione?
La colazione è tutta sbilanciata a favore dei carboidrati, come alle corse, perché il vero carburante sono loro. E in bici ci saranno maltodestrine, bevande energetiche e barrette ricche di carboidrati, perché davvero si fa sul serio a ritmi elevati.
Per quanto tempo si sta fuori?
Dipende dai lavori che devo fare, ma si può anche andare oltre le 5 ore, però sempre meno di 6, altrimenti diventa un’altra cosa. Dipende dalla resistenza che hai, io arrivo spesso sul filo delle 6 ore per il tipo di corridore che sono.
Capita di fermarsi durante queste maratone ad alta intensità o nella distanza low carb?
Dipende dalle abitudini, a me non piace, perché la sosta mi spezza il ritmo. Sul Teide, gli altri ci tenevano a fare la pausa caffè e allora mi fermavo anche io, ma se sono a casa e ho il mio lavoro da svolgere, parto e mi fermo solo quando ho finito.
Cosa porti di solito in tasca?
I rifornimenti, proprio per non fermarmi. Il telefono. La carta di identità. Due spiccioli casomai accada qualcosa. Il kit per riparare le forature è fisso sulla bici e di solito, per la tipica fortuna dei corridori, in queste giornate capita sempre di bucare.
Quasi due settimane fra il Tour of the Alps e il Giro: tempo per la famigliaQuasi due settimane fra il Tour of the Alps e il Giro: tempo per la famiglia
Quando rientri dopo 6 ore salti il pranzo?
Cerco di non saltare mai i pasti, seguendo la disciplina della corsa, in cui dopo la tappa devi subito reintegrare. Per cui il recupero immediato, anche se sono le 16, si fa con una borraccia di proteine e poi un primo oppure un piatto di riso, per reintrodurre la quota di carboidrati, e un po’ di verdure. Il primo recupero si fa così.
E la cena?
Dipende dall’allenamento del giorno dopo, ma di solito è 50 per cento proteine e 50 carboidrati. Una distanza come questa di solito si fa alla fine di un blocco di lavoro, per cui il giorno dopo magari c’è un po’ di recupero.
E come si mangia alla vigilia di un Giro d’Italia?
Sto giusto facendo la spesa per la classica grigliata con gli amici, che si fa prima di partire per un grande Giro. Siamo a casa nuova da poco e ancora non siamo riusciti a godercela, verrà il tempo. Per cui carne, verdure e un bicchiere di vino. E poi saremo pronti per andare a Torino…
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Alessandro De Marchi in fuga, sulla bici e nei pensieri. Ha cominciato il Tour of the Alps prendendosi la sua bella dose di vento in faccia, pedalando verso la condizione migliore, un posto per il Giro e per metabolizzare la fatica di due settimane sul Teide assieme a Chris Froome, che ha imparato a conoscere meglio. Tutto intorno la nuova squadra con cui prendere le misure e abitudini da resettare dopo anni importanti nel gruppo Bmc. E poi alla fine della stagione, che potrebbe portarlo al Tour e alle Olimpiadi, già si intravede un raggio di felicità che già scalda il cuore e le parole.
Ultime regolazioni alla sua Factor e poi si può partireUltime regolazioni alla sua Factor e poi si può partire
In 4 sul Teide
«Froome… – inizia e fa subito una pausa – prima non lo conoscevo tanto, non era facile avvicinarlo oltre il limite del corrergli ogni tanto accanto. In queste due settimane sul Teide abbiamo diviso la stanza e ci siamo conosciuti meglio. D’altra parte eravamo in quattro, noi due e due ragazzi israeliani: il tempo per conoscerci non è mancato. Gli ho visto fare cose dure, lavorare sul corpo prima ancora che sulla bici, sull’equilibrio. Si vede che ancora ha dolore e nonostante tutto sta affrontando tanti sacrifici. E’ sicuro di quello che sta facendo, determinato da morire, pronto a prendersi quello che sarà senza troppa paura».
Che Froome soffra, si è visto bene nelle prime tappe e lo ha confermato Claudio Cozzi, direttore sportivo del team. Parte sempre con il bendaggio al ginocchio e a volte, come nella prima tappa a Innsbruck, ha dei momenti di disagio e altri in cui le cose si mettono a girare per il meglio. Proprio quel giorno, mentre Chris stentava nelle retrovie e si avviava a tagliare il traguardo con 5 minuti di ritardo, Alessandro concludeva la sua tappa in fuga a 3’27” da Moscon, cercando di recuperare e trasformare la fatica in condizione.
