Forse stasera De Marchi lascerà l’ospedale e tornerà a casa. Va bene che il Giro va avanti, ma non si lascia indietro chi è caduto. E così qualche giorno fa, parlando con Roberto Bressan (grande capo del CT Friuli), venne fuori che si fosse messo di mezzo proprio lui per riportare in ambulanza il Rosso di Buia da Firenze a Udine. Come si passa dalla gioia della maglia rosa all’incubo dell’ospedale? E dove la trovi la voglia di ripartire da un infortunio, se ti sei appena ripreso da quello precedente?
E così nel giorno di riposo del Giro, dopo le tappe friulane in cui Alessandro avrebbe portato via amore e applausi in quantità impensabile, abbiamo deciso di rompergli un po’ le scatole. Essere tornato a Udine ha già riportato mezzo sorriso, la prospettiva di uscire è come essere nell’ultimo chilometro, con tante curve tolgono la vista del traguardo.
Come stai?
Bene, ma non benissimo. Il viaggio in ambulanza è stato impegnativo, ma adesso sono a Udine. Ho fatto altri esami. Il polmone ha preso una bella botta, che però si assorbe da sola. La frattura della clavicola è composta e per fortuna non serve operarla. Ci sono tre costole rotte che fanno male e due vertebre incrinate per le quali c’è solo da aspettare. Hanno parlato di sei settimane di stop, spero di scendere a quattro. E spero che magari nel frattempo possa fare rulli o palestra. Insomma, non vorrei proprio fermarmi.
Ti ricordi qualcosa della caduta?
Diciamo che negli ultimi due giorni ho cominciato ad avere ricordi più chiari. Hanno sbagliato due davanti. C’era una “esse”, loro sono entrati troppo larghi e di fatto mi hanno impedito di fare la curva. Mi sono reso conto che stavo arrivando alla curva troppo veloce e che sarei caduto. Il primo ricordo di cui sono sicuro è sull’ambulanza nei minuti successivi.
Ti resta in bocca il buono della maglia rosa?
Il buon sapore c’è ancora, ma più che altro adesso c’è il nervoso di dover ripartire. I tre giorni in Friuli dopo la maglia rosa sarebbero stati ossigeno. Se posso dirlo, sono proprio incazzato. Quando caddi in Francia, ero esausto, ora sono arrabbiato.
Sei settimane significano addio a Tokyo, con quattro forse cambia qualcosa…
Il sogno delle Olimpiadi… lo rimettiamo nel cassetto, ma lo lasciamo aperto. So che avrei dovuto conquistarmi il posto in questi giorni. Conosco Davide (Cassani, ndr), so come ragiona. Cercherò di rientrare e di andare forte, poi si vedrà.
Riesci a seguire il Giro in questi giorni?
Ieri ho dato un’occhiata alla tappa, ma quando capitano certe cose reagisco chiudendo il mondo fuori. Voglio tornare a casa, speriamo sia davvero stasera.
Più messaggi per la maglia rosa o per l’infortunio?
La verità è che si sono sovrapposti e sono tantissimi. E’ continuato quello che era iniziato a Sestola. Tanto affetto, che è molto gratificante. Significa che hai lasciato un segno, è come riceverne la conferma. Ci sono momenti in cui un atleta ha proprio bisogno di questo. Tutto quello che avrei voluti a quel punto era finire il Giro e godere del bello ricevuto in quei due giorni in Friuli. Ora non vorrei che la caduta nella mia testa restasse l’ultimo ricordo del Giro.
Che cosa vuoi dire?
Non voglio che si cancelli il bello di quei giorni. Vorrei che nella mia mente l’ultimo ricordo del Giro fosse la maglia rosa.
Prenderla è stato bello, come è stato perderla?
Per come sono fatto, mi è dispiaciuto, ma sono pronto a dire che tenerla uno o due giorni di più non avrebbe fatto una grossa differenza. Ho capito immediatamente che stava sfuggendomi. Ho scollinato, indietro. Ho visto che davanti stavamo facendo i ventagli e io non sapevo che ci fosse vento. Eppure ho trovato gente che ha provato ad aiutarmi a rientrare.
Altri corridori?
Peter Sagan, ad esempio. Ci ha provato anche lui a riportarmi in gruppo ed è stato un gesto bellissimo. Si vedono i corridori che vengono da qualche anno prima, dalla vecchia scuola, che hanno vissuto il bello della Liquigas.
Dobbiamo chiedertelo, proprio perché si parla della stessa tappa: ti sei accorto delle rovine del terremoto che avete attraversato? Perché la televisione non le ha mostrate…
Me ne sono reso conto bene. Anche perché quel giorno ero da solo, facendo la discesa in maglia rosa, ma staccato. Ho visto le case distrutte, le macerie. Mi era venuto in mente anche di parlarne nel podcast di Bidon, ma poi ho parlato di altro.
Come si sta in ospedale ai tempi del covid?
Che cosa ve lo dico a fare?! Non possono venirmi a trovare. Anna (sua moglie, ndr) si è affacciata un paio di volte, ma non è stato semplice. Abbiamo avuto due settimane di emozioni molto forti, prima nel bello e poi nel brutto.
Se non altro, dopo l’incidente in Francia, sai come si fa a ripartire…
Infatti sono quasi a mio agio. Conosco tutti i passaggi. Conto di tornare a casa e essere a posto per la Vuelta. A questo punto voglio correre e correre tanto. Non voglio un’altra stagione a metà.