Come sta Froome, che anche oggi s’è staccato? E’ difficile capire se questa fissazione per il quinto Tour sia nella sua testa il solo modo per tenere alta la tensione o richiamare le attenzioni che un tempo doveva respingere. Il recupero prosegue lentamente, forse troppo. La Vuelta è servita per rimettere in moto la macchina, ma il duro lavoro fatto in California per tutto l’inverno fa pensare che il recupero non fosse ancora completo. E anche se il beneficio del dubbio va concesso a qualsiasi grande atleta abbia subito un simile infortunio, la scelta di giocarsi tutto in Francia senza cercare prima una minima conferma, inizia a sembrare troppo ardita. Il Froome dei bei tempi non lasciava passare occasione per mettersi alla prova.
Chris non è tipo di cedere alla paura o darla a vedere. E si può ben capire, dato che la Israel Start Up Nation lo ha preso con il sogno di ben figurare in Francia, che sarebbe quantomeno improvvido uscirsene ammettendo il proprio disagio. Quello che si può fare allora è leggere nelle sue parole delle ultime settimane, cercando di coglierne lo stato d’animo.
Sulla paura
E’ un sentimento, dice, che risale soltanto ai primi tempi, quando faticava a comprendere la portata dell’infortunio.
«Ci sono stati sicuramente alcuni momenti – ha raccontato durante il Uae Tour – soprattutto quando ho avuto più difficoltà a respirare e mi è stato spiegato che avevo lesioni interne, alcune vertebre fratturate, uno sterno fratturato, un polmone collassato. Allora era una cosa seria. Ero completamente nelle mani dei primi soccorritori, quasi come se fossi uno spettatore che guarda da lontano. Quindi è stata una sensazione piuttosto spaventosa e di impotenza, sapere che la mia vita dipendeva dalle persone che lavoravano intorno a me».
Sul dolore
Dice che le cose sono molto migliorate e che gli strascichi derivanti dall’infortunio sono ormai tutti alle spalle.
«Non sto più soffrendo – ha detto – provo un po’ di fastidio quando dormo sul fianco destro e un po’ di bruciore dove avevo inserito una piastra. Tutto il lavoro in palestra e la riabilitazione che ho fatto e sto ancora facendo si traduce in potenza sulla bici. Le due gambe adesso sono di nuovo uguali. Tornare in bici è stato abbastanza facile perché la caduta non è dipesa da un errore che mettesse in dubbio le mie abilità. Ero su una strada perfettamente diritta e una folata di vento ha spostato la mia ruota anteriore mentre avevo una sola mano sul manubrio».
Sul passato
Se non ci fosse stato l’incidente al Delfinato del 2019, Froome non se ne sarebbe mai andato dal Team Ineos. E chissà se la stessa squadra, convinta in quel momento di avere in Bernal il vincitore (scontato) dei prossimi Tour, lo avrebbe lasciato andare rendendosi conto che il cammino del colombiano si stava facendo più impervio.
«Ineos vince grandi Giri da anni – ha detto, tralasciando volutamente di precisare che di 11 vittorie, 7 sono le sue – questa squadra (la Istrae Start Up Nation, ndr) è qualcosa di nuovo e di fresco ed è proprio quello di cui avevo bisogno. Non ero mai stato coinvolto prima nel processo di reclutamento dei corridori e del personale, non sono mai intervenuto nella pianificazione. Alla Ineos ci sono persone che se ne occupano. Ora che per la prima volta faccio parte di quel processo, è come se avessi anche più padronanza del mio ruolo».
Sul Catalunya
Le mani bene avanti e nessun proclama, sebbene gestisca tutto con una calma olimpica. Ma il tempo stringe, luglio si avvicina: che cosa si muove nella sua testa? Lui parla di processo in corso, di una serie di eventi che, messi nella giusta successione, gli daranno le forze per andare al Tour.
«Però è impossibile dire quando sarò finalmente al top – ha spiegato nei giorni scorsi – perché il blocco delle gare del 2020 anno mi ha tolto un importante spazio di lavoro. Ogni anno che passa quando ne hai già 35 rallenta il tuo corpo. Le carriere si allungano, principalmente grazie alla nutrizione e alla fisiologia applicata allo sport. Tutto sta evolvendo. Stiamo imparando sempre di più sui nostri corpi. Ma sapevo e so tutt’ora che per tornare al Froome di prima ci sarà da camminare ancora molto. Sarò pronto per il Tour? Mi piacerebbe e per riuscirci devo fidarmi del lavoro che abbiamo impostato».
Non è solo la squadra che è cambiata, non solo la bicicletta. E’ la sua vita che ha subito una vera rivoluzione e in essa Froome sta cercando di ricreare l’ambiente ideale in cui esercitare il suo mestiere. Come Viviani, che lo scorso anno tentò di portare alla Cofidis l’esperienza del treno Quick Step, così Froome sta cercando di ricreare Sky del team israeliano. La curiosità per vedere l’esito del suo lavoro è per ora l’unico dato certo.