Il Tour of the Alps iniziato con una lunga fuga nel giorno di InnsbruckIl Tour of the Alps iniziato con una lunga fuga nel giorno di Innsbruck
«Non si poteva fare di più – dice – eravamo a tutta. Anche avendo più collaborazione, il risultato sarebbe stato quello. Siamo qui per provarci e per farci vedere. Il posto va guadagnato».
Verso il Giro
La stagione, si diceva, è complessa e l’esclusione dal Giro lo scorso anno fu il chiaro segnale che il gruppo in cui aveva trascorso gli ultimi sei anni si stava sfaldando.
«Quella scelta è stata una grossa delusione – disse – contavo molto sulla corsa rosa, tutto era in sua funzione, mi ispirava. Al Tour andavo avanti sapendo che poi avrei corso in Italia. Avrei puntato alle tappe. Già nella prima settimana ce n’era più di qualcuna adatta alle fughe. Senza contare quelle due in Friuli, ci tenevo molto. C’erano giornate lunghe, adatte alle fughe… insomma l’ideale per me».
Averlo dato per scontato fu ciò che rese l’esclusione più difficile da digerire, per cui non c’è da stupirsi, conoscendolo, che ora parli con cautela.
Si parte presto, la temperatura è rigida: meglio coprirsi: Spicca il braccialetto per Giulio RegeniSi parte presto, la temperatura è rigida. Il braccialetto per Regeni e lì…
«Lo so bene – dice – che ho uno dei due numeri già cuciti sulla schiena, ma è giusto anche dare qualche segnale. La squadra è nuova, ci sono equilibri da cercare e da creare. Una cosa però posso dirla: fra corridori c’è davvero uno splendido clima, anche lo staff si sta impegnando tantissimo per non farci mancare nulla».
Voglia di crescere
La squadra è il nodo, perché non è facile ritrovarsi nel WorldTour e dover colmare in poco tempo il gap da altri team organizzati da tempo. La scelta di puntare su corridori di esperienza come il friulano nasce proprio da questo.
«Percepisci la voglia di crescere – conferma Alessandro – e ti rendi anche conto di quanto sia difficile farlo avendo poco tempo a disposizione. Per questo siamo tutti contenti di dare i nostri feedback. Ci sono delle riunioni in cui partecipiamo anche noi più esperti. Ci viene chiesto di condividere il nostro punto di vista e devo dire che stiamo fornendo un bel numero di indicazioni, che vengono raccolte e spero che gradualmente siano messe in atto. Solo mi rendo conto che non è per niente facile a stagione iniziata. E mi rendo anche conto che il confine fra dare il proprio contributo e passare per rompiscatole è sottile, soprattutto per uno come me abituato ad avere tutto organizzato al dettaglio. In questo, la squadra in cui ero prima ci aveva abituato troppo bene, altrove non ce ne sono poi troppe che lavorano a quel modo».
Nel primo arrivo in salita, tutti attorno a Froome: con il Rosso di Buja, anche Daniel MartinNel primo arrivo in salita, tutti attorno a Froome: con il Rosso di Buja, anche Daniel Martin
Un raggio di sole
Con la tappa che si accinge a ripartire per fare rientro in Italia e ciascuno che si tiene stretto in tasca l’esito dell’ennesimo tampone, l’ultimo sguardo è alla stagione che sta per entrare nel vivo, con l’eventuale convocazione olimpica come discriminante per le scelte.
«Diciamo che adesso si pensa a Giro – spiega De Marchi – e poi per il seguito dell’estate andremo avanti un passo per volta. Ci sarebbe il discorso Tour, che per la squadra è importante. Non nascondo che con un buon recupero dopo il Giro d’Italia si potrebbe ragionare di andarci, ma bisogna anche vedere in quali condizioni arriverò a Milano. Il discorso olimpico sarebbe un tassello che, se collocato nel tempo giusto, permetterebbe di accelerare anche altri discorsi. Prima di Rio non feci il Tour, la Bmc non mi convocò e andai a prendermi la condizione al Giro di Polonia. E comunque sia, quando sarà ottobre e sarò sfinito come ogni anno al termine della stagione, la casa si rallegrerà per l’arrivo di un altro bimbo. Dopo un periodo nervoso e duro come quello che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo, questa notizia ci ha portato tanta felicità e tanta energia. Ci voleva proprio».
Alessandro con Andrea e Anna, ad Artegna, durante la nostra visita dello scorso dicembreAlessandro con Andrea e Anna, durante la nostra visita di dicembre
Il tempo di pensare agli auguri per Anna e Alessandro e a quanto si divertirà con un fratellino o una sorellina il piccolo Andrea ed è già tempo di ripartire. Il via da Imst stamattina sarà dato alle 9,50. Da Imst a Naturno ci sono 162 chilometri e quattro salite. Sarebbe, a dire il vero, un altro perfetto giorno da fughe